Cinque documentari per saperne di più sulla crisi climatica

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Quanto tempo abbiamo per salvare il Pianeta? Parlare di crisi climatica è fondamentale per aprire gli occhi su una situazione piuttosto critica in cui tutti gli esseri viventi, umani compresi, hanno quotidianamente a che fare. Possiamo informaci in molti modi, documentari compresi: eccone allora cinque che ci aiutano a capire fino in fondo,cosa sta accadendo.

L'uomo è l'unica specie vivente ad avere modificato sempre di più il proprio habitat, senza pensare alle altre creature su cui pure ricadono gli effetti, come canta l'evoluto di Eddie Wedder: “Questa terra è mia, questa terra è libera/Farò quello che voglio ma irresponsabilmente”. Il tutto giustificando le proprie azioni con il progresso e l'evoluzione che, però, alla luce dei fatti paiono piuttosto una devoluzione. 

La crisi climatica ha assunto proporzioni apocalittiche, con fenomeni atmosferici che mettono a rischio l’abitabilità di vaste regioni del Pianeta: l’estate del 2023 verrà ricordata per i 40° di Roma, Parigi e Madrid, gli enormi incendi in Canada e Grecia e il rogo delle Hawaii, i tifoni in Lombardia, le inondazioni della Romagna e della Slovenia, le temperature record dell’Atlantico e la deglaciazione senza precedenti dell’Antartide con la morìa di pinguini imperiali; ovunque dalla Cina al Sudamerica si stanno verificando eventi catastrofici.

Il cambiamento climatico è la sfida che il pianeta e l'uomo deve affrontare il più immediatamente possibile per garantire la propria sopravvivenza.  Siamo dentro a un cambiamento che sta accelerando e l'emissione di gas serra aumenterà nei prossimi anni: bisogna quindi mitigare gli effetti della crisi climatica e al contempo adattarci ad essa. Non bisogna essere catastrofisti, ma realisti.
Il cambiamento climatico è un grande fenomeno evolutivo e interagisce negativamente con altri fattori riducendo la biodiversità, e secondo l'evoluzionista Telmo Pievani, producendo un'alterazione delle migrazioni, l'acidificazione degli oceani, lo sbiancamento e la graduale scomparsa delle barriere coralline. Telmo Pievani ha sostenuto le stesse tesi di Serge Latouche: “O costruiamo una civiltà che si basi su beni immateriali (conoscenze, creatività, socialità, cooperazione...) e viviamo con sobrietà, oppure il destino dell'umanità è segnato”. 

Documentari per capire meglio la crisi climatica

Il fatto è che la protezione del clima costa molto meno rispetto a un cambiamento climatico incontrollato. Se non mitighiamo la crisi climatica, dovremo far fronte a costi elevati nel medio e lungo periodo. Proponiamo allora cinque documentari che sensibilizzano al tema, così da prendere coscienza del problema e agire di conseguenza.

I documentari elencati ci stimolano a porci, per l'ennesima volta, il quesito più impellente: quanto tempo abbiamo per salvare il pianeta?

Our Planet

Our Planet è narrato da David Attenborough e, documentando gli effetti migratori sulle specie viventi generati dal cambiamento repentino delle stagioni, getta un'ombra sui possibili spostamenti di massa non soltanto nel regno animale, ma anche dell'uomo per resistere ai cambiamenti climatici tutt'altro che naturali.

Lo fa mostrandoci la bellezza del nostro pianeta: nel tipico stile del documentario naturale, mette in luce come i cambiamenti climatici stiano avendo ripercussioni su tutte le creature, costrette a migrare alla ricerca di cibo, non più soltanto per il naturale cambio delle stagioni.

Parte dal Botsawana, che ogni anno diventa inospitale per bufali e locuste, costretti a migrare in massa. Per spostarsi le locuste mutano persino forma, mettendo le ali per attraversare il mar Rosso. Per sottolinearne la moltitudine usa climax crescente dei termini: sciame-esercito-supersciame.

