(Al-Jumhūrīyah al-Jazā'irīyah ad-dīmūqrātīyah ash-shaʽbīyah). Stato dell'Africa settentrionale (2.381.741 km²). Capitale: Algeri (El Djazaïr). Divisione amministrativa: Wilayate (50). Popolazione: 42.578.000 ab. (stima 2018). Lingua: arabo (ufficiale), francese, tamazight (lingua nazionale berbera). Religione: musulmani sunniti 99,5%, altri musulmani 0,4%, altri 0,1%. Unità monetaria: dinar algerino (100 centesimi). Indice di sviluppo umano: 0,754 (85° posto). Confini: Mar Mediterraneo (N), Tunisia e Libia (E), Niger, Mali e Mauritania (S), Marocco (W). Membro di: Lega Araba, OCI, ONU, OPEC e UA, osservatore OAS, osservatore WTO.

Generalità

Questo Stato dell'Africa occupa la vasta sezione centrorientale del Maghreb ed è perciò, nelle sue matrici culturali, un Paese mediterraneo e islamico. L'idea nazionale algerina risale all'epoca in cui il Paese si oppose al dominio ottomano, nel sec. XVIII; frustrata dalla colonizzazione francese, una più salda unità nazionale prese origine nel periodo della decolonizzazione, portando nel 1962 il Paese all'indipendenza . Grazie al petrolio e al gas naturale, l'Algeria è una delle maggiori potenze economiche dell'Africa; la modernizzazione del Paese, però, ha aggravato la concentrazione urbano-industriale e la scarsità d'acqua, piaga comune a tutte le città algerine. Inoltre, lo sconvolgimento delle antiche tradizioni di vita delle popolazioni sahariane ha esacerbato squilibri e contraddizioni. Così l'Algeria, teatro negli anni Novanta del Novecento di massacri e attentati di matrice islamica e terroristica, resta tuttora arretrata sotto il profilo degli indicatori di sviluppo umano. Il ritardo delle riforme strutturali e la difficile riconversione del sistema pubblico restano dunque le questioni fondamentali da risolvere per recuperare credibilità e capacità di relazioni economiche globali.

Lo Stato

L'Algeria è una Repubblica indipendente; in base alla Costituzione approvata con il referendum del febbraio 1989, in sostituzione di quella del 1976, è stata sancita la fine del sistema socialista a partito unico e ammesso il multipartitismo; secondo l'emendamento della Costituzione del 1996 il presidente della Repubblica, che ha ampi poteri di governo, viene eletto a suffragio diretto per 5 anni (nel novembre del 2008 una legge ha eliminato il limite dei due mandati presidenziali); i membri dell'Assemblea nazionale sono eletti anch'essi a suffragio diretto. Sono stati messi al bando i partiti la cui ideologia richiami alla razza, alla religione, al genere e alla lingua l'adozione. Il sistema giudiziario in uso nel Paese si fonda sul diritto francese e sulla legge islamica. La Corte suprema, la Corte d'appello e i vari tribunali costituiscono la gerarchia giudicante. La pena di morte è in vigore per i reati di terrorismo, anche se le esecuzioni non hanno più luogo dal 1993. Le forze armate dell'Algeria sono divise nelle tre armi tradizionali: esercito, marina e aviazione, a queste vanno aggiunte due organizzazioni paramilitari, una controllata dal Ministero dell'interno, l'altra direttamente dai singoli comuni. Nel periodo coloniale, l'Algeria seguì la linea generale dell'educazione francese per le colonie; a partire dall'indipendenza, nel 1962, è stato attuato un intenso programma educativo che ha portato un aumento dei bambini nella scuola primaria, ma nel 2015 il tasso di analfabetismo rimaneva su livelli ancora elevati ma in calo rispetto al decennio precedente (19,8%). L'istruzione è obbligatoria e gratuita per 9 anni (dai 6 ai 15 di età). Il sistema scolastico è articolato in tre cicli: la scuola elementare, della durata di 6 anni, dai 6 ai 12 anni; le scuole secondarie, della durata totale di 6 anni, sono articolate al loro interno in due microcicli di 3 anni ciascuno, di cui solo il primo è obbligatorio; la scuola superiore viene impartita nelle università e negli istituti superiori. Alcune delle sedi universitarie più importanti si trovano ad Algeri, a Orano (Ouahran), ad Annaba e a Costantina (Qacentina).

Territorio: morfologia

I confini dell'Algeria comprendono nella parte meridionale un'ampia sezione del Sahara, che in passato, durante l'epoca coloniale, era un'area con una sua particolare amministrazione. La fascia settentrionale invece si identifica con una regione che è la naturale prosecuzione di quella del Marocco, il Maghreb, ed è caratterizzata dalla vasta area montuosa dell'Atlante, divisa in due fasci distinti che corrono paralleli alla costa. L'Atlante Telliano, più settentrionale e di origine pliocenica, si alza ripido vicino al mare e a E di Algeri supera i 2000 m di altezza con il Lalla Khadidja (2038 m), nella regione della Cabilia. Altre cime che caratterizzano questa tormentata morfologia sono nell'Ouarsenis (1983 m) e nelle catene del Babor (2004 m) e della Djurdjura (2308 m). L'Atlante Telliano digrada a S fino all'altopiano degli Chott (800-1000 m), dove si incontrano laghi salati e paludi, con depressioni che arrivano a - 35 m sotto il livello del mare. La seconda fascia montuosa è il cosiddetto Atlante Sahariano: di origine più antica (eocenica), comprende brevi catene (Ksour, Amour, Oulad Naïl), resti di pieghe arenacee e calcaree che toccano al massimo i 2000 m di altezza; a E di esso si innalza l'imponente massiccio dell'Aurès (2326 m), dalle forme molto aspre. Prima del deserto vero e proprio si incontra una striscia steppa desertica, quindi inizia l'Algeria sahariana, con un paesaggio soprattutto roccioso; qui lo zoccolo archeozoico, costituito da rocce cristalline, è stato interessato da movimenti orogenetici nell'era paleozoica ma i suoi rilievi sono ormai quasi del tutto demoliti. Una serie di abbassamenti di tutta la piattaforma provocò a più riprese l'ingressione del mare e la copertura delle rocce più antiche con strati sedimentari di calcari, arenarie, argille; solo in corrispondenza del massiccio dell'Ahaggar, che raggiunge i 2918 m con il Tahat, un'alta montagna desertica di origine vulcanica, lo zoccolo riemerge, in parte ricoperto da lave basaltiche. La regione ha subito la degradazione meteorica e le rocce superficiali si sono frammentate, creando così alcuni tra i più interessanti esempi di morfologia desertica, con superfici rocciose lisciate dal vento (Hamada di Tademaït) e aree sia sabbiose (Grande Erg Occidentale e Orientale) sia ciottolose (reg o serir).

Territorio: idrografia

In generale i pochi fiumi algerini si riversano nel Mediterraneo e sono brevi; il loro corso si snoda quasi esclusivamente nell'area magrebina. Il più lungo è il Chélif, mentre altri corsi di un certo rilievo sono il Soummam e l'Oued el-Kébir. Le altre valli fluviali dell'Algeria sono asciutte (uidian); gli occasionali ma violenti acquazzoni possono invadere i letti fluviali vuoti o gonfiare pericolosamente i corsi d'acqua esistenti. L'altopiano degli Chott è caratterizzato da bacini chiusi endoreici; le acque che li alimentano provengono da fiumi dell'Atlante Sahariano e danno vita a laghi salati (Chott Melrhir); sul versante meridionale dell'Atlante, invece, si sono create diverse oasi pedemontane. Il deserto porta tracce di una rete idrografica fossile, testimonianza di un clima molto più umido dell'attuale, ma questi antichi letti ospitano acque solo eccezionalmente, che evaporano dopo pochi giorni.

Territorio: clima

Caratterizzata da un clima arido d'estate e relativamente piovoso durante la stagione fresca, l'Algeria del Maghreb risente, a causa della sua latitudine, delle variazioni del fronte polare, responsabili dei movimenti di aria fresca e tempo variabile per periodi anche molto estesi durante l'anno (7-9 mesi), nonché l'influsso della massa d'aria sahariana. L'Algeria settentrionale ha inverni abbastanza freddi, in contrasto con le estati torride; inoltre la disposizione parallela alla costa delle catene del Tell frappone uno schermo tra il mare e l'interno. Ne risulta una certa compartimentazione bioclimatica: il clima mediterraneo vero e proprio caratterizza soltanto una fascia litoranea, mentre l'influsso sahariano si manifesta più intensamente nel S, particolarmente a causa dello scirocco. Nel Tell la piovosità annua è in genere superiore a 400 mm; vi si osservano tuttavia differenze considerevoli tra la zona di Orano (meno di 500 mm, a causa della vicinanza della penisola Iberica, che costituisce un vero e proprio schermo) e l'E montuoso, esposto ai venti marini (oltre 1000 mm nella regione della Cabilia). Vi è contrasto anche tra il clima della costa e quello dei bacini interni, dove l'inverno conosce il gelo, mentre d'estate le temperature diurne possono raggiungere i 47 °C e la piovosità media scende al di sotto dei 400 mm. Tra il Tell e il Sahara esiste una zona subarida ben delimitata che risente della degradazione del clima mediterraneo, per la scarsità e l'estrema irregolarità delle piogge, la secchezza dell'aria, gli sbalzi di temperatura, le gelate, lo scirocco. Nell'Atlante Sahariano riappare in certa misura, data l'altitudine, il clima del Tell: si riscontrano infatti 400 mm di precipitazioni sui versanti settentrionali, da 400 a 600-800 mm nei monti del Hodna e nell'Aurès, mentre i versanti meridionali sono molto più aridi. Le precipitazioni montane alimentano gli uidian, le sorgenti e le falde idriche, di cui vivono le oasi delle zone pedemontane.

