Lessico

sf. [sec. XIII; dal latino electío-ōnis].

1) L'eleggere o l'essere eletto, in particolare, a una carica, a una dignità specialmente per mezzo di suffragi. Al pl., complesso di atti per i quali i cittadini realizzano il diritto di voto e scelgono i loro rappresentanti; con le elezioni politiche quelli della Camera dei Deputati e del Senato, con le elezioni amministrative quelli dei consigli comunali, provinciali e delle regioni. Per la sua estensione a tutti i membri di una collettività organizzata il termine elezione equivale a consultazione popolare.

2) Lett., scelta: “niuno secondo debita elezione ci s'innamora” (Boccaccio); patria d'elezione, Paese diverso da quello d'origine, ma prescelto come patria per motivi di affinità ideali, culturali, ecc.

Diritto canonico

Designazione d'una persona legalmente idonea a essere preposta a un ufficio ecclesiastico vacante, fatta da coloro che hanno diritto di suffragio. Tale designazione avrà efficacia a seguito dell'accettazione da parte dell'eletto e della conferma da parte dell'autorità competente. Essa deve essere effettuata entro i tre mesi dal giorno in cui il collegio elettorale è stato regolarmente informato della vacanza. Requisiti dell'elettore sono: sanità mentale; essere battezzato e non aver aderito a una setta eretica o scismatica; appartenere alla comunità che deve fare l'elezione; essere chierico o religioso professo; non essere incorso in pene o censure escludenti il diritto di voto.

