Disarmare con i fondi etici, uno strumento contro le guerre

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Costruire la pace è compito anche dei singoli. Tutti hanno voce in capitolo e chiunque di noi può agire attraverso diversi strumenti: la consapevolezza sul tema, il voto, e il denaro. Investire i propri risparmi nei fondi che non sostengono l'industria bellica è un importante passo verso il disarmo.

A seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la guerra è tornata prepotentemente nel dibattito pubblico e politico, anche in Europa. E si è tornato a discutere di minaccia nucleare. Una minaccia che, in realtà, non si era mai spenta. Il Bulletin of the Atomic Scientists, fondato da Albert Einstein insieme agli scienziati dell’università di Chicago che avevano contribuito allo sviluppo delle prime armi atomiche col Manhattan Project, dal 1947 sposta periodicamente le lancette del Doomsday Clock, una sorta di orologio metaforico in cui la mezzanotte corrisponde alla fine del mondo. Se tra il 1991 e il 1995 la distanza era di 17 minuti, nel 2023 è di appena 90 secondi. Non era mai stata così risicata. Tutto questo certamente deriva dalle scelte delle grandi potenze politiche ed economiche, ma la realtà è che anche ciascuno di noi può fare molto per costruire la pace. Con la consapevolezza, con il voto, con il denaro.

Non esistono mani sicure in cui tenere le armi nucleari

Le armi, per loro natura, sono strumenti di distruzione, di repressione, di violenza. E a farne le spese è in primo luogo la popolazione civile. Questo principio è ancora più vero quando si parla di armamenti nucleari. Nove stati, cioè Russia, Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Israele, Corea del Nord, posseggono un totale di quasi 13mila armi nucleari. Ciò significa che ciascuno di essi, se volesse, potrebbe mettere a rischio il mondo intero.

La Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), premio Nobel per la Pace nel 2017, ha una tesi molto chiara: non esistono mani sicure in cui tenere le armi nucleari. L’unica scelta sicura è quella di cancellarle per sempre. Per giunta, rappresentano anche un enorme sperpero di denaro. Questi nove Stati nel 2022 hanno speso un totale di 82,9 miliardi di dollari per mantenere i loro arsenali nucleari, più di 157mila dollari al minuto. Risorse che avrebbero potuto investire nelle misure di welfare per le fasce più svantaggiate della popolazione, nella tutela del territorio, nella lotta contro i cambiamenti climatici.

I flussi finanziari che sostengono l’industria delle armi nucleari

Il tema economico-finanziario è tutt’altro che marginale. La campagna internazionale Don’t bank on the bomb, attraverso il report “Risky Returns: Nuclear weapon producer and their financiers”, accende i riflettori su 24 aziende che, a vario titolo, sono “fortemente coinvolte” nella produzione di armi nucleari. Stiamo parlando infatti di nomi del calibro di Northrop Grumman, Aerojet Rocketdyne, Bae Systems, Boeing, Lockheed Martin e Raytheon Technologies (ma c’è anche l’italiana Leonardo). Sommando i loro contratti in essere, si arriva a un valore di 280 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi decenni.

Gli autori dello studio, che fanno capo alla stessa ICAN e all’organizzazione non governativa Pax, sono andati anche a rintracciare le banche e società finanziarie che investono in queste società o le finanziano. In tutto sono 306, per un sostegno finanziario complessivo stimato in oltre 746 miliardi di dollari tra il mese di gennaio del 2020 e il mese di luglio del 2022. Numeri che sono da considerarsi “lordi”, perché i proventi di questi prestiti, azioni e obbligazioni sono stati senza dubbio reinvestiti anche per altre attività. Ma questo può dare un’idea di quanto il disarmo sia ancora lontano.

