I disturbi del comportamento

La sofferenza mentale e i disturbi del comportamento sono comunemente suddivisi i due grandi gruppi a seconda che il soggetto conservi o perda il senso della realtà: nel primo caso abbiamo la famiglia delle nevrosi, nel secondo il gruppo delle psicosi.

Nevrosi

In psicopatologia, con il termine nevrosi ci si riferisce a una famiglia di disturbi mentali di origine psichica in cui il soggetto, diversamente dalla psicosi, conserva il senso della realtà.

Il significato di nevrosi è assai variato nel corso del tempo e in funzione delle diverse correnti di psichiatria e psicopatologia. Il termine venne introdotto dallo scozzese Cullen nel 1777, per indicare sia le malattie mentali, sia quelle attribuibili al sistema nervoso. La scuola di J.M Charcot (seconda metà dell'Ottocento) distingueva le malattie nervose organiche da quelle funzionali, dovute cioè a difetti del funzionamento del sistema nervoso senza compromissione anatomica: sono le nevrosi nel senso odierno.

La psicopatologia contemporanea è concorde sulla definizione negativa delle nevrosi, come un insieme di disturbi del comportamento di cui non si trova patogenesi organica. Freud insistendo sull'origine puramente psichica dell'isteria, che riteneva causata da rappresentazioni mentali che il soggetto non riusciva ad accettare, fondò la psicoanalisi su una concezione psicogena della nevrosi.

La nevrosi nelle classificazioni psicopatologiche è abitualmente distinta sia dalla psicosi, in cui il soggetto, sopraffatto dalle dinamiche inconsce, dà luogo a deliri e allucinazioni; sia dalla perversione e dalla psicopatia, in cui non vi è rimozione della pulsione; sia dal disturbo psicosomatico, che presenta lesioni organiche obiettive. La psicoanalisi nello sterminato repertorio dei sintomi nevrotici individua alcuni quadri di nevrosi, basati non tanto sulla classificazione dei sintomi quanto sulle dinamiche psichiche atte a spiegare detti quadri. La nevrosi appare così l'esito di un conflitto psichico, radicato nella storia infantile del soggetto, e il sintomo nevrotico è il compromesso tra un desiderio inaccettabile e la difesa da esso. Il sintomo ha dunque un carattere simbolico: rinvia alla rappresentazione di un desiderio come al suo significato. Comportamentismo e riflessologia spiegano la nevrosi come la risposta inadeguata allo stress, ovvero come errore di apprendimento a seguito di apprendimenti sfavorevoli.

Si distingue tra isteria e nevrosi ossessiva. L'isteria è caratterizzata dalla conversione del conflitto psichico in sintomi somatici (paralisi funzionali, anestesie, afasie, cecità e tanti altri), senza compromissione anatomica. La nevrosi ossessiva presenta sintomi meramente psichici, quali coazioni a ripetere azioni insensate, pensieri ossessivi (blasfemi, di colpa, o altro), a cui il soggetto non può sottrarsi. La nevrosi fobica, cioè la paura immotivata di oggetti, animali, luoghi, è da taluni accostata alla nevrosi ossessiva (nevrosi fobico-ossessiva), da altri, come Freud, all'isteria (isteria d'angoscia). Freud accomunò le nevrosi appena elencate con il nome di nevrosi di transfert: in tutte permane la relazione con oggetti (reali o di fantasia), relazione che inoltre il soggetto può indirizzare ad altre persone, come accade nel transfert verso il terapeuta. Contrappose le nevrosi di transfert alle nevrosi narcisistiche o psicosi (per le quali il soggetto, chiuso nel suo mondo perde la capacità di relazionarsi con gli oggetti esterni) e alle nevrosi attuali . Quest'ultima famiglia di nevrosi, la cui consistenza è oggi discussa, non ha origine da un conflitto infantile, ma attuale (per esempio, la nevrosi d'angoscia deriverebbe da un mancato deflusso delle eccitazioni sessuali). Condivisa invece anche al di fuori della psicoanalisi è la nozione di nevrosi traumatica, che scoppia a seguito di eventi sconvolgenti. Ma il fatto che non tutti gli individui reagiscano con la nevrosi a un trauma o a forti emozioni, fa pensare che siano comunque decisive le componenti nevrotiche pregresse.

