Perú

Indice

(República del Perú). Stato dell'America Meridionale (1.285.216 km²). Capitale: Lima. Divisione amministrativa: dipartimenti (25), provincia costituzionale (1). Popolazione: 20.475.144 ab. (stima 2013). Lingua: aymará, quechua e spagnolo (ufficiali). Religione: cattolici 81,3%, evangelici 12,5%, non religiosi/atei 2,9%, altri 3,3%. Unità monetaria: nuovo sol (100 centesimi). Indice di sviluppo umano: 0,737 (82° posto). Confini: Colombia e Ecuador (N), Brasile (E), Bolivia (SE), Cile (S), oceano Pacifico (W). Membro di: OAS, ONU e WTO, associato MERCOSUR.

Generalità

Lo Stato corrisponde territorialmente alla sezione centrale della fascia andina, regione che fu matrice della civiltà incaica, di cui lo Stato attuale, benché ispanizzato, è a suo modo l'erede. Sulle alteterre andine il Perú assume i suoi caratteri più peculiari, ma il Paese comprende anche la fascia costiera e una sezione dei bassopiani amazzonici, coprendo una superficie molto estesa che ne fa una delle più vaste unità politiche dell'America Latina. I confini attuali corrispondono solo a grandi linee a quelli stabiliti nel 1824, quando ebbe effettivamente termine il dominio spagnolo; essi hanno subito infatti numerose rettifiche. Alla notevole estensione del Paese non corrisponde una popolazione molto elevata e ciò perché vaste sono le terre inabitabili, occupate da deserti, montagne e fitte foreste. Il Perú è forse il Paese sudamericano che meglio esprime opportunità e contraddizioni, valori storici e contrasti fisici, continuità culturale e instabilità politica. Una miscela complessa che lo proietta nel futuro per le potenzialità economiche ma che, nello stesso tempo, lo ancora al passato per la forte presenza di modelli di vita tradizionali. I segni dell'antico passato inca, testimoniato dai resti delle città come Machu Picchu, coesistono con quelli del passato recente, caratterizzato da forme di sfruttamento neocoloniale basato su un modello politico-economico centralizzato.

Lo Stato

Indipendente dal 1821, il Perú è una Repubblica di tipo presidenziale. Secondo la Costituzione approvata mediante referendum, nell'ottobre 1993 e promulgata nel dicembre dello stesso anno, il potere esecutivo è esercitato dal presidente della Repubblica, eletto per 5 anni a suffragio universale diretto e, secondo una modifica costituzionale del 2000, non rieleggibile. È affiancato nell'esercizio del potere dal primo ministro e dal Consiglio dei ministri, di nomina presidenziale. Il potere legislativo è esercitato dal Congresso unicamerale, eletto a suffragio universale con mandato quinquennale. L'ordinamento giudiziario è basato sul diritto europeo continentale; il Paese accetta le emanazioni della Corte Internazionale di Giustizia, ma con riserve. La giustizia è amministrata dalla Corte Suprema. La pena di morte, abolita nel 1979, è prevista solo per reati di guerra. La difesa dello Stato è organizzata nelle tre forze tradizionali: esercito, marina, aviazione; il servizio militare non è obbligatorio e può essere prestato da uomini e donne su base volontaria a partire dai 18 anni d'età. L'organizzazione scolastica è stata, dalla dominazione spagnola fino al XVIII secolo sotto la responsabilità della Chiesa: ne è testimonianza la creazione, per bolla papale, della più antica università americana (San Marcos di Lima, 1551). La scolarizzazione delle masse contadine, complicata anche dalla presenza di molteplici idiomi, è stata oggetto di un processo lungo e difficile, nonostante l'imposizione dell'obbligo scolastico sancito per legge nel 1901. Il tasso di analfabetismo resta molto elevato (10,4% nel 2007). L'istruzione è obbligatoria nel periodo d'età compreso tra i 7 e i 16 anni; l'intera organizzazione dei cicli scolastici, dall'istruzione pre-primaria (1 anno dai 5 anni d'età), a quella primaria e secondaria (rispettivamente di 6 e 5 anni) ai livelli universitari è stata rivista in coincidenza della riforma del 1968. L'istruzione superiore è impartita in diverse sedi universitarie, tra cui Lima (Agraria, 1902; Garcilaso de la Vega, 1964; Federico Villarreal, 1963; Nacional de Ingeniería, 1855; San Marcos, 1551; Católica del Perú, 1917; del Pacifico, 1962), Iquitos (1961), Huancayo (1962), Arequipa (1828), Cusco (1962), Ayacucho (1677), Ica (1961), Trujillo (1824), Piura (Universidad Nacional, 1961, e Universidad de Piura, 1968).

Territorio: morfologia

Strutturalmente il territorio peruviano ha il suo elemento fondamentale nel sistema andino, qui formato da una serie di pieghe da cui hanno tratto origine le catene che, in senso longitudinale, si succedono da E a W: la Cordillera Oriental, la Cordillera Central e la Cordillera Occidental. Esse sono tra loro separate da bacini depressionari di rocce mesozoiche ricoperte da strati neozoici, che idrograficamente si aprono verso la regione amazzonica, ma che talora sono a carattere endoreico, come quello che accoglie il lago Titicaca. Le tre cordigliere hanno struttura e imponenza diverse; esse sono il risultato di piegamenti avvenuti in varia epoca e perciò si differenziano anche geologicamente. La Cordillera Oriental, prevalentemente formata da rocce paleozoiche, non ha un andamento né un aspetto unitari: imponente a S, dove s'innalzano tra gli altri i monti Ausangate (6384 m) e Salcantay (6271 m) che domina la valle del Río Urubamba, verso N si suddivide in una serie di dorsali minori diminuendo di grandiosità. Anche la Cordillera Central non è molto unitaria, tranne che nella sezione settentrionale, ed è comunque il meno poderoso dei tre allineamenti. La Cordillera Occidental è invece un possente bastione che ostacola le comunicazioni tra l'interno e la costa; i passi sono elevatissimi: quello di Ticlio, raggiunto dalla ferrovia Lima-La Oroya, la più alta del mondo, è a 4829 m di quota. Orograficamente la Cordillera Occidental si presenta come una successione di sierre prevalentemente formate da materiali granitici. Geologicamente essa è il risultato dell'ultima fase del processo orogenetico andino, quando cioè sul finire del Cenozoico si ebbe, con il sollevamento generale dell'area andina, l'assestamento definitivo delle grandi masse intrusive formatesi dopo i piegamenti che avevano fatto nascere la Cordillera Oriental e quella Central. Un grande Horst granitico è per esempio la Cordillera Blanca, dominata dall'Huascarán (6768 m), massima cima del Perú e una delle principali elevazioni delle Ande, la seconda del continente. Il processo orogenetico che ha assestato il rilievo peruviano è stato accompagnato, come altrove nelle terre andine, da vasti fenomeni vulcanici e anche in Perú sono numerosi gli apparati eruttivi, seppure non così frequenti come in altre sezioni andine. L'area vulcanica più estesa si trova nella parte meridionale del Paese, là dove troneggia a 5822 m il cono del Misti. L'attività sismica è ancora rilevante e denota la giovinezza e l'instabilità della regione andina peruviana, dove le catastrofi sono frequenti e disastrose, come quella del 1970 che ha visto un'immane frana staccarsi dall'Huascarán, provocando diverse migliaia di morti. La conformazione delle alteterre andine in Perú è alquanto diversa dal resto delle Ande: qui la grande catena sudamericana raggiunge la massima ampiezza (500 km all'altezza del lago Titicaca), il che spiega come le Ande hanno e abbiano avuto tanta importanza nell'organizzazione territoriale del Paese. Verso il Pacifico la Cordillera Occidental presenta un versante ripido che termina su una regione montagnosa, in larga parte di rocce mesozoiche, che si deprime verso anguste piane costiere desertiche di recente formazione. Sul versante orientale le Ande digradano verso i bassopiani amazzonici, costruiti dai trasporti alluvionali neozoici dei fiumi andini, che uscendo dagli sbocchi vallivi scorrono su ampi conoidi prima di confluire nei fiumi principali.

Territorio: idrografia

Idrograficamente il territorio peruviano tributa per ca. i 3/4 all'Atlantico per mezzo del Rio delle Amazzoni: ciò come risultato della stessa conformazione della catena andina, che con la più giovane ed erta Cordillera Occidental chiude le alteterre al Pacifico. Lo sviluppo idrografico ha sulle Ande un andamento longitudinale; poi, attraverso varchi laterali, là dove la Cordillera Oriental si abbassa e si spezza, i fiumi trovano la via dei bassopiani orientali. I fiumi che drenano gli elevati bacini andini corrono verso E molto incassati e alla fine confluiscono nei fiumi maggiori, l'Ucayali e il Marañón, entrambi lunghi ca. 1800 km, che si fondono poco a monte di Iquitos, originando il Rio delle Amazzoni. Il Marañón, che attinge le sue acque dai versanti interni della Cordillera Blanca, è arricchito dagli apporti dell'Huallaga, che drena il vasto bacino compreso tra le cordigliere Oriental e Central; l'Ucayali si forma dall'unione dell'Apurímac e dell'Urubamba, che nascono rispettivamente dalla Cordillera Occidental e Oriental. Sebbene i fiumi andini abbiano alle sorgenti un'alimentazione glaciale e scorrano incassati in gigantesche gole, si arricchiscono di acque in modo considerevole lungo il versante orientale, molto piovoso, e giunti nella piana amazzonica sono lenti, ampi e navigabili. In ogni caso hanno un regime stagionale ben marcato: nei mesi dell'inverno australe (da giugno a settembre) essi sono in fase di magra e il loro livello si abbassa di diversi metri rispetto al periodo di piena estivo. I fiumi del Pacifico hanno invece un corso relativamente breve (meno di 400 km), in quanto scolano il ripido versante della Cordillera Occidental, e carattere torrentizio. Scorrono lungo valloni precipiti e si distendono solo verso la fascia costiera, dove le loro acque sono utilizzate per irrigare le numerose oasi di pedemonte che si succedono nella regione. Tra i bacini endoreici il principale è quello di Titicaca (8300 km², metà ca. in territorio boliviano); il grande lago ha nella geografia del Perú un posto importante, sia per la sua posizione centrale nelle alteterre, sia perché le sue acque determinano una certa mitigazione climatica – il lago, situato a 3810 m, è tra i più elevati del globo – che influenza il popolamento della zona.