Territorio: geografia umana

L'elemento berbero rappresenta il sostrato etnico dell'Algeria; esso ha però subito profonde trasformazioni in seguito alla penetrazione araba, che non solo ha modificato il tipo umano ma ha soprattutto “acculturato” in senso islamico il Paese; infatti, all'inizio del sec. XXI, la popolazione è costituita dal 74% di arabi e solo dal 26% di berberi. La penetrazione araba ebbe inizio infatti già nel sec. VII e si manifestò in modo massiccio nel sec. XI con l'arrivo delle tribù nomadi dei Banū Hilāl, che determinarono una degradazione dell'antica ma sapiente agricoltura berbera (sono però rimaste delle aree di rifugio e di conservazione, specialmente nella Cabilia e nell'Aurès) diffondendo la pastorizia nomade, ancor oggi largamente praticata. Nel Sahara il popolamento più antico sembra rappresentato dall'elemento nero; in età preistorica vi erano però stanziate popolazioni bianche: tali erano i favolosi Garamanti, di cui si conserva traccia sin quasi all'inizio dell'epoca storica. Ma al tempo della penetrazione romana si ebbe lo spostamento di elementi berberi dall'Atlante, con occupazione delle oasi (com'è il caso dei Mzabiti) e passaggio al seminomadismo (Tuaregh dell'Ahaggar); in seguito anche gruppi nomadi arabi si insediarono nel Sahara. La maggior parte della popolazione vive oggi nel Tell, specie nella sezione orientale, (la zona di Algeri costituisce l'area di maggior addensamento del Paese). La densità media, che è di 17,88 ab./km², ha pertanto poco significato perché in realtà il Paese è – tenuto conto delle possibilità d'insediamento limitate al solo Tell – sovrappopolato. Infatti la popolazione, che alla fine dell'Ottocento era di 3 milioni di ab. e di 4 milioni all'inizio del sec. XX, era ormai di oltre 40 milioni secondo la stima del 2018. Inoltre gli abitanti dei centri urbani sono aumentati in modo esponenziale, tanto che nei primi anni del Duemila sono quasi i due terzi dell'intera popolazione. L'urbanesimo, tra l'altro, non ha qui tradizioni antiche: i primi centri a svilupparsi sono stati i porti, dove si è andata potenziando l'attività commerciale fin dai tempi dell'invasione araba, e alcune località dell'interno del Tell per l'attrazione che esercitavano sulle aree agricole circostanti: è il caso di Mostaganem, di Orano, della stessa Algeri, di Béjaïa, di Annaba. Tutte queste città hanno avuto grande incremento sotto la dominazione francese, ma tra esse hanno prevalso Algeri, divenuta capitale e centro di controllo di tutto il Paese, e Orano, città tipicamente europea, che svolge funzioni portuali anche rispetto al Marocco orientale; Annaba e Béjaïa hanno ricevuto impulso in quanto sbocchi del petrolio sahariano. Più all'interno sono alcune città con funzioni commerciali e amministrative prevalentemente locali (Tlemcen, Sidi-Bel-Abbès, Chlef, Sétif) mentre Costantina è importante nodo di raccordo sulle vie che legano il Tell al resto del Paese. Meno sviluppati i centri degli altopiani ad eccezione di Batna, posta sulla ferrovia per Biskra e le oasi sahariane; alcune di queste accolgono centri popolosi come Touggourt, Ghardaïa, El-Oued, Béchar.

Territorio: ambiente

Benché il Paese sia stato sottoposto per secoli al disboscamento per lasciare spazio alle terre da pascolo, la vegetazione conserva ancora, nell'Atlante Telliano e nell'Atlante Sahariano, lembi di foreste mediterranee con cedri e querce. Spostandoci verso la regione degli altopiani degli Chott la vegetazione comincia a scarseggiare, dando vita a formazioni di tipo arbustivo; per arrivare infine all'Algeria sahariana, dove il clima particolarmente arido permette la crescita di poche piante molto resistenti, come l'acacia, la jojoba e i palmeti delle oasi, nelle quali però le colture hanno introdotto alberi da frutto e ortaggi. La scarsa vegetazione del territorio ha delle conseguenze anche sulla fauna, che è presente in numero limitato. Tra le principali specie di vita animale troviamo: lo sciacallo, la iena, l'avvoltoio, l'antilope, la gazzella e numerosi rettili come serpenti e scorpioni. In materia di tutela ambientale l'Algeria è fra le nazioni più avanzate del Maghreb. Già da tempo il Paese ha dato vita a una serie di leggi volte a regolamentare la salvaguardia del patrimonio naturale. Le zone protette ricoprono il 5% del territorio e comprendono anche 11 parchi nazionali e un'area dichiarata patrimonio dell'umanità dall'UNESCO: Tassili n'Ajjer (1982).

Economia: generalità

Dal punto di vista economico l'Algeria si presenta come uno dei Paesi più dinamici del continente africano. Durante la colonizzazione francese l'economia venne impostata secondo le necessità e i vantaggi dei coloni, senza giungere a una pur minima integrazione con la realtà interna, creando anzi quegli squilibri che con l'indipendenza vennero prepotentemente alla luce. L'agricoltura, in specie sviluppata sulla base degli interessi francesi durante il periodo coloniale, costrinse, dopo il 1962, il governo di Algeri a concentrare i suoi sforzi sulla realizzazione della totale conversione del settore: si ridussero progressivamente le colture coloniali e quelle avviate all'esportazione (vino soprattutto) e si incrementarono quelle alimentari, come i cereali, destinate al consumo interno. Vennero costituite alcune migliaia di cooperative, localizzate nei villaggi sorti sulle terre espropriate ai coloni francesi; inoltre iniziò una vasta opera di bonifica delle terre sottratte al deserto. Questa fase conosciuta come "rivoluzione agricola" si chiuse ufficialmente nel 1980 senza aver raggiunto i risultati sperati. Oltre al riassetto del settore agricolo priorità dello Stato, subito dopo l'indipendenza, fu quella di creare un'industria nazionale. Inizialmente si favorì l'industria pesante, seguì poi un periodo in cui vennero creati grandi impianti, per poi, infine, passare al sostegno delle piccole e medie imprese. Anche i piani industriali, come quelli agricoli, mutarono con gli anni Ottanta del Novecento quando la situazione economica peggiorò notevolmente. Ben dotata di riserve minerarie (petrolio e gas naturale, soprattutto) l'Algeria risentì del crollo del prezzo del petrolio e del gas naturale sui mercati mondiali e per il Paese si aprì una fase di acuta recessione, che portò a un vertiginoso aumento del debito estero (30.921 milioni di dollari USA nel 1997) e al diffondersi di un profondo malcontento. Alla difficile situazione economica si aggiunse la grave crisi politica innescata dall'affermarsi del fondamentalismo islamico. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta del sec. XX, l'Algeria abbandonò progressivamente i principi dell'economia socialista cui si era ispirata fin dall'indipendenza e diede avvio a un processo di liberalizzazione economica che favorì le privatizzazioni e gli investimenti stranieri anche nel settore degli idrocarburi. Il 2001 segnò l'avvio della crescita economica: nonostante la pesante spinta demografica il Paese riuscì a far scendere la percentuale di disoccupati dal 30% (2001) al 13% (2006); il PIL pro capite è in crescita (4.238 $ USA nel 2017) anche se la povertà rimane uno dei problemi irrisolti dell'Algeria. Grazie alla grande disponibilità di risorse naturali e alle ingenti entrate derivanti dalla vendita di gas e petrolio il Paese faceva registrare nel 2018 un PIL di 180.441 ml $ USA. Dal 2014 il calo del prezzo degli idrocarburi ha ridotto le entrate e reso passive le partite correnti; il governo ha aumentato alcune imposte e introdotto disincentivi alle importazioni, ma non è riuscito a impedire un forte incremento del deficit e la rapida riduzione del fondo di stabilizzazione alimentato dagli introiti petroliferi. La struttura economica rigida e statalista non favorisce la diversificazione, rende difficile porre mano al gravoso sistema di sussidi e non contribuisce a ridurre l’elevata disoccupazione giovanile.

