La vera storia di Bernardo Provenzano, il boss dei boss

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Lo chiamavano Binnu u' Tratturi (Bernardo il trattore), perché dicevano che dove passava lui non cresceva più l’erba. Rispettato, temuto, ma anche amato, Bernardo Provenzano è il boss di Cosa nostra protagonista della stagione stragista che ha cambiato irrimediabilmente la storia di questo Paese.

Un “cervello fino”, come può essere fine e affiliato l'acume di un contadino che ha patito molta fame.

L’infanzia e l’adolescenza

Terzo di sette figli, Bernardo Provenzano nasce a Corleone da una poverissima famiglia di agricoltori. È costretto ad abbandonare la scuola (non arriva a finire la seconda elementare) per andare a lavorare nei campi come bracciante agricolo, raccogliendo erbacce nei campi di frumento insieme al padre Angelo.

Primi passi

Nel ‘54 parte militare, ma viene dichiarato “non idoneo” e rientra quasi subito con un certificato medico. Si arruola invece, giovanissimo, nell’ ”esercito” di Totò Riina e Calogero Bagarella: la cosiddetta banda dei masculiddi agli ordini di Luciano Liggio, che lo affilia alla cosca mafiosa locale.

Finisce per la prima volta in carcere con l’accusa di associazione a delinquere, macellazione clandestina e furto di bestiame. Tutto fa brodo per cercare di riscattarsi da un’infanzia di miseria.

La latitanza record
Diventa latitante il 18 settembre 1963, quando i carabinieri di Corleone lo denunciano per l’omicidio di Francesco Paolo Streva, uomo del clan Navarra. La sua è una latitanza da record, che dura 43 anni.
Soprannominato “il fantasma di Corleone”, scompare dalla città. I suoi compaesani lo vedono per l’ultima volta quando, ferito di striscio alla testa, si reca all’ospedale dei Bianchi una sera di agosto per farsi medicare. Nell’81, assieme a Totò Riina, guida l’assalto dei corleonesi a Cosa nostra, contribuendo a realizzare quella dittatura che impresse la svolta stragista alla mafia siciliana.

La lunga scia di sangue
Provenzano ha gestito tutto: dalla strage di Chinnici agli omicidi in serie delle guerre di mafia, fino ad arrivare all’eliminazione di uomini dello Stato come i poliziotti Beppe Montana e Ninni Cassarà (1985), il giudice Antonino Saetta (1988), il sostituto procuratore generale della Cassazione Antonino Scopelliti (1991). E' sempre lui ad impartire gli ordini degli attentati di Capaci e via d'Amelio nel 1992, le stragi in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Il matrimonio
Binnu si sposa in chiesa nel 1970, con la camiciaia di Cinisi Saveria Benedetta Palazzolo, una signora con gli occhi azzurri e i capelli castano chiaro dalla voce gentile e dai modi garbati. Di lui dice, difendendolo: “Mio marito era un contadino, aveva sempre la zappa in mano da quando era poco più che un bambino. Sempre per le campagne, dall'alba al tramonto. Poi hanno cominciato ad accusarlo di cose assurde, cose dove lui non c'entra niente”.
Dopo il matrimonio Provenzano si fa costruire su misura il suo nido d'amore, una graziosa casetta in contrada Capraria, nella campagna tra Cinisi e Terrasini. Peccato che, a causa di un sopralluogo dei carabinieri prima della conclusione dei lavori, i due debbano rinunciare al nido d’amore.

I pizzini
Da Binnu u’ Tratturi a Il ragioniere. Per comunicare con gli affiliati e poter bussare alle porte di politici ed imprenditori l'ingegnoso Provenzano arriva ad inventarsi un codice cifrato per scrivere i famosi pizzini: vere e proprie lettere redatte a mano o a macchina su un foglio bianco, tutte della stessa misura, chiuse a soffietto.

I suoi consiglieri lo hanno avvertito: con le nuove tecnologie e i telefoni rischiano di essere intercettati facilmente. Quindi lui saggiamente li ascolta, prende carta e penna e scrive. Ecco uno dei suoi pizzini più famosi:
Ti prego di essere sempre calmo e retto, corretto e coerente, sappia approfittare l’esperienza delle sofferenze sofferte, non credere a tutto quello che ti dicono, cerca sempre la verità prima di parlare, e ricordati che non basta mai avere una prova per affrontare un ragionamento. Per essere certo in un ragionamento occorrono tre prove, e correttezza e coerenza. Vi benedica il Signore e vi protegga. (Da un pizzino di Bernardo Provenzano a Luigi Ilardo)

L’arresto
Sono proprio i suoi pizzini a incastrarlo. Dopo una latitanza di 43 anni Bernardo Provenzano viene arrestato l’11 aprile del 2006 in una masseria di Corleone poco distante dall’abitazione dei suoi familiari. A tradirlo i pizzini, nascosti fra le buste della spesa, indirizzati alla moglie, al cognato Carmelo Gariffo e al resto del clan, nascosti tra le buste della spesa. Viene condannato a 20 ergastoli.

Il carcere
Da allora sono passati dieci anni, e il potere del «ragioniere» si è andato via via indebolendo, insieme alla sua salute, prima fisica e poi mentale. Nonostante gli innumerevoli tentativi di farlo collaborare con la giustizia è sempre rimasto in silenzio.

La morte
È morto il 13 luglio 2016, dopo una lunga malattia, portando con sé tutti i suoi segreti.