Cesare Pavese, scrittore tormentato del Novecento

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Lo scrittore piemontese antifascista è tra gli esponenti più importanti del Neorealismo italiano. Tutta la sua opera risente della travagliata biografia che l'ha portato al suicidio, per depressione, il 27 agosto del 1950.

Cesare Pavese è uno degli autori più importanti del Novecento italiano. Morto suicida, è stato uno scrittore, poeta, traduttore e critico letterario. Esponente del neorealismo italiano, Pavese ha lasciato dietro di sé alcuni lavori importantissimi, incentrati su una visione tragica della vita. 

Chi era Cesare Pavese

L'infanzia dello scrittore

Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe, in provincia di Cuneo. È il 9 settembre 1908. Il padre Eugenio è cancelliere presso il Palazzo di Giustizia di Torino. La madre Fiorentina proviene da una famiglia di ricchi commercianti. Pavese ha una sorella, la primogenita Maria, e altri due fratelli, morti prematuramente. 

Nonostante l'agiatezza economica, Pavese vive un'infanzia infelice. Viene affidato a una balia del vicino paese a causa della salute cagionevole della madre. 

L'adolescenza e la solitudine

Rimane orfano di padre nel 1914: Pavese ha solo 5 anni. La madre si trova a educare da sola i due figli. Il suo carattere autoritario spinse i ragazzi verso un'educazione rigorosa, che accentua la timidezza del già introverso Pavese.

A causa di rovesci economici, la madre decide di vendere la tenuta di Santo Stefano Belbo, luogo caro all'immaginazione dello scrittore. La famiglia compra una casa nella località di Reaglie, sulla collina di Torino, dove Pavese abiterà con la madre fino al 1930, anno della morte di lei.

Durante gli anni del ginnasio, frequentato a Torino, si appassiona alla letteratura, in particolare a Guido da Verona e Gabriele D'Annunzio. Gli insegnamenti di Augusto Monti, insegnante di italiano e latino, nonché antifascista, lo inserisce nella "banda" di ex allievi, capitanata da Leone Ginzburg. Trascorre gli anni di liceo tra i primi amori adolescenziali e le amicizie, come quella con Tullio Pinelli, a cui farà leggere per primo il dattiloscritto di Paesi tuoi e scriverà una lettera prima del suicidio.

Pavese si ammala di pleurite perché rimane sotto la pioggia per ore, in attesa di una ballerina di cui si era invaghito. Le sue pene d'amore saranno una costante di tutta la sua vita.

La vocazione al suicidio

Pavese è profondamente scosso dal suicidio di un compagno di classe, che in una poesia inviata a Sturani, sembra ispirarlo. Il tema tornerà spesso nella sua esistenza, attraverso le pagine del suo diario, oggi pubblicato con il titolo Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950. In queste pagine sono raccolti appunti frammentari, pensieri e sensazioni. Per molti critici è la sua autobiografia e inizia cinque anni dopo la morte di sua madre, negli anni in cui va a vivere con la sorella e il marito di lei. Attraverso una scrittura essenziale, nelle pagine de Il mestiere di vivere, Pavese oscilla tra la disperata ricerca dell'amore e la tentazione del suicidio come ultima forma di controllo per porre fine a una vita senza senso.

Tra le pagine si legge: «Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, amore, disillusione, destino, morte».

Gli studi universitari

Pavese si iscrive alla facoltà di lettere dell'Università di Torino e si appassiona alla lingua inglese, che continua a scrivere e studiare con impegno. Si appassiona allo slang e cerca di comprenderne i meccanismi attraverso un amico di penna italo-americano. Si appassiona alla lettura di Sherwood Anderson, Sinclair Lewis e Walt Whitman. Si laurea con una tesi proprio su Whitman e, fra incidenti diplomatici con i suoi professori, riesce a conseguire il punteggio di 108 su 110.

L'attivismo politico

La formazione antifascista di Pavese mal si accorda con il periodo politico in atto in Italia. Lavora al posto di Leone Ginzburg nella casa editrice di Giulio Einaudi. Dirige per un anno la Cultura e cura la sezione di etnologia. 