Economia: agricoltura, foreste, allevamento e pesca

Con tutte le sue carenze, e benché arativo e colture arborescenti occupino poco più del 3% della superficie territoriale e contribuiscano solamente per ca. 12% alla formazione del prodotto nazionale, l'agricoltura impegna ca. il 10% della manodopera attiva. L'agricoltura commerciale è rappresentata dalla vite, poi dall'ulivo, dagli agrumi, dalle primizie orticole e da diverse piante fruttifere mediterranee che occupano le piane e le aree collinari del Tell, terre che i francesi avevano trasformato sul modello della campagna della madrepatria; l'Algeria è uno dei principali produttori di datteri. L'agricoltura algerina tradizionale - praticata anche da aziende moderne - fornisce soprattutto frumento, orzo e altri cereali, nonché fichi nella Cabilia. Rilevante la produzione vinicola. § Esigua è l'area boschiva; principali essenze sono il pino d'Aleppo, la quercia da sughero, il cedro; sugli altopiani si raccoglie l'alfa, usata nella fabbricazione della carta. § Rientra nelle forme tradizionali di economia l'allevamento, estensivo e talora nomade, praticato nelle zone aride, di ovini e caprini, meno diffusamente di bovini. Nelle aree desertiche è diffuso l'allevamento dei cammelli. § Il settore ittico è penalizzato dalla scarsa presenza in infrastrutture adeguate, ma è costantemente sollecitato dalla richiesta alimentare. Il comparto ha comunque raggiunto, agli inizi del Duemila, la produzione della vicina Tunisia.

Economia: industria e risorse minerarie

L'industria contribuisce per oltre il 60% alla formazione del PIL. Gli idrocarburi sono la base dell'industria nazionale: le principali attività sono la raffinazione del petrolio, la liquefazione del gas naturale e la lavorazione dei fosfati e dei minerali del ferro. I comparti principali sono quindi la siderurgia, la chimica pesante (i cui stabilimenti più importanti sono localizzati ad Annaba, Arziw e Skikda); esistono anche fabbriche di cemento e di materiali da costruzione e quelle di pasta da carta. Il Paese annovera inoltre stabilimenti tessili, alimentari e birrifici. Forte impulso è stato dato all'economia dalle imprese di costruzioni e dai lavori pubblici. L'artigianato produce lavori di oreficeria, ceramiche e tappeti. § Come si è detto principale e indispensabile elemento dell'economia dell'Algeria sono gli idrocarburi. Giacimenti petroliferi si trovano principalmente nei grandi campi petroliferi di Hassi Messaoud, Edjeleh del Shaara; il gas naturale viene estratto sopratutto a In Salah sempre nel Sahara. Una complessa rete di oleodotti e gasdotti (ca. 10.000 km) trasportano il petrolio e il gas naturale ai porti di Arziw, Béjaïa, Skikda e a quello tunisino di Skhira. Da Hassi R’Mel partono i metanodotti per la costa algerina (Arzew) e per Mazara del Vallo, in Italia, attraverso la Tunisia e il Canale di Sicilia.

Economia: commercio, comunicazioni e turismo

In Algeria l'esportazione di petrolio e gas produce il 95% degli introiti provenienti dall'export; gli altri prodotti partecipano in modo solo marginale alle esportazioni, fra questi i semilavorati e le materie prime. Il Paese importa beni industriali e agricoli: nonostante i programmi di intervento nel settore primario le importazioni di generi alimentari continuano ad essere cospicue. La bilancia commerciale (2018) è passiva. I principali partner commerciali per le esportazioni sono gli Stati Uniti, la Spagna, la Francia e il Canada; l'Algeria importa invece prodotti principalmente da Francia e Italia. § Le vie di comunicazione sono insufficienti; la rete stradale si estendeva nel 2010 per 113.655 km di cui però oltre due terzi asfaltati. Il Maghreb ha una discreta rete ferroviaria con una linea costiera che collega l'Algeria con il Marocco e la Tunisia e dalla quale si dipartono delle diramazioni verso gli altopiani interni; il Sahara è attraversato da due strade battute anche da un discreto traffico turistico, che cerca nella maestosità del deserto un motivo di evasione.

Preistoria

L'arcaicità della presenza umana in Algeria è attestata dal giacimento di Ain Hanech con strumenti su ciottolo attribuiti al Paleolitico inferiore e dal ritrovamento, a Ternifine, di resti fossili (con una età probabile intorno ai 700.000 anni) riferibili a Homo erectus, che hanno reso possibile la ricostruzione di un tipo umano noto col nome di Atlantropo, e di industrie acheuleane, rinvenute anche in altri siti come per esempio Chetma e Abukir. Come in tutta l'Africa settentrionale, anche in Algeria sono copiose le testimonianze delle culture ateriana del Paleolitico medio e capsiana del Paleolitico superiore, anche nelle zone più interne, che dovevano presentare in quell'epoca condizioni ambientali più favorevoli delle attuali all'insediamento umano. Ancor più abbondanti sono infine le tracce di culture neolitiche e dei tempi successivi, con industria litica, ceramica, ornamenti.

Storia: dalle origini alla colonizzazione francese

Le prime notizie storiche relative all'Algeria si riferiscono alla fondazione di alcune colonie fenicie sulla zona costiera, mentre l'interno era abitato da numidi, mauri e getuli. Sul finire del sec. III a. C. acquistò preminenza fra i re locali Massinissa, re dei massili, che, alleatosi con i Romani, ingrandì il suo dominio a spese di Cartagine. Un secolo più tardi la guerra di Giugurta contro i Romani segnò l'inizio della decadenza del regno numida; con la vittoria di Cesare su Pompeo, alleato del re Giuba I, la Numidia fu unita alla provincia dell'Africa con il nome di Africa Nova (46 a. C.). Il territorio dell'attuale Algeria ricevette sotto Augusto e Caligola ordinamenti vari e costituì infine, nel 42 d. C., la Mauritania Cesariense, provincia governata da funzionari amministrativi dipendenti dall'imperatore. Intorno al 430 l'Algeria passò sotto il dominio dei vandali, che conquistarono l'Africa settentrionale e solo un secolo più tardi furono respinti da un esercito di Giustiniano (533). La regione rimase però solo per poco più di un secolo sotto il controllo di Bisanzio; nel 670 gli arabi, che avevano compiuto una prima scorreria nel 647, iniziarono l'effettiva conquista dell'Algeria superando la resistenza dei presidi bizantini e quella, estremamente accanita, delle tribù berbere, che ottennero momentanei successi. La forza proselitistica della nuova religione e l'abilità politica degli arabi riuscirono a facilitare l'integrazione fra le due stirpi. A partire dal sec. VIII, disgregatasi l'unità dell'Impero arabo, si affermarono anche in Algeria dinastie locali autonome; si susseguirono così i Rustemidi, sopraffatti dai Fatimiti, e gli Hammadidi. Dopo l'arrivo delle tribù dei Banū Hilāl e dei Banū Sulaym (sec. XI), l'Algeria occidentale entrò a far parte del dominio degli Almoravidi, cui successero gli Almohadi che occuparono anche l'Algeria centrorientale. Alla disgregazione del califfato almohade la maggior parte dell'Algeria passò sotto il dominio degli Abdalwaditi (1239-1554); la debolezza della dinastia e i continui attacchi degli Stati vicini facilitarono la penetrazione turca e la conquista, da parte degli spagnoli, di importanti basi costiere (Mers-el-Kébir nel 1505, Orano nel 1509). Passata sotto il dominio turco nel sec. XVI, l'Algeria era governata alla fine di quel secolo da un pascià nominato dai turchi e residente ad Algeri, sede della reggenza. Il progressivo disinteresse del governatore nominato dagli ottomani favorì l'affermarsi del potere dei corsari che già nel 1516 ca. avevano fatto di Algeri il centro principale della loro attività nel Mediterraneo e che, dalla metà del sec. XVII, assunsero, alternativamente con i giannizzeri, il diritto di nominare il governatore della reggenza (vedi Stati barbareschi). Così l'Algeria acquistò nei confronti dell'Impero turco una certa autonomia, mitigata dall'accettazione di un vincolo di vassallaggio nei confronti dell'impero. Fra il sec. XVI e il XIX le vicende dell'evoluzione interna di Algeri, centro vitale della regione, si intrecciano con quelle dei rapporti con gli Stati europei dall'uno o dall'altro dei quali la città subì, in date diverse, attacchi navali alternati con la stipulazione di trattati di amicizia e di commercio che avrebbero dovuto impedire l'esercizio dell'attività corsara. Nel luglio 1830 il governo francese, per motivi di politica interna e a seguito di una crisi nei rapporti con il dey di Algeri, decise di conquistare la città. Realizzata agevolmente l'occupazione, fu poi difficile per i francesi la penetrazione verso l'interno; alcune tribù algerine infatti, guidate dall'abile emiro ʽAbd al-Qādir che solo nel 1847 fu sconfitto dalla Francia, opposero un'energica resistenza. Fra il 1849 e il 1857 fu sottomessa la Cabilia; un certo fermento che rimaneva tuttavia nel Paese, ormai interamente conquistato, esplose nell'insurrezione del 1871 che fu energicamente repressa. Intanto, abbandonato il principio dell'occupazione ristretta, aveva avuto inizio l'effettiva colonizzazione del Paese, segnata dalla progressiva sottrazione agli indigeni delle aree coltivabili e dall'incremento dei coloni europei (28.000 nel 1840, 272.000 nel 1872, 642.000 nel 1901, 829.000 nel 1921) che davano impulso allo sviluppo agricolo, urbano, commerciale e industriale del Paese.