Territorio: clima

Dal punto di vista climatico il Perú presenta contrasti fortissimi. La regione andina ha un suo caratteristico clima e al tempo stesso, con il suo baluardo montano, determina una differenziazione netta tra la parte orientale del Paese (l'Oriente) e la parte costiera occidentale (la Costa). Questa ha un clima tipicamente desertico in quanto il litorale peruviano, con il suo particolare orientamento SE-NW, è soltanto lambito dai venti prodotti dalle masse cicloniche che si formano sul Pacifico. La corrente fredda di Humboldt ha la sua parte poiché determina una condensazione dell'umidità portata dai venti marittimi, impedendo la penetrazione verso l'interno delle masse d'aria. È a questo fenomeno in particolare che si devono le persistenti formazioni nebbiose (alte qualche centinaio di metri) che stazionano tra giugno e agosto nella regione costiera, responsabili di quella pioviggine lievissima (garúa), che rappresenta quasi il totale delle precipitazioni della regione. A Lima annualmente cadono ca. 20-30 mm di pioggia, valori più o meno estensibili a tutta l'aridissima costa, dove tuttavia le temperature non sono quelle dei deserti per effetto dell'azione mitigante del mare (a Lima le oscillazioni termiche vanno da 15 ºC a 20 ºC). Il clima della regione è comunque di tipo tropicale, sebbene vi siano sensibili variazioni passando da S a N, dove il deserto è assai più caldo. Elevandosi verso le Ande il clima muta, ma gli effetti più importanti riguardano le temperature, perché anche qui le precipitazioni restano basse. Gli apporti umidi sulla catena andina sono principalmente quelli degli alisei di E e SE, i quali però si riducono notevolmente oltre i 2500 m d'altitudine e sono inoltre sbarrati dalla disposizione longitudinale delle cordigliere. Verso i 3800-4000 m, l'altitudine cioè dei bacini andini, le precipitazioni sono minime: non superano i 50 mm annui (36 mm a Cerro de Pasco, situata a 4338 m d'altitudine) e si verificano durante i mesi dell'estate australe, da novembre a febbraio-marzo. Le temperature medie nella stessa località si aggirano tutto l'anno sui 4-5 ºC, pur con forti escursioni termiche, anche di oltre 20 ºC. Il clima comincia a mutare appena ci si affaccia al versante orientale, cioè percorrendo le valli che discendono verso i bassopiani amazzonici; muta altresì procedendo verso N, nelle zone cioè situate a latitudini equatoriali (il Perú sfiora l'Equatore) e più aperte agli influssi atlantici. A Huancayo (3550 m) le precipitazioni sfiorano i 700 mm e le temperature oscillano tra i 13 ºC e i 10 ºC. Sotto i 2700 m si entra, sul versante orientale, nel dominio del clima umido, con precipitazioni copiose (superiori a 2500 mm) e formazioni nuvolose ininterrotte. È il clima amazzonico che, pur presentando ritmi stagionali, è sostanzialmente caratterizzato da elevata umidità, temperature pressoché costanti (22-25 ºC) e precipitazioni quasi giornaliere, se si escludono i mesi di luglio-agosto.

Territorio: geografia umana. Il popolamento

Le caratteristiche territoriali hanno avuto un peso determinante negli sviluppi della geografia antropica del Perú. La ripartizione in fascia costiera, alteterre andine e pianure orientali rende ancora effettivamente difficile l'organizzazione unitaria dello spazio, la quale risente ancora di quella che era stata la lunga, complessa e a suo modo profonda opera di conquista e di valorizzazione delle popolazioni precolombiane. I primi centri di popolamento si ebbero già qualche millennio a. C. nella zona costiera dove trovarono le loro basi quelle culture, sedentarie, basate sull'agricoltura irrigua in ambiente tropicale, che poi si fissarono sull'altopiano. Qui il rapporto tra uomo e ambiente (un ambiente particolarissimo per la sua elevata altitudine e le sue condizioni climatiche) si realizzò in forme compiute con la cultura di Tiahuanaco, che insegnò non poche cose a quella che fu l'organizzazione unitaria degli Inca. Questa conobbe la sua maggior fioritura verso la metà del sec. XV, cioè non molto prima dell'arrivo dei conquistadores. Regime di tipo schiavistico, quello degli Inca assoggettò tutto il vasto spazio dall'Ecuador al Cile e trovò, attraverso le sue forme organizzative, la capacità di sfruttare e popolare le ostiche alteterre andine. Attraverso le comunità contadine, gli ayllu in particolare, fu possibile la valorizzazione agricola di tipo sedentario, arricchita da tecniche irrigue, e al tempo stesso la soggezione al potere imperiale e teocratico come fattore di unità della vasta regione. Quel dominio, percorso da strade, efficiente seppur non molto dinamico, ebbe il suo centro a Cusco (Cuzco) e i suoi capisaldi in cittadelle fortificate che non raggiunsero però mai il carattere di vere e proprie città. Ma esse furono i perni dell'organizzazione sedentaria, molto ben consolidata, se si pensa che gli spagnoli non l'abbandonarono e costruirono le loro città, come Cusco, sui centri che erano stati degli Inca. Ovviamente ciò si deve al fatto che gli spagnoli avevano bisogno della manodopera locale e la trovarono soprattutto sulle alteterre, dove l'utilizzarono nello sfruttamento minerario e nella conduzione delle haciendas che essi crearono nelle zone migliori, in particolare nelle vallate dove l'altitudine si attenua e dove le condizioni ambientali sono meno ostiche rispetto alle desolate superfici della puna. Inizialmente l'impiego della manodopera india, assunta coercitivamente, sfruttando le regole vigenti in epoca incaica (la mita), secondo le quali il contadino era obbligato a dedicare una parte dell'anno ai lavori richiesti dal potere imperiale, fu deleterio. L'organizzazione degli ayllu ne risentì e ciò contribuì, insieme allo sfruttamento spesso spietato degli indios nelle miniere, alla diminuzione della popolazione indigena. Questa però non fu contaminata o sostituita dai bianchi, che nelle Ande trovarono un ambiente a loro ostile, fatto che spiega l'alta percentuale di indios puri sulle alteterre; essi vivono in queste zone da secoli e sono quindi fisiologicamente sono ben adattati alle particolari condizioni imposte dall'altitudine elevata. Sulla Costa vi fu invece, sin dalle origini, quell'immissione di spagnoli e poi di altri stranieri che diede vita al meticciato predominante in questa parte del Paese, e caratteristico di Lima e degli altri maggiori centri. Lima, divenuta già nel sec. XVI il perno dell'organizzazione territoriale, aumentò progressivamente la sua popolazione, così come gli altri centri oasici e portuali della fascia costiera, che ospita la maggior parte della popolazione peruviana, mentre sino al 1950 erano le Ande che ne accoglievano di più (nel 1940 il 62,7%). Nel giro di vent'anni, dal 1940 al 1960, la popolazione andina è aumentata del 25%, mentre sulla costa si è accresciuta del 110%. È un antico processo di “scivolamento” che perdura perché continua a sussistere quella frattura tra Ande e Costa, tra mondo indio e il resto del Paese, che è poi il grande problema del Perú moderno. Complessivamente lenta e modesta è la valorizzazione delle terre orientali.

