coagulante

agg. e sm. [ppr. di coagulare]. Che provoca o facilita la coagulazione. § In farmacologia, sostanza che provoca la coagulazione del sangue oppure normalizza o migliora l'efficienza dei meccanismi fisiologici dell'emostasi. I farmaci coagulanti vengono solitamente divisi in generali e locali, differendo gli uni dagli altri sia per il meccanismo d'azione sia per le indicazioni terapeutiche. Tra i coagulanti generali figurano gli estratti tissutali ad azione tromboplastinica, vari preparati a base di vitamina K, la globulinaantiemofilica, il siero e le frazioni concentrate di plasma umano. Tali farmaci sono indicati nei disturbi della coagulazione dovuti a carenza di uno o più fattori specifici, oppure quando si voglia prevenire o arrestare emorragie in territori dell'organismo che non sono raggiungibili con altri mezzi. In queste circostanze trovano anche applicazione i vasocostrittori e i prodotti che aumentano la resistenza delle pareti vasali, come per esempio l'adrenalina e le sostanze adrenalino-simili, i principi attivi della segale cornuta, dell'idraste, dell'amamelide, l'acido ascorbico, i bioflavonoidi, ecc. Nelle emorragie direttamente aggredibili dall'esterno sono indicati soprattutto i coagulanti locali (o emostatici) tra cui vanno ricordati i denaturanti delle proteine sieriche (cloruro ferrico, acido tannico, sali d'alluminio), la trombina, gli estratti d'organo. I più attivi sono i cosiddetti tamponi riassorbibili, largamente adoperati specie in campo chirurgico. Si tratta di sostanze che, applicate localmente nella sede dell'emorragia, sono completamente riassorbite in un periodo di 15-30 giorni, esercitando così un'azione protratta senza produrre alterazioni a carico dei tessuti. I più comuni tamponi emostatici sono le spugne di fibrina e di gelatina, la cellulosa ossidata, l'alginato di calcio.

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