Nella remota isola di Laysan nelle Hawaii, invece, i pulli degli albatri muoiono mangiando la troppa plastica che affolla la sabbia, che madri scambiano per cibo, uccidendo i propri piccoli. Per lo scioglimento dei ghiacci, conseguente al riscaldamento globale (nel polo nord la temperatura ha raggiunto addirittura 38°), gli orsi polari devono vagabondare per migliaia di km in cerca di foche, in estate nuotano anche 8 ore al giorno e fiutano prede a distanza di 30 km. Il dramma è anche per i trichechi che riposano sui banchi di ghiaccio. Nei prossimi 10 anni il ghiaccio marino estivo potrebbe sciogliersi del tutto e i trichechi resterebbero, di fatto, senza una casa. E strazia la ripresa dall'alto di un triangolo di ghiaccio completamente circondato dall'acqua, dove stanno mamma tricheco e figlio.

Nel mare di Bering arrivano dopo un viaggio lungo un mese le megattere. Le Ardenne grisee volano per 65mila km – la migrazione più lunga del mondo animale – per trovare cibo. A Laysan giungono in un viaggio di 1000 km per il Pacifico anche gli squali tigre. 

Presto sarà l'uomo a dover cercare terre ospitali per sopravvivere a tutto quello che abbiamo sterminato. Sono sempre di più le famiglie e le comunità che soffrono per le conseguenze delle catastrofi naturali e dei cambiamenti climatici, che spingono ad abbandonare le proprie case per rifarsi una vita altrove.

Assistiamo a migrazioni di massa per via delle condizioni climatiche, stanno scoppiando contese per le risorse idriche che potrebbero sfociare in guerre, un'ideologia estremista potrebbe insinuarsi tra le persone che, prive di mezzi di sostentamento, sono troppo vulnerabili. Tanti film apocalittici hanno immaginato immigrazioni persino in altri pianeti, dall'antesignano Interceptor  - che poi ispirò una lunga serie della saga, nonché Ken il guerriero, passando per Moon fino a Interstellar.

Punto di non ritorno (Before the Flood)

Diretto da Fisher Stevens, Before the flood parte dalle suggestioni che Il giardino delle delizie di Bosch suscita in Leonardo Di Caprio bambino, cantastorie del documentario: dal giardino dell'Eden del primo pannello siamo precipitati già nell'Umanità alla vigilia del diluvio. Ma la prospettiva più agghiacciante è rappresentata dall'ultimo pannello che raffigura il pianeta ridotto in cenere dall'umanità.

Poi l'attore racconta di quando per la prima volta sente parlare di riscaldamento globale, che era il termine in cui si riassumevano, al sorgere del XX secolo, le preoccupazioni per il cambiamento climatico che il vicepresidente Al Gore indicava già come più urgente problema della nostra epoca. Spiegò all'attore 20enne che tutti i mezzi di trasporto, tutte le tecniche di produzione alimentare e, in generale, tutte le attività umana comportano il rilascio di diossido di carbonio, principale causa del cambiamento climatico.

Gli effetti saranno apocalittici quando le calotte polari si scioglieranno, il livello del mare si innalzerà e le calamità naturali saranno sempre più frequenti: inondazioni, siccità, incendi. Si estingueranno sempre più specie animali, ma anche città che potrebbero venire interamente sommerse per scomparire per sempre.

Viene messa in luce anche la questione dei Paesi del Terzo mondo, le cui preziose risorse vengono sfruttate dagli occidentali che alle loro preziose sorgenti lasciano soltanto livelli di inquinamento intollerabili e catastrofi naturali: la pioggia che scende in 6 mesi è piovuta in sole 5 ore sui raccolti che evidentemente non potranno essere più raccolti. Nell'oceano pacifico scompaiono le barriere coralline perché gli oceani non riescono più ad assorbire l'immensa quantità di diossido di carbonio che l'uomo immette nell'ambiente. A Sumatra la foresta pluviale è stata incendiata per piantumare palme da olio che danno l'olio vegetale più economico al mondo.


Leonardo DiCaprio parla poi con Elon Musk di energie alternative e passa l'idea che la rivoluzione energetica sia possibile a partire dal basso, mentre i governi debbano creare una coscienza pubblica sul tema fornendo con trasparenza le informazioni. Se rompessimo i perfetti meccanismi di azione-reazione della natura, il destino dell'umanità sarebbe segnato. 