Territorio: geografia umana. Immigrazione e sviluppo demografico

Dopo le decimazioni avvenute soprattutto agli inizi dell'epoca coloniale, anche per le malattie introdotte dai conquistadores (la popolazione india all'epoca dell'impero incaico è stata variamente valutata sui 6-7 e anche più milioni di ab.), gli sviluppi demografici del Paese hanno avuto i loro primi forti impulsi solo nel XX secolo: basti dire che nel 1850 vi erano nel Perú, secondo i dati del primo censimento, 2 milioni di ab., saliti a 2,7 milioni nel 1876. Il successivo censimento, effettuato solo nel 1940, dava una popolazione di oltre 7 milioni di abitanti. L'aumento negli ultimi decenni del Novecento è stato fortissimo, raggiungendo gli oltre 26 milioni censiti nel 2005. La crescita del XIX secolo fu dovuta in parte all'emigrazione europea (che ha avuto come protagonisti spagnoli, tedeschi, italiani ecc.) e asiatica (cinesi, giapponesi), sebbene non così forte come in altri Paesi latino-americani, e in parte alle migliorate condizioni igieniche, che hanno ridotto la mortalità infantile. Il coefficiente medio di accrescimento annuo tra il 1990 e il 1995 è stato del 2%, attestato cioè sul tipico valore sudamericano, sceso, come accaduto nei Paesi contigui, intorno all'1,1% nel periodo 2005-2010. Gli indicatori demografici descrivono tuttavia una situazione diversa rispetto ad altri Stati dell'America Latina, come Argentina, Brasile, Colombia, dove gli indici di natalità sono calati drasticamente. Il Perú si distingue infatti per gli alti tassi di natalità (20‰ nel 2012) accompagnati comunque da bassi tassi di mortalità (5,3‰ nel 2012), che rendono di fatto quella peruviana una popolazione giovane: circa il 30% ha meno di 15 anni. Ca. la metà della popolazione è rappresentata da indios, insediati quasi interamente sulle alteterre, seguiti dai meticci (31,9%), che popolano prevalentemente i centri costieri, dai creoli (12%), che rappresentano l'élite del Paese e vivono nelle città, e da piccole minoranze di neri o mulatti stanziati nelle zone costiere. Gli indios sono in prevalenza quechua (47%) mentre molto meno numerosa è la componente aymará (5,4%). La difesa delle comunità indigene e la salvaguardia delle antiche tradizioni locali si scontrano con le esigenze delle compagnie petrolifere che da anni sfruttano i giacimenti presenti nelle regioni settentrionali del Paese. La costituzione del 1993 ha abolito le norme che proteggevano i diritti delle comunità sulle terre da loro abitate rendendone di fatto più facile la privatizzazione. Più in generale gli indios hanno maggiori difficoltà di accesso ai servizi sanitari e educativi. Per quanto riguarda la distribuzione della popolazione, si può dire che essa dipenda sempre più dallo sviluppo dell'urbanesimo. Questo infatti è povero sulle Ande ed è invece vistoso sulla costa, dove Lima e l'intera area metropolitana, con i suoi oltre 10 milioni di ab., rappresenta una tipica metropoli sudamericana, la terza per numero di abitanti, che ospita da sola più di un terzo dell'intera popolazione peruviana. Il suo dipartimento ha una densità di 274 ab./km², undici volte superiore a quella della media nazionale (24 ab./km²). Sulle Ande le densità sono assai meno elevate; relativamente ben popolate sono le vallate che dalle Ande digradano verso la costa, specie a una certa altitudine, precisamente sui 2000 m. Anche sul lato opposto i 2000 m rappresentano un piano altitudinale popolato; più in basso si passa ai vuoti spazi del bassopiano, dove si hanno in media 1-4 ab./km². Al di fuori delle città, sull'altopiano la popolazione vive prevalentemente nel piccolo villaggio indio di pastori e contadini (qualche insediamento si spinge sino a 4000 m d'altitudine), costituito di piccole capanne di adobe, sovente al centro di un cortile. In certe zone ci sono piccoli nuclei sparsi, come nelle vallate occidentali. Qui, spesso, i villaggi sono sorti intorno alle vecchie haciendas fondate dagli encomenderos, i grandi proprietari terrieri creoli che hanno sovvertito, con il regime fondiario, la stessa distribuzione degli insediamenti nonché il paesaggio agrario originario. Vertici dell'organizzazione locale sono i centri che hanno i vari servizi sociali: la chiesa, il mercato, l'ambulatorio ecc. Nella zona costiera i centri d'oasi si circondano di nuclei e case sparse, secondo caratteristiche che si trovano bene espresse anche alla periferia di Lima. Nell'organizzazione territoriale hanno un ruolo fondamentale i capoluoghi di dipartimento; essi fungono da centri coordinatori di territori di dimensioni assai varie secondo le zone e taluni sono ormai città popolose, sedi di attività industriali. L'urbanesimo è ormai nel complesso sviluppato e in continuo aumento: la percentuale della popolazione urbana è pari al 75,6% del totale, contro il 47% circa degli anni Sessanta del Novecento. A partire dagli anni Ottanta si è verificato in particolare un esodo dalle aree rurali verso le periferie delle grandi città, specie della capitale, in seguito agli attacchi di Sendero Luminoso, solo una minima parte dei quali hanno fatto successivamente ritorno nelle proprie case. Il rapido accrescimento ha però interessato quasi esclusivamente le città costiere e soprattutto Lima, ormai saldata a Callao, il suo porto, e formata da un'estesa successione di barriadas che dal mare giungono fino ai primi rilievi. La città, che è stata una delle prime (1535) e più importanti fondate dai conquistadores nell'America Meridionale, ha ormai perduto nel suo centro i caratteri originari coloniali e ha assunto il volto anonimo delle città latino-americane. È comunque una metropoli attivissima, non solo per le sue funzioni di capitale ma anche per le sue attività economiche e industriali; essa ha promosso, oltre alla crescita di Callao, quella di altre località costiere, soprattutto balneari (San Miguel, Miraflores, ecc.). La capitale è vertice delle comunicazioni stradali e ferroviarie: è anche la città più vicina ai centri andini grazie alla ricordata ferrovia che sale al passo di Ticlio. Le altre città della Costa, oltre a Callao, sono Chimbote, Trujillo, Chiclayo, Piura, tutte a N della capitale; localizzate in zone pianeggianti, ben coltivate, si trovano allo sbocco delle valli andine. Trujillo e Chimbote sono porti assai attivi: quest'ultima, sede anche di un'industria siderurgica, è con Callao il principale porto di pesca del Perú. A S di Lima mancano località costiere di rilievo; Pisco e Mollendo, di modeste proporzioni, sono però importanti sbocchi marittimi di vasti e produttivi retroterra. Arequipa, il secondo centro del Paese, è situata all'interno a 2339 m d'altitudine e occupa una posizione particolare, fungendo da saldatura tra la Costa e le Ande. Sulle Ande il centro maggiore continua a essere Cusco, la capitale incaica; situata a 3399 m, raccorda la sezione meridionale dell'altopiano con quella centrale gravitante su Lima. Qui sorgono Huancayo, sede di attività agricole e industriali, e più a N Cerro de Pasco, antica e sempre importante città mineraria, mentre sulle Ande settentrionali è Cajamarca, ricca di vestigia dell'epoca coloniale. Sul versante orientale delle Ande mancano agglomerati di rilievo se si escludono Huánuco e Tingo María sulla via per Pucallpa, grosso centro in formazione sulla riva dell'Ucayali. Tra i rari centri urbani della regione amazzonica peruviana, Iquitos è di gran lunga il maggiore: sorge sulla riva sinistra del Rio delle Amazzoni a 3700 km dalla foce.

Territorio: ambiente

Alla varietà delle situazioni climatiche corrisponde quella delle formazioni vegetali. Nella fascia desertica costiera le oasi agli sbocchi fluviali punteggiano la zona pedemontana, per il resto coperta da una steppa arbustiva a carrubi (algarrobos); verso la costa l'ambiente desertico ospita anche sparute formazioni di Cactacee e, all'epoca delle garúas, un'effimera vegetazione di fiori ed epifite chiamata loma. Salendo sull'arido versante andino la vegetazione si arricchisce di poco: nei valloni più umidi si trovano formazioni riparie (pioppi ecc.) e sopra i 1000 m appaiono nuove specie xerofile, come il Cereus, l'Heliotropium, ecc. Nei bacini elevati delle Ande si ritrova la steppa a festuche e altre graminacee propria della puna, che nella zona del Lago Titicaca presenta qualche eucalipto, pianta che si adatta anche a queste quote. La vegetazione via via si arricchisce scendendo verso oriente. Le specie forestali si spingono nelle vallate sino quasi a 3000 m e poco più sotto si ritrovano aspetti vegetali lussureggianti, quelli propri della Montaña, con grandi varietà di specie, tra cui la chinchona, dalla cui corteccia si estrae il chinino. Verso i 2000 m, nella cosiddetta Ceja de Montaña (ciglio della foresta montana), l'ambiente vegetale è estremamente ricco di essenze; in varie zone è in corso lo sfruttamento del ricco e pregiato legname locale, in particolare di mogani, cedri, palissandri, ecc. La fauna che caratterizza le zone più alte è quella tipica delle altre regioni andine, e vi si trovano lama, vigogna, alpaca, viscaccia, huemul (Hippocamelus antisiensis), puma, orso dagli occhiali (Tremarctos ornatus), guanaco e, tra gli Uccelli, il suri, o nandù di Darwin (Pterocnemia pennata) e il condor delle Ande (Vultur gryphus), mentre nelle foreste sono diffusi vari Mammiferi tra cui scimmia, tapiro, pecari, lontra gigante (Pteronura brasiliensis), giaguaro, oltre a Rettili e Uccelli. Le aree costiere abbondano di Uccelli, alcuni dei quali migratori, come il gabbiano di Franklin, il codone guancebianche (Anas bahamensis), il piovanello tridattilo (Calidris alba), la folaga andina (Fulica ardesiaca) e la gallinella d'acqua (Gallinula chloropus) e si segnala la presenza di specie in via di estinzione come le tartarughe marine. I maggiori rischi ambientali per un Paese come il Perú riguardano la deforestazione, spesso praticata illegalmente dalle società private interessate allo sfruttamento del pregiato legname, che mette a repentaglio gli sforzi per la salvaguardia del patrimonio floro-faunistico. La grande conurbazione di Lima soffre inoltre di gravi problemi di inquinamento idrico e atmosferico. Il sistema nazionale per le aree protette dello stato (SINANPE) è gestito da un'agenzia dell'INRENA – l'organo del Ministero preposto all'amministrazione delle risorse naturali – e coinvolge, nella conduzione dei progetti di salvaguardia del patrimonio locale, diversi attori, a livello nazionale, regionale, municipale, oltre a organizzazioni private. Il complesso del SINANPE abbraccia un territorio pari al 18,3% della superficie del Paese ed è suddiviso in oltre 80 siti, di cui 18 parchi nazionali e varie aree di interesse storico e paesaggistico. Negli anni Ottanta del Novecento l'UNESCO ha dichiarato patrimonio mondiale dell'umanità due siti naturalistici peruviani: il Parco Nazionale Huascarán (1985) e il Parco Nazionale Manú (1987). Il primo, di particolare interesse geologico, comprende 340.000 ettari di foresta e steppa situate tra i 2500 e i 6700 m di altitudine nella Cordillera Blanca, tra ghiacciai, laghi, gole e torrenti. Il secondo, molto più esteso, abbraccia oltre 1,5 milioni di ettari, quasi tutto il bacino del fiume omonimo, dalla sorgente a 4200 m sul fianco orientale delle Ande a 150 m, nel pieno della foresta pluviale amazzonica.

