La memoria

Generalmente parlando con il termine “sistema di memoria” si può intendere qualsiasi tipo di sistema o struttura in grado di garantire la conservazione e il recupero di informazioni nel tempo. Un'agenda, un computer, una lavagna su cui appuntare dei memoranda possono essere considerati – ciascuno a suo modo – dei sistemi di memoria. Anche dal punto di vista della psicologia, la memoria è ciò che ci consente, attraverso una serie di processi, di trattenere un'informazione nel tempo.

Memorizzare un'informazione è un'operazione complessa che può essere scomposta in diversi fattori. Il primo fattore fondamentale della memoria è la codifica o registrazione di un evento sotto forma di schema, immagine o concetto: esso riguarda quindi la modalità con cui un'informazione è immagazzinata o rappresentata in un sistema di memoria. Il secondo fattore è la ritenzione, che si riferisce al trattenimento o immagazzinamento dell'informazione nel tempo. Il terzo fattore, infine, è il recupero, o rievocazione, che corrisponde alla capacità di riconoscere e ricordare un'informazione in un secondo tempo.

In fase di codifica l'informazione potrà essere riorganizzata, ricostruita, reintegrata sulla base di conoscenze pregresse del sistema (o di ipotesi dello stesso in caso di informazioni mancanti), per favorire la ritenzione e il successivo recupero.

Quando un qualsiasi fattore (tecnico/meccanico ad esempio sistemi di memoria fisici, disturbi attentivi, cause organiche o altro nel caso della memoria umana) influisce con le fasi di codifica o di ritenzione o recupero può verificarsi una perdita di informazione, la cui entità potrà variare nel tempo – essendo la perdita temporanea o permanente – e nell'estensione, a seconda cioè della quantità di dati coinvolti.

La misurazione della memoria

Nella seconda metà del secolo XIX lo psicologo tedesco H. Ebbinghaus diede inizio a una serie di studi sulla misurazione della memoria umana. Egli si proponeva lo scopo di studiare la memoria pura, cioè come funzione a sé stante, priva di qualsiasi interferenza culturale o soggettiva. Lo studioso progettò i suoi esperimenti in maniera che in nessun modo il ricordo potesse basarsi sul significato delle parole impiegate, ed utilizzò quindi delle sillabe senza senso (chiamate logotomi), composte da diverse combinazioni di consonate-vocale-consonate, che andavano memorizzate dai soggetti (ma per lo più Ebbinghaus utilizzava sé stesso come soggetto delle proprie ricerche) nel minor tempo possibile.

In base ai suoi esperimenti Ebbinghaus elaborò tre teorie. Nella teoria del riapprendimento notò che una determinata lista di sillabe, precedentemente appresa e poi dimenticata, può esser riappresa in un tempo minore a quello necessario per memorizzarla la prima volta; questa riduzione del tempo di apprendimento, o risparmio, sta a significare che qualcosa nella mente dei soggetti rimane. Secondo la teoria del sovrapprendimento, dopo aver verificato che vi è un risparmio di tempo nel riapprendere una lista di sillabe già memorizzata, si può anche constatare che oltre a un certo limite non è più possibile ridurre il tempo e il numero delle ripetizioni, poiché si arriva a una soglia di saturazione oltre la quale non è possibile andare. In base alla teoria dell'effetto di posizione seriale, memorizzando le parole serialmente (una dopo l'altra), vi è una maggiore possibilità di ricordare soprattutto le parole che sono all'inizio (effetto primacy) e quelle che sono alla fine della lista (effetto recency).

Nella prima metà del Novecento F. Bartlett criticò gli esperimenti di Ebbinghaus in quanto riteneva che per studiare la memoria umana fosse più utile e proficuo adoperare termini significativi piuttosto che sillabe senza senso. Questo sulla base della constatazione che in genere la memoria umana è sempre e comunque utilizzata in un contesto dotato di significato, e non su materiale del tutto decontestualizzato (quali erano i logotomi di Ebbinghaus), e non è dunque utile studiarla in condizioni tanto diverse da quelle delle sue effettive applicazioni. Bartlett condusse dunque i suoi esperimenti facendo memorizzare ai soggetti brani dotati di senso e (specialmente lavorando su storie che apparivano strane e bizzarre alle persone coinvolte, magari perché lontane dal loro universo di riferimento culturale era lontano o diverso da quello presentato nel brano da memorizzare) notò come le persone tendevano a riorganizzare gli elementi presentati loro in modo da renderli più famigliari. Questo portò a postulare l'esistenza di schemi mentali volti a organizzare in maniera efficace ricordi e conoscenze e volti a facilitare e guidare la rievocazione del materiale memorizzato.

In genere gli esperimenti riguardanti la memoria umana sono stati condotti sulle rievocazioni, sul riconoscimento e sul riapprendimento.