Qui sotto puoi vedere direttamente il documentario, disponibile su Youtube

Kiss the ground

Kiss the ground analizza l’argomento del riscaldamento globale da un’angolazione diversa, dimostrando quanto il suolo terrestre e tutti i minuscoli organismi che lo popolano possano essere potenzialmente fondamentali per preservare il pianeta e contrastare gli effetti del riscaldamento globale. Punta anch'esso sulla narrazione del problema da parte delle celebrità di Hollywood molto attive nel campo ambientale e che stanno provando a fare realmente la differenza: è narrato dalla voce profonda di Woody Harrelson e presenta interessanti interviste a personaggi del calibro di Gisele Bundchen, Tom Brady e Patricia Arquette.


Il funzionamento del terreno dimostra che è vivo. La nostra salute è collegata a quella della Terra, per dirla alla Ludwig Feuerbach “Siamo quello che mangiamo”. L'uso di sostanze tossiche sui terreni agricoli uccide i microbi necessari per la nostra salute e per catturare il carbonio dall'atmosfera; più si dissoda, più il terreno si indebolisce, più gli agricoltori usano sostanze chimiche: è il circolo vizioso dell'agricoltura industriale

I pesticidi finiscono nel terreno, nell'acqua, nel cibo e da questo in noi. E ci ammaliamo di più perché come uccidono i microbi del terreno, uccidono quelli del nostro corpo. Siccome le sorti dell'acqua e del carbonio sono legate alla materia organica del suolo, quando danneggiamo il suolo, liberiamo carbonio nell'atmosfera.

Un suolo sano assorbe acqua e anidride carbonica, che invece vengono rilasciate da un suolo danneggiato, così il terreno si asciuga e si trasforma in polvere: è il processo della desertificazione, cioè della terra fertile che si trasforma in deserto. Troppo calore esce dal terreno nudo, si creano enormi vortici d'aria calda e, invece di attirare la pioggia, questo allontana le nuvole: abbiamo cambiato il microclima.

Circa due terzi del mondo si stanno desertificando e intanto 40 milioni di persone devono lasciare la loro terra. Si stima che un miliardo di persone diverranno “rifugiati climatici” per desertificazione entro il 2050.

Una terra povera genera persone povere, che generano crisi sociali; una terra povera causa inondazioni e siccità sempre più frequenti e immigrazioni di massa. Potremmo risolvere molti problemi climatici con un terreno coperto di vegetazione, avremmo cioè un pianeta sano che riassorbirebbe, com'è giusto, l'anidride carbonica.

La soluzione la dà la natura: piantumare per catturare il carbonio dall'atmosfera e depositarlo nel suolo conservandolo per secoli; farlo in modo ragionevolmente rigoroso per almeno 30 anni potrebbe riconvertire il riscaldamento globale: 30 Paesi del mondo hanno sottoscritto questo progetto presentato nel 2015 a Cop 21 con il nome di 4X1000 che incoraggia gli utilizzatori del territorio verso un’agricoltura produttiva e resistente, basata sulla gestione appropriata del suolo e del territorio, che crei reddito e opportunità di lavoro, assicurando pertanto uno sviluppo sostenibile dell’attività agricola, che significa non nebulizzare pesticidi e altri spray chimici sul terreno. I tre maggiori produttori di Co2 (India, USA e Cina) non si sono presentati.

Dovremmo anche passare alle energie rinnovabili secondo il piano di riduzione delle emissioni di Co2. Dall'inizio della rivoluzione industriale nel 1750, abbiamo immesso 1000 miliardi di tonnellate di Co2 nell'atmosfera. Insomma, le pratiche che curano il suolo, curano anche il cambiamento climatico. E si torna indietro al circolo virtuoso della rigenerazione: senza dissodare il terreno, le piogge cadute sul suolo nudo scivolano via, per poi evaporare velocemente, diversamente il terreno non arato conserva l'acqua più a lungo, favorendo la crescita dei microbi, delle piante e delle piogge locali.

