Walter Tobagi: il tragico destino di un giornalista che amava la verità

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“… Si voleva colpire in lui un difensore, coraggioso, tenace, nobile, della democrazia, un militante del movimento socialista, democratico dei lavoratori italiani, un militante che, per di più, si occupava seriamente dei problemi in questione, senza illudersi di poterli sublimare con la retorica.”

A scrivere queste parole è il giornalista Leo Valiani nel suo articolo “Testimone scomodo. Walter Tobagi – Scritti scelti 1975-80”. E, proprio in queste parole, è forse possibile trovare una risposta all’omicidio di Tobagi assassinato dalle Brigate Rosse il 28 maggio del 1980.

Sono questi anni bui per l’Italia, i cosiddetti "anni di piombo". Gli attentati terroristici di varia natura e matrice si susseguono mettendo in ginocchio il nostro Paese ed è proprio di questo che si occupa Walter Tobagi, giornalista di area socialista del Corriere della Sera a cui approdò nel 1972 dopo le sue esperienze all’Avanti e all’Avvenire.

Quello del giornalista, per Tobagi, non era di certo solo un mestiere. La sua costante e perseverante ricerca della verità lo portò, proprio in quegli anni di tensione, a indagare sugli attentati terroristici di matrice brigatista. Tobagi lavorava con metodo e con rigore, era un professionista scrupoloso desideroso di fare luce in quella “nuvola nera” che ormai da anni avvolgeva l’Italia.

Senza remore e senza timori, si schierò contro il pensiero e le azioni delle Brigate Rosse denunciando quelli che potevano essere i pericoli del radicamento del fenomeno terroristico negli ambienti di lavoro (in particolare nelle fabbriche). Riflessioni e parole scomode che, forse inevitabilmente, segnarono il tragico destino del giornalista. Un destino di cui sembrava essere al corrente, sapeva infatti che prima o poi sarebbe caduto nel mirino dei terroristi (date le numerose e continue minacce) ma non poteva immaginare quando ciò sarebbe avvenuto.

I cinque, fatali, colpi di pistola lo raggiunsero nella mattina del 28 maggio 1980, in via Salaino a Milano, vicino la sua abitazione. A compiere materialmente l’omicidio fu un commando di sei brigatisti, quasi tutti provenienti da famiglie della Milano ‘bene’, appartenenti alla neonata Brigata XXVIII marzo che fu smantellata qualche mese dopo grazie alla collaborazione con gli inquirenti di uno degli assassini di Walter Tobagi: Marco Barbone.

Il maxi processo che ne conseguì, riguardò tutta la Brigata XXVIII marzo e portò all’arresto di un centinaio di persone. Marco Barbone così come gli altri componenti della brigata furono condannati anche se, molti di loro, scontarono meno anni del previsto, tra cui lo stesso Barbone che si avvalse della legge sui pentiti. Tale epilogo processuale sconvolse non poco l’opinione pubblica e ancora oggi non smette di sollevare dissensi e critiche anche perché i nomi dei mandanti del delitto sono tuttora avvolti nel mistero.

La figlia Benedetta mantiene vivo il ricordo di suo padre e continua a lottare affinché sia fatta maggiore luce su quanto accadde quando lei aveva appena tre anni. Dal suo libro scritto nel 2009 (“Come mi batte forte il tuo cuore”), leggiamo: “In una professione in cui tutti urlano, papà parlava piano”.