Diritto pubblico

Il concetto di elezione ha il suo fondamento necessario in quello di democrazia e discende direttamente dai principi che di essa formano la sostanza: legge uguale per tutti, eguaglianza di potere, libertà di parola e di azione. Da questi principi scaturisce come necessario corollario l'uguaglianza di tutti i cittadini nell'usufruire del diritto di voto. L'esigenza di scegliere propri rappresentanti nell'amministrazione quotidiana del potere deriva dall'impossibilità di essere presenti sempre e tutti a ogni atto amministrativo. Di conseguenza l'eletto avrà solo un potere delegato, fissato dalla legge, e rimarrà in ogni momento solo un esecutore della volontà dei suoi elettori. Questi concetti trovano la loro prima affermazione e applicazione nelle piccole democrazie greche, che nei sec. VII e VI a. C. erano sorte in contrapposizione ai regimi oligarchici per il propagarsi del benessere economico grazie a più intensi commerci: un ugual diritto di voto per tutti i cittadini risulta già acquisito nella legislazione di Solone, che riconosceva a tutti i cittadini della pólis il diritto a nominare i magistrati e a controllare il loro operato. La votazione era individuale e pubblica per alzata di mano, o segreta con urne e tessere di voto; in entrambi i sistemi decideva la maggioranza di voti. Le cariche elettive avevano breve durata (da quattro a sei mesi in molte città greche), a salvaguardia della democrazia; una deroga a questo principio fu introdotta solo nel periodo ellenistico. Accanto alla bulè o assemblea generale esisteva il Consiglio, specie di commissione rappresentativa dell'assemblea popolare con potere (trasferitogli dalla bulè) su tutti gli aspetti della vita cittadina. Poteri e competenze del Consiglio erano generici, mentre quelli dei singoli magistrati si limitavano strettamente alle loro funzioni. I magistrati dei singoli settori esercitavano spesso il potere collegialmente: si aveva così il collegio degli strateghi per le cose militari, degli amministratori finanziari, ecc. Sia i singoli magistrati sia i collegi erano soggetti al controllo della bulè. Nell'antica Roma il voto nelle assemblee popolari sostituì in tempi non accertati la designazione dei successori da parte del titolare del potere: i cittadini erano chiamati a votare per centurie o per tribù e all'interno di queste valeva il voto della maggioranza; nel comizio centuriato per l'elezione dei consoli, pretori e censori occorreva il voto favorevole di 97 centurie su 193, mentre nelle elezioni degli edili curuli e dei questori (eletti dai comizi curiati) era necessario il voto di almeno 18 tribù su 35; tribuni ed edili plebei erano eletti dai concili della plebe. Raggiunto il quorum necessario, la votazione veniva immediatamente sospesa e si dava subito luogo alla proclamazione degli eletti. Dal sec. III a. C. si cominciò a votare anche per la scelta di sacerdoti e magistrati minori. L'ordine con cui le tribù o le centurie erano chiamate a votare era affidato alla sorte: si estraeva infatti il nome della prima tribù o centuria e del primo votante di queste. Con Augusto e Tiberio la competenza elettorale per i consoli e i pretori venne trasferita prima a un'assemblea mista di cavalieri e di senatori e poi ai soli senatori: i comizi curiati perdettero ogni attribuzione e la democrazia ebbe solo un aspetto formale. I candidati dovevano possedere l'ingenuità (stato giuridico dei nati liberi), la cittadinanza con diritto di voto, l'età prescritta e l'appartenenza al patriziato o alla plebe secondo la magistratura a cui aspiravano. Il magistrato in carica accertava la presenza di questi requisiti per ogni candidato e indagava su eventuali ostacoli alla nomina: indegnità, cumulo di cariche, intervallo prescritto fra una carica e l'altra. Successivamente anche queste forme di democrazia scomparvero e, dopo la caduta dell'Impero romano, il Medioevo, con l'applicazione del principio Omnis potestas a Deo, ne oscurò persino il ricordo. A riportare alla luce i principi democratici furono proprio le grandi controversie tra potere civile e religioso: Giovanni di Parigi, in difesa di Filippo IV il Bello e contro papa Bonifacio VIII, trovava la famosa formula populo faciente et Deo inspirante, che preannunzia quella del costituzionalismo liberale: “Per grazia di Dio e volontà della nazione”. Sensibile al principio della rappresentanza, il Medioevo non assegnava la stessa importanza a quello elettivo, pure ugualmente necessario per una vera democrazia: anche nella vita comunale era scarso l'interesse per i molti o i pochi elettori di una carica. Mancava un vero concetto politico dell'eguaglianza degli uomini e anche il suo maggior scrittore progressista, Marsilio da Padova, descrive bensì le forme costituzionali della sua città e il potere legiferante del popolo riunito nell'arengo, ma riporta con ugual tono le consuete ineguaglianze e le limitazioni delle classi inferiori. Nel Rinascimento l'ispirazione democratica diventa negli spiriti più eletti desiderio di forme repubblicane, dove le leggi abbiano il consenso di tutti. In epoca moderna il diritto al voto, espresso nelle elezioni, è direttamente legato alle dottrine sulla sovranità popolare. Esso trovò un terreno fertile dopo la Rivoluzione inglese con la nascita dei partiti tory e whig e l'affermazione dei diritti del popolo e del Parlamento contro la monarchia. Ma la prima legislazione completa sulle elezioni si ebbe in Francia all'inizio della Rivoluzione (1789) con la proclamazione del diritto universale di voto per tutti i cittadini in età superiore ai 25 anni; nel 1791 l'età venne portata a 21 anni per gli elettori “primari” e rimase a 25 per i “secondari”. Cambiamenti si ebbero ancora per l'età, il censo, la ripartizione dei collegi elettorali, finché nel 1851 fu attuato il principio del suffragio universale, riconoscendo il diritto di voto ai cittadini di 21 anni senza ulteriori distinzioni; rimanevano però escluse le donne. Oggi la maggior parte degli Stati attua il suffragio universale, riconoscendo il diritto anche alle donne, ed esclude dal voto solo i malati di mente, i minori e quanti sono privati dei diritti politici per pendenze penali.

