Definizione

sf. [sec. XIX; dal greco éschatos, ultimo+-logia]. Complesso di credenze religiose concernenti l'“estremo” destino dell'uomo o del mondo. Non tutte le religioni posseggono un'escatologia organica, in quanto non tutte sono orientate da una qualsiasi meta futura rispetto alla condizione presente. Anzi, per lo più le religioni sono orientate da una mitologia delle origini e dunque rivolte a una sacralità anteriore al tempo storico e non posteriore come si presenta la realtà escatologica.

Le religioni di salvezza

Il vero e proprio orientamento escatologico si ha nelle religioni dette di “salvezza”, ossia in quelle che pretendono di “salvare” dalla condizione umana (o dalla realtà mondana) considerata negativamente rispetto alla condizione che si acquisterà dopo la morte. Tra queste religioni si possono annoverare forse i “misteri” dell'antichità greco-romana, e certamente le grandi religioni supernazionali quali il cristianesimo, l'islamismo e il buddhismo. I temi dell'escatologia cristiana sono raccolti nella formula dei quattro “novissimi” (dal latino novissima, “le cose estreme”): morte, giudizio, inferno e paradiso. La concezione di un'anima che sopravviva alla morte corporale è necessaria ma non sufficiente alla formulazione di un'escatologia.

Le religioni primitive

La maggior parte delle religioni primitive o arcaiche, pur avendo un concetto di anima o qualcosa di analogo (“spirito”, “doppio”, “ombra”, ecc.), non fondano su di esso alcuna escatologia, in quanto irrilevante ai fini a cui tali religioni rispondono: la salvezza nel mondo, durante la vita, e non la salvezza dal mondo, dopo la morte. Perciò non chiameremmo escatologia in senso proprio ogni descrizione o raffigurazione dell'oltretomba come “mondo dei morti” situato sotto terra, nel mare, in cielo, a occidente, ecc., secondo le caratteristiche culturali dei vari popoli. Tali concezioni possono non rispondere di per sé all'esigenza di conoscere e di meritare una buona sorte oltretombale, ma per lo più rispondono all'esigenza di separare definitivamente i morti dai vivi, in modo da liberare la vita dall'idea stessa della morte o, in termini religiosi, dalle angosciose e pericolose interferenze dei morti sui vivi.

Il giudizio delle anime

L'elemento che meglio qualifica in senso escatologico ogni concezione dell'oltretomba è senza dubbio il giudizio delle anime. Il cristianesimo ne conosce due: uno individuale, subito dopo la morte, e l'altro collettivo, il Giudizio Universale, alla fine del mondo. L'importanza del giudizio è data dalla sua possibilità di orientare o condizionare il comportamento dei vivi, i quali si debbono adeguare a norme morali e rituali sulla cui trasgressione saranno chiamati a rispondere dopo la morte. Una forma di giudizio nota all'antichità classica è la pesa delle anime (psicostasia), che tuttavia appare in Omero come una valutazione di destini più che di meriti o demeriti. La psicostasia era un importante elemento del giudizio dei morti concepito dagli Egiziani: il cuore del morto veniva messo a confronto su una bilancia con la dea Maat (la “Verità” o il “Giusto Equilibrio”). In altra forma, la psicostasia fa parte della concezione escatologica islamica.

Inferni e paradisi

Il concepimento di “inferni” e “paradisi”, ossia di luoghi oltremondani di sofferenza e di godimento, è complementare a ogni escatologia. La loro raffigurazione varia col variare delle culture. L'inferno e il paradiso cristiani svolgono l'idea della dannazione e della salvezza eterne, rispettivamente come privazione e godimento di Dio. A tale idea fondamentale, comunque, si accompagna l'idea di sofferenze e gioie non solo spirituali ma anche fisiche; infatti l'escatologia cristiana prevede, alla fine del mondo, una “resurrezione della carne” per cui i morti si ricomporranno di anima e corpo e in questa condizione vivranno la nuova vita eterna. “Inferni” e “paradisi” trovano posto anche in un'escatologia, quale quella buddhista, in cui la salvezza ultima è data dall'annullamento dell'individualità, intesa sia come colpa sia come sofferenza di per sé. Nell'escatologia buddhista tali inferni e paradisi, tuttavia, non sono eterni, ma vengono considerati come soste provvisorie nella catena delle reincarnazioni. Oltre alla sorte individuale e collettiva, costituisce materia di escatologia anche la sorte finale del mondo che, tuttavia, di per sé non costituisce la prova di un orientamento escatologico. Non lo è, per esempio, la fine del mondo sentita come “caduta degli dei” dalla mitologia germanica; mentre proprio e soltanto in funzione escatologica si presenta la “fine del mondo” concepita dalla religione cristiana sulla base di quanto è profetizzato nell'Apocalisse, libro che fa parte delle rivelazioni raccolte nel Nuovo Testamento. Oggetto di polemica, tenuto vivo soprattutto dalle correnti ereticali, l'escatologismo divide ancora oggi protestanti e cattolici. Tra le diverse correnti interpretative dei primi va ricordata quella che fa capo a R. Bultmann, che trasferisce l'escatologia dal futuro al presente come attività della grazia in ognuno dei fedeli immersi nella loro realtà quotidiana. I secondi invece fanno riferimento al discorso del Cristo sulla distruzione del tempio (la rovina del tempio equivale alla rovina del giudaismo) e fanno coincidere la fine del mondo con il compimento dell'espansione della Chiesa nel mondo.

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