Cos’è il Trattato per la proibizione delle armi nucleari

C’è proprio un decennio di incessante attivismo da parte di ICAN dietro alla stesura del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW), adottato da una conferenza delle Nazioni Unite il 7 luglio 2017. Un documento che, inserendosi nel solco del Trattato di non proliferazione nucleare (1968) e del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (1996), “vieta alle nazioni di sviluppare, testare, produrre, fabbricare, trasferire, possedere, immagazzinare, utilizzare o minacciare di utilizzare armi nucleari o di consentire lo stazionamento di armi nucleari sul loro territorio. Vieta inoltre di assistere, incoraggiare o indurre chiunque a intraprendere una di queste attività”.

Questo è il primo trattato internazionale legalmente vincolante che rende di fatto illegali le armi nucleari. E, anche per questa sua posizione così netta e pionieristica, ha incontrato di fronte a sé un cammino tutt’altro che semplice. Fin dal primo momento, infatti, gli Stati possessori di armi nucleari si sono rifiutati anche solo di prendere parte ai negoziati. Anche dopo il sì al testo finale, nel 2017, per l’entrata in vigore è stato necessario attendere fino al 22 gennaio 2021, cioè novanta giorni dopo la ratifica da parte di 50 Stati.

La posizione ambivalente dell’Italia e la campagna “Italia, ripensaci!”

Gli Stati che hanno aderito al Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW) si sono incontrati per la prima volta a Vienna dal 21 al 23 giugno 2022, nel pieno della tensione per la guerra in Ucraina. Il prossimo appuntamento è per il 27 novembre – 1° dicembre, stavolta al quartier generale dell’Onu a New York; la presidenza spetterà al Messico. Oltre ai firmatari, potranno partecipare – in qualità di osservatori – anche quei Paesi che non hanno ancora sottoscritto il trattato. Tra cui il nostro, che non ha mai né firmato né ratificato.

Questa è una delle richieste della campagna “Italia, ripensaci!”, coordinata da Senzatomica e Rete Italiana Pace e Disarmo. Due realtà che da anni cercano di fare rete, mobilitando anche l’opinione pubblica, per convincere l’Italia a prendere una posizione più netta sul grande tema del disarmo nucleare. E che ribadiscono la propria disponibilità a “sostenere il governo nel prendere una posizione di pace e speranza nel complesso contesto geopolitico in cui si presentano le armi nucleari. Sarebbe un onore poter fornire informazioni e considerazioni riguardo la seconda Conferenza degli Stati parti e la partecipazione come Stato osservatore”.

Quando la finanza prende posizione: il caso virtuoso di Etica Sgr

Le organizzazioni della società civile, infatti, hanno un ruolo fondamentale in questo percorso. E sono caldamente invitate a prendere parte alla conferenza di New York. Dall’Italia ci sarà anche una società di gestione del risparmio, l’unica (così come l’anno precedente a Vienna): si tratta di Etica Sgr, società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica. Oltre a collaborare da tempo con Ican e, dal 2021, anche con la campagna “Italia ripensaci!”, Etica Sgr vuole dimostrare – con i fatti – che è fondamentale che il mondo della finanza prenda posizione.

Fin dalla sua fondazione nel 2003, infatti, Etica esclude dai propri fondi comuni i produttori di armi convenzionali e di loro singole parti. Per le armi nucleari, le bombe a grappolo e altre armi controverse, il processo di screening è ancora più rigoroso perché esclude anche tutti i soggetti che, pur non fabbricando direttamente i sistemi d’arma o i loro componenti, sono coinvolti a vario titolo nella filiera (per esempio nella manutenzione, nello stoccaggio, nel trasporto, nella vendita).

Chi investe i propri risparmi in questi fondi, dunque, ha l’assoluta certezza del fatto che non finiranno per sostenere l’industria delle armi. Come ha dichiarato Luca Mattiazzi, DG di Etica,
«Disarmare è per Etica un tema importantissimo, direi identitario. Con il nostro approccio etico alla finanza contribuiamo a far vivere concretamente uno dei principi fondamentali della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (Art. 11)».

Foto di apertura: 123rf