Economia: generalità

Dopo un secolo di un più o meno velato immobilismo o, comunque, di processi evolutivi estremamente lenti, il Perú è stato testimone negli ultimi decenni del XX secolo di grandi cambiamenti, in particolare di un radicale alternarsi di regimi istituzionali e di indirizzi di politica economica, che in varia misura hanno inciso sull'andamento produttivo peruviano e che, nel loro complesso, hanno significato un autentico punto di rottura con il passato. Tra i passaggi fondamentali della storia economico-politica del Perú, senza dubbio si situa il colpo di stato con cui, nel 1968, un gruppo di giovani ufficiali tentò di operare una decisiva svolta a sinistra del Paese (in cui perdurava una secolare situazione di spoliazione delle risorse, operata dalle potenze coloniali e post coloniali). La politica economica seguita dai militari, puntellata da enormi sprechi, venne condotta secondo stime eccessivamente ottimistiche. Furono intraprese (talvolta solo iniziate), colossali opere pubbliche, soprattutto nel settore delle infrastrutture: senza disporre di adeguate coperture finanziarie, venne fatto affidamento solo sui proventi delle risorse nazionali, in particolar modo di quelle minerarie, soggette tuttavia a fortissime oscillazioni di prezzo sui mercati internazionali e a manovre speculative. I fondamentali settori produttivi vennero nazionalizzati, compresa gran parte delle industrie, benché lo Stato si rivelò ben presto incapace di gestirle. Venne varata una grandiosa riforma fondiaria, caratterizzata dalla creazione di cooperative e aziende collettive statali, che non scalfì in alcun modo il disinteresse della classe contadina, fortemente arretrata. Il crollo delle esportazioni, la mancanza di capitali, la conseguente crisi industriale e, parallelamente, gli eccessivi costi dovuti ad alcune iniziative nell'ambito del welfare (specie nei settori dell'istruzione e della sanità), così come i forti aumenti salariali, portarono a un collasso dell'economia nazionale. Il governo (ritornato pienamente civile nel 1980) si trovò costretto ad accedere in forma sempre più consistente ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale e al capitale straniero, in cambio di una radicale trasformazione della politica economica interna. Essa venne a coincidere con un ritorno all'economia di mercato: si assistette dunque al rilancio delle privatizzazioni, soprattutto in ambito industriale, per facilitare investimenti stranieri. Parimenti, vennero intraprese rigide misure di austerità (stretta creditizia, incremento del prelievo fiscale, controllo dei salari, tagli nelle spese sociali ecc.). Gli effetti della recessione internazionale del 1983 e il progressivo peggioramento delle ragioni di scambio confermarono comunque un generalizzato e gravissimo stato di crisi dell'economia peruviana, segnato, inoltre, dalla crescita incontrollata del debito estero (oltre il 50% del prodotto interno lordo). Di fronte a tale situazione il governo, nel nome di una politica antimperialistica e nazionalista, fissò unilateralmente i ripagamenti ai creditori nella misura del 10% delle esportazioni, sfidando il FMI e respingendone in diverse riprese le impopolari proposte di ristrutturazione. Privato così di ogni linea di credito internazionale, soffocato dall'indebitamento e destabilizzato dall'elevata inflazione (che, nonostante un temporaneo calo dei tassi, ha raggiunto all'inizio degli anni Novanta la cifra del 311,7%) il Perú ha perseguito un nuovo corso economico espansionista e antimonetarista. Falliti però anche i tentativi di stimolare consumi, produzione e investimenti, dal 1987 il governo ha fatto ricorso a misure anticongiunturali. Anche il tentativo di nazionalizzazione delle banche, conseguente al deterioramento delle riserve monetarie e alla fuga dei capitali, si è tuttavia rivelato fallace, così come privo di esito positivo si è rivelata la redistribuzione delle terre delle grandi tenute agricole improduttive, a causa dell'opposizione dei notabili locali. Dopo aver promesso manovre economiche di moderato impatto sociale, in un contesto di ulteriore accentuazione dell'inflazione (2800% ca. nel 1989) e di drastica caduta del potere d'acquisto (più che dimezzato), venivano impostati piani di integrale liberalizzazione dell'economia e di smantellamento del già esiguo sistema di servizi sociali, dando luogo al depauperamento della maggior parte della popolazione (7 milioni di persone, l'85% dei lavoratori sottoccupati). Raggiunto nel 1999 un nuovo accordo con il FMI per un finanziamento di un miliardo di dollari nel periodo 1999-2000, nello stesso anno la crescita economica del Paese ha segnato una certa ripresa, grazie soprattutto al buon andamento del settore primario. Nei primi anni del nuovo millennio, in parte favorita anche dalle esportazioni, si è registrata una crescita costante del PIL (127.598 ml $ USA con un valore pro capite di 4.453 $ USA, nel 2008), con un contenimento dell'inflazione. Resta invece alto il debito estero (32.154 ml $ USA) che incide sul PIL per oltre un terzo. La tormentata economia peruviana è sbilanciata, in ultimo, anche dal peso ricoperto dalle attività illecite, e segnatamente di quelle relative al traffico di droga, che coinvolge ca. un milione di persone. Il rapporto WDR (World Drug Report) dell'ONU, dedicato allo studio dell'andamento della produzione e del consumo di droghe nel mondo, ha registrato per il 2006 un leggero calo nella coltivazione della coca (diffusa nelle piantagioni della Sierra e della Montaña), pur segnalando parallelamente un aumento della produzione di cocaina, che rende il Perú. uno dei principali produttori al mondo. Per contrastare lo sfruttamento illegale delle risorse forestali e la coltivazione amazzonica delle piantagioni di coca, il governo ha stretto negli ultimi anni diversi accordi internazionali di collaborazione, tra cui quello con il Brasile (SIVAM, 2006), incentrato su un sistema di sorveglianza militare per il controllo delle aree interessate dai traffici, favorendo nel contempo campagne di sradicamento delle piante di coca e sostituzione con altre colture (come il cotone aspero blanco).

Economia: agricoltura e foreste

Il 35,6% della popolazione attiva è occupato nell'agricoltura, un settore che presenta varie possibilità, ma che è ancora relativamente poco sviluppato. D'altronde arativo e colture arborescenti interessano una porzione estremamente esigua (il 3,3%) della superficie territoriale e l'agricoltura partecipa solo per il 7,2% alla formazione del reddito nazionale. In effetti, parlando dell'agricoltura peruviana, occorre fare una netta distinzione fra i ben diversi tipi di conduzione, di redditività e di produzione che prevalgono nelle tre fondamentali sezioni geografiche del Paese. Così nella fascia costiera, dato il clima praticamente desertico, l'agricoltura è di tipo oasico, intensiva, resa possibile dall'irrigazione ottenuta mediante l'utilizzo delle acque dei fiumi che scendono dalle Ande e si gettano nell'oceano Pacifico; prevalgono dunque le coltivazioni di tipo tropicale irrigue (in particolare canna da zucchero, cotone e riso, ma anche patate dolci e frutta), destinate al consumo interno e, in parte, ai mercati esteri. È questa l'area più produttiva e meglio organizzata, anche se tuttora l'agricoltura è gravemente ostacolata da un'irrigazione in più zone carente, il che ne impedisce un adeguato potenziamento. Sulla Sierra, dove i terreni più adatti corrispondono ai fondi vallivi, l'agricoltura è essenzialmente di sussistenza (cereali, patate, patate dolci ecc.) ed è piuttosto povera. In pratica il risultato ottenuto è frutto di una secolare e straordinaria tenacia degli indios, come rivelano gli andenes, terrazzamenti che in molti casi risalgono persino all'epoca incaica; gli indios coltivano il suolo sino ad altitudini proibitive, superiori a volte ai 4000 m e su versanti ripidissimi. Nella cosiddetta Montaña, regione prettamente forestale, l'agricoltura è per lo più condotta con metodi molto primitivi, salvo in alcune zone di colonizzazione recente; le aree più adatte alle colture si trovano nella fascia più alta, nella ricordata Ceja de Montaña, dove sono state introdotte con successo talune coltivazioni di piantagione. La maggior parte dell'arativo è occupato ovviamente dai cereali, base dell'alimentazione locale, anche se i quantitativi prodotti non sono sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale: al fine di rivitalizzare il settore e di diminuire la dipendenza dalle importazioni si sono rivelati fallimentari gli ambiziosi programmi di riforma agraria e di estensione della rete irrigua (anche attraverso la deviazione di fiumi amazzonici verso il Pacifico) promossi durante l'ultimo decennio del XX secolo. Tra i cereali prevale il mais, principale alimento della popolazione, coltivato soprattutto nella Sierra (specie nelle valli del Mantaro e dell'Urubamba e presso il Lago Titicaca), dove si spinge sino ai 3300 m di altitudine; seguono l'orzo, che si trova ancora a 4000 m, il frumento, il sorgo e la quinoa, una pianta simile al miglio e conosciuta già dagli Incas. Cereale di più recente introduzione, ma che ha già dato ottimi risultati per i suoi alti rendimenti, è il riso, che si ottiene nelle aree irrigue della Costa e nella Ceja de Montaña settentrionale. Altro prodotto alimentare fondamentale è la patata, la cui coltivazione è tipica della zona andina, dove giunge anche a quote di 4000 m (rendimenti molto elevati si ottengono però in alcune oasi della costa); del pari, è largamente consumata la manioca. Il Paese può altresì contare su varie colture orticole, tra cui cipolle e pomodori, e frutticole, che provengono soprattutto dalla Costa (agrumi, ananas, banane, mele, pesche ecc.); importante coltura legnosa è quella della vite, diffusa in tutte le valli costiere meridionali, dove il clima è fortemente mitigato. Di rilievo anche le colture di tipo industriale: prevalgono quelle del cotone (lungo la Costa, soprattutto nella zona centrale e nell'oasi di Piura) e della canna da zucchero (diffuse nelle migliori zone irrigue della Costa ma presenti anche sui versanti orientali andini sino a oltre i 2000 m, nonché nella Ceja de Montaña), che alimentano una consistente esportazione. Importante è la coltivazione del caffè, praticata sia in grandi aziende sia in piccole unità familiari, specie nelle aree montuose del Perú centrale e nordorientale, nonché nelle valli degli affluenti dell'Ucayali; più modeste, invece, le piantagioni di tabacco, cacao, tè, sesamo e soia. § Foreste e boschi coprono la metà della superficie territoriale; costituiscono un potenziale ingentissimo, sinora del tutto inadeguatamente sfruttato, anche per la scarsità di vie di comunicazione. Le foreste sono particolarmente fitte sui versanti montuosi interni e sono ricche di ogni genere di legnami incluse pregiate essenze da ebanisteria (mogano, cedro, palissandro ecc.); il legname ricavato viene in genere avviato per fluitazione a Iquitos, dove è lavorato in grandi segherie (altri impianti si trovano a Tingo María). Tipica della regione Montaña, è anche la chinchona, pianta dalla cui corteccia si ricava il chinino. Sierra e Montaña producono infine ingenti quantitativi di coca (Erithroxylon coca), la cui produzione annua supera le 110 mila t, in parte consumata localmente dagli indios, che ne masticano le foglie, in parte usata per l'estrazione della cocaina (nel 2006, secondo il già citato rapporto ONU, un terzo circa della cocaina prodotta al mondo proviene dal Perú).

