Chimica: generalità

sm. [sec. XIV; dal latino medievale antimonium, forse risalente all'arabo ithmid]. Elemento chimico di simbolo Sb, peso atomico 121,760, numero atomico 51. Ha due isotopi stabili 121Sb 57,25% e 123Sb 42,75%. In natura l'antimonio si trova allo stato nativo, raramente puro, in masse compatte costituite da cristalli trigonali di colore bianco-stagno o grigio chiaro e lucentezza metallica. Di solito l'antimonio si trova sotto forma di solfuro Sb2S3, stibina o antimonite, e in vari minerali solforati del rame, dell'argento, del piombo come la tetraedrite, la pirargirite e la boulangerite. L'antimonio metallico si ricava dalla stibina trattandola a caldo con ferro metallico oppure con carbone in presenza di carbonato di sodio:

L'antimonio così ottenuto viene poi eventualmente raffinato per via elettrolitica. Il metallo puro fonde a 630,5 ºC, presenta un colore simile a quello dell'argento e uno splendore metallico; è assai fragile, tanto da poter essere facilmente polverizzato. All'aria, anche umida, si conserva inalterato alla temperatura ambiente; riscaldato a temperature elevate invece brucia con fiamma azzurrastra trasformandosi nell'ossido Sb2O3. È relativamente resistente agli agenti chimici, per esempio all'acido cloridrico e all'acido solforico diluiti; l'acido nitrico di media o di alta concentrazione lo attacca trasformandolo a seconda delle condizioni negli idrati degli ossidi Sb2O3 e Sb2O5. Oltre alla forma ora descritta e indicata col nome di antimonio grigio, l'unica di importanza pratica, l'antimonio presenta una modificazione allotropica gialla, stabile solo a temperatura molto bassa e simile nelle sue proprietà al fosforo giallo, e una forma allotropica nera, anch'essa instabile, amorfa e che tende a trasformarsi spontaneamente nella forma grigia. Esiste anche una quarta forma dell'antimonio, l'antimonio esplosivo, che non può essere però considerata come modificazione allotropica perché contiene piccole quantità di cloruro d'antimonio. L'antimonio esplosivo riscaldato a 100 ºC, o raschiato con uno spillo, esplode con notevole sviluppo di calore trasformandosi nella forma metallica stabile. Date le sue scadenti qualità meccaniche, l'antimonio metallico puro non ha alcuna applicazione pratica, mentre importanti impieghi trova in leghe, in particolare con il piombo e lo stagno. L'aggiunta di piccole percentuali di antimonio a questi elementi li indurisce notevolmente e ne migliora le altre proprietà meccaniche. La lega piombo-stagno al 10-20% di antimonio viene usata per batterie di accumulatori, per pallini da caccia, per caratteri da stampa e per metalli antifrizione (3-10% di antimonio). Con lo stagno l'antimonio forma leghe per oggetti di falsa argenteria (metallo Britannia, 14% di antimonio) e il peltro per posateria (69% di stagno, 17% di antimonio, 4% di rame).

Chimica: i composti dell'antimonio

Nei suoi composti chimici l'antimonio presenta un tipico carattere semimetallico; il composto Sb(OH)3, per esempio, è un anfolito che si può disciogliere nell'acido cloridrico acquoso fungendo da base e trasformandosi nel tricloruro di antimonio, SbCl3, ma che si discioglie anche nelle soluzioni degli idrossidi alcalini comportandosi come acido antimonioso, H3SbO3, e dando luogo alla formazione dei corrispondenti antimoniti. Nei suoi composti l'antimonio presenta generalmente le valenze 3 e 5 e solo nell'ossido Sb2O4 (che si ottiene dagli altri riscaldandoli all'aria a una temperatura compresa tra i 700 e i 910 ºC) la valenza 4. I composti dell'antimonio trivalente derivano dal corrispondente ossido Sb2O3, una polvere bianca che per riscaldamento assume un colore giallo ma torna a quello originale raffreddandola. L'ossido di antimonio (III) è insolubile in acqua, ma solubile negli acidi e nelle basi forti. Ugualmente insolubile, ma di colore giallo aranciato, è il corrispondente solfuro Sb2S3 quando sia stato preparato facendo gorgogliare una corrente di acido solfidrico nella soluzione di un sale di antimonio (III); combinando invece a caldo lo zolfo e l'antimonio, oppure riscaldando a temperature abbastanza elevate il solfuro arancione, si ottiene la forma grigia, cristallina e corrispondente alla stibina naturale. I composti dell'antimonio (V) derivano dall'ossido Sb2O5, una polvere di colore giallo insolubile in acqua ma solubile nelle soluzioni basiche concentrate con la formazione di antimoniati, come per esempio l'antimoniato di potassio K3SbO4. Il solfuro corrispondente Sb2S5 si presenta come una polvere di colore bruno scuro oppure rosso aranciato a seconda dello stato di aggregazione, che, riscaldata al di sopra dei 150 ºC in atmosfera inerte, si decompone in zolfo e nel trisolfuro Sb2S3. Il pentasolfuro si combina con i solfuri alcalini formando tioantimoniati come il cosiddetto sale di Schlippe, Na3SbS9H2O. Un altro sale di antimonio assai comune e usato per esempio come mordente è il cosiddetto tartaro emetico, un sale complesso di potassio dell'antimonio con l'acido tartarico.

Medicina e tossicologia

In medicina, numerosi derivati organici e inorganici dell'antimonio hanno interesse per le loro proprietà antielmintiche e antiprotozoarie. La conoscenza del valore terapeutico dell'antimonio risale a epoche molto remote: gli antichi Egizi facevano uso di preparati a base di antimonite sia a fini cosmetici sia per la profilassi di alcune malattie dell'occhio (congiuntivite epidemica, tracoma, ecc.). Anche nelle antiche civiltà dell'India, del Messico e della Cina erano note le proprietà antiparassitarie di vari composti antimoniali. Nel sec. XVI la terapia antimoniale ebbe un momento di grande fortuna, tanto da trovare applicazione in quasi tutte le malattie. Ormai l'utilizzazione dei composti antimoniali in medicina è sostanzialmente limitata al trattamento di alcune malattie tropicali, quali la leishmaniosi cutanea e viscerale (kala-azar), la filariosi e la bilarziosi. I farmaci antimoniali possono essere tossici, specie nel bambino. L'avvelenamento acuto provoca spasmi addominali, disturbi gastrici, diarrea, cianosi, crampi facciali e nei casi più gravi collasso cardiocircolatorio. La terapia dell'avvelenamento consiste in lavande gastriche assieme alla somministrazione parenterale di antidoti, per esempio il dimercaprolo.

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