Martin Opitz

"Questa bella lingua, fine e vigorosa"

Celebrato ai suoi tempi quale maestro della poesia e dei poeti di lingua tedesca, fu ritenuto nel Settecento soltanto un pedante, preoccupato esclusivamente di disciplinare il genio poetico in un insieme ben serrato di regole, mentre l'epoca contemporanea sta tentando di riabilitarne la fama, di delimitare esattamente il significato della sua opera e la portata della sua fortuna. Già nel 1617, appena ventenne, redasse un breve trattato in latino, l'Aristarcus sive de contemptu linguae teutonicae, nel quale rivendicava per il tedesco lo statuto di una lingua originariamente matrice di cultura ed esortava i poeti a preferire il loro idioma materno al latino. Proseguiva in tal senso l'ambizione luterana a riabilitare la lingua germanica. Inoltre, nelle opere successive, egli divise e definì i generi letterari e formulò, sulla scorta di Aristotele, Orazio e G.C. Scaligero, quei precetti di ordine e chiarezza di lingua che divennero costante punto di riferimento del primo barocco tedesco. Scrisse anche poesie in latino e in tedesco (Poesie tedesche, Teutsche poemate, 1624) e tradusse e divulgò non solo autori classici (Sofocle, Seneca) ma anche opere francesi, italiane, inglesi e olandesi.