Economia: allevamento e pesca

L'allevamento, specie delle pecore e dei lama, è una delle attività più tradizionali delle popolazioni andine (anche se tuttora ben lungi dall'essere adeguatamente organizzata), che da esso ricavano lana per tessere abiti e coperte, latte e carne per integrare gli scarsi prodotti dell'agricoltura, pelli e cuoio. Inoltre il lama, piccolo camelide particolarmente adatto all'ambiente andino, serve come animale da soma. Affini al lama sono gli alpaca e la vigogna che danno, specie il primo, una lana finissima e di alto pregio. Sulla Sierra in particolare si sfruttano estensivamente i magri pascoli della puna soprattutto per ovini (diffusi anche nel Sud, presso il Lago Titicaca e nei dipartimenti di Cusco e Arequipa) e caprini, oltre che per bovini (presenti anche nella Costa e nella Montaña). § Anche l'attività peschereccia riveste un ruolo di rilievo nell'economia peruviana: nota da tempo l'abbondanza di prodotti ittici nelle acque nazionali (le coste peruviane sono ricchissime di plancton grazie alla corrente fredda di Humboldt che, risalendo da S, mescola le sue acque con quelle oceaniche più calde e convoglia nei pressi del litorale grossi banchi di pesce, in cui predomina nettamente una specie di sardina, l'anchoveta), lo sfruttamento intensivo di tale risorsa ebbe inizio solo nel 1955, per trasformarsi poi in un vero e proprio saccheggio. Nel corso degli anni Settanta, il Perú, al primo posto su scala mondiale per le t di pesce sbarcato (10 milioni), assistette a una grave rarefazione dei banchi, in parte anche dovuta allo sprofondamento della corrente di Humboldt a quote non raggiungibili con i sistemi di pesca disponibili, con il conseguente trascinamento verso il fondo anche del plancton e dell'anchoveta. Nel 1997 il quantitativo di pesce sbarcato si attestava su cifre pari a meno della metà rispetto a quelle registrate nel 1971. Tuttavia, nel giro di pochi anni, il pescato è tornato a crescere, per arrivare nel 2005 a 9 milioni di t, grazie alle quali il Perú è diventato il secondo produttore al mondo dopo la Cina. Tra i prodotti ittici, la già citata anchoveta è stata sinora utilizzata soprattutto per la produzione di olio e ancor più di farina di pesce, conosciuta in tutto il mondo e impiegata per la preparazione di mangimi. I principali porti pescherecci del Perú sono Chimbote, Chancay, Callao, Huacho, Ilo e Huarmey.

Economia: industria e risorse minerarie

Nel suo insieme l'industria, ristrutturata in varie riprese mediante provvedimenti governativi, ha registrato discreti progressi, benché sussistano ancora gravi problemi da risolvere, specie per quanto riguarda la produttività, che è piuttosto bassa, e il permanere di forti squilibri nella distribuzione territoriale delle aziende: nell'area tra Lima e Callao è infatti concentrata l'assoluta maggioranza delle industrie operanti nel Paese. Particolare dinamicità ha registrato il settore manifatturiero, specie l'industria tessile: si producono tessuti di cotone (Lima, Ica, Cusco, Arequipa) e, in misura largamente inferiore, tessuti di lana (Lima, Urcos, Marangani, Huancayo) e fibre sintetiche. Sviluppate sono altresì l'industria del tabacco e, in genere, le attività di trasformazione dei prodotti agricoli, zootecnici e ittici locali: tra queste, oleifici, complessi molitori, zuccherifici, birrifici, conservifici, cappellifici (tipica è la produzione dei cappelli panama a Catacaos, Etén e Calendín), calzaturifici nonché impianti per la produzione di mangimi derivati dalla farina di pesce, di cui il P. è il principale produttore mondiale. Modesto ma presente è il settore meccanico, che comprende impianti per il montaggio di autoveicoli e di elettrodomestici (Lima) e piccoli cantieri navali (Callao). Crescente dinamismo presenta l'industria chimica, da poco introdotta nel Paese e che fornisce già discreti quantitativi di acido solforico, cloridrico e nitrico, di soda caustica e di fertilizzanti azotati; numerose sono ormai anche le raffinerie di petrolio sia sulla costa, come a Talara e a Callao, sia nell'interno, come a Iquitos, Pucallpa ecc. Vari cementifici, cartiere e fabbriche di pneumatici completano il panorama delle principali industrie peruviane. Vivace e, per certi articoli, di gran pregio è infine l'artigianato (lavorazione dell'argento e dell'oro, ceramiche artistiche, tessuti a mano ecc.). Complessivamente, il settore secondario contribuisce alla formazione del PIL per il 34,8% e occupa circa il 14,4% della popolazione attiva. § Sin dal tempo della conquista spagnola, il Perú fu celebre per le sue ricchezze minerarie; tali risorse sono state in passato la vera e propria base dell'economia peruviana. Il settore estrattivo riveste notevolissima importanza, partecipando alle esportazioni in misura nettamente prioritaria. All'inizio furono i metalli preziosi ad attirare i conquistatori, ma da tempo altri minerali – specie il rame – si sono aggiunti alla lunga lista dei principali prodotti del sottosuolo peruviano. Per il rame, il Perú è uno dei massimi produttori mondiali (il minerale viene estratto nella regione andina, a Quiruvilca, Toquepala, Quellaveco, Cerro de Pasco, Morococha, Casapalca ecc.); detiene inoltre il primato nell'America Meridionale per il piombo, il rame, lo zinco lo stagno e l'argento, di cui il Paese è il primo estrattore al mondo. Quest'ultimo, con cui piombo e zinco sono spesso associati, ha il principale giacimento a Cerro de Pasco; l'oro riveste minore importanza rispetto a un tempo (anche se il Perú resta il sesto Paese al mondo per quantità estratte, 2006), mentre ha tuttora una buona consistenza l'estrazione del ferro, presente nel Perú meridionale, a Marcona e ad Acarí. Dal sottosuolo peruviano si ricavano anche vanadio, molibdeno, antimonio e tungsteno, ricercati per la metallurgia degli acciai speciali, nonché vari minerali non metallici, come i fosfati; nel 1984 sono stati rinvenuti giacimenti di uranio. Tra i minerali energetici è presente, in quantitativi modestissimi, il carbone, mentre una discreta consistenza ha il petrolio, i cui giacimenti sono situati nel Nord del Paese, sia sulla costa (Lobitos, Zorritos ecc.), sia nell'area amazzonica (Corrientes, Maquia ecc.); nel 1977 è stato ultimato l'oleodotto transandino, di 852 km, che collega i giacimenti di Corrientes con la costa, dove è in funzione dal 1982 il grande complesso petrolchimico di Bayovar, sulla baia di Sechura. Nella zona di Aguaytia, infine, è stato rinvenuto un esteso giacimento di gas naturale, di cui è già in atto un discreto sfruttamento. Il Perú può anche contare sull'ingentissimo potenziale idroelettrico dei suoi ricchi fiumi, che scendono dalla Sierra e sono già sfruttati da vari impianti, tra cui quello sul fiume Mantaro, un affluente dell'Apurímac; per quanto riguarda la produzione di energia elettrica l'apporto di origine idrica è pari a circa due terzi del totale ma il settore energetico necessita di un radicale potenziamento. L'energia è in larga misura utilizzata per l'industria siderurgica (il complesso di Chimbote, che lavora minerale nazionale) e metallurgica (con stabilimenti a La Oroya e Ilo).