Sistemi elettorali: generalità

I principi a cui si ispirano i vari sistemi elettorali sono: A) il suffragio universale o ristretto: il primo si basa sul diritto di ogni membro della comunità a esercitare il voto in assoluta libertà, ivi compresa la libertà di non votare; il secondo mette il voto in rapporto alla gestione degli affari comuni e quindi lo limita a quanti ne hanno una conoscenza adeguata. Il suffragio universale prevale nell'ambito pubblico, quello ristretto nell'ambito privato, anche se talora sono concorrenti. B) Scrutinio segreto o pubblico: quest'ultimo è stato usato specialmente in passato per educare il cittadino al coraggio civico; oggi è di uso universale lo scrutinio segreto come elemento necessario alla tutela dell'elettore contro ogni genere di pressione esterna. C) Suffragio diretto o indiretto: nel primo l'elettore vota il candidato alla funzione di suo rappresentante senza intermediari; nel secondo egli designa solo un cittadino che a sua volta eleggerà il candidato a una carica pubblica.

Sistemi elettorali: sistema maggioritario a scrutinio uninominale

Il Paese viene diviso in tante circoscrizioni elettorali quanti sono i candidati da eleggere e in ogni circoscrizione prevale quello che ha raccolto il numero maggiore di voti. Il sistema (majority role) si è affermato nel mondo anglosassone (Gran Bretagna e Stati Uniti) ed è stato poi applicato anche nel Canada (1887), nell'Unione Sudafricana (1910), in Messico, Paraguay, Guatemala, Ghana e Liberia. Questa procedura elettorale non consente uniformità fra la distribuzione dei voti e quella dei seggi, ma il partito che ottiene la maggioranza finisce per avere una super-rappresentanza parlamentare, a svantaggio delle altre forze politiche, che si trovano “sottorappresentate”.

Sistemi elettorali: sistema maggioritario a doppio scrutinio

Introdotto in Francia nel 1831, ha lo scopo di superare talune deficienze del sistema a maggioranza semplice, perché stabilisce che se nessun candidato raggiunge la maggioranza dei suffragi (quorum dei votanti) o addirittura la maggioranza degli aventi diritto di voto (quorum degli iscritti), si effettua un secondo turno di votazione (ballottaggio), limitato di solito ai due candidati che hanno raggiunto il più alto numero di voti nel primo turno (nel secolo scorso non sono però mancati esempi di Stati, come la Svizzera, che hanno adottato addirittura il terzo scrutinio, pur di evitare notevoli squilibri fra la volontà degli elettori e il “peso” parlamentare degli eletti). Questo sistema è stato adottato, fra la fine dell'Ottocento e la metà del Novecento, da parecchi Paesi europei fra cui l'Italia.

Sistemi elettorali: sistema della rappresentanza proporzionale

Il sistema teorizzato in Gran Bretagna dal duca di Richmond fin dal 1780 e applicato in Francia dopo il 1789, non solo ricerca una più equa rappresentanza delle minoranze, ma vuole offrire a ogni elettore un'identica “forza rappresentativa”, indipendentemente dal partito o dal candidato al quale ciascuno dà il proprio voto, cercando di realizzare nelle assemblee legislative la stessa distribuzione fra le forze politiche che si riscontra nel corpo elettorale; diverse sono le tecniche applicate per stabilire il quoziente elettorale e per regolare la ripartizione dei resti; di questi i più usati sono: attribuzione dei seggi non assegnati alla lista che ha ottenuto i resti maggiori; assegnazione dei seggi non assegnati alla lista che ha la media più alta di voti, in base alla media dei voti ottenuti per ogni deputato di ciascuna lista. Questo sistema è stato applicato dal Belgio nel 1899, dalla Svezia nel 1909, dalla Danimarca nel 1915, dai Paesi Bassi nel 1918 in concomitanza al diffondersi dei sistemi di democrazia popolare.

