Martin Opitz

L'arte poetica

Tuttavia l'opera per cui Opitz ha acquisito importanza storica, come riformatore della letteratura tedesca, è il Libro dell'arte poetica tedesca (Buch von der deutschen Poeterey, 1624). In esso adeguò l'arretrata metrica tedesca a quella accentuativa moderna diffondendo in Germania il verso alessandrino francese, che, rigorosamente di dodici o tredici sillabe, basò sull'alternanza di sillaba tonica e atona e sulla cesura dopo la sesta: “Ich weiß nicht, was ich will, | ich will nicht, was ich weiß” (non so quel che voglio | non voglio quel che so). Peraltro quest'opera non costituisce semplicemente un manuale di metrica e prosodia, bensì in misura assai maggiore rappresenta una difesa e un'esposizione dell'arte poetica, basate invero su una teoria ambiziosa. All'origine la poesia sarebbe stata una “teologia nascosta”, l'espressione della verità fondamentale inerente l'esistenza di un unico Dio, verità che tutti gli uomini hanno sperimentato senza poter sempre dare forma alle loro sensazioni. La poetica che egli sviluppa riposa conseguentemente su una teoria implicita e assai complessa del linguaggio, strumento donato all'uomo per tentare di manifestare, attraverso il gioco delle metafore e dei simboli, questa verità inaccessibile e inesprimibile. I poeti sono dunque stati all'origine gli educatori del genere umano, coloro che possiedono il dono, e hanno ricevuto la missione, di rivelare ciò che i loro simili non possono che presentire.