Economia: commercio, comunicazioni e turismo

Gli scambi commerciali ben riflettono la profonda frattura socio-economica che continua a contrapporre l'area della Costa alla Sierra e in genere alle zone interne: mentre nei centri costieri si registra una forte richiesta di merci di vario genere e una grande molteplicità di beni di consumo, nell'interno una prevalente economia di sussistenza e un fiorente artigianato indio sopperiscono in gran parte alle contenute necessità della popolazione locale. Quanto agli scambi con l'estero, la politica di espansione che ha caratterizzato l'economia peruviana nell'ultimo decennio del XX secolo ha naturalmente determinato un sensibilissimo sviluppo anche in questo settore. Le esportazioni riguardano soprattutto i minerali (oro, rame di miniera e fonderia, petrolio, seguito da,zinco, ferro, piombo, argento), pesce e prodotti ittici, abbigliamento, ortaggi e frutta, olii di pesce, legname; le importazioni sono eminentemente costituite da macchinari, materie prime e semilavorati. La bilancia commerciale alterna anni con saldi attivi (come il triennio 1978-80) ad altri con saldi passivi in relazione alle quotazioni sui mercati mondiali delle materie prime, su cui si basano le esportazioni del Paese; negli ultimi anni tuttavia il saldo è mantenuto positivo. I partner principali sono gli Stati Uniti (che assorbono un quarto degli scambi), seguiti dalla Cina e dagli Stati sudamericani (Brasile, Ecuador, Colombia, Cile, Argentina) per le importazioni, e da Cina, Svizzera, Canada, Giappone e Germania per le esportazioni. § Il settore terziario impiega, nel complesso, la metà della popolazione attiva (2003) e partecipa alla formazione del PIL per il 58% (2005). La conformazione del territorio ha reso particolarmente complicate le comunicazioni; le infrastrutture sono infatti carenti e costituiscono un grave ostacolo allo sviluppo economico, nonostante il Paese (a differenza di altre regioni andine) abbia conosciuto in epoca incaica un eccellente sistema viario, realizzato per collegare la capitale Cusco al mare e alle altre zone dell'altopiano. L'antica rete stradale è andata tuttavia distrutta durante la dominazione coloniale spagnola, con gravi conseguenze per i contatti interni (in particolar modo fra le tre grandi sezioni morfologiche del Paese), migliorati solo nel XX secolo. La rete ferroviaria, costruita eminentemente per sfruttare le miniere della Sierra, riveste un'importanza strategica, ma con 2177 km di complessivo percorso non copre né le esigenze di trasporto né quelle di comunicazione tra le varie parti del territorio. Le linee principali sono due: il Ferrocarril Central, la strada ferrata più alta del mondo, che collega Lima a La Oroya attraverso il passo di Ticlio, utilizzata soprattutto per l'industria mineraria e che tocca ben 4829 m di quota e la linea che unisce, a S. Arequipa e il vicino porto di Mollendo con Puno sul Lago Titicaca, passando per Cusco e raggiungendo i 4770 metri. La rete stradale è relativamente estesa (78.829 km nel 2004, di cui solo un settimo asfaltate), ma non sempre efficiente, specie nella Sierra, e ancor più povera di collegamenti con la Montaña; essa si basa essenzialmente sui ca. 3337 km del tratto peruviano della Carretera Panamericana, che dal confine con l'Ecuador a quello con il Cile congiunge tutti i principali centri della Costa, e sull'arteria transandina, che collega Lima alle zone orientali, passando per La Oroya e Cerro de Pasco fino a Pucallpa. Dove non esistono strade o ferrovie si fa largo ricorso alla navigazione fluviale (numerosi battelli fanno servizio specialmente nella Montaña, tra Pucallpa e Iquitos); notevole è anche la navigazione sul Lago Titicaca, sulla cui estremità occidentale è situato il porto di Puno. Altri porti del Paese sono quello di San Nicolás, Talara e San Juan. I servizi aerei, discretamente sviluppati, collegano Lima (sede dell'aeroporto internazionale Jorge Chávez) con tutti i principali centri del Paese, nonché con quasi tutte le capitali sudamericane e con gli Stati Uniti; tra gli altri scali aeroportuali internazionali: Iquitos, Cusco e Arequipa. § Rilevanti le entrate valutarie dovute al turismo, nonostante l'instabilità politica del Paese esponga il settore a frequenti oscillazioni; il Perú è visitato annualmente da oltre 1 milione e mezzo di stranieri, attirati sia dalle imponenti vestigia delle civiltà preincaica e incaica e dalle insigni testimonianze dell'arte coloniale, sia dal fascino di una natura di grandiosa bellezza e varietà.

Storia: dalla conquista spagnola al colonialismo

Prima dell'arrivo degli spagnoli il Perú aveva conosciuto importanti civiltà. Almeno due nuclei di rilievo si erano stabiliti in epoca molto antica: i Chimúes al nord e i Nazcas nel centro-sud. Entrambi gravitavano sulla costa, ma erano in rapporti con le tribù dell'interno. Non lontani dai Chimúes vivevano i Mochicas e i Tallancas, che avevano per capitale la città sacra di Chanchan (nei pressi dell'attuale Trujillo). Nel I millennio a. C. si affermò la cultura di Chavín, che raggiunse tecniche elaborate soprattutto nell'uso della pietra. Ma il massimo dello splendore preispanico fu opera degli Inca, il cui consolidamento cominciò a realizzarsi intorno al sec. XII. Alla fine del sec. XV il loro dominio era un impero, che si estendeva dalla Colombia meridionale ai territori che formano l'Ecuador, il Perú, il Cile settentrionale e centrale, la Bolivia e l'Argentina nord-occidentale. La capitale era Cuzco. Agli inizi del sec. XVI la monarchia incaica entrò in crisi a causa di insoluti problemi economici e sociali. Si aggiunse, nel 1525, la decisione dell'inca Huayna Cápac di dividere il regno in due parti, affidate ai figli Huascar e Atahualpa. Ne derivò una lotta fratricida che si concluse nel 1532 con l'assassinio di Huascar. Ma l'anno precedente erano già sbarcati i conquistadores spagnoli, sotto la guida di Francisco Pizarro. Il loro peso fu notevole nella soluzione del conflitto dinastico, perché Pizarro ritenne opportuno sostenere Atahualpa. Comunque, dato che l'obiettivo della spedizione iberica era quello di impadronirsi del Perú, anche Atahualpa, nel 1533, venne eliminato, ucciso per strangolamento. L'aristocrazia incaica tentò di reagire organizzando una controffensiva: ma il tentativo naufragò in seguito alla potenza delle armi da fuoco degli spagnoli. Pizarro fondò nuove città: nel 1534 Trujillo (dal nome del suo luogo di nascita nell'Estremadura) e il 18 gennaio 1535 Lima (così detta dal nome del locale fiume Rimac). Il governo dei vincitori non fu immune da contrasti; infatti Pizarro si vide avversato dal proprio socio Diego de Almagro. Fu uno scontro fatale per entrambi. Vittorioso a Las Salinas nel 1538, Pizarro ordinò l'assassinio di Almagro. A sua volta, il 26 giugno 1541, Pizarro cadde a Lima sotto i colpi mortali di un gruppo di amici del defunto rivale. Conquistato interamente dagli spagnoli, il Perú divenne nel 1542 uno dei due viceregni creati da Carlo V per amministrare le colonie d'oltreoceano (l'altro viceregno fu il Messico). Sotto la sua giurisdizione rientrarono tutti i territori assoggettati nell'America Meridionale. Vi rimasero fino al sec. XVIII, allorché Madrid istituì il viceregno della Nuova Granada (Colombia, Ecuador e Venezuela) e il viceregno del Río de la Plata (Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia e parte del Cile). L'amministrazione coloniale del Perú fu quella del resto dell'impero. Perciò diede origine allo stesso tipo di società e di organizzazione economico-politica che si plasmò nelle altre zone dell'America Latina. A Lima, capitale di viceregno, l'oligarchia assunse caratteristiche più rigide, facendo gravare maggiormente sulle classi subordinate il proprio esclusivismo. La fonte del potere risiedeva nella terra e nella proprietà delle miniere (oro, argento, rame). Questa situazione ritardò l'adesione dei creoli peruviani ai moti indipendentistici del primo ventennio del sec. XIX. In ogni modo la rivoluzione coinvolse anche Lima.

Storia: l'indipendenza

Primo liberatore del Paese fu il generale argentino José de San Martín, che il 28 luglio 1821 proclamò a Lima l'indipendenza peruviana.Le divergenze che di lì a poco inquinarono il campo nazionalistico permisero agli spagnoli di rientrare in possesso del territorio. Dovettero perciò intervenire, nel 1823 e nel 1824, le truppe di Simón Bolívar e del suo amico Antonio José de Sucre. Sconfitti a Junín (6 agosto 1824) e ad Ayacucho (9 dicembre 1824), i soldati del re di Spagna si arresero. Il viceré De la Serna firmò l'Atto di capitolazione, con il quale riconobbe l'indipendenza “del Perú e dell'America”. Alla guida del Paese si insediò temporaneamente Bolívar, che nel 1825 fece emanare la prima Costituzione. In quell'anno il Libertador dovette tornare nella Gran Colombia per porre fine alle discordie locali: così anche Lima fu preda di dissidi, esplosi fra i militari che avevano vinto gli spagnoli (i “marescialli di Ayacucho”). Dopo il 1830 il quadro divenne estremamente confuso. Ne trasse profitto il generale Andrés Santa Cruz. Impostosi ai rivali, nel 1836 egli cementò una Confederazione con la Bolivia, della quale prese il titolo di “protettore”. Tre anni dopo, gli eserciti alleati del Cile e di dissidenti peruviani sconfissero i confederati nella battaglia di Yungay: Santa Cruz riparò all'estero e la sua costruzione politica si frantumò. Perú e Bolivia riacquistarono la rispettiva individualità repubblicana. Nuove discordie sorsero a Lima, fino a quando nel 1845 il generale Ramón Castilla si impadronì del potere e istituì un regime stabile. Castilla diede impulso soprattutto al commercio, con l'esportazione di una ricchezza da lui per primo valorizzata: il guano. Da allora, e per quasi mezzo secolo, il guano fu una delle voci più attive degli scambi del Perú con l'Europa e incise notevolmente come stimolo per l'attrazione di capitali stranieri. L'“era” di Castilla fu interrotta nel 1851 dalla presidenza del generale José Rufino Echenique. Ma dal 1855 al 1862 il vecchio capo dello Stato esercitò di nuovo la suprema carica, promulgando fra l'altro una Costituzione conservatrice. Dopo la parentesi di Miguel de San Román (1862-63), assunse la presidenza Juan Antonio Pezet che fronteggiò l'ultimo tentativo spagnolo di rientrare in possesso di almeno una parte dell'antico impero. Questa guerra durò fino al 1866 e portò a una alleanza fra Perú, Ecuador, Cile e Bolivia. Nel corso delle ostilità il porto di Callao subì un bombardamento da parte della flotta spagnola che dovette comunque ritirarsi. Nel 1871 Lima e Madrid stipularono la tregua, mentre per il trattato di pace attesero sino al 1879.