Sistemi elettorali in Italia

Fino al 1882, a fianco del Senato vitalizio di nomina regia, la Camera dei Deputati era eletta a suffragio ristretto con criterio di censo e con il sistema maggioritario a doppio scrutinio, sulla base dei collegi uninominali. Con la riforma Depretis del 1882 lo scrutinio uninominale fu sostituito da quello di lista in piccoli collegi plurinominali (da 2 a 5 seggi) che rimase in vigore fino al 1891, quando fu reintrodotto il collegio uninominale. Con la legge 15 agosto 1919, n. 1401, venne adottato il sistema proporzionale, con liste concorrenti e riparto dei seggi attraverso il metodo d'Hondt. La riforma Acerbo (legge 18 novembre 1923, n. 2444) stabilì che alla lista che avesse ottenuto la maggioranza, anche relativa (almeno il 25% dei voti), sarebbero spettati i 2/3 dei seggi, mentre il rimanente terzo dei seggi veniva proporzionalmente ripartito fra le altre liste. Ridotte le elezioni, a partire dal 1928, alla semplice approvazione di un'unica lista nazionale, stabilita dal Gran Consiglio del fascismo, dopo il 1938 la Camera dei Deputati venne addirittura soppressa e sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni, di origine non elettiva. Dopo la Liberazione (1945), le elezioni rientrarono nei principi democratici sanciti dalla Costituzione repubblicana: secondo l'art. 48 della stessa sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale e eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile, o nei casi d'indegnità morale indicati dalla legge. Norme specifiche riguardano la disciplina dell'elettorato attivo e la tenuta e revisione delle liste elettorali. Sono iscritti d'ufficio nelle liste elettorali i cittadini che possedendo i requisiti per essere elettori e non essendo incorsi nella perdita definitiva o temporanea del diritto elettorale attivo sono compresi nel registro della popolazione stabile del comune. Ogni comune è diviso in sezioni elettorali e il cittadino iscritto è assegnato alla sezione nella cui circoscrizione ha, secondo l'indicazione della lista generale, la propria abitazione. I deputati, in numero di 630, sono eletti a suffragio universale con voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste di candidati concorrenti. Sono eleggibili a deputati gli elettori che abbiano compiuto il venticinquesimo anno di età entro il giorno delle elezioni; i senatori, in numero di 315, sono eletti a base regionale, a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età; sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno di età. Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. La proclamazione degli eletti sia per la Camera dei Deputati sia per il Senato è compito dell'Ufficio elettorale: questo determina la cifra elettorale per ogni singolo gruppo di candidati e la cifra individuale dei singoli candidati di ciascun gruppo. Con il referendum del 18 aprile 1993, l'82% del corpo elettorale italiano ha abrogato il sistema proporzionale in vigore per l'elezione del Senato. La legge 4 agosto 1993, n. 276, ha poi introdotto il sistema maggioritario a un turno per l'aggiudicazione del 75% dei seggi senatoriali. Il sistema in vigore per l'elezione del Senato prevede che in ogni collegio elettorale venga eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti. Le liste partecipanti all'elezione otterranno tanti seggi quante sono state le vittorie dei loro candidati nei rispettivi collegi elettorali. Per esempio, se il partito "P¹" ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti in 5 collegi mentre il partito "P²" ha ottenuto negli stessi collegi la restante percentuale dei voti (49%) al primo partito verranno attribuiti i 5 seggi e al secondo non ne verrà attribuito alcuno. Tale sistema è mitigato dalla ripartizione proporzionale del restante 25% dei seggi. La legge elettorale proporzionale della Camera del 4 agosto 1993, n. 277, prevede che il 75% del totale dei seggi sia attribuito nell'ambito di altrettanti collegi uninominali mentre il restante 25% è attribuito in ragione proporzionale mediante riparto tra le liste concorrenti. Per le elezioni politiche, l'art. 8 della legge n. 276/1993, ha sancito il principio dell'esercizio del diritto di voto degli elettori