La rievocazione, cioè la richiesta a un soggetto da parte dello sperimentatore di ripetere il materiale (generalmente una lista di parole) memorizzato, può essere libera (“Ripeti le parole così come ti vengono in mente”), seriale (“Ripeti le parole nell'ordine esatto in cui ti sono state presentate”) o guidata (lo sperimentatore fornisce al soggetto indizi utili per aiutarlo nella rievocazione “tra le parole che hai memorizzato erano presenti nomi di frutti?”). Naturalmente la rievocazione seriale, che è quella che pone maggiori vincoli al soggetto, è anche la più difficoltosa.

A sua volta la rievocazione in sé presenta maggiori difficoltà del riconoscimento, della richiesta, cioè, di riconoscere all'interno di una lista di stimoli quelli che appartenevano a una lista precedente, quella che il soggetto era stato istruito a memorizzare. Questa è probabilmente una delle ragioni per cui tanti studenti ritengono le prove a domande aperte più complesse di quelle con domande a scelta multipla: nel primo caso viene richiesta una rievocazione libera, nel secondo caso un riconoscimento.

Il riapprendimento riguarda quanto già citato parlando degli studi di Ebbinghaus: riapprendere del materiale precedente memorizzato (e che sembra essere stato dimenticato) porta sempre e comunque a un risparmio nel tempo di apprendimento complessivo.

La teoria multiprocesso

Tra i vari studiosi che si sono occupati di ipotizzare una possibile struttura del sistema memoria dell'uomo, spiccano Atkinson e Schiffrin, secondo i quali la memoria umana non è un sistema unico, ma è caratterizzata da molteplici processi, ognuno con le proprie caratteristiche. Essi distinguono dunque tre tipi di memoria: la memoria sensoriale (o registro sensoriale), la memoria a breve termine e la memoria a lungo termine.

Il registro sensoriale è quello che ci permette di mantenere un'informazione “sensoriale” (visiva, uditiva, olfattiva, tattile) per un breve periodo (uno o due secondi). Il registro sensoriale è suddiviso al suo interno in una parte di memoria iconica, che si riferisce alla capacità di ritenere per periodi molto brevi informazioni codificate in maniera visiva, e una di memoria ecoica, che si riferisce a stimolazioni uditive. Entrambi questi sottosistemi hanno un'elevata capacità (con un “colpo d'occhio” ad esempio, possiamo cogliere molti particolari) ma anche un rapidissimo decadimento.

La memoria a breve termine (MBT), invece, permette di trattenere l'informazione per un periodo breve (30 secondi circa) ma prolungabile grazie a un processo di reiterazione, o reharsal (ripetizione silente di ciò che interessa mantenere). La reiterazione è anche la condizione fondamentale che permette il trasferimento dell'informazione dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine. Un buon esempio del funzionamento della MBT può essere dato dalla memorizzazione dei numeri telefonici: se ci limitiamo a leggere il numero sull'agenda e comporlo sulla tastiera del telefono esso resterà nella nostra memoria solamente per pochi secondi. Se invece, dopo averlo letto, ci troviamo nella necessità di conservarlo in memoria per un maggior lasso di tempo (ad esempio perché il telefono su cui comporlo si trova in un'altra stanza) una maniera efficace per impedire lo svanire dell'informazione è proprio quella di ripetere silenziosamente le cifre che compongono il numero. Secondo G. Miller (Il magico numero sette più o meno due, 1956) la MBT è limitata in quanto può trattenere al suo interno solo sette cifre o meglio unità (dove ogni unità va intesa come insieme complesso: 1-2-3-4-5-6-7 sono sette unità, ma anche 12-34-56-78-90-11-12 sono sette unità: il numero dei numeri è raddoppiato ma il numero di “raggruppamenti” è rimasto costante).

La memoria a lungo termine (MLT) è invece quella parte del sistema che ci permette di immagazzinare più informazioni e di trattenerle più a lungo, in alcuni casi per sempre. La MLT a differenza delle altre parti del sistema che abbiamo appena descritto più che alla forma con cui l'informazione in ingresso è stata codificata, presta attenzione al significato dell'informazione stessa. Sulla base di questo principio le informazioni contenute in questa parte del sistema memoria possono essere divise in conoscenze proposizionali (o dichiarative) e procedurali. La conoscenza proposizionale riguarda la conoscenza fattuale e tutti i suoi contenuti sono sotto forma di proposizioni (da cui proposizionale) che stabiliscono relazioni tra più concetti utilizzando criteri logici di verità. Essa è a sua volta suddivisibile in episodica (riguarda episodi, eventi della vita personale, ed è strettamente collegata al contesto di codifica delle informazioni) e semantica (ha un'impronta più “culturale” in quanto riguarda il patrimonio di conoscenze, indipendentemente dal contesto in cui si sono apprese o sono state applicate). La conoscenza procedurale, si riferisce al modo in cui apprendiamo abilità percettive e motorie. Questo tipo di conoscenza può essere ben rappresentata con la forma di script, cioè sotto forma di schemi mentali a carattere generale che descrivono suddividendole in “fasi” le componenti principali di azioni o insiemi di azioni (ad esempio “mangiare al ristorante” è un buon esempio di script, in quanto tutti si aspettano una serie precisa di componenti: entrare nel locale, sedersi a un tavolo, ordinare, mangiare, pagare il conto...).

