Il teatro

La fabula

Nel periodo arcaico il termine latino fabula designava qualsiasi rappresentazione teatrale tragica o comica. Il genere ebbe un grande sviluppo: il teatro rappresentava un momento di intrattenimento collettivo a carattere popolare e, in quanto tale, a Roma era organizzato, a spese dello Stato, dagli edili e dal pretore urbano durante le cerimonie religiose. La popolarità che esso arrecava poteva infatti tradursi facilmente in un vantaggio per la carriera politica, così che talvolta erano gli stessi magistrati ad assumersi l'onere delle spese dei ludi scaenici, che si tenevano durante le feste religiose (feriae), nelle quali, oltre alle cerimonie sacrali, si disputavano gare sportive (ludi circenses) e si tenevano spettacoli di vario genere.

I ludi pubblici

La rappresentazione di tragedie e di commedie avveniva durante le feste religiose principali, che a Roma erano quattro: in aprile, in onore della dea Cibele, la Magna Mater, si tenevano i ludi Megalenses, istituiti nel 191 a.C.; in luglio i ludi Apollinares, fondati nel 212 in onore di Apollo; in settembre i ludi Romani in onore di Giove Ottimo Massimo, che erano i più antichi perché risalivano al 364; infine, in novembre, i ludi Plebeii, iniziati nel 220 in onore di Giove. A queste feste si devono aggiungere anche i ludi Floreales, iniziati nella seconda metà del sec. III, ma celebrati con regolarità dal 173 a. C., e altre feste di carattere straordinario, come quelle per il trionfo di un generale.

Lo spazio scenico, attori e autori

Prima del 55 a.C., anno in cui fu costruito il primo teatro permanente in pietra, quello di Pompeo, le rappresentazioni erano tenute su un palcoscenico in legno (pulpitum) provvisorio, montato in una via o in una piazza, soprattutto al Circo Massimo e al Circo Flaminio. La scena era rappresentata da pannelli mobili dipinti, provvisti di porta per consentire l'ingresso degli attori. Una serie di sedili mobili permetteva ai patrizi e, forse, anche ad altri spettatori di assistere alla rappresentazione seduti, mentre il resto del pubblico stava in piedi.

Le parti femminili erano recitate da attori maschi, riuniti in compagnie (greges) dirette da un capocomico (dominus gregis). Gli attori bravi diventavano famosi e guadagnavano bene, ma erano quasi tutti schiavi o liberti. Gli autori stessi non erano di elevata condizione sociale e nessuno di loro era nato a Roma. Quando nel 207 a.C. venne fondato il collegium scribarum histrionumque, cioè una specie di corporazione degli autori e degli attori, con sede sull'Aventino nel tempio di Minerva, nessun libero cittadino romano ne entrò a far parte. Tuttavia l'istituzione di questo collegium stava a indicare non solo l'importanza che il teatro aveva assunto nella città, ma anche l'esistenza di altri scrittori di cui non è rimasto il nome, oltre a Livio Andronico e a Gneo Nevio; uno di questi compose il Carmen Priami, un altro il Carmen Nelei.

Sulla scena gli attori indossavano maschere e parrucche in modo che gli spettatori potessero riconoscere immediatamente il tipo di personaggio: il vecchio, il giovane innamorato, il parassita, l'avaro, il soldato fanfarone, la matrona, lo schiavo, il padrone e altri ancora. Non si sa se le maschere fossero già in uso all'epoca di Andronico, ma lo era senz'altro nel sec. II a.C.

Tragedia e commedia

Le tragedie erano scritte in un linguaggio solenne, lontano da quello quotidiano, almeno da quanto si desume dai pochi frammenti pervenuti, nonostante il genere fosse molto rappresentato in tutta l'età repubblicana.

Le commedie usavano, invece, una lingua più familiare e prevedevano parti recitate e cantate con grande varietà di metri e un ricco accompagnamento musicale, eseguito da un flautista. I temi trattati erano quelli della famiglia, del denaro, della gelosia, dell'amore contrastato, dello scambio di personaggi dovuto alla somiglianza. Qualsiasi riferimento alla vita politica e sociale contemporanea era escluso, anche perché le autorità esercitavano sulla fabula una censura preventiva, controllando ciò che si metteva in scena. Non vigeva certo la libertà di espressione di cui godevano gli autori greci.