La satira: Giovenale

Giovenale

Decimo Giunio Giovenale (Aquino 55 ca - dopo 127 d.C.) fu il più significativo poeta dell'epoca di Traiano. Le scarse notizie sulla vita si ricavano dai rari cenni autobiografici contenuti nelle sue Satire e da quelli presenti negli epigrammi dell'amico Marziale. Non sono affidabili i dati provenienti da varie biografie, redatte almeno due secoli più tardi. Nacque da una famiglia forse non ricca, ma in grado di procurargli una buona educazione. Giunto a Roma in giovane età, sembra che abbia esercitato l'attività di avvocato fino almeno a quarant'anni, alternandola con quella di declamatore. Non dovette ottenere grande successo e rimase povero; si ridusse per questo a essere cliente, come Marziale, di qualche cittadino eminente. Incominciò a scrivere satire in età matura, forse intorno ai cinquant'anni. Le sue condizioni economiche forse migliorarono, se è vero che potè acquistare una casa a Roma e un podere a Tivoli. Poco attendibile è la tradizione antica secondo la quale concluse la sua vita in Egitto, dove sarebbe stato costretto a recarsi per aver offeso un favorito della corte di Adriano. Dalla sua opera si ricava l'indicazione secondo la quale era ancora attivo nel 127. 

Le Satire

La produzione poetica di Giovenale è composta da 16 Satire, per circa complessivi 3800 esametri, suddivise in 5 libri di diversa estensione, che comprendono rispettivamente le satire I-V, VI, VII-IX, X-XI, XIII-XVI; dell'ultima sono giunti solo i primi 60 versi. Non si conosce la data della loro pubblicazione che, visto il tono, ebbe inizio solo dopo la morte di Domiziano (96 d.C.); furono composte con tutta probabilità negli ultimi suoi trent'anni di vita. 

Tematiche e valore artistico

Gli argomenti delle Satire spaziano dalla condanna dei vizi ­ gola, frode, omosessualità, vanità delle aspirazioni umane, fanatismo e superstizione ­ al rimpianto per l'abbandono delle antiche virtù, all'invettiva contro le classi nuove e i nuovi gruppi emergenti (liberti, orientali), all'invasione dei costumi greci, al servilismo, alla miseria del popolo e alla penosa condizione dei letterati. Nonostante siano chiaramente evidenti l'esagerazione, la deformazione grottesca e l'influsso della tecnica declamatoria, caratteristica di Giovenale è la sincerità: la sua poesia nasce da un senso di rettitudine morale, dall'indignazione di fronte alle prepotenze e alle dissolutezze, di cui è ogni giorno testimone. Fatti e personaggi rispecchiano la realtà e la sua satira, oltre che genericamente umana, assume l'aspetto di un'invettiva contro le classi alte della capitale. La lunghissima sesta satira, con una serie di ritratti caricaturali, è una grottesca e lugubre galleria delle nefandezze di tutte le donne, un testo tra i più misogini espressi dalla letteratura antica. Giovenale è lontanissimo dall'ironia sorridente e benevola di Orazio, non possiede la serenità moralistica di Cicerone né l'austera finalità educativa di Persio; la sua poesia nasce da un temperamento aggressivo e pugnace e riflette piuttosto una visione amara e sarcastica della vita, con passi di insolita acredine.

Nello stile, pungente e vivace, incisivo ed efficace, prevalgono la ricerca del colore, il gusto arcaicizzante, i toni epici, drammatici e declamatori, che non escludono, talvolta, l'andamento del discorso familiare e popolare, il ricorso al termine inusitato o volgare.