Ma nel 1933, per poter insegnare nelle scuole pubbliche si arrende, pur malvolentieri, alle insistenze della sorella e di suo marito: si iscrive al Partito nazionale fascista. Rinfaccerà questa decisione più tardi alla sorella Maria in una lettera del 29 luglio 1935, scritta dal carcere di Regina Coeli: «A seguire i vostri consigli, e l'avvenire e la carriera e la pace ecc., ho fatto una prima cosa contro la mia coscienza». La sorella gli chiede di far domanda di grazia, che viene accolta nel 1936.

Tornato a Torino, riprende a tradurre gli americani e dal primo maggio del 1936 inizia a collaborare, con un lavoro stabile e lo stipendio di mille lire al mese, per l'Einaudi.

Le opere più importanti

Oltre alla traduzione di grandi capolavori della letteratura americana in Italia – Uomini e topi di Steinbeck, La storia e le esperienze di David Copperfield di Dickens o Moby Dick di Melville – Pavese ha lasciato dietro di sé diverse opere personali, oggi considerate dei veri e propri capolavori.

La poesia di Pavese

Nel corso della sua vita Pavese scrive moltissimo. Tra i volumi dedicati alla poesia, ricordiamo Lavorare Stanca (1936) e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1951).

Lavorare stanca

Il libro si compone di sei sezioni: Antenati, Dopo, Città in campagna, Maternità, Legna verde e Paternità. In ogni parte di questa raccolta di liriche si toccano i temi della solitudine e dell'incomunicabilità, della malinconia legata all'assenza dell'amore, delle ideologie e dell'impegno politico, si rifarà alla madre e alla figura paterna, dove sterilità, diventa un sinonimo di solitudine.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

La raccolta, pubblicata postuma, comprende dieci poesie (otto in italiano e due in inglese), tutte scritte tra l'11 marzo e il 10 aprile del 1950 a Torino e tutte inedite, ritrovate fortuitamente tra le carte del poeta dopo la sua morte, in duplice copia, in ordine di pubblicazione.

Al centro di tutto c'è l'amore permeato da una forte nostalgia. Oggetto di tale struggimento è l'attrice statunitense Constance Dowling, l'ultimo suo amore non corrisposto, conosciuta alla fine del 1949, dalla quale era stato considerato con superficialità e che lo aveva lasciato in un completo sconforto.

La prosa

Il carcere

Scritto durante gli anni di confino, in Calabria, Pavese pubblica Il carcere solo nel 1949. Qui indaga il contrasto tra la solitudine del prigioniero e un mondo estraneo e indecifrabile.

Paesi tuoi

È la prima opera di Pavese a ottenere un grande successo, diventando un modello per la narrativa neorealista. Lo scrittore torna alla sua terra piemontese, indagata ne La Spiaggia, narrando la vita contadina attraverso le vicende degli ex galeotti Berto, meccanico torinese, e Trino, che possiede una casa in campagna dove i due vanno a vivere una volta usciti di galera. Berto si adatta alla vita di campagna, ma una tragedia arriverà a distruggere questo equilibrio.

La casa in collina

Il protagonista è Corrado, un professore di Torino, che si rifugia nella sua casa in collina durante gli anni duri della guerra. Cerca la solitudine, ma incontra Cate, una donna amata in passato. Segue le vicende sue e degli amici partigiani, fino al loro arresto da parte dei tedeschi. Tra le pagine si mette in luce la contraddizione dell'intellettuale davanti alle cose del mondo, il suo isolamento contrapposto alle responsabilità collettive.

La luna e i falò

Qui Pavese torna sulla guerra partigiana. La narrazione è in prima persona e trova il protagonista di ritorno da una vita in America dove ha fatto fortuna. È alla ricerca della sua infanzia. Cerca le tracce delle persone che ha conosciuto da bambino, ma viene a sapere dei nuovi falò, quelli di morte, e delle distruzioni e delle violenze che hanno interessato le colline durante la guerra partigiana. 

I racconti

Pavese si è anche cimentato nella stesura di racconti. La sua raccolta più importante resta Notte di Festa, poi confluita nel volume I Racconti.

