romance

sm. spagnolo (dalla loc. latina romanice loqui, parlare in lingua volgare, che passò a indicare la lingua volgare stessa; pl. romances). Il termine in origine designò una composizione letteraria in lingua volgare. Verso la metà del sec. XIII l'anonimo autore colto del Libro de Apolonio afferma di voler presentare un romançe de nueva maestria (anche se, in questo caso, c'è forse un influsso preciso del francese romanz, cioè racconto, narrazione in versi). Solo più tardi, nel sec. XV, quando i poeti colti iniziarono il recupero della poesia popolare, il termine assunse il significato definitivo di “composizione lirico-narrativa in versi di 16 sillabe (in due emistichi di 8 più 8) assonanzati”, e i romances cominciarono a distinguersi, secondo l'argomento, in fronterizos (cioè relativi alle scaramucce che si svolgevano continuamente alla frontiera fra il regno di Castiglia e il regno musulmano di Granada), tardo-epici (tratti dagli antichi poemi epici sul Cid Campeador, le origini della Castiglia, tra cui il Poema di Fernán González, la conquista araba della Spagna, ecc.), puramente romanzeschi, ecc. Si andò così formando un grandioso patrimonio poetico, tipicamente spagnolo e d'influssi profondi, durati fino ai nostri giorni, più tardi detto romancero.

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