tribùto (sostantivo)

Indice

Lessico

sm. [sec. XIII; dal latino tribūtum, da tribuĕre, propr., dividere per tribù].

1) Nell'antica Roma, prelevamento fiscale riscosso direttamente dai magistrati o da appaltatori (pubblicani). In epoca posteriore, qualsiasi versamento in natura o in denaro dovuto (anche per ragioni belliche) dai sudditi al signore, da uno Stato all'altro ecc. Oggi, ogni prestazione patrimoniale imposta dalla legge a carico del cittadino a favore dello Stato o di un ente pubblico: imporre il pagamento dei tributi ; chiedere l'esenzione da un tributo.

2) Fig., tutto ciò che si dà o si compie per adempiere a un proprio debito, dovere morale e simili: i cittadini pagarono il loro tributo di sangue per difendere la patria; tributo di riconoscenza, di lodi, di omaggi. Poetico, l'acqua di un affluente o di un immissario: “Et Adda e gli altri onde [il Po] tributo prende” (Ariosto).

Diritto romano

I magistrati erano, in Italia, soprattutto i questori per le terre date in concessione a privati; nelle province senatorie gli ex questori; in quelle imperiali, dopo l'instaurazione del principato, i procuratores. Il dominium ex iure Quiritium era esente da tributo. Il censore determinava il tributum pro capite dovuto dal singolo pater familias. Nelle province erano riscossi un tributum pro capite, che gravava su tutti i residenti in essa, e un tributum soli, che avrebbe dovuto essere stabilito applicando il criterio della produttività del suolo. Diocleziano sottopose a tributo anche il dominium ex iure Quiritium con la riforma finanziaria da lui intrapresa.

Diritto

Dal punto di vista della finanza pubblica, i tributi sono propriamente le entrate che provengono allo Stato dalla riscossione delle imposte e derivano dall'esercizio di un potere pubblico di carattere amministrativo; si distinguono dalle “entrate patrimoniali” che invece derivano dall'esercizio di un'attività di carattere privato. Principio fondamentale stabilito dalla Costituzione alla base dell'imposizione tributaria è la legalità dei tributi (art. 23 Costituzione). Infatti qualunque prestazione patrimoniale deve essere prevista dalla legge. Si ritiene però che la riserva di legge riguardi solamente la previsione del tributo e che esso possa essere istituito e regolato anche con atto diverso dalla legge. Da un punto di vista giuridico, i tributi si distinguono in: imposte, tasse, tributi speciali. È estremamente difficile però definire giuridicamente i criteri che caratterizzano questa classificazione, anche perché spesso la legge usa indifferentemente i tre termini. Per quanto concerne le imposte si può dire che esse consistono in una prestazione patrimoniale stabilita da una legge a carico di un privato, in ragione della sua capacità contributiva per concorrere alla spesa pubblica. Il sistema delle imposte è dunque adottato da uno Stato nell'esercizio del proprio potere di sovranità per fare fronte alle proprie spese. La tassa invece è una prestazione patrimoniale correlata a un atto di un ente pubblico o dello Stato. Originariamente si reputava che la tassa fosse un'imposizione patrimoniale che il soggetto privato doveva adempiere per ottenere dallo Stato o da un ente pubblico un atto che veniva a suo vantaggio. L'evoluzione del sistema tributario ha fatto venire meno l'elemento del vantaggio; la tassa può essere talora imposta per l'emanazione di un atto non richiesto e che non viene a vantaggio del soggetto tassato. I tributi speciali infine possono essere di varia natura. Essi generalmente vengono imposti o perché in seguito all'esercizio di un'attività da parte di un soggetto pubblico il privato è venuto a trovarsi in una situazione di vantaggio (si pensi, per esempio, ai contributi di fognatura), o perché la legge prevede a carico dei privati delle imposizioni patrimoniali, perché un ente pubblico possa esplicare un'attività a vantaggio di altri soggetti (si pensi ai contributi assicurativi). Tutta la materia dell'imposizione tributaria ha subito una radicale modificazione con la legge 9 ottobre 1971, n. 825, contenente delega legislativa al governo per l'attuazione della riforma tributaria. In particolare, la riforma tributaria non ha solo ristrutturato tutto il sistema delle imposte dirette e indirette, ma ha anche ristrutturato sia il sistema dell'accertamento, sia il sistema della riscossione con l'istituzione dell'anagrafe tributaria e del codice fiscale, sia l'organizzazione stessa dell'Amministrazione finanziaria e la materia del contenzioso. Per quanto riguarda il momento dell'accertamento si è voluto unificare in un'unica dichiarazione annuale le dichiarazioni concernenti l'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e giuridiche (IRPEG) e l'imposta locale sui redditi. Per evitare, o almeno cercare di contenere le evasioni, si è imposto ad alcuni soggetti, precedentemente esentati, l'obbligo di tenuta delle scritture contabili. Esse prima erano a carico solo di alcune società; ora, invece, alla tenuta delle scritture contabili sono obbligati non solo le società soggette all'imposta sul reddito delle persone giuridiche, ma anche gli enti pubblici o privati diversi dalle società, che esercitino in modo esclusivo e principale un'attività commerciale, o che non esercitando un'attività commerciale siano soggetti a un'imposta sul reddito delle persone giuridiche, le società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle equiparate per l'applicazione dell'imposta sulle persone fisiche, le persone fisiche che esercitino attività commerciali, arti o professioni ecc. Si è anche voluto assumere come sistema fondamentale per la riscossione dell'imposta, oltre a quello del versamento presso la tesoreria o l'esattoria e a quello dell'iscrizione a ruolo, il sistema cosiddetto della ritenuta diretta, ossia della ritenuta alla fonte o della ritenuta d'acconto. Esso viene generalizzato e adottato per i redditi da lavoro dipendente, redditi di capitale e per lavoro autonomo. L'obbligo alle ritenute concerne, per esempio, società ed enti soggetti all'IRPEG o all'IRPEF, lo Stato e gli altri enti pubblici non solo nei confronti dei propri dipendenti, ma anche di coloro che prestano un lavoro autonomo; grava sugli interessi, sui titoli, sui dividendi, sui premi e sulle vincite. Nel dicembre 2001 è stato approvato dal Consiglio dei ministri il disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale italiano: punti qualificanti della riforma sono la riduzione delle attuali imposte erariali a cinque sole e cioè: IRPEF, IRPEG, IVA, imposta sui servizi, accisa, nonché la predisposizione di un codice destinato a racchiudere unitariamente le disposizioni generali che informeranno il nuovo sistema fiscale. Ulteriori novità riguardano le imposte sui redditi delle persone fisiche e giuridiche che saranno, in particolare, riordinate in modo da ridurre tendenzialmente a due sole le aliquote Irpef (23% e 33%) e ad una aliquota al 33% per l'Irpeg. La riforma avrà una attuazione modulare e progressiva, nell'arco della legislatura, in funzione delle disponibilità finanziarie disponibili per consentire l'abbassamento della pressione fiscale, ed accompagnerà la progressiva soppressione dell'IRAP, a partire dal costo del lavoro.

