James Joyce

La vita e le opere

James Joyce (1882-1941) nacque a Dublino e venne educato dai gesuiti, ricevendo un'eccellente educazione umanistica. All'università mostrò particolare interesse per la filosofia, la letteratura e le lingue moderne. Oltre al francese, studiò l'italiano (per leggere in lingua originale Dante, Giordano Bruno e G. Vico, i suoi autori preferiti) e il norvegese (stimolato dall'amore per Ibsen). Nel 1902 si laureò e, insofferente dell'educazione cattolica e dell'ambiente di Dublino, si trasferì a Parigi per seguire, senza troppa convinzione, dei corsi di medicina. La sua vocazione di scrittore andò rivelandosi fra il 1900 e il 1904, anni nei quali scrisse le Epiphanies (Epifanie, postumo 1956 e 1965), una raccolta di brevi prose liriche. Nel 1903 tornò precipitosamente a Dublino, dove sua madre stava morendo, e vi rimase per alcuni mesi, insegnando inglese in una scuola superiore. Nel 1904 conobbe Zora Barnacle, che in seguito sposò e dalla quale ebbe due figli; con lei si recò a Parigi, Zurigo e infine a Pola e a Trieste, dove si guadagnò da vivere insegnando alla Berlitz School. In Italia strinse amicizia con Italo Svevo. Nel 1907 pubblicò il libro di liriche Chamber music (Musica da camera), accolto con totale indifferenza. Joyce si dedicò allora alla prosa e nel 1912 tornò in Irlanda dove presentò a una casa editrice un gruppo di racconti, Dubliners (Gente di Dublino), basati sulla ricostruzione realistica della vita dublinese. Il libro fu rifiutato e solo nel 1914, dopo traversie dovute al suo presunto antipatriottismo, venne pubblicato a Londra. Lo scrittore aveva intanto completato il primo romanzo, iniziato nel 1904, A portrait of the artist as a young man (Ritratto dell'artista da giovane), meglio conosciuto in Italia come Dedalus, ricavato da un precedente saggio autobiografico e da un abbozzo di romanzo Stephen hero (Stefano eroe), pubblicato nel 1916. Il romanzo aveva per tema il racconto dell'infanzia e dell'adolescenza presso i gesuiti, la scoperta del sesso, la terribile esperienza religiosa, la liberazione mediante la vocazione artistica, i "liberi" anni universitari e fu accolto dalla critica con favore e interesse. Allo scoppio della prima guerra mondiale Joyce si recò con la famiglia a Zurigo, dove continuò a lavorare alla stesura del secondo romanzo, Ulysses (Ulisse), che aveva incominciato a scrivere nel 1914. A partire dal 1918, sulla "Little Review" di New York, iniziò la pubblicazione di Ulysses. Nello stesso anno uscì il suo unico lavoro teatrale, Exiles (Esuli). Nel 1919 tornò a Trieste per completare il romanzo e nel 1920, su consiglio di E. Pound, si recò a Parigi, dove Ulysses uscì in volume (1922). Proibito in Inghilterra e negli Stati Uniti per le espressioni blasfeme e le oscenità, destò molto scalpore e venne giudicato dalla critica come un audace e ambizioso esperimento letterario. Uno sviluppo monumentale dei motivi filosofici e strutturali di Ulysses è da considerare il romanzo Finnegan's wake (La veglia di Finnegan, 1939), laboratorio sperimentale, work in progress, iniziato nel 1923. Rimasto a Parigi per circa vent'anni, lo scrittore frequentò assiduamente S. Beckett, E. Hemingway, F.S. Fitzgerald, P. Eluard, L. Aragon, T.S. Eliot. Nel 1933 le autorità statunitensi abolirono la censura sull'Ulysses, che uscì nell'edizione americana l'anno successivo. Nel 1940, all'inizio del conflitto mondiale, lo scrittore si trasferì a Zurigo, dove morì nel corso di un intervento chirurgico.