Storia: dal presidente Balta al generale Odría

Il presidente José Balta, entrato in funzione nel 1869, spalancò completamente le porte al capitale straniero, che operò in prevalenza nei settori minerario e ferroviario. Questa linea politica suscitò l'ostilità dei nazionalisti: nel 1872 Balta morì assassinato. Manuel Pardo, suo successore, cercò di calmare le acque; ma anch'egli si legò strettamente a finanzieri e imprenditori internazionali. Perciò da questi fu sollecitato, per motivi di concorrenza, a opporsi all'espansione economica cilena, a sua volta sostenuta da investimenti stranieri. Erano in gioco, soprattutto, i nitrati e il rame della costa del Pacifico. Pardo riuscì a stringere un'alleanza con la Bolivia, non meno preoccupata per il dinamismo cileno. Nel 1879 si giunse al conflitto armato: Bolivia e Perú contro il Cile. La guerra durò fino al 1883 e si concluse con la completa disfatta dei Peruviani e dei Boliviani. La Bolivia perse la provincia di Atacama, con la città di Antofagasta, e dunque il suo unico sbocco sul mare. Il Perú fu privato della provincia di Tarapacá e delle città di Tacna e Arica. Erano le disposizioni principali del Trattato di Ancón, sottoscritto il 20 ottobre 1883. Per Tacna e Arica, tuttavia, la questione si trascinò fino al 1929, anno in cui Tacna venne restituita al Perú, mentre Arica rimase al Cile, ferma restando la possibilità di chiamare i cittadini aricani a pronunciarsi nel 1979 sulla loro nazionalità definitiva. La sconfitta militare comportò per il Perú sacrifici di ogni genere, su uno sfondo sociale in continuo deterioramento. I governi si alternarono a ritmo serrato, senza dare al Paese la stabilità auspicata. Neppure i presidenti civili, preferiti ormai ai militari, seppero risolvere i problemi sul tappeto. Anzi, nel 1903 si aggiunse un pesante scacco diplomatico: la Bolivia e il Brasile si accordarono per la vendita a quest'ultimo del ricco territorio di Acre, ignorando totalmente le rivendicazioni peruviane. Lima si faceva sempre più condizionare dagli interessi stranieri, in particolare da quelli statunitensi, che agivano attraverso la Cerro de Pasco Co. (rame e altri metalli), la Vanadium Corporation, la Standard Oil of New Jersey e la W. R. Grace and Company. Queste compagnie trovarono amicizie fra i latifondisti e i militari, per una specie di divisione degli affari da realizzare. Contro un simile compromesso reagirono i ceti subalterni, politicizzati dagli studenti e dagli intellettuali. Loro animatore divenne il letterato Manuel González Prada, che contribuì non poco, con i suoi scritti, alla formazione di una coscienza democratica. Si fece luce allora il principio del riscatto degli indios, ancora soggetti a un trattamento schiavistico. Su questo punto si imperniarono i due movimenti che presto vennero a coagularsi: uno, di espressione marxista, guidato da José Carlos Mariátegui: l'altro, riformistico, fondato da Víctor Raúl Haya de la Torre e denominato Alianza Popular Revolucionaria Americana (APRA) o Partito aprista. Fu l'APRA ad avere più successo; la sua predicazione arrivava meglio ai destinatari, perché si riallacciava alle origini storiche della società nazionale. Per due volte, nel 1931 e successivamente nel 1936, Haya de la Torre cercò di concorrere alle elezioni presidenziali, ma sempre senza successo. Fra aprismo e oligarchia civico-militare si accese allora una lotta praticamente senza esclusione di colpi. Nel 1939, però, ebbe inizio un periodo di pausa, a causa del peggiorare della situazione mondiale. Così il presidente Manuel Prado y Ugarteche permise a Haya de la Torre di rientrare dall'esilio. Poco dopo, nel 1941, il Perú incrociò le armi con l'Ecuador, per il possesso di un'ampia zona amazzonica. La mediazione degli Stati Uniti e di tre Paesi latino-americani condusse i contendenti alla pace: un protocollo stipulato a Rio de Janeiro nel gennaio del 1942 assegnò la maggior parte del territorio in disputa al Perú. La tregua interna alimentata da Prado parve poter continuare con il presidente José Luis Bustamante, eletto nel 1945. Ma i voti conferitigli dagli apristi gli furono fatali. Infatti nel 1948 egli venne deposto dai militari, che portarono al potere il generale Manuel Odría avviando così una dittatura durata fino al 1956.

Storia: il regime "rivoluzionario, socialista e umanista"

Ancora una volta furono gli apristi a sbloccare la situazione: accordatisi con Prado, determinarono la rielezione di Haya de la Torre a presidente e agevolarono il suo ritorno a Lima da un ennesimo esilio. Nel 1962 questi si ripresentò come candidato e vinse le elezioni presidenziali. Ma i militari si opposero e annullarono i risultati. L'anno seguente la consultazione fu ripetuta: vincitore fu proclamato l'architetto Fernando Belaúnde Terry, capo del Partito di Azione Popolare (PAP) di orientamento socialdemocratico. Il suo governo introdusse qualche riforma, ma via via si lasciò irretire dalle manovre della destra conservatrice. I progressisti intensificarono l'opposizione e gli estremisti scelsero il metodo della guerriglia. Nell'esercito intanto si era verificato un ricambio qualitativo, con il sopravvento di ufficiali giovani, provenienti da categorie sociali di media collocazione. Appunto costoro, il 3 ottobre 1968, effettuarono una “rivoluzione” che al posto di Belaúnde Terry insediò un governo militare di ispirazione radicale. Capo dello Stato fu proclamato il generale Juan Velasco Alvarado. Ebbe inizio un esperimento nuovo per il Perú e per tutta l'America Latina. Il regime di Lima si definì “rivoluzionario, socialista e umanista”, contrario al capitalismo e al marxismo e in politica estera fautore del non allineamento. Velasco Alvarado colpì grossi interessi nazionali e internazionali, introducendo una severa riforma agraria e procedendo a numerose nazionalizzazioni; nei rapporti con l'estero, poi, si avvicinò sensibilmente ai Paesi del Terzo Mondo. D'altro canto sospese l'attività partitica e limitò la libertà d'espressione; di fronte alle dimostrazioni contro il carovita e le misure repressive fece intervenire l'esercito. Velasco Alvarado fu deposto (29 agosto 1975) a opera di un gruppo di generali e sostituito con il generale Francisco Morales Bermúdez, già ministro della Difesa e capo del governo. I provvedimenti economici del nuovo governo suscitarono scioperi e manifestazioni di protesta cui, a sua volta, il governo rispose dichiarando lo stato d'emergenza (1978). Il potere venne poi gradualmente restituito ai civili. Nel 1980 alla presidenza della Repubblica fu eletto Belaúnde Terry. La situazione interna restò tuttavia critica per il peggioramento delle condizioni economiche e l'intensificarsi dell'attività terroristica; in politica estera l'annosa controversia di frontiera con l'Ecuador culminò nel gennaio 1981 in una guerra conclusasi pochi giorni dopo con la mediazione dei Paesi garanti del protocollo di Rio. Le successive elezioni politiche del 1985 furono vinte a larga maggioranza dall'APRA, il cui leader, Alán García, venne eletto presidente della Repubblica.

