Dopo il classicismo

Jean de La Bruyère

Jean de La Bruyère (1645-1696), parigino di estrazione borghese, esercitò la professione di avvocato, quindi acquistò la carica di tesoriere generale a Caen. Visse però a Parigi, conducendo un'esistenza modesta finché Bossuet non gli fece ottenere l'incarico di precettore del duca di Borbone, nipote del Gran Condé (1684). Da allora rimase al seguito dei Condé, a Parigi e nel castello di Chantilly, dove poté osservare da vicino, ma col distacco derivante dalla sua posizione, i grandi del tempo. Nacque così la sua grande opera, Les caractères de Théophraste, traduits du grec, avec les caractères ou les moeurs de ce siècle (I caratteri di Teofrasto, tradotti dal greco, con i caratteri o costumi di questo secolo, 1688), che ottenne un enorme successo e di cui si stamparono, vivente l'autore, otto edizioni sempre più ampie.

I "Caratteri"

L'opera è divisa in sedici capitoli, che accolgono gli spunti più diversi: ritratti, massime, frammenti narrativi, divagazioni, brani polemici, giudizi critici. Per quanto influenzato dalla tradizione dei moralisti francesi (Montaigne, Pascal, La Rochefoucauld), l'autore se ne differenzia nettamente. Gli manca la profondità, la coerenza, il rigore di quei grandi; eccelle piuttosto nel disegnare immagini fugaci e brillanti, accumulando tocchi vividi e particolari pittoreschi. Forse i suoi ritratti restano in superficie, una superficie dipinta con straordinaria acutezza pittorica, con un'attenzione nuova alla mobilità delle sfumature, all'ironia, alla sorpresa. Nuovo è anche l'interesse per le condizioni sociali del popolo, dei contadini, dei poveri. Accolto all'Académie française nel 1693, si schierò a favore degli antichi nella "Querelle des anciens et des modernes". Eppure, nonostante il suo culto della clarté, appare già lontano dal grande classicismo: il suo stile lavoratissimo, che fa appello a tutti gli strumenti della grande retorica, è ancora classico ma già si apre all'incertezza, alla varietà e alla fantasia.