Diritto: tributi ecclesiastici

Anche per le prestazioni che la Chiesa cattolica impone ai suoi fedeli in via coattiva per ottenere i mezzi necessari al culto divino e al sostentamento dei chierici esiste la distinzione tra imposte, prelievi coattivi di ricchezza effettuati per il soddisfacimento di bisogni collettivi, e tasse, corrispettivo di servizi prestati da enti ecclesiastici. Le imposte sono le decime e i tributi vescovili ordinari (cattedratico, seminaristico) e straordinari, che possono gravare su tutti i beneficiari secolari o religiosi, al fine di soccorrere a qualche particolare necessità della diocesi. Fra le tasse vanno menzionate quelle per il conferimento dei benefici, per la concessione del pallio, quelle di cancelleria, per dispense e giudiziarie, quelle di stola. Fra le imposte ebbe in passato un posto preminente la decima, che si ricollegava a un'antica istituzione della religione ebraica. Il Vangelo (Matteo, X, 10; Luca, X, 7) e San Paolo (I Corinti, IX, 13) affermano che il ministro del culto ha diritto a ricevere dai fedeli la retribuzione delle sue funzioni. Poiché, dopo i primi secoli, le offerte spontanee dei fedeli diminuirono, la Chiesa ricorse alle esortazioni, e quindi ai precetti e alle leggi, per sopperire alle necessità sue e dei suoi chierici. La Riforma protestante considerò con ostilità il pagamento della decima, cosicché il Concilio di Trento comminò la scomunica contro coloro che non la pagassero. Attualmente per il pagamento delle decime si seguono le leggi e le consuetudini locali. L'autorità statale cominciò a prendere posizione contro il pagamento della decima nell'età dell'Illuminismo (sec. XIX). In Italia, una legge del 1887 soppresse “le decime e le altre prestazioni, stabilite sotto qualsiasi denominazione e in qualunque modo corrisposte”, lasciando sopravvivere solo quelle domenicali.

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