Il terreno cattura maggiore carbonio e per ogni aumento percentuale di materia organica, un acro di terra assorbe 10 tonnellate in più di carbonio. Bisogna ripristinare il ciclo dell'acqua. Anche la biodiversità riveste un ruolo fondamentale nella rigenerazione, perché accelera i tempi biologici e il bestiame non deve aspettare la rinascita delle piante per pascolare e nutrirsi nei campi sempre vivi, che comporterebbe anche la fine degli allevamenti intensivi, fornaci di gas serra, che invece nei campi rigenerati vengono catturati dal terreno. Bisognerebbe solo programmare dove e quando lasciare il bestiame al pascolo. E così anche l'agricoltore-allevatore è sempre in movimento guadagnandoci in salute. Grazie a questo sistema agricolo prospera anche la fauna.

Il documentario suggerisce anche piccole soluzioni che ognuno di noi può intraprendere: ridurre gli sprechi alimentari e raccogliere i rifiuti in modo differenziato. San Francisco da quando conduce un'attenta raccolta differenziata è diventata la città più sostenibile degli Usa in pochi anni ed è cresciuta l'economia.

Anche la dieta potrebbe essere rigenerativa, ossia prevalentemente a base vegetale o con il consumo di carne, limitato, proveniente da allevamenti non intensivi. In tutto il globo le persone usano le pratiche di rigenerazione per guarire la terra e bilanciare il clima e fuoriuscire dalla povertà per lo sviluppo di una economia più solida. 

I Am Greta – Una forza della natura

Non c'è testimonial più riconoscibile dei rischi climatici di Greta Thunberg, la giovane attivista svedese, paladina dell’ambiente, che, con le sue manifestazioni e la nascita del movimento Fridays For Future, ha portato all’attenzione del grande pubblico a partire dai bambini, le tematiche ambientali domandando a tutti: cosa lasceremo alle generazioni future?

Nel documentario viene raccontato un anno della vita di Greta, dal suo primo sciopero solitario fuori dal parlamento di Stoccolma. Viene documentato il modo in cui, nell'arco di un anno, la mobilitazione giovanile sullo sviluppo sostenibile e il cambiamento climatico sia cresciuta fino a diventare un movimento storico.

Emergono anche aspetti privati della protagonista al momento del documentario diciassettenne (il suo primo sciopero scolastico risale a due anni prima), dai momenti di sconforto alle tensioni con i genitori per testimoniare la grande passione e la difficoltà dell'adolescente, allontanatasi totalmente dalla sua comfort zone con una forza enorme, ideali molto saldi e una conoscenza approfondita del problema climatico. 

Home

Home, diretto da Yann Arthus-Bertrand, inizia raccontando la genesi della nostra casa, la Terra, non in termini biblici, ma avvalendosi di immagini meravigliose che soltanto la bellezza del creato può fornirci. La vita è comparsa 4 miliardi di anni fa e noi esseri umani solo 200mila anni fa. Ci sono voluti più di 4 miliardi di anni per creare un albero, una specie vivente perfetta, in perfetto movimento di ascesa verso il cielo, verso cui ascende per nutrirsi di luce.

Quindi la nascita dell'uomo, i primi si vedono miniaturizzati dalle riprese dall'alto per farci capire quanto siamo piccoli rispetto al Pianeta, quindi racconta la storia dell'era dell'uomo dalla nascita dell'agricoltura all'urbanizzazione, fino alla chimica e alla petrolchimica per accrescere al massimo i raccolti.

Più un paese è sviluppato più è il consumo di carne aumenta, nascono gli allevamenti intensivi, paragonati a campi di concentramento, aumentano a dismisura i consumi di acqua e petrolio. La pesca è cresciuta più del quintuplo. Los Angeles, di notte, per il consumo di luce trasforma la città in un cielo stellato. Le case sono standardizzate: più il mondo si sviluppa, più divora energia.

L'immagine dall'alto a un certo punto zoomma su quella che sembra una tavolozza di colori già tirati e la cantastorie dice: “Ovunque ci sono macchinari che scavano, rivoltano, strappano alla terra pezzi di stelle sepolti nelle sue profondità sin dalla creazione: i minerali”. L'80% dei minerali è consumato dal 20% della popolazione mondiale. Prima della fine del secolo lo sfruttamento eccessivo avrà esaurito quasi tutte le riserve del pianeta. Così come le risorse ittiche.

