Pitt, William, detto il Gióvane

uomo politico inglese (Hayes, Kent, 1759-Putney, Londra, 1806). Secondogenito di W. Pitt il Vecchio, fu eletto alla Camera dei Comuni nel 1780. All'opposizione durante il ministero North, cancelliere dello Scacchiere (1782) nell'interregno Shelburne, Pitt divenne primo ministro il 19 dicembre 1783. Il giovanissimo statista, oratore caustico, dotato d'un innegabile ascendente personale, mantenne la suprema carica per circa un ventennio mentre la politica interna ed estera del suo Paese era in una fase estremamente delicata. I primi atti della gestione Pitt furono diretti ad affrancare la figura del primo ministro, autentico sostituto del capo dello Stato, dal condizionamento della corona. Successivamente lo statista, per garantirsi dai contrasti di un'implacabile opposizione, riportò in auge il partito tory al quale conferì il carattere proprio di gruppo parlamentare indipendente e soprattutto progressista. Già pochi mesi dopo la sua nomina, Pitt, battuto dall'opposizione, sciolse il Parlamento trionfando alle elezioni e rafforzando la sua posizione. In quegli anni l'Inghilterra subiva, oltre ogni previsione, i contraccolpi della rovinosa guerra con le colonie americane: non solo l'impero veniva vistosamente ridimensionato, ma l'economia del Paese era sull'orlo del collasso. Pitt, per risanare le finanze dello Stato, si affidò a una rigida e coraggiosa politica amministrativa e fiscale. Introducendo a getto continuo nuovi sistemi di tassazione che bersagliavano quasi esclusivamente i ceti abbienti, riuscì a controllare e poi a ridurre il debito pubblico. Nel 1786 ripristinò, aggiornandolo, un fondo di ammortamento del debito pubblico e nel 1787, con l'appoggio della Banca d'Inghilterra, istituì il cosiddetto “fondo consolidato” che raccoglieva tutte le entrate dello Stato. Altri provvedimenti importanti di quel primo periodo furono la mitigazione della tratta degli schiavi, l'incremento degli scambi commerciali con la Francia, la conferma dell'eguaglianza religiosa, la riorganizzazione delle colonie indiane. Nel 1789 scoppiò in Francia la Rivoluzione e gli Inglesi accolsero ovunque con approvazione l'evento della presa della Bastiglia. Lo stesso Pitt pensò che le strutture francesi si sarebbero avvicinate al modello inglese e che comunque una spietata lotta civile avrebbe danneggiato o indebolito i tradizionali nemici dell'Inghilterra. La condanna a morte di Luigi XVI, gli eccessi del Terrore, l'occupazione del Belgio produssero in Pitt un netto rovesciamento di posizione. Ma più che le Riflessioni di Edmund Burke e la delusione giacobina, fu l'espansionismo dei nuovi francesi a far uscire l'Inghilterra dalla neutralità. Pitt, anima della coalizione europea, cominciò allora con la Francia (1793) una guerra che doveva durare più di vent'anni. Ma intanto le nuove idee avevano investito vasti strati popolari inglesi assai critici nei confronti del governo. Pitt non esitò ad applicare la politica della mano di ferro: assicuratosi il controllo del Parlamento, limitò le libertà pubbliche, sospese l'habeas corpus, condannò duramente gli elementi sospetti, suscitando contro la sua persona tumulti di piazza. Un altro grave problema che investì minacciosamente il governo Pitt fu la nuova ripresa del nazionalismo irlandese. Domate le rivolte del 1798, concesse alcune libertà, proclamò nel 1800 l'Atto d'Unione per integrare l'Irlanda nel regno britannico. Giorgio III tuttavia non ne volle sapere di accordare l'emancipazione dei cattolici e lo statista si dimise (1800). Pitt tornò al governo nel 1804 chiamatovi in un momento di emergenza quando l'audacia napoleonica pareva, con la minaccia di invasione dell'isola, sfidare la libertà della stessa Inghilterra. Il prestigioso successo dell'ammiraglio Nelson si rivelò soltanto una felice pausa per gli Inglesi e per Pitt. Gravemente minato nella salute, lo statista si spense poco dopo il trionfo di Napoleone ad Austerlitz.

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