Storia: nascita ed evoluzione del movimento nazionalista

Le conseguenze di carattere economico, sociale e morale della colonizzazione incisero pesantemente sulla società algerina tradizionale provocando scompensi e risentimenti dai quali trassero vigore i movimenti di rivendicazione politica, primo fra tutti quello dei Giovani Algerini (1911) che reclamava una più rapida attuazione del programma di assimilazione. Dal primo dopoguerra all'insurrezione del 1954 il movimento nazionalista algerino nelle sue varie componenti attraversò una lenta e profonda evoluzione che lo condusse dalle iniziali posizioni moderate, propense alla collaborazione con la Francia, alle rivendicazioni radicali, premessa della lotta armata. Fra gli esponenti del nazionalismo moderato, che chiedeva l'attuazione dell'assimilazione, furono l'emiro Khālid, nipote di ʽAbd al-Qādir, promotore della Federazione degli eletti indigeni d'Algeria (1927), e il giovane Ferḥāt ʽAbbās, organizzatore di un'Associazione degli studenti algerini musulmani. Di atteggiamento più radicale e inizialmente influenzata dal Partito Comunista Francese fu l'organizzazione Stella Nordafricana (1923), fondata da Messali Hadj fra gli emigrati nella regione di Parigi, che si trasformò nel 1937 in Partito Popolare Algerino (PPA). Nel 1931 si costituì il Consiglio degli Ulema d'Algeria che, presieduto da ʽAbd al-Ḥamīd Bādīs, richiamava il popolo algerino ai valori della tradizione religiosa e culturale, base per l'affermazione della sua dignità. L'impossibilità, anche da parte del governo di fronte popolare al potere in Francia nel 1936, di attuare riforme sia pure modeste e graduali, alle quali si opponevano i francesi d'Algeri organizzati dal 1920 intorno al Congresso degli eletti francesi d'Algeria, spinse poco alla volta anche i movimenti nazionalisti originariamente moderati ad abbandonare la prospettiva assimilazionista e a orientarsi verso la richiesta di un regime di protettorato o di unione alla Francia sulla base di un'autonomia interna. Negli anni di guerra 1939-44 le autorità francesi d'Algeria, pur restando fedeli al governo di Vichy, conclusero intese con rappresentanti degli Stati Uniti, i quali d'altra parte stabilirono contatti anche con esponenti della Resistenza per assicurare appoggi allo sbarco alleato dell'8 novembre 1942. Dopo una complessa evoluzione dei rapporti fra i diversi esponenti delle correnti facenti capo a Giraud e De Gaulle, fu creato ad Algeri, il 3 giugno 1943, il Comitato Francese di Liberazione Nazionale, riconosciuto più tardi quale governo provvisorio, con a capo il generale De Gaulle. In quegli anni critici per la Francia, gli algerini sperarono invano di ottenere concessioni. Il 10 febbraio 1943 veniva pubblicato il “Manifesto al popolo algerino”, denuncia del colonialismo e rivendicazione di una partecipazione effettiva dei musulmani al governo del loro Paese; al “Manifesto” seguiva l'esposizione di un preciso programma di riforme al quale le autorità francesi non prestarono ascolto. Le aspirazioni nazionalistiche sempre più consapevoli e accentuate e il crescente malcontento per le difficoltà economiche dettero esca nel 1945 nell'Algeria orientale a violente e sanguinose sommosse, represse con estrema energia. Il Parlamento francese, ribadendo il programma assimilazionista ormai respinto dal nazionalismo algerino, approvava il 20 settembre 1947 un nuovo Statuto organico per l'Algeria (dipartimenti francesi d'oltremare, dotati di autonomia finanziaria). Da quel momento fu intensificata la preparazione dell'insurrezione. La notte del 1º novembre 1954 aveva inizio la guerriglia antifrancese: l'organizzazione faceva capo a un comitato, insediato in Egitto dove aveva trovato appoggio presso il governo, nel quale prevalse ben presto Ahmed Ben Bella. Sottovalutata inizialmente dai responsabili francesi, l'organizzazione guerrigliera, che riceveva aiuti dai Paesi arabi, poté estendersi a gran parte dell'Algeria, legando sempre più a sé, con la propaganda o con le minacce, la popolazione locale; gli attentati e le azioni dimostrative si moltiplicarono, mettendo in evidenza l'impossibilità per la Francia di controllare il Paese. I francesi d'Algeria, che un crescente senso di insicurezza e di sfiducia verso il governo centrale spinse a organizzare azioni controterroristiche, si irrigidirono d'altra parte nell'intransigente difesa dell'Algeria francese.

Storia: l'insurrezione del 1958 e l'indipendenza

La drammatica situazione algerina, che si ripercuoteva in Francia con gravi difficoltà politico-parlamentari, sfociò ad Algeri, il 13 maggio 1958, nell'insurrezione dei nazionalisti intransigenti (ultras) che portò alla crisi della IV Repubblica e all'avvento al potere del generale De Gaulle. Mentre si costituiva a Tunisi, il 19 settembre, il Governo Provvisorio della Repubblica Algerina (GPRA), De Gaulle annunciò il 3 ottobre il “piano di Costantina”, grandioso programma quinquennale di sviluppo economico e sociale, e cercò di avviare lentamente a soluzione il difficile problema. Egli dovette però tener conto dell'energia con cui i residenti e i militari francesi in Algeria resistevano a ogni prospettiva di abbandono e dovette affrontare, nell'aprile 1961, un ulteriore tentativo reazionario (complotto dei generali) – manifestatosi attraverso la ribellione di alcuni elementi dell'esercito guidati da Challe, Zeller, Jouhaud e Salan – il cui fallimento fece poi confluire nell'OAS (Organizzazione dell'esercito segreto) le forze che si erano opposte con la violenza alle decisioni del governo francese sul problema algerino. Infine, nel febbraio 1962 De Gaulle riconobbe esplicitamente il diritto dell'Algeria all'autodeterminazione; un mese dopo, Francia e GPRA giunsero agli accordi di Evian. L'indipendenza dell'Algeria venne proclamata il 3 luglio 1962. Presidente della Repubblica e capo del partito unico FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) fu proclamato Ahmed Ben Bella, che però venne deposto tre anni dopo (giugno 1965) da un colpo di stato che portò al potere un Consiglio della Rivoluzione presieduto dal colonnello Houari Boumedienne, il quale diede impulso al programma di riforme socio-economiche e collocò il Paese tra i non-allineati nell'ambito della corrente progressista araba. Alla morte di Boumedienne (1978), il Congresso del Partito designò alla presidenza Bendjedid Chadli (febbraio 1979). Agli inizi del suo terzo mandato (1989), di fronte al deterioramento della situazione economica e sociale del Paese, egli introdusse una riforma della Costituzione: la nuova carta offriva garanzie per un sistema multipartitico ed eliminava l'accenno al “socialismo”, riducendo a puramente difensivo il ruolo dell'esercito. La nuova Costituzione venne approvata nel febbraio 1989 da oltre il 73% degli algerini, a dimostrazione che nel Paese era ormai cresciuta una forte area di insofferenza al regime “socialista”. Di fronte al permanere di una grave crisi economica, le riforme politiche non riuscirono da sole a recuperare il consenso della società algerina a un gruppo dirigente che pure tentò di rinnovarsi. La prova generale di questa situazione si ebbe in occasione delle elezioni amministrative del 1990, le prime che si svolsero liberamente in Algeria dal momento della sua indipendenza. Il Fronte Islamico di Salvezza (FIS), fortemente condizionato dagli integralisti, vinse le consultazioni aggiudicandosi oltre il 54% dei voti. Si aprì in tal modo una fase di grande instabilità e di scontri sanguinosi con l'opposizione politica che fu sempre più egemonizzata dai fondamentalisti.