italiani residenti all'estero. Sempre per quel che riguarda gli elettori italiani residenti all'estero, la legge costituzionale 17 gennaio 2000, n. 1, a modifica dell'art. 48 della Costituzione, istituisce un'apposita “Circoscrizione Estero” nella quale i cittadini italiani possono scegliere, con sistema proporzionale, i propri rappresentanti ed essere, a loro volta, eletti. La legge 27 dicembre 2001, n. 459, prevede il voto per l'elezione delle Camere e per i referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione e stabilisce che gli elettori votino per corrispondenza o anche in Italia. In tale caso votano nella circoscrizione del territorio nazionale relativa alla sezione elettorale in cui sono iscritti. La legge 25 marzo 1993, n. 81, ha modificato il sistema elettorale comunale e provinciale stabilendo altresì l'elezione diretta del sindaco e del presidente della Provincia. Il testo unico sugli ordinamenti degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, prevede che nei Comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti l'elezione dei consiglieri comunali si effettui con il sistema maggioritario contestualmente all'elezione del sindaco. Ciascuna candidatura alla carica di sindaco è collegata a una lista di candidati alla carica di consigliere comunale. A ciascuna lista di candidati alla carica di consigliere sono attribuiti tanti voti quanti quelli ottenuti dal candidato alla carica di sindaco a essa collegato. Alla lista collegata al candidato alla carica di sindaco che ha riportato il maggior numero di voti sono attribuiti 2/3 dei seggi assegnati al Consiglio. I restanti seggi sono ripartiti proporzionalmente fra le altre liste. Nei Comuni con più di 15.000 abitanti il sindaco è eletto a suffragio universale e diretto, contestualmente all'elezione del consiglio comunale, ed è previsto il premio di maggioranza (60% dei seggi) per la lista vincente collegata al candidato sindaco che abbia raggiunto la maggioranza assoluta dei voti. L'elezione dei consiglieri provinciali è effettuata sulla base di collegi uninominali. Al fine di assicurare a tutte le forze politiche l'accesso ai mezzi di informazione e alla comunicazione politica il Parlamento ha approvato la legge 22 febbraio 2000, n. 28. In base a essa dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino a tutto il penultimo giorno prima della data delle elezioni, gli editori di quotidiani e periodici, qualora intendano diffondere a qualsiasi titolo messaggi politici elettorali, devono darne tempestiva comunicazione sulle testate edite, per consentire ai candidati e alle forze politiche l'accesso ai relativi spazi in condizioni di parità fra loro. Nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni è vietato rendere pubblici o, comunque, diffondere i risultati di sondaggi demoscopici sull'esito delle elezioni e sugli orientamenti politici e di voto degli elettori, anche se tali sondaggi sono stati effettuati in un periodo precedente a quello del divieto. I Consigli regionali delle Regioni a statuto normale sono eletti a suffragio universale con voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste di candidati concorrenti. Per quanto riguarda l'elezione dei consiglieri regionali, la legge n. 43 del 23 febbraio 1995 ha disposto l'adozione di una soluzione mista (80% proporzionale, 20% maggioritario) per l'attribuzione dei seggi, in grado di assicurare alle liste collegate un premio di maggioranza. Il Consiglio regionale è composto di 80 membri nelle Regioni con popolazione superiore a 6 milioni di abitanti; di 60, 50 e 40 membri nelle regioni con popolazione superiore rispettivamente a 4,3 e 1 milione di abitanti; di 30 membri nelle altre Regioni.

Bibliografia

G. Schepis, I sistemi elettorali: teoria, tecnica, legislazioni positive, Empoli, 1955; G. van den Bergh, Unity in Diversity. A Systematic Critical Analysis of all Electoral Systems, Londra, 1956; L. Preti, Diritto elettorale politico, Milano, 1957; A. Burdese, Manuale di diritto pubblico romano, Torino, 1966; D. Fisichella, Sviluppo democratico e sistemi elettorali, Firenze, 1970; R. Cartocci, Elettori in Italia, Bologna, 1990.

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