cariàtide

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sf. [sec. XVI; dal latino caryatis-ídis, risalente al greco karyâtis, propr. donna di Caria; tali donne, secondo la tradizionale versione favolosa, avendo parteggiato per i Persiani, furono tratte in schiavitù e raffigurate da scultori ateniesi in forma di sostegni architettonici].

1) Tipo di statue femminili del mondo greco (sec. VI e V a. C.) simili alle kórai votive utilizzate, come le canefore, soprattutto nell'architettura sacra (tesori dei Sifni e Cnidi a Delfi, loggia dell'Eretteo sull'acropoli di Atene) . Il tipo, che ha precedenti egizi e forse microasiatici e iranici, scompare con l'ellenismo, ma ritorna nell'arte neoattica e romana, anche privato della funzione portante. Tipiche del gusto classicheggiante sono le cariatidi del Canopo di Villa Adriana, presso Tivoli. L'esempio classico dell'Eretteo fu ripreso nel Rinascimento, fino al neoclassicismo e all'eclettismo ottocentesco.

2) Fig., persona, per lo più di grandi proporzioni, che se ne sta ritta e immobile o comunque inerte: davanti al portone c'è la solita cariatide di guardia; far da cariatide, non partecipare ai discorsi o alle attività degli altri. Anche persona dalle idee antiquate e sorpassate, che sostiene istituzioni tramontate: le cariatidi del passato regime sono radunate al circolo cittadino.

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