Psicosi

Il termine psicosi fa invece riferimento a disturbi psichici gravi di origine organica. Proprio la diversa origine differenzia le psicosi dalle nevrosi: le nevrosi non hanno cause organiche (somatiche) ma solo cause psichiche; mentre le psicosi hanno nella loro insorgenza fondazioni organiche che, per alcune, sono conosciute e dimostrabili e, per altre, sono soltanto ipotizzabili. Le nevrosi si possono definire anche come esperienze psicopatologiche contrassegnate da deviazioni quantitative dalla norma (intesa in senso statistico), e le psicosi quali esperienze psicopatologiche caratterizzate da deviazioni qualitative dalla norma .

Nel contesto delle psicosi si devono preliminarmente distinguere quelle correlabili a cause organiche dimostrabili. Sono, queste, le psicosi chiamate da E. Kraepelin psicosi organiche: le più comuni sono conseguenti a lesioni traumatiche dell'encefalo, a sue lesioni degenerative o vascolari, a sue forme infettive e, in particolare, all'infezione luetica che conduceva, quando non era ancora adeguatamente curata, all'insorgenza della cosiddetta paralisi progressiva, malattia oggi praticamente scomparsa, ma della quale morì, per esempio, Nietzsche. Le psicosi organiche, indipendentemente dalle loro cause, presentano una sintomatologia psichica comune che si differenzia per ciascuna solamente sulla base dell'evoluzione. Le psicosi organiche acute sono caratterizzate essenzialmente da disturbi della coscienza, e cioè dalla compromissione più o meno profonda ed estesa, fino alla perdita totale, delle capacità di orientarsi nello spazio e nel tempo. Le psicosi organiche acute sono patologie che hanno un duplice possibile andamento: possono risolversi anche completamente, o possono sconfinare nelle psicosi organiche croniche . Queste ultime non presentano disturbi della coscienza ma si hanno disturbi dell'intelligenza e della personalità, ad andamento strisciante e progredente, fino alla loro profonda destrutturazione nelle forme cosiddette demenziali.

Antitetiche e contrapposte alle psicosi organiche sono quelle convenzionalmente chiamate endogene .

 

Origini e cause sono ancora oggi oscure e indimostrate, anche se l'indirizzo scientifico prevalente è quello inteso a considerarle di natura organica, benché non si possa escludere l'influenza di fattori integrativi di natura ambientale e interpersonale. Delle psicosi endogene fanno parte sostanzialmente due sole grandi forme cliniche che sono state genialmente individuate e descritte da Kraepelin : la psicosi maniaco-depressiva e la dementia praecox (schizofrenia). In realtà il termine di psicosi maniaco-depressiva, che vuole indicare la presenza e la successione in una stessa persona di episodi maniacali e di episodi depressivi, viene oggi sostituito da una duplice denominazione: quella di depressione bipolare e quella di depressione monopolare. La prima intende caratterizzare le forme cliniche in cui, come nella definizione originaria di Kraepelin, episodi maniacali ed episodi depressivi si alternano nel corso della vita di una persona, ad intervalli diversi di caso in caso; la seconda intende invece indicare le forme cliniche, molto più frequenti, in cui si alternano nel corso della vita solo episodi di natura depressiva. Se il termine di psicosi maniaco-depressiva continua a sopravvivere in alcuni circoli psichiatrici di forte ascendenza kraepeliana, non si parla più di dementia praecox, ma la stessa sintomatologia e la stessa formula clinica vengono definite come schizofrenia. Fu Bleuler a introdurre in psichiatria il termine di schizofrenia, infinitamente più adatto a cogliere gli aspetti costitutivi della malattia (con schizofrenia, dal greco schízein , “scindere, dividere” prhén, “mente” si esprime etimologicamente il concetto di scissione, di dissociazione, di lacerazione della vita psichica), malattia nella quale la demenza è solo apparente.