Storia: il fondamentalismo islamico

In questo quadro, alla fine del 1991 si svolsero comunque le elezioni politiche e al primo turno il FIS ottenne oltre il 47% dei voti e la sicurezza della conquista della maggioranza assoluta nella seconda tornata. Il risultato del primo turno delle elezioni del dicembre 1991, favorevole al movimento integralista, ebbe come effetto l'accelerazione della crisi istituzionale algerina, con il presidente che si dimise pressato dalle forze armate le quali, estromettendo lo stesso FLN, istituirono un Alto Comitato di Stato presieduto da Mohamed Boudiaf. Iniziò, in tal modo, un'aperta guerra civile, combattuta con tutti i mezzi e nella quale gli estremisti islamici colpirono ogni obiettivo in qualche modo collegabile alle istituzioni o comunque in odore di laicismo, mentre le forze di sicurezza risposero con pari durezza annientando, ogni qualvolta se ne presentava l'occasione, gruppi di integralisti. Di questo clima di terrore rimase vittima lo stesso Boudiaf, ucciso in un attentato (giugno 1992) non ancora completamente chiarito, né la nomina di un nuovo capo dello Stato, Ali Kafi, riuscì a normalizzare la situazione. Negli anni successivi si reiterò la spirale attentati-repressione che fece migliaia di vittime non solo tra gli uomini delle forze governative e tra i militanti dei Gruppi Islamici Armati (GIA), ma anche tra importanti esponenti governativi e della cultura laica (scrittori, giornalisti, uomini di spettacolo) e, più in generale, tra i civili. I fondamentalisti lanciarono poi una sanguinosa campagna di attentati contro gli stranieri presenti in Algeria allo scopo di isolare completamente il Paese. Nel 1994 i militari operarono un parziale rinnovamento del gruppo dirigente nominando Liamine Zéroual, già ministro della Difesa, a capo dello Stato. Una decisione che se non determinava di per sé un'attenuazione dell'opposizione armata, tuttavia si sarebbe rivelata foriera di un rafforzamento del regime almeno nel medio periodo. Imboccata la strada del recupero del consenso interno come unica possibilità di uscita dalla crisi e assolutamente non disposto a concessioni di qualsiasi tipo nei confronti dell'opposizione armata, Zéroual fece cadere, rifiutandolo, il tentativo negoziale approntato nei primi mesi del 1995 dalla Comunità romana di Sant'Egidio (la stessa organizzazione che era riuscita a far decollare il piano di pacificazione in Mozambico). Riconfermato nel 1995, Zéroual diede corso a un profondo rimaneggiamento della Costituzione del 1989. In particolare la nuova carta prevedeva la messa al bando dei partiti confessionali, mentre attribuiva al presidente speciali poteri legislativi e la facoltà di nominare non solo i vertici istituzionali, ma anche quelli economici e gli stessi magistrati. Il testo venne sottoposto a referendum popolare (novembre 1996) e ottenne quasi l'86% dei consensi (una percentuale che ha anche fatto avanzare qualche sospetto), confermando quell'adeguamento alla nuova situazione che la maggioranza della società algerina aveva già manifestato in precedenza. Le elezioni legislative del giugno 1997 segnarono la vittoria del RND (Rassemblement national démocratique), della cui lista era a capo il primo ministro Ahmed Ouyahia. Nel luglio 1998, l'entrata in vigore della legge che imponeva l'arabo come unica lingua ufficiale del Paese innescò la protesta delle comunità berbere e francofone. Il conflitto tra i militari e i guerriglieri del GIA non si attenuarono neanche dopo l'annuncio, nel settembre 1998, delle dimissioni del presidente Zéroual. Le elezioni anticipate per la nomina del nuovo capo dello Stato, svoltesi nell'aprile 1999 in un clima di tensioni, videro la vittoria dell'ex ministro degli Esteri Abdelaziz Bouteflika, candidato favorito dai generali detentori del potere nel Paese e unico rimasto dopo il ritiro dei candidati degli altri partiti per protesta contro i brogli elettorali. Nel tentativo di ottenere una piena legittimazione alla sua elezione, il nuovo presidente indisse, nel settembre dello stesso anno, un referendum sulla “concordia civile”, peraltro già approvata da una legge a luglio, ottenendo una schiacciante vittoria (98%): con questo atto, che di fatto sanciva l'amnistia, parziale o totale, per migliaia di guerriglieri islamici, si puntò a porre le premesse per il reinserimento dell'Algeria nella comunità internazionale. In realtà la situazione permaneva drammatica e la guerra tra le forze civili e i gruppi armati fondamentalisti non accennava a placarsi. Nel maggio 2002 le elezioni legislative, boicottate da gran parte delle opposizioni (l'affluenza alle urne fu la più bassa dall'indipendenza), fecero registrare la netta affermazione dell'ex partito unico FLN (presieduto dal primo ministro Ali Benflis, in carica dall'agosto 2000). Nel 2003 il Paese fu colpito da un disastroso terremoto, che fece migliaia di morti e feriti. Nel corso dello stesso anno Ali Benflis e il suo governo si dimisero per divergenze con il presidente Bouteflika, che nominava alla guida di un nuovo esecutivo Ahmed Ouyahia. Le elezioni politiche del 2007 hanno visto una ridotta affluenza (solo il 35% degli aventi diritto) e sono state vinte dalla coalizione di partiti che sosteneva il presidente. Nel giugno 2008 diventava nuovamente premier A. Ouyahia. Nell'aprile del 2009 Bouteflika veniva riconfermato presidente, sconfiggendo la candidata dell'opposizione Louisa Hanoune. Nel 2010 Algeria, Mali, Mauritania e Niger avviavano una struttura di coordinamento per combattere la criminalità organizzata e il terrorismo. L'ondata di rivolte che ha segnato la primavera del 2011 nei Paesi del Magreb sfiorava solo di poco l'Algeria: le manifestazioni contro il rialzo dei prezzi e per la libertà di espressione venivano represse senza però degenerare in violenze di massa. Il regime, guidato da oltre dieci anni da A. Bouteflika, revocava lo stato di emergenza in vigore dal 1993. Nell'aprile del 2014 Bouteflika veniva rieletto. Nel 2019 sono iniziate ampie proteste popolari contro la candidatura del Presidente A. Bouteflika a un quinto mandato, che hanno poi portato alle sue dimissioni in aprile. Le nuove elezioni, inizialmente previste per luglio, sono state indefinitamente posposte dalla Corte costituzionale.

Cultura: generalità

La tradizione berbera sopravvive soprattutto nella Cabilia, regione a E di Algeri, dove si parla il dialetto locale (tamazight) come prima lingua. La musica fa parte della vita quotidiana; il genere più popolare è il raï, dove il liuto e gli altri strumenti tradizionali si mescolano con quelli più moderni; si tratta di un genere di musica pop che nasce come protesta e che ora è diffusa in tutto il mondo arabo. Uno degli esponenti più noti è Cheb Mami. L'artigianato algerino mantiene ancora una fiorente produzione. Altri due generi che si sono affermati sono il châabi (che prende spunto dalla musica arabo-andalusa) e la canzone kabyl (originaria cioè della Cabilia). L'artigianato tradizionale più interessante è quello prodotto dai tuareg del Sahara meridionale, conosciuti per la complessa lavorazione del cuoio e per i gioielli in argento. Spicca l'arte della ceramica, che si basa su tradizioni e disegni che risalgono alle tradizioni romane e andaluse. L'artigianato tessile è strettamente legato alla cultura berbera; ogni regione si distingue per disegni e colori particolari. A causa dei vari conflitti che si sono succeduti a partire dalla seconda metà del Novecento, l'Algeria rimane ancora un Paese poco frequentato dai turisti: la vastissima area occupata dal deserto, però, nasconde monumenti straordinari che potrebbero essere di grande richiamo. Sono infatti numerosi i tesori artistici inseriti nel patrimonio dell'umanità dall'Unesco: il complesso reale di el-Q'ala a Beni Hammad (1980), l'antica città romana di Djémila (1982), l'ouadi di M'Zab (1982), il Tassili n'Ajjer (1982), sito preistorico ricco di pitture rupestri risdalenti fino al 6000 a.C.; la colonia militare romana di Timgad (1982) e le antiche rovine di Tipasa (1982). Nel 1992 è stato dichiarato sito protetto anche la struttura urbana tradizionale (qaṣba) di Algeri.