 

"Gente di Dublino": la poetica dell'"epifania"

Dubliners (Gente di Dublino, 1914) è una raccolta di quindici storie che vogliono ritrarre l'atmosfera decadente della città. L'intenzione dell'autore è quella di "scrivere un ritratto della storia morale del mio paese, e ho scelto Dublino come scenario perché questa città mi è sembrata il centro della paralisi". La città è presentata in racconti che procedono secondo i quattro momenti dell'infanzia, dell'adolescenza, della maturità e della vita pubblica (politica, artistica e religiosa). Di ritorno a Trieste da un soggiorno romano, nel 1907, Joyce aggiunse un'ultima storia, The dead (I morti), uno dei più bei racconti della narrativa novecentesca in inglese: il sentimento della morte pervade ogni cosa e ogni pensiero, accomunando vivi e defunti in un destino privo di speranza. Anche in questo racconto, come nei precedenti, Joyce fa uso dell'epiphany (epifania), cioè l'improvvisa rivelazione di una verità emblematica o della realtà interiore delle cose, che si può manifestare in un frammento di dialogo, nella descrizione di un oggetto comune o in una situazione insolita. In questo senso tutti i racconti sono epifanie di Dublino. La paralisi, invece, è la tipica condizione dell'uomo moderno nelle metropoli, della sua incapacità di trovare una via d'uscita all'infermità fisica, morale, d'azione, politica e religiosa. I personaggi dei racconti non vengono mai giudicati dall'alto, ma semplicemente osservati nella loro quotidianità e le storie appaiono raccontate dal punto di vista di uno di loro.

 

"Ulisse"

Libro cardine della letteratura del Novecento, uscito nello stesso anno di The waste land di T.S. Eliot, Ulysses (Ulisse, 1922) chiude definitivamente la grande stagione romantica e i suoi ultimi esiti, il simbolismo e il decadentismo. Eliot lo definì un "antiromanzo", per sottolinearne l'assoluta novità compositiva. Il libro racconta una giornata dell'ebreo irlandese Leopold Bloom, scandita per episodi che ripetono lo schema dell'Odissea. Moderno Ulisse incerto e concreto ­ accanto al quale si muovono l'idealista Stephen Dedalus-Telemaco e la moglie Molly Bloom-Penelope ­ egli attraversa una Dublino sordida, animata da sentimenti, cose, uomini che spesso sembrano affiorare solo grazie a inusuali accostamenti linguistici. L'autore definì l'opera "un'epica del corpo", volendo proseguire con essa lo smascheramento di ogni ipocrisia e ideologia iniziato con i racconti. Ma il risultato fu una nuova antropologia, totalmente laica, complessa, contraddittoria. Nell'universo di Ulysses non vi sono certezze e uno dei mezzi stilistici usati per esprimere il monologo interiore nel suo fluire caotico, ma non insensato, di immagini, pensieri, emozioni dei personaggi, lo stream of consciousness, il flusso di coscienza, sembra anche annullare ogni differenza tra anima e corpo. Ogni singolo episodio o dettaglio è allo stesso modo significativo e può divenire oggetto di descrizione o di investigazione in un romanzo; proprio perché la realtà non può essere selezionata in base a criteri d'importanza e di maggiore o minore significato, un qualsiasi momento di qualsiasi giorno può ben rappresentare la vita di un individuo. La coscienza dell'uomo conserva il ricordo della sua vita intellettuale, emotiva e fisica, cosicché ciascun momento contiene non solo le tracce del presente, ma anche quelle del passato e del futuro: proprio per questo l'indagine di un breve arco di tempo si estende. Talora un fatto, un oggetto o un'impressione occasionali si caricano del significato di una rivelazione: questa esperienza è l'epifania di Joyce. La complessità epistemologica del romanzo si riflette nel linguaggio, che combina vocaboli e sintagmi totalmente o parzialmente nuovi e suggerisce diversi livelli possibili di lettura anche attraverso l'assenza di punteggiatura.

 

"La veglia di Finnegan"

Finnegan's wake (La veglia di Finnegan, 1939) è un'opera alla quale Joyce lavorò per molti anni, lasciandola però incompiuta. Il romanzo (il titolo è preso da una ballata popolare) porta alle estreme conseguenze i presupposti dell'Ulisse: la lingua, con i suoi movimenti occulti, le sue stratificazioni, la sua possibilità di associazioni fulminanti, è la vera protagonista del libro. Parole che sono elementi puramente musicali, che creano successioni e immagini completamente sganciate dalla realtà, parole in gran parte inventate, onomatopeiche, formate da termini che si attraggono per analogia e il cui significato viene desunto dal suono che producono nella mente. Se Ulysses tratta ancora, per la maggior parte, della vita cosciente, Finnegan's wake è un'immersione nella vita dell'inconscio. Alla base della struttura circolare dell'opera si trova la visione ciclica della storia, che Joyce riprese da Vico e adattò ai propri fini, secondo la quale la storia intera è un fluire ininterrotto di fatti che si ripetono continuamente.