Delle due psicosi endogene , le depressioni bipolari e le depressioni monopolari sono contrassegnate dalla presenza di un sintomo fondamentale, costituito dal disturbo della vita affettiva, della vita emozionale, al quale sono aggregati altri sintomi più o meno importanti e significativi clinicamente. Il disturbo dell'affettività è contrassegnato nel corso degli episodi maniacali, che si osservano solo nelle depressioni bipolari, da una condizione di gaiezza (euforia) patologica che mantiene solo alcune analogie tematiche con la normale allegria. L'euforia patologica nella fase maniacale non è infatti motivata, cioè non è determinata da eventi significativi che abbiano a giustificarla, ma è del tutto immotivata. Essa inoltre si accompagna ad una concitazione psicomotoria talora molto accentuata, che entra in conflitto flagrante con le norme e le consuetudini sociali ed istituzionali. Il disturbo dell'affettività che si constata nella depressione psicotica (nella depressione che si alterna alla eccitazione maniacale e in quella che si ripete da sola nel corso di una vita) è contrassegnato dalla presenza di uno stato d'animo (immotivato) di tristezza e di malinconia più o meno intenso e più o meno doloroso. A questa tristezza patologica, a questa depressione clinica, si accompagna una condizione di apatia e disgusto della vita che, in alcune forme cliniche, sconfinano nel rifiuto di vivere e nella ricerca disperata della morte volontaria, del suicidio. Nel corso di una depressione di questa natura non si riesce più ad entrare in contatto con il mondo degli altri e ci si rinchiude sempre più profondamente nei confini della propria interiorità, del proprio io. Se curati bene, sia gli episodi maniacali sia quelli depressivi regrediscono e si risolvono .

La sintomatologia e l'evoluzione della schizofrenia sono invece molto più oscure ed enigmatiche. Insorge abitualmente in età giovanile e la sua evoluzione nel tempo può avvenire in forma acuta o in forma cronica, ciascuna di queste forme ha una diversa sensibilità all'azione terapeutica dei farmaci. La sintomatologia della schizofrenia è multiforme e camaleontica, benché la sua struttura portante si riconosca in una scissione e in una dislocazione della personalità e delle diverse funzioni che compongono la vita psichica nel suo insieme.

Sono comunque sintomi ricorrenti di questa psicosi: un ripiegamento sul mondo interiore e un rifiuto di contatti esterni ( autismo ), repentini passaggi dall'attaccamento al disprezzo per il medesimo oggetto ( ambivalenza), comportamenti bizzarri. Nel linguaggio si osserva una seria destrutturazione della sintassi, mentre singole parole – talora costruite artificiosamente e ripetute ossessivamente – concentrano in sé un gran numero di significati; le parole inoltre sono prese per cose, ignorando i sensi metaforici (“perdere la testa” per qualcosa equivale, per esempio, a essere senza testa, decapitato). Il corpo infine è spesso sentito come cosa estranea : il soggetto può infliggersi terribili trattamenti, senza provare dolore.

Accanto al fattore ereditario e a quello costituzionale , sui quali specie in passato si insisteva, sono state studiate in tempi recenti le concomitanti biochimiche nel cervello di schizofrenici (iperattività dei neuroni sensibili alla dopamina): esse però non tolgono il concorso di importanti fattori ambientali e psichici. Questi ultimi nell'ottica psicodinamica, risalgono alla prima infanzia: a modalità assai disturbate nel rapporto con la madre, specie nel passaggio dalla fase simbiotica, alla separazione e alla relazione con gli oggetti. La Klein sottolineò la presenza di assetti schizoidi già nel primo anno di vita, caratterizzati dalla scissione dell'Io e dell'oggetto con cui il bambino si rapporta e dall'affiorare di angoscia persecutoria. Infine la scuola sistemica , o di Palo Alto, ha insistito sul ruolo schizofrenogeno esercitato da famiglie in cui le modalità di comunicazione tra i membri sono perverse, paradossali, caratterizzate dal doppio legame. Secondo G. Bateson e la scuola di Palo Alto, questa è una modalità comunicativa in cui l'emittente invia al destinatario segnali contraddittori o contrastanti con altri messaggi non verbali, ponendolo in una situazione paradossale. Il carattere patogeno deriva, oltre che dalla contraddittorietà dei messaggi, dalla natura intensa del legame tra i partner e dall'impossibilità del destinatario di parlare della comunicazione al fine di risolvere l'incongruenza. Il conflitto si riversa sul paziente designato, cioè l'anello debole della catena familiare.