La profondità di elaborazione

Craick e Lockard hanno proposto un'alternativa a questa teoria dei processi multipli, sostenendo che la durata del tempo per cui un'informazione, è ricordata non dipende tanto dal processo di reiterazione, che permette il passaggio dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, quanto dalla profondità di elaborazione dell'informazione stessa. Essi sostengono cioè che la qualità e il livello di profondità dell'elaborazione cui viene sottoposta un'informazione in entrata nel “sistema memoria” determinerà il suo essere ricordata o meno.

L'oblio

Introducendo il concetto di sistema di memoria abbiamo accennato al fatto che tali sistemi possono essere oggetto di una perdita delle informazioni in essi contenuti, per cause diverse.

Nella memoria umana questa perdita dell'informazione può avvenire in uno qualsiasi dei diversi processi di memorizzazione: codifica, ritenzione e recupero, e diversi sono i fattori che possono causare l'oblio, primo fra questi il trascorrere del tempo. Secondo Ebbinghaus la ritenzione cala molto rapidamente all'inizio per poi stabilizzarsi nelle ore successive in maniera costante. Molto importante è anche il ruolo dell'attenzione: se infatti non prestiamo sufficiente attenzione nel momento di codifica dell'informazione, sarà più difficile in seguito recuperarla. Anche i fattori emotivi possono interferire con la memoria; è stato provato, per esempio, come l'ansia determini una stimolazione distraente che indebolisce la capacità di ricordare. Sono significative inoltre le interferenze di altri ricordi. L'interferenza può essere proattiva, se ciò che dobbiamo memorizzare viene ostacolato da ricordi o eventi simili precedenti; retroattiva, se l'informazione nuova ostacola la ritenzione di ciò che era già stato memorizzato. L'oblio può avere anche cause organiche come traumi cranici o danni cerebrali; la malattia più nota che riduce la capacità di memoria, soprattutto nelle persone anziane, è il morbo di Alzheimer.

Le mnemotecniche

Con il termine mnemotecniche ci si riferisce a teorie e pratiche di potenziamento della memoria naturale. Esse sono note fin dall'antichità, in quanto le prime di cui ci sia giunta notizia venivano utilizzate al fine di ricordare i lunghi e complessi discorsi degli oratori pubblici: tra i famosi oratori che ne facevano uso di certo possiamo ricordare Simonide di Ceo tra i Greci e Cicerone e Quintilliano tra i latini. Nell'antichità classica, la teoria consigliava gli espedienti utili a ritenere qualsiasi tipo di nozione difficilmente memorizzabile (termini tecnici, liste cronologiche, cause giudiziarie ecc.). L'espediente fondamentale consisteva nell'attribuire alle nozioni da ricordare la medesima disposizione degli elementi di un ambiente ben noto e familiare. Un'altra tecnica suggeriva di mettere in versi ciò che si voleva ricordare, sfruttando le facilitazioni fornite dalle assonanze metriche.

Le mnemotecniche sono poi divenute oggetto di ricerche psicologiche. Alla base di tutte queste tecniche per il potenziamento della memoria ci sono due processi fondamentali: l'elaborazione e la riorganizzazione dell'informazione. Una caratteristica comune delle mnemotecniche è l'uso di suggerimenti più facili da ricordare di quanto non lo sia l'informazione che in seguito si dovrà recuperare.

Una delle tecniche più antiche è il cosiddetto metodo dei loci in cui si abbina ciò che si vuole ricordare a una serie ordinata di luoghi noti utilizzando, per esempio, l'ordine espresso dal colonnato di un tempio, posizionando in punti noti gli oggetti o termini da ricordare e poi immaginando di percorrere mentalmente questo percorso, “incontrando” uno dopo l'altro gli elementi inseriti. Un'altra metodologia simile alla precedente è quella delle parole piolo in cui si abbinano i numeri da 1 a 10 a una lista di parole. Un altro metodo è quello della parola chiave in cui si associa una parola nuova a una di suono simile e facilmente rappresentabile per mezzo di una figura: per ricordare la parola nuova bisognerà pensare prima alla parola chiave, poi all'immagine o alle azioni ad essa collegate.

Un ulteriore sistema per migliorare la propria memoria, anche se non può considerarsi esattamente una mnemotecnica può essere il diventare maggiormente consapevoli del suo funzionamento. Questa riflessione è nota con il termine di metamemoria, la quale si riferisce appunto alla conoscenza che il soggetto ha del funzionamento della propria memoria, delle strategie e dei meccanismi che vengono messi in atto nei compiti mnestici. I primi studi, condotti dallo statunitense Flavell negli anni Settanta, hanno messo in luce l'importanza della consapevolezza che il soggetto ha dei propri processi mentali quando esegue determinati compiti (memorizzare, risolvere un problema, compiere una scelta ecc.). Varie indagini hanno dimostrato che, in genere, quando una persona migliora la propria competenza metacognitiva (cioè è maggiormente cosciente di ciò che fa la mente mentre ricorda, ragiona ecc. ed è maggiormente informata circa il modo in cui la mente lavora), migliora conseguentemente anche le proprie prestazioni.