Notte di festa

Notte di festa raccoglie i racconti scritti da Pavese tra il 1936 e il 1939, pubblicati postumi da Einaudi nel 1953. Ci sono dieci racconti, che anticipano le tematiche trattate dall'autore nei suoi romanzi: Terra d'esilio, Viaggio di nozze, L'intruso, Le tre ragazze, Notte di festa, Amici, Carogne, Suicidi, Villa in collina e Il campo di grano. Nelle edizioni seguenti si sono aggiunti altri tredici racconti: Iettatura, Misoginia, La draga (già Temporale d'estate), L'idolo, "Si parva licet", Fedeltà, I mendicanti, La zingara, La libertà, L'avventura, Il gruppo, Anni, Lavorare è un piacere.

 

Il Neorealismo letterario e il rapporto con la natura

Pavese è considerato uno dei massimi esponenti del neorealismo letterario italiano. Il romanzo, più della poesia, era il mezzo privilegiato per parlare alle masse. Attraverso le tecniche narrative del monologo interiore, flusso di coscienza, narrazione in prima persona, Pavese fu in grado di raccontare il rapporto con il suo tempo politico, morale, ma anche naturale. Ad esempio, nel romanzo La spiaggia ricorda i luoghi della sua infanzia, le Langhe.

Le donne di Pavese

L'amore è per Pavese un tormento che attraverserà tutti gli anni della sua breve vita. La prima donna che compare nella sua scrittura è Tina Pizzardo, la "donna dalla voce rauca", alla quale dedicherà i versi di Incontro nella raccolta Lavorare stanca.

Ha 30 anni, è laureata in matematica e fisica e milita nel partito comunista clandestino. Sono le lettere di lei che lo condurranno all'esilio nel borgo calabro di Brancaleone. La loro relazione finirà definitivamente nel ’38 dopo il matrimonio di Tina con il polacco Enrico Reiser.

Anche Fernanda Pivano viene annoverata tra gli amori di Pavese. Entrambi appassionati di letteratura americana, lo scrittore e traduttore le chiede due volte di sposarlo, ottenendo sempre un rifiuto. Le dedicherà tre poesie contenute in Lavorare Stanca: Mattino, Estate e Notturno. Fernanda Pivano si sposerà nel ’49 con l’amore della sua vita, l’architetto Ettore Sottsass.

Quella che lui considera la donna del destino è Bianca Garufi. Siciliana, sarà la mano con cui Pavese scriverà Fuoco Grande.

Nel capodanno del 1950 conosce a Roma, in casa di amici, le attrici americane Constance Dowling e sua sorella Doris. Doris è un’attrice già affermata perché ha recitato nel film Riso amaro, Costance, invece, ha sulle spalle alcuni insuccessi professionali e una lunga storia finita male con Elia Kazan. Pavese si innamora perdutamente. Lei ha una relazione con Andrea Checchi e progetta di tornare in America. Gli ispirerà alcune poesie che, alla sua morte, nel 1950, troveranno nella cartella posta sulla scrivania dell'ufficio, all'Einaudi. Di suo pugno sul frontespizio la scritta “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” e con questo titolo verranno pubblicate postume da Einaudi nel 1951.

L'addio: "non fate troppi pettegolezzi"

Nell'estate del 1950 la sua depressione è all'apice. Nemmeno il flirt con Romilda Bollati lo dissuade. Il 17 agosto scrive sul diario: «Questo il consuntivo dell'anno non finito, che non finirò» e il 18 agosto aggiunge: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più». Cesare Pavese si suicida il 27 agosto 1950, in una camera dell'albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino, che aveva occupato il giorno prima. Viene trovato disteso sul letto dopo aver ingerito più di dieci bustine di sonnifero. Sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, che si trovava sul tavolino aveva scritto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». È stato sepolto nel Cimitero monumentale di Torino sino al 2002. In quell'anno, su espressa volontà della famiglia, è stato traslato al cimitero di Santo Stefano Belbo.

Le frasi celebri

Pavese lascia dietro di sé molte pagine indimenticabili e numerose frasi diventate celebri.

  • Il comportamento perfetto nasce dalla completa indifferenza
  • Le cose si ottengono quando non si desiderano più
  • I veri acciacchi dell'età sono i rimorsi
  • L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante
  • Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente

Stefania Leo