Cultura: tradizioni

Circa la metà della popolazione algerina è ancora profondamente legata alla vita dei campi e alla pastorizia; abita prevalentemente in villaggi, il cui aspetto varia notevolmente a mano a mano che dalle coste si procede verso l'interno. Lungo la fascia marittima, dove maggiore è stato tra l'altro l'influsso francese, prevale il classico villaggio mediterraneo, posto sui versanti collinari e formato da case basse, in pietra, con gli ambienti affiancati l'uno all'altro e il tetto a due spioventi. Molto diffusa, specie nelle regioni interne del Maghreb, è anche la casa con tetto a terrazza o a botte (per la raccolta dell'acqua piovana, che viene convogliata nella cisterna sotterranea); essa è sempre unita ad altre abitazioni in modo da essere parte di un piccolo e compatto quartiere, generalmente rettangolare, con cortili interni e tetti intercomunicanti. Ma l'originaria forma berbera d'insediamento è il gurbī: esso raccoglie due o più nuclei familiari, ha una pianta in genere circolare, con un vasto spiazzo chiuso da scarpate e dalle abitazioni. Queste ultime sono estremamente semplici, con muri di pietre non cementate e ampi tetti di stoppie, leggermente inclinati verso lo spiazzo interno, dove di notte si ricovera il bestiame. Alle falde dell'Atlante Sahariano comincia già a comparire il tipico insediamento d'oasi, che è l'unica forma stabile nell'Algeria sahariana. Esso sorge lungo il bordo dell'oasi, che è invece occupata dalle colture; le case basse e uniformi, dall'aspetto dimesso, si allineano lungo le strade anguste ma regolari che portano ai campi. Ai margini dell'oasi, ma anche lungo le piste carovaniere, si accampano i gruppi nomadi; loro dimora è la tenda, quasi sempre doppia (una per il giorno e una per la notte) di lana grezza o di fibre vegetali. Un aspetto del tutto nuovo nel quadro degli insediamenti sahariani è rappresentato dalle cosiddette "città pioniere": si tratta di centri costruiti in pieno deserto, presso i giacimenti di idrocarburi, per ospitare il personale non africano (soprattutto dirigenti, tecnici e operai specializzati); dotati dei principali servizi di tipo urbano (negozi, ristoranti, luoghi di ritrovo e di culto ecc.), con impianti di condizionamento dell'aria all'interno dei singoli edifici, essi sono in grado di ospitare anche qualche migliaio di persone. L'esempio più significativo è quello di Hassi Messaoud. La cultura tuareg è quella che più delle altre nell'area musulmana concede alle donne maggiore libertà e diritti. La discendenza viene trasmessa in linea matriarcale; sono gli uomini a coprirsi il viso con una striscia di tessuto blu che li protegge dalla sabbia e dal vento del deserto. Il costume tradizionale è formato da una spessa camicia di lana, il derbal, che si porta con o senza una cintura pure di lana alla vita e una specie di grembiule di cuoio. Il tutto è completato dal classico mantello col cappuccio, il burnus, e da leggeri sandali di cuoio.Il costume della donna è una tunica composta di un unico taglio di stoffa rettangolare che viene drappeggiato intorno al corpo in modo da lasciare le braccia nude e fermato alla vita da una sottile cintura. L'abbigliamento è completato dal cappuccio, ricavato da una piega della stessa tunica, e da un leggero anello di rame apposto alla caviglia. Grande attenzione viene data alla cosmesi è frutto di un lungo e complicato rituale. Curatissimi sono soprattutto i capelli, che vengono tinti e ritinti continuamente. Con la stessa cura vengono tinte le sopracciglia, sempre di un bel nero cupo. Le ciglia vengono invece tinte con una sorta di bistro azzurro cupo che deve dare dolcezza allo sguardo, e l'occhio viene cerchiato con il kohl, che lo ripara anche dall'eccesso di luce.Per creare un forte contrasto con il nero dei capelli e delle sopracciglia, le guance vengono colorate fortemente con un belletto dal color rosso vivo. Un trucco però per essere completo deve essere accompagnato anche da qualche tatuaggio sulla fronte, sul mento, sulle guance oppure sulle braccia e sul collo, che riproduca con disegni delicati spighe, foglie o losanghe. I cibi che si consumano abitualmente sono più o meno gli stessi di Marocco e Tunisia sulla tavola non mancano mai le spezie (pepe, peperoncino, zenzero, cannella, cumino) a condire e insaporire le carni (ovine e pollo), le verdure e il pane. L'olio di oliva è il condimento principale. Il couscous, semola di grano, viene presentata a tavola ad accompagnare verdure cotte (carote, fagiolini, finocchi, bietole, pomodori, zucchine e piselli) o carne di montone o pollo; di probabile origine berbera, viene spesso presentata in una grande zuppiera posta al centro del tavolo, dalla quale si servono tutti i commensali con le mani. Altro piatto tipico berbero è la chorba, una zuppa di carne di montone e verdure condita con abbondante coriandolo e altre spezie. Durante la ricorrenza del Ramadan si consuma un solo pasto dopo il tramonto: i piatti tipici sono l'harira, una minestra con legumi e carne, o una sfoglia di semola farcita con verdure e carne, oppure con tonno o gamberetti e uova. Datteri, noci e miele sono gli ingredienti principali per i dolci, fra cui la baklawa, nota in tutto il mondo arabo.