I cerchi di pezzature agricole nei deserti ottenuti con l'irrigazione per mezzo di acqua fossile, accumulata nel sottosuolo quando la pioggia scendeva ancora sui deserti (25mila anni fa), una risorsa non rinnovabile e laddove è esaurita – come in Arabia Saudita – l'erba è dorata e l'astratto paesaggio dall'alto stavolta pare dipinto da Klimt. Il grande fiume Giordano è ora solo un ruscello perché le sue acque sono state assorbite dall'industria alimentare e non raggiunge più il Mar Morto il cui livello si abbassa di più, di 1 metro all'anno.

Tante città come Las Vegas o Palm Springs, sono città costruite nel deserto, come fossero miraggi resi consistenti, ma anche il Colorado che le attraversa, non raggiunge più il mare. La mancanza d'acqua potrebbe colpire 2 miliardi di persone prima del 2025 (tra 2 anni). Le paludi fungono da spugne per la purificazione dell'acqua, ma noi le abbiamo bonificate.

Poi documenta la grandiosa importanza degli alberi, ci forniscono le sostanze che ci guariscono. Ma la deforestazione trasforma gli alberi in carne, abbattuti per coltivare la soia che serve a foraggiare gli animali negli allevamenti intesivi La foresta primaria del Borneo è stata desertificata dalla coltivazione di palme da olio.

Ad Haiti tuttora il carbone vegetale è la principale fonte energetica: è rimasto solo il 2% delle foreste, ma senza alberi il terreno non viene trattenuto e le acque piovane lo trascinano giù sino al mare. Il Madagascar con l'erosione ha perso l'humus di migliaia di anni.

Dal 1950 la popolazione mondiale è quasi triplicata e abbiamo alterato radicalmente la Terra più che in tutti i 200mila anni della nostra storia. La ricchezza è nei paesi più poveri, ma gli abitanti della nazione non possono accedervi: il divario tra ricchi e poveri è aumentato come non mai da 50 anni: la metà dei poveri del pianeta vive in povertà nei Paesi più ricchi di risorse. Metà della ricchezza mondiale è nelle mani dei Paesi più agiati. Tale disparità è la causa degli spostamenti di intere popolazioni, provocati dal bisogno di sopravvivere e non di arricchirsi. La fame si sta diffondendo colpendo circa un miliardo di persone.

Le petroliere aumentano esponenzialmente di dimensioni perché dipende tutto dal carbonio, da cui tutto è iniziato, permettendo alla vita di nascere.

Senza accorgercene abbiamo sconvolto l'equilibrio climatico della Terra e la calotta glaciale artica sembra un cretto di Burri. L'umanità non era mai vissuta in un'atmosfera così ricca di carbonio come l'attuale. Nel 2050 un quarto delle specie della Terra potrebbe essere a rischio di estinzione. I ghiacci della Groenlandia potrebbero scomparire per l'effetto serra sebbene non abbia industrie che altrove emettono gas serra. Il ghiaccio si liquefa e si trasforma in corsi d'acqua che scorrono in profondità formando fiumi sotto il ghiaccio e iceberg.

 Il 70% della popolazione mondiale vive nelle pianure costiere, le città più grandi sorgono sulle coste o sui fiumi. Con l'innalzamento dei mari il sale invaderà le falde acquifere privandoci di acqua potabile e i fenomeni migratori saranno inevitabili. In Siberia fa così freddo che il terreno è perennemente ghiacciato – chiamato permafrost – sotto cui si nasconde una bomba climatica, il metano, uno dei gas serra climalteranti. Se il permafrost si sciogliesse, il metano provocherebbe un aumento dell'effetto serra dalle conseguenze imprevedibili. 

Il ricorso a immagini artistiche e a testi poetici ci rende consapevoli che l'uomo può anche fare bene e valorizzare il proprio ambiente. E, infatti, il documentario giustappone alla pars destruens quella costruens, chiudendo con esempi virtuosi di solidarietà tra popoli e di armonia tra uomo e natura, proposti come possibile soluzione.

Finché la Terra esisterà, l'energia solare sarà inesauribile non dobbiamo far altro che smettere di scavare e alzare gli occhi :al cielo, non dobbiamo far altro che imparare a coltivare il sole”. 

Laura Cusmà Piccione

Foto di apertura: archeoplastica