Storia: ascesa e crollo di Fujimori

Fautore di una politica riformista, Alán García perse però in breve tempo il sostegno goduto trovando all'estero l'ostilità del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e all'interno il progressivo allontanamento delle sinistre. La ricerca, infatti, di un appoggio dell'esercito, estraneo alle tradizioni dell'APRA, il progetto di nazionalizzazione del sistema bancario e le severe misure deflazionistiche avevano determinato un forte scontento popolare e numerose agitazioni sindacali (1988), tali da decretare il fallimento dei propositi di una pianificazione nazionale e quindi il declino della politica di García. Le elezioni presidenziali dell'aprile 1990, dopo una seconda tornata, decretarono l'inattesa sconfitta dello scrittore Vargas Llosa, portando alla presidenza della Repubblica Alberto Fujimori (giugno), leader di una formazione di centro-sinistra denominata Cambio 90. Il raggiungimento degli obiettivi indicati come prioritari dal nuovo governo per il risanamento della situazione economica (lotta alla corruzione dell'amministrazione statale, riduzione dell'inflazione che nel 1989 aveva raggiunto un tasso del 2770%), contrariamente alle promesse della campagna elettorale, era affidato a una rigida politica di austerità (accompagnata da una riforma fiscale e da misure di radicale liberalizzazione economica), fedele sì alle direttive del FMI ma che produceva una forte riduzione del potere d'acquisto della popolazione, colpita anche da una grave epidemia di colera. Perso quindi il consenso della nazione, il 5 aprile 1992 Fujimori, appoggiato dalle alte gerarchie delle forze armate, attuava un golpe bianco, sciogliendo contestualmente il Parlamento e il più alto organo della magistratura, e limitando la libertà di stampa, con la promessa di ripristinare entro breve tempo una struttura parlamentare più democratica. In settembre, Fujimori, con la cattura del leader dei guerriglieri di Sendero Luminoso, Abimael Guzmán, preceduta di qualche mese da quella di Victor Polay, capo del filocubano Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru, poneva fine a dodici anni di guerriglia ottenendo un grosso successo personale. Le elezioni del 22 novembre 1992 per l'Assemblea Costituente, alle quali non partecipavano i principali partiti di opposizione in segno di protesta per l'autogolpe di aprile, venivano vinte dal partito Nueva Majoria-Cambio 90 del presidente Fujimori, premiato dagli elettori per la linea dura seguita contro i guerriglieri di Sendero Luminoso. La nuova Costituzione, approvata con referendum nell'ottobre 1993, attribuiva al presidente maggiori poteri consentendogli di candidarsi anche per un secondo mandato. La lotta alla guerriglia di Sendero Luminoso, che non aveva risposto all'appello al disarmo lanciato dal carcere da Guzmán (ottobre 1993), continuava quindi con l'arresto del presunto capo militare Abdon Cruzzat (giugno 1994). Nel gennaio 1995 le truppe dell'Ecuador penetravano in territorio peruviano per occupare la regione di frontiera contesa fin dall'epoca del Protocollo di Rio, ma nel marzo, dopo la stipulazione di un cessate-il-fuoco, i due Paesi pervenivano, sotto l'egida di Argentina, Cile, Brasile e Stati Uniti, alla firma del Protocollo di Montevideo, che prevedeva la smilitarizzazione della zona contesa. In questo stesso anno si tenevano le elezioni presidenziali e legislative; Fujimori, grazie anche ai duri colpi inferti dal suo governo alle organizzazioni terroristiche, veniva rieletto con ampio margine di voti, sconfiggendo nettamente il suo più diretto avversario, l'ex segretario dell'ONU Pérez de Cuéllar, mentre il suo partito si aggiudicava la maggioranza assoluta dei seggi al Congresso. Anche il secondo mandato di Fujimori procedeva con una politica accentuatamente liberista che si ripercuoteva sempre più pesantemente sui ceti più poveri, ed esasperava i tratti autoritari del suo governo. Dopo aver siglato una nuova pace con l'Ecuador (1998), Fujimori si presentava, per la terza volta, alle elezioni presidenziali del 2000. Queste, svoltesi in un clima di grande tensione, attribuivano al primo turno la vittoria a Fujimori, nonostante le sommosse popolari e il sospetto di brogli elettorali sollevato dal candidato dell'opposizione, Alejandro Toledo, favorito fino alla fine; gli scontri che ne seguirono inducevano gli Stati Uniti a intervenire a favore di un ballottaggio tra i due candidati. Toledo, però, ritiratosi dalla sfida elettorale per paura di nuovi brogli, consentiva a Fujimori di presentarsi da solo al ballottaggio e di vincere. Nel settembre dello stesso anno, comunque, uno scandalo che vedeva coinvolto per corruzione il braccio destro di Fujimori, Vladimiro Montesinos, capo dei servizi segreti, decretava la fine del regime del presidente. Arrestato Montesinos nel mese successivo, Fujimori per evitare di rispondere alle accuse di corruzione, mosse anche nei suoi confronti, scappava in Giappone, dove annunciava le sue dimissioni. Veniva nominato presidente ad interim Valentin Paniagua, che richiamava in Perú l'ex segretario generale dell'ONU Javier Pérez De Cuellar, per guidare come primo ministro il Paese verso le elezioni dell'aprile 2001, cui partecipavano l'ex presidente Alán García, candidato dell'APRA, e Alejandro Toledo, candidato della formazione moderata Perú Posible. Al ballottaggio del giugno successivo, Toledo risultava il vincitore. Il nuovo presidente, anche se eletto con i consensi sia della sinistra organizzata, che non vedeva di buon grado il ritorno di Alán García, sia dei conservatori del Fronte Moralizzatore, la borghesia anti-Fujimori, al suo insediamento si trovava a fronteggiare una situazione alquanto difficile in Parlamento, non avendo la maggioranza. La necessità, quindi, di riconciliare tutte le forze politiche e il deficit economico che gravava sul Paese rappresentavano per Toledo i primi problemi da affrontare. Veniva così varato un piano economico di impronta neoliberista che pur garantendo al Paese un notevole incremento del Pil, aveva però ricadute pesanti sugli strati meno abbienti del Paese. Nel 2003, in seguito a un'ondata di scioperi per protestare contro la politica economica del governo, Toledo dichiarava lo stato d'emergenza, poi revocato per le numerose contestazioni. Successivamente il governo si dimetteva per protesta contro il piano fiscale presentato dal presidente che nominava primo ministro B. Merino, che veniva costretta a dimettersi in dicembre. Al suo posto veniva nominato Carlos Ferrero Costa. Sempre nel dicembre 2003 il Paese entrava nel Mercosur come membro associato. Nel 2005 Ferrero Costa si dimetteva, per contrasti con il presidente sulla nomina del ministro degli esteri, e al suo posto veniva nominato Pedro Kuczynski. Nel giugno 2006 si svolgevano le elezioni presidenziali, vinte con il 54,70% dei consensi da Alan Garcia. In settembre Jorge Del Castillo Gàlvez veniva nominato premier. Nello stesso anno il parlamento ha approvato il trattato di libero scambio con gli USA, nonostante l'ostilità di parte della popolazione. Nell'ottobre del 2008 il presidente accettava le dimissioni del governo, coinvolto in un'inchiesta di corruzione e nominava l'indipendente Yeude Simon nuovo premier. Nel 2009 riprendevano gli attacchi contro l'esercito del gruppo terrorista Sendero Luminoso, mentre il governo doveva rinunciare a due decreti che autorizzavano lo sfruttamento della regione amazzonica, dopo che gruppi di indigeni si erano opposti duramente. In luglio il presidente Garcia nominava primo ministro Javier Velasquez dell'APRA. Nel 2011 si svolgevano le elezioni presidenziali vinte da Ollanta Humala, mentre nel 2014 diventava primo ministro Ana Jara Velàsquez.

Cultura: generalità

Il panorama culturale del Perú è uno dei più ricchi del Sudamerica, frutto di un'eredità straordinaria in termini architettonici, artistici, musicali e non solo, legata alle civiltà precolombiane, in primo luogo quella inca. Questo patrimonio si è integrato nei secoli con gli apporti esterni, in forme e misure diverse, ma con risultati altrettanto straordinari. A cominciare dalle lettere, in cui la tradizione spagnola ha determinato molte delle tendenze più prolifiche, grazie anche alla diffusione, sempre per merito dei conquistadores, di teatri, accademie e università. In questo quadro non può tuttavia essere taciuto il destino a cui gli stessi europei hanno costretto gli indios, relegati nelle foreste o sulle alture e oggetto di uno dei più feroci stermini della storia. Fortunatamente, soprattutto nel Novecento, la tradizione culturale indigena, in molti dei suoi aspetti (folcloristici, letterari, figurativi), ha beneficiato di processi di tutela e valorizzazione che ne hanno salvaguardato la sopravvivenza. Le arti figurative e l'architettura sono probabilmente l'ambito in cui la storia millenaria di questa terra (le testimonianze più remote sono databili al 7000 a. C.) continua a destare meraviglia; i capolavori che l'UNESCO ha inserito nella propria lista protetta ne sono chiara testimonianza: i “siti naturali e culturali” sono il Santuario storico di Machupicchu (1983) e il Parco Nazionale del Río Abiseo (1990, 1992); quelli esclusivamente culturali includono la Città vecchia di Cusco (1983), l'Area archeologica di Chavín (1985), la Zona archeologica di Chan Chan (1986, iscritto nella lista UNESCO ma pericolo), il Centro storico di Lima (1988, 1991), le Linee e geoglifi di Nazca e di Pampas di Jumana (1994) e il Centro storico della città di Arequipa (2000). Nel 2009 si è aggiunta la città sacra di Caral-Supe; nel 2014 è diventato patrimonio UNESCO anche il sistema inca di strade (Qhapac Ñan ) che percorre la catena andina. Di grande valore anche la produzione seguita alla conquista, con le chiese, le piazze, i palazzi in stile prima coloniale, poi barocco, mestizo (frutto dell'unione fra maniere europee e indigene), per arrivare alle figure e alle tecniche del modernismo e del post-modernismo; stili diffusi in tutto il Paese, anche se Lima, che è stata e continua a essere centro nevralgico di tutto ciò che accade in Perú, occupa un posto di preminenza.

Cultura: tradizioni

Gli indios si sono mescolati, dopo la conquista spagnola, con i mediterranei, con i neri, con i mongoli e ne sono nati meticci, mulatti, injertos (incroci tra indios e mongoli), zambos (incroci tra indios e neri). All'antico culto del dio-Sole andò, con i conquistadores, sostituendosi il cristianesimo. Rimasero però isole di genti che non vennero a contatto con i conquistadores. Lungo la costa, le haciendas costituiscono dei piccoli mondi, nati intorno alla casa padronale, dove gli europei hanno influenzato, con i loro costumi, quelli degli indios. Sulla Sierra, invece, tutto è rimasto immobile. Le donne portano sottane lunghe, un cappello in testa (anche in casa) e il bambino sul dorso. Antichi costumi sopravvivono anche nella foresta amazzonica dove predominano due gruppi etnici che raramente si fondono. L'uno è formato da indios puri, l'altro da meticci. I primi vivono in maniera primitiva di caccia e pesca, in abitazioni di canne e legno su palafitte. I meticci vivono invece di commerci, si vestono spesso all'europea, ma portano anche il poncho. Gli indios vivono in tribù: in alcune uomini e donne hanno vesti (cushmas) e acconciature uguali. Portano capelli tagliati a scodella, con frangetta sulla fronte bassa. Le donne fabbricano vasi di argilla dalle decorazioni bellissime. Entrando verso l'interno, gli indios indossano sempre meno vestiti e si decorano di più con braccialetti, collane, tatuaggi. Magia e superstizione hanno gran posto nella vita degli indios e i brujos o stregoni hanno notevole autorità; feticci e amuleti sono tramandati di padre in figlio. La muda è una pratica ancora usata per difendersi dalle malattie, che consiste nel far passare il male dell'uomo a un animale che viene strofinato al malato. Celebratissime le feste del santo patrono, organizzate da un mayordomo eletto annualmente. Ovunque l'allegria è sostenuta da quantità enormi di chicha (bevanda ottenuta dalla fermentazione del mais) e di cañazo (ricavato dalla canna da zucchero). Piatto prediletto è il porcellino d'India. Le feste precolombiane coincidono oggi con quelle religiose. Tipica l'inti-raymi di Cusco assimilata al Corpus Domini, celebrata per ricordare la fine del raccolto. Al sacrificio di animali si è sostituita la processione con statue di santi. Le feste sono occasioni per indossare i costumi tradizionali. Famosa fra tutte la festa di Pisac, in cui tutti gli alcaldes dei paesi vicini rendono omaggio al prete. Nel mese di maggio in tutto il Perú vengono portate al piano le croci che coronano colline e monti. Si balla e si canta perché da sempre in Perú ogni festa è occasione di corride, canti e danze, vere e proprie pantomime: celebre la yavar, specie di parodia del combattimento dei tori. A Lima, dove si celebra in occasione del Natale la famosa festa de Los Reyes, sono diffusi svaghi di tipo europeo e, come nel resto del Perú modernizzato, sono popolari sport come pugilato e calcio. Popolari ancora i combattimenti dei galli; la crudele corrida tra condor e toro sopravvive in alcuni Paesi della Sierra meridionale. Questa lotta impari (la vittima è quasi sempre il toro) vuole simboleggiare la vittoria del Perú, delle sue forze naturali, sui conquistadores. Per abitudine antica gli indios amano riunirsi nei mercati. Famoso quello del sabato santo ad Ayