epigramma

sm. (pl. -i) [sec. XVI; dal greco epígramma, propr. iscrizione]. Componimento poetico; alle origini era un'iscrizione soprattutto funebre, poi, in genere, breve carme di vario argomento e ispirazione: un'impressione momentanea, un sentimento amoroso, una dedica, una celebrazione. Furono famosi in età greca classica gli epigrammi funebri di Simonide; ma la brevità e la fuggevolezza delle espressioni epigrammatiche attrassero soprattutto gli alessandrini: Nosside, Leonida di Taranto, Filippo di Tessalonica, Meleagro di Gadara e via via gli autori delle migliaia di epigrammi compresi nell'Antologia Palatina. Nella più antica letteratura latina ne scrissero Nevio, Ennio e poi Catullo; in età imperiale, soprattutto grazie a Marziale, l'epigramma assunse un tono mordace che era estraneo alla sua tradizione. Nella letteratura italiana l'epigramma venne coltivato dalla poesia latina umanistica (Poliziano, Sannazaro) ed ebbe successo nel Seicento, bene adattandosi alla concettuosità e alle ricercatezze della poesia barocca. Occasionalmente impiegato nelle polemiche personali, offrì esempi illustri, tra i quali quelli del Monti e del Foscolo. Con intenti polemici e aggressivi lo impiegò l'Alfieri nel .

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