Cultura: letteratura

L'Algeria presenta un quadro culturale particolarmente vario in cui convergono la tradizione cabila, espressa prevalentemente in dialetto berbero, della quale Marguerite Taos Amrouche (1913-1976) ha raccolto le cose più belle in un'antologia, intitolata Il chicco magico (1966); la cultura araba classica, letteraria e musicale; e, infine, la cultura francese. Alla letteratura araba classica l'Algeria contribuì con i versi mistici e le massime di Abū Madyan (1126-1197), con le poesie di at-Tilimsānī (1216-1291), con le biografie letterarie di Aḥmad al-Gubrīnī (1246-1314) e con l'opera di Ibn Abī Haǧalah (1325-1375), autore di una curiosa antologia (La zuccheriera). Dal sec. XV fino alla conquista coloniale (1830) la cultura algerina rimase affidata essenzialmente al canto popolare, al rituale, alla tradizione orale basata sul racconto. Nell'Ottocento, a opera di alcuni scrittori di importanza secondaria, apparvero relazioni di viaggio e opere erudite e religiose; si cominciò a scrivere anche in arabo dialettale (l'algerino, con il marocchino, il tunisino e il libico, forma il gruppo dei dialetti arabi maghrebini). Dopo la conquista francese, i meddāh (cantori popolari) cantarono il dolore dei vinti ed esaltarono lo spirito di resistenza all'invasore e la tradizione nazionale islamica. Fieri canti patriottici composero anche i protagonisti della prima resistenza all'occupazione: il geniale e colto condottiero ʽAbd al-Qādir, il poeta berbero Sī Moḥand (1840-1906), Moqrānī e Muḥammad Belkheyr. Nel 1920 Robert Arnaud (1873-1950) con il manifesto dell'indigenismo invitò i letterati a cercare una forma espressiva originale. Jean Amrouche (1906-1962) raccolse nel 1934 gli elementi della tradizione algerina in Cendres (Ceneri) e nel 1939 pubblicò le Chansons berbères de Kabylie (Canti berberi della Cabilia). Tuttavia una letteratura nuova rispetto alla tradizione si sviluppò dapprima tra i letterati di formazione europea, soprattutto per opera della Scuola di Algeri, con scrittori come Albert Camus, Emmanuel Roblès, Gabriel Audisio e Jean Pelegri; ma la loro produzione non è riconosciuta come fondamentalmente algerina dalla critica attuale. Una letteratura algerina vera e propria nacque intorno al 1950 e si sviluppò all'inizio durante le lotte di liberazione (1954-62), esprimendosi quasi esclusivamente in francese e nella forma del romanzo e del saggio. Caratterizzata dall'accento naturalistico, essa testimonia la resistenza, l'entusiasmo per una nuova società da costruire, il disagio creato dalla coesistenza di due culture (quella arabo-berbera e quella francese) e la rivolta contro la sclerosi della società musulmana. Poetica, lucida e violenta, riflette insomma le molteplici esperienze dell'animo musulmano. E a tale proposito va sottolineata l'influenza che, soprattutto a partire dall'inizio degli anni Novanta del Novecento, il fondamentalismo islamico esercita in Algeria, come in altri Paesi musulmani, sulla produzione letteraria comminando minacce e pene di morte a scrittori che non si ritengono allineati. Va ricordata, per esempio, l'uccisione di Y. Sebti avvenuta a Parigi nel 1994. Negli ultimi anni Novanta, i letterati algerini hanno tentato di riallacciarsi al loro passato e alla cultura araba classica, cercando anche di creare una letteratura nazionale malgrado le forti spinte al particolarismo regionale, specie cabilo, di Ouary Malek con Poésies et chants de Kabylie (1973) e di Azzédine Bounemeur con Les Bandits de l'Atlas (1982; I banditi dell'Atlante). Ma la maggior parte della produzione algerina in lingua francese degli anni Ottanta e Novanta ha caratteristiche che l'accomunano più al saggio socio-politico che non al romanzo vero e proprio. Questo è dovuto anche al fatto che molti autori fanno parte di quella “seconda generazione d'immigrazione” che vive in Francia, e si rivolge dunque principalmente ai propri connazionali che qui risiedono, e ai beur, i Francesi di origine maghrebina. Il primo importante romanzo della nuova letteratura è senza dubbio Le fils du pauvre (1950; Il figlio del povero), romanzo autobiografico di un modesto insegnante della Cabilia, Mouloud Feraoun (1913-1962). Un altro scrittore cabilo è Mouloud Mammeri (1919-1989), autore di tre romanzi: La colline oubliée (1952; La collina dimenticata), Le sommeil du juste (1955; Il sonno del giusto) e L'opium et le bâton (1964; L'oppio e il bastone), nei quali descrive le lotte intestine che lacerano il suo Paese. Scrittore di notevole talento è Mohammed Dib (1920-2003), autore della trilogia Algérie, in cui descrive la semplice vita di Tlemcen e l'angoscia degli abitanti di fronte ai tragici avvenimenti, dal 1939 al 1943. Anche l'opera narrativa di Mālek Ḥaddād (1927-1978) è dominata dal tema dell'Algeria in guerra e mostra lo smarrimento di personaggi, più poetici che reali, posti di fronte a radicali cambiamenti di cui non possono capire le ragioni. Ma il miglior scrittore contemporaneo è stato indubbiamente Kateb Yacine (1929-1989) che, pur trattando gli stessi temi degli altri autori, si è distinto per una profonda originalità. Scrittore complesso, è stato romanziere (Nedjma, 1956), autore teatrale (Le cercle des représailles, 1959), poeta. Tra gli scrittori vanno ancora segnalati: Henri Kréa (n. 1933), romanziere, poeta, saggista, drammaturgo e giornalista; Jean Sénac (1926-1973), poeta; Rachid Boudjedra (n. 1941), poeta e romanziere. Questa letteratura è essenzialmente documentaria, si avvale di uno stile descrittivo, di un linguaggio a volte non letterario come nel caso di Le thé au Harem d’Archi Ahmed (1983; Il the nell'harem di Archi Ahmed) di Mehdi Charef. I personaggi centrali degli intrecci sono i giovani maghrebini delle periferie più povere in cerca di inserimento sociale. Esemplare in questo senso è Le Gone de Châaba (1986; Il ragazzo del quartiere povero), scritto da Azouz Begag (n.1957). Inoltre la narrazione arriva spesso, attraverso la ricostruzione di storie “esemplari'', alla condanna dei regimi e delle idee oscurantiste che bloccano lo sviluppo del Paese. Contro le censure della cultura si schiera Nabile Farès (n. 1940) soprattutto nelle opere État perdu (1982; Lo Stato perduto) e Exile au féminin (1986; L'esilio al femminile). Rachid Mimouni (1945-1995) denuncia i mali della società algerina. Poeta e romanziere, Tahar Djaout (1954-1993) esprime nei suoi scritti la rivolta contro l'autoritarismo. Ritroviamo il tema nella raccolta Pérennes (1993; Perenni), ma i romanzi rappresentano una presa di posizione anche più forte, come L’exproprié (1981; L'espropriato), L’invention du désert (1987; L'invenzione del deserto), Les vigiles (1991; I vigili). Impegnato in prima persona, lancia il giornale Ruptures. Il suo ardore politico gli costerà la vita: Djaout fu assassinato nel maggio 1993. Ai confini del surrealismo è la narrativa di Habib Tengour (n. 1947). Le sue raccolte di poesie lo situano al crocevia di due culture, quella araba e quella francese, ma sono i suoi romanzi a essere meglio conosciuti, come Le vieux de la montagne (1983; Il vecchio della montagna), L’épreuve de l’arc (1990, La prova dell'arco). Fiorente la produzione letteraria femminile. Le scrittrici algerine si sono infatti affermate come le portavoci delle istanze più avanzate e indipendentiste del loro popolo. A loro si devono opere particolarmente innovatrici in termini di contenuto (l'esplicita denuncia della condizione di emarginazione della donna araba e l'espressione delle sue reali aspirazioni) e di linguaggio. Ricordiamo narratrici sensibili ai problemi sociali e alla condizione femminile come Djamila Debche, con Leila (1947) e Ariza (1955), o Aïcha Lemsine e, soprattutto, Assia Djebar (n. 1936) e Aḥlām Mustaġanmī (n. 1953) che, a partire dai suoi romanzi Ḏākirat al-ğasad (1994; La memoria del corpo) e Fawḍà al-ḥawāss (1998; La confusione dei sensi), ha conquistato un vastissimo pubblico anche oltre i confini del suo Paese. Alla condizione delle donne immigrate e all'esilio in generale si è interessata Leïla Sebbar (n. 1941) che, nata in Algeria, da anni vive in Francia, ed è stata tra le prime a dare la parola alle donne in Fatima ou les algériennes au square (1981; Fatima, o le algerine in piazza), in cui si esprime la preoccupazione delle donne immigrate in Occidente di testimoniare sulla loro situazione. La sua riflessione arriverà a note più pessimiste in Le silence des rives (1993; Il silenzio delle rive). Khalida Messaoudi, sfidando le minacce di morte che pesano su di lei, ha denunciato, con voce forte, in Une Algérienne debout (1995; Una donna in piedi) gli attentati alla libertà algerina perpetrati non soltanto dagli integralisti islamici, ma dallo stesso governo. Infine, va segnalata anche la giovane Nina Bouraoui (n. 1967), che nella Voyeuse interdite (1991; Vita di sguardi) critica la società tradizionalista algerina e in Poing mort (1992; Pugno morto) dà prova di una grande forza narrativa nel trattare il tema della morte. Negli ultimi decenni del Novecento, la produzione letteraria in lingua araba ha subito un notevole sviluppo, nonostante sia ancora egemone quella in francese. Alcuni scrittori algerini, che tradizionalmente scrivevano in francese, hanno infatti iniziato a sperimentare la lingua araba: tra questi spicca il romanziere Rašid Abū Ğadrah (n. 1941), tra le voci più interessanti della narrativa algerina francofona. Inoltre, sebbene i generi della poesia e del racconto breve siano i più diffusi, anche il genere del romanzo ha fatto grandi passi in avanti da quando, nel 1971, ‘Abd al-Ḥamīd Ibn Ḥaddūqa (n. 1929) pubblicò il primo romanzo algerino in lingua araba, Rīḥ al-Ğanūb (Vento del sud). Questi, autore di racconti brevi in cui analizza i meccanismi sociali e politici che hanno trasformato l'Algeria contemporanea fino agli ultimi tragici avvenimenti, pubblica anche Nihāyat al-ams (1975; La fine di ieri), Banà al-ṣubḥ (1980; Apparve il mattino) e Gadan yaum ğadīd (1992; Domani è un altro giorno). Oltre a Ibn Ḥaddūqa e al-Ṭāhir Waṭṭār (n. 1936), che annovera fra i suoi romanzi più noti al-Lāz (1974) e al-Laz, al-‘išq wa’l-mawt fī’l-zamān (1982; al-Lāz, l'amore e la morte in tempi duri), altri nomi si fanno strada nel panorama della narrativa. Tra i più importanti scrittori spicca Wāsīnī al-A‘rağ (n. 1954), che si distingue per la sua attività di scrittore e critico letterario. Per quanto riguarda, invece, il genere del racconto breve il nome più importante è quello di Ğilālī Ḥallāṣ (n. 1952), autore di saggi, romanzi, libri per l'infanzia e traduttore in arabo di opere di scrittori italiani. Conosciuti a livello internazionale sono gli scrittori R. Boudjedra (n. 1941), M. Moulessehoul (n. 1955) , meglio conosciuto con lo pseudonimo di Yasmina Khadra, con il suo romanzo L'attentarice (2006), e il giovane Salim Bachi (n. 1971), noto per Il silenzio di Maometto (2009).

