Definizione

sf. [sec. XVIII; onto-+-logia]. Scienza di ciò che esiste nella sua essenza, cioè la metafisica in generale, in quanto filosofia dell'essere. Il termine è moderno ed è dovuto a Christian Wolfffondamentali dell'ontologia sono: la filosofia di Platone, di Aristotele, la Scolastica, il pensiero di Kant e di Hegel, la fenomenologia, il pensiero di Heidegger.

La filosofia antica e scolastica

Alla fondamentale domanda: cos'è l'essere? Parmenide risponde con la ricerca di una realtà perfetta non soggetta a perire – cioè al divenire – e conclude che all'esistenza delle cose che divengono si deve contrapporre il principio ontologico. Con Platone l'ontologia si fa scienza, nella misura in cui il dualismo dell'essere e del divenire, trasformatosi in dualismo d'intellegibile e sensibile, implica il rivolgimento a un mondo dell'essere come realtà che non è quella del mondo visibile. Cioè l'ontologia si rivolge all'essere come suo oggetto proprio e l'essere solo all'interno di un ontologia può venire attinto. Così per Platone il mondo delle forme è il mondo di ciò che è in sé il vero essere, mentre il mondo dell'apparire non è che l'immagine partecipata di quello. Si stabilisce in tal modo l'identità tra essere e intelletto nella misura in cui questo appartiene a una natura non sensibile: l'ontologia platonica stabilisce la vita dell'intelletto come vita beata dell'essere. Per tutto il corso della tradizione platonica questo punto rimarrà fondamentale. Con Aristotele oggetto dell'ontologia diviene la sostanza: l'essere in sé è interno alle cose, riguarda l'essenza di tutte le cose. Nella filosofia scolastica la predominanza della teologia come scienza che riguarda Dio, totalità dell'essere, non esclude – in virtù del paradosso della creatura che è e non è essere – un'ontologia dell'essere creato, pur fondandola e ponendosi come scienza dell'archetipo rispetto alla scienza dell'immagine.

La filosofia moderna

La vera e propria svolta nella concezione dell'ontologia si ha con Kant: l'ontologia diviene gnoseologia, è la filosofia della ragion pura nel suo carattere critico. L'ontologia costituisce in sistema tutti i concetti dell'intelletto e i suoi principi, ma solo in quanto essi si riferiscono a oggetti che possono essere dati ai sensi. L'ontologia non è scienza dell'essere (la cosa in sé è inattingibile) ma del fenomeno. Con Hegel l'ontologia recupera il significato che aveva nella tradizione, ma in virtù della riduzione della realtà al concetto. In senso tecnico riguarda l'oggetto della logica (essere-essenza-concetto). Nel positivismo l'ontologia acquista una nuova portata realistica e nella fenomenologia si precisa come possibilità di rappresentare le “essenze”, cioè gli oggetti reali e dati. Con Heidegger riemerge l'antico concetto del mondo come non essere in sé e l'ontologia si ripresenta non come scienza oggettiva dell'ente – il cui concetto non coincide più con quello di essere – ma come indagine volta sull'esistente, mirante a scoprire in esso la presenza dell'essere.

Bibliografia

L. Lavelle, Introduction à l'ontologie, Parigi, 1947; S. Vanni Rovighi, Note sulla teoria della conoscenza e sull'ontologia, Milano, 1949; H. Krtings, Fragen und Aufgaben der Ontologie, Tubinga, 1954; C. Fabro, L'uomo e il rischio di Dio, Roma, 1967; S. Arcoleo, I. F. Baldo, A. Fabro, Apparenza e realtà, Padova, 1989.

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