Cultura: arte

La maggiore manifestazione di arte figurativa preistorica è costituita dalle incisioni e dalle pitture rupestri, di cui le più antiche appartengono al Neolitico. Numerose sono nel Sahara algerino le testimonianze di questa espressione d'arte, anche se tra tutte spiccano per importanza quelle del Tassili, indicative per alcune sensibili affinità che esse rivelano con l'arte rupestre iberica e con altre espressioni artistiche dell'Egitto predinastico e di Creta. Mentre nelle zone occidentali è diffusa la figurazione incisa, in quelle orientali (specie nel Tassili) più frequente è quella dipinta, monocroma e policroma. Anche la comparsa del dolmen si fa risalire al Neolitico. Con la colonizzazione fenicia (I millennio a. C.) ha inizio l'età storica. Alcune forme di architettura del sec. II a. C. (monumenti sepolcrali a el-Krub) riflettono gli apporti derivati durante il periodo punico. Altri aspetti più tardi di questo genere di architettura documentano una più compiuta forma di sepolcro indigeno non estranea tuttavia a influssi esterni per certi raggiungimenti di carattere artistico-monumentale (il Medracen a S di Costantina e la Tomba di Cristina presso Tipasa) riferibili al sec. I a. C. Una nuova configurazione urbanistica si sovrappone a quella locale con la colonizzazione romana. Più con funzione urbanistica che onoraria vi sono in Algeria numerosi archi dell'impero, dei quali il più raffinato esempio è rappresentato dall'arco di Caracalla a Djemila. Interessante per effetti scenografici è l'arco di Traiano a Timgad, la più perfetta e regolare città romano-africana: essa dà un'idea dell'alto livello di vita instaurato da Roma in Africa. Anche in periodo romano i monumenti funebri seguono la tradizione dell'impianto punico. Le città africane offrono interessanti soluzioni per l'inserimento dei “fori” nei piani urbanistici (Timgad, Tipasa, Hippona) con prospetti monumentali delle grandi strade e la distribuzione degli edifici e dei portici secondo criteri di composizione assiale. Nella grande e sontuosa Cesarea (Cherchell), abbellita dal mecenatismo di Giuba II, dotata di teatro, anfiteatro, cisterne e acquedotti, poco è rimasto in piedi del Foro, dei templi e degli altri edifici, mentre le case hanno restituito molti mosaici e sculture. La presenza della civiltà romana è attestata particolarmente attraverso ponti, acquedotti e teatri. Mentre gli edifici per il culto cristiano seguono gli schemi dell'Occidente romano, le chiese bizantine ripetono modelli di contemporanei edifici orientali. L'architettura bizantina in genere è espressa attraverso opere di carattere militare, quali fortificazioni e piazzeforti. La conquista araba dell'Algeria, iniziata nel sec. VII, si conclude nel sec. VIII, con la sconfitta successiva del regno berbero di Kusayla, dei Bizantini e della leggendaria regina dell'Aurès (al-Kāhina). Le prime moschee sorgono tra il sec. IX e il X e all'inizio l'arte musulmana presenta non pochi legami con l'arte cristiana. Attratti verso l'Egitto, i Fatimiti favorirono l'invasione degli Arabi Hilaliani, che nel sec. XI introdussero i motivi architettonici ispano-moreschi. Nulla è rimasto dell'architettura del periodo successivo, quello dei berberi Almohadi (sec. XII): la madrāsa di Tlemcen fu demolita nel sec. XIX. A Tlemcen sorge la Grande Moschea, uno dei complessi islamici (assieme a quella di Algeri del 1096) più importanti del Paese, iniziata sotto l'almoravide Yūsuf ibn Tāshfīn e terminata nel 1136. Altri notevoli monumenti musulmani sono la moschea di Sīdī Bū Marwān (1305) ad Annaba (Bona), la moschea di Sīdī ibn ḥasan (1296) a Tlemcen (ora Museo Archeologico) e la Grande Moschea di Costantina del sec. XIV. Con il dominio turco (sec. XVI) fu introdotta la moschea a cupola schiacciata. Con l'occupazione francese nel sec. XIX l'architettura pur conservando le forme locali tradizionali tende a un ammodernamento in senso europeo. Nel sec. XX lo sviluppo e l'urbanizzazione del Paese hanno fornito un campo d'azione notevole per architetti operanti a livello internazionale: è un percorso che va dall'episodio più famoso, lo stupefacente piano “Obus” di Le Corbusier per la città di Algeri, a interventi parziali e meno strutturati, come l'Università di Costantina, progettata, in forme virtuosistiche, da Oscar Niemeyer.

Cultura: teatro

Ostacolarono a lungo la diffusione del teatro in Algeria sia la religione islamica, sia la censura del periodo coloniale, sia la preponderanza come lingue letterarie dell'arabo classico e del francese, entrambe poco comprensibili per buona parte della popolazione. Ma già fra le due guerre (quando nei teatri si rappresentavano soprattutto successi parigini in tournée) scrisse e mise in scena commedie in arabo parlato Rashid Ksentini (1887-1944), alle cui opere e alle cui idee si ispirarono dopo il 1962 il regista Mustapha Kateb e il fecondo drammaturgo Bachtarzi Mahiedine, autore anche di popolari adattamenti da Molière. Ha scritto invece in francese Kateb Yacine, i cui testi hanno avuto notevole risonanza internazionale. Un significativo impulso allo sviluppo del teatro ha dato la creazione, ad Algeri, del Teatro Nazionale Algerino: nel suo repertorio figurano, oltre alle opere di scrittori algerini contemporanei, anche traduzioni in arabo e adattamenti di opere di Beckett, Brecht, Calderón de la Barca, O'Casey.

Cultura: cinema

Il cinema algerino è iniziato con la guerra di liberazione e si è sviluppato, non senza disordine ma con fervore, dopo l'indipendenza (1962): nasce infatti nel cuore della Resistenza con documentari di amici francesi e di operatori del Fronte Nazionale. Anche il primo film a soggetto, Une si jeune paix (1963, Una così giovane pace), è diretto dal francese J. Charby e La battaglia d'Algeri (1966), notevole per il suo impegno civile, benché sia una coproduzione, è firmata da Gillo Pontecorvo. Ma già nel 1967 un regista algerino, Mohammed Lakhdar-Hamina (n. 1934), viene premiato per Il vento dell'Aurès a Cannes, dove nel 1975 un altro suo film, Cronaca degli anni di brace, conquisterà la Palma d'oro. Un film di montaggio del 1965, L'alba dei dannati di Ahmed Rachedi, utilizza i documenti dei colonialisti per un atto d'accusa al colonialismo; in L'oppio e il bastone (1969) lo stesso regista evoca le vicende di un villaggio occupato, mentre il decennio decisivo 1952-62 è illustrato in un affresco di oltre tre ore, La notte ha paura del sole (1966) di Mustapha Badie. A un livello drammatico e politico superiore è La via (1968), dell'esordiente Slim Riad, sui lager francesi in Algeria; e per la sua franchezza neorealistica commuove Mektoub? (1970) di Ali Ghalem, sul calvario dei lavoratori immigrati a Parigi. Alla tendenza dei cineasti più giovani, che premono per affrontare temi sociali d'attualità, fa riferimento il cinema dijdid, cioè nuovo, nell'anno della svolta 1972: cinema legato alla rivoluzione agraria e alle esigenze di un movimento culturale che rifiuta la pura celebrazione del passato e si preoccupa di analizzare la società algerina reale uscita dal colonialismo e dalla guerra. I titoli di maggiore spicco, in un'ondata di film di rilievo, sono forse Il carbonaio, di Mohamed Bouamari, e Noua di Abdelaziz Tolbi. Ma per la loro franchezza sociale e la loro attualità vanno citati anche Le famiglie per bene di Djaffar Damardji che, come La burocrazia di Djamel Bendeddouche, attacca la nuova borghesia burocratica, Zona proibita di Ahmed Laled, I predatori di Lamine Merbah; mentre il vigoroso film proletario Sudore nero di Sid Ali Mazif, girato nel 1970, è uscito solo nel 1974. Tra le opere degli anni successivi, in cui il nuovo fronte si è per la verità un po' indebolito, si sono imposte L'eredità (1974) di Bouamari e, sulla rivolta femminile allo spirito feudale ancora presente nelle campagne, Il vento del Sud (1975) di Slim Riad, regista che nel 1974 ha dedicato Ritorneremo alla causa del popolo palestinese. Nel 1976 una nuova tappa è stata raggiunta da Omar Gatlato, opera prima di Merzak Allouache, in cui con spregiudicata allegria vengono colte criticamente le contraddizioni di una città come Algeri. È questa una vittoria del cinema algerino di Stato, che ha capito di dover lasciare ai cineasti libertà di intervento nelle cose che non funzionano. Negli anni Ottanta è emersa la personalità decisa di Mohamed Chouikh che, dopo aver realizzato nel 1982 Rupture, con Al-Kalaa (1988; La cittadella) ha dipinto un fiero e duro ritratto della condizione femminile nella società algerina contemporanea. Uno dei film più recenti che ha riscosso un certo apprezzamento a livello internazionale è Rachida, della regista Y. B. Chouikh, presentato a Cannes nel 2002. Il Festival internazionale del Cinema, istituito nel 2006 e giunto nel 2019 alla 10a edizione, è stato creato proprio allo scopo di dare nuova linfa alla produzione algerina.

Bibliografia

Per la geografia

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Per la storia

J. Gillespie, Algeria. Rebellion and Revolution, Londra, 1960; Ch.-A. Julien, Histoire de l'Algérie contemporaine, vol. I (1827-71), Parigi, 1971; Ch.-R. Algeron, Histoire de l'Algérie contemporaine, Parigi, 1971; G. Martin, Histoire de l'Algérie française, Parigi, 1979; A. Horne, Storia della Guerra d'Algeria, 1954-1962, Milano, 1980; M. Bennoune, The Making of Contemporary Algery. 1830-1987, Cambridge, 1988; P. Santacroce, Algeria, Milano, 1988.

Per la letteratura

A. Dupuy, L'Algérie dans les lettres d'expression française, Parigi, 1956; A. Roth, Le Théâtre algérien, Parigi, 1967; A. Khatibi, Le roman maghrébin, Parigi, 1968; C. Bonn, La littérature algérienne de langue française, Sherbrooke, 1974; J. Dejeux, La littérature algérienne contemporaine, Parigi, 1975; C. Achour, Anthologie de la littérature algérienne de langue française (comprende anche una storia letteraria), Parigi, 1990.

Per l'arte

M. van Berchem, À la recherche de Sédrata, in “Archaeologica orientalia in memoriam E. Herzfeld”, 1952; L. Golvin, Notes sur quelques débris de platre trouvé à la Qal'a des Béni-Hammad, in “Mélanges G. Marçais”, Algeri, 1957; R. Dokali, Les mosquées de la période turque à Alger, Algeri, 1974.

Per il cinema

G. Hennebelle, Petite planète du cinéma: Afrique, in “Cinéma 70”, 142, Parigi, 1970; Y. Dadci, Dialogues Algérie-Cinéma: première histoire du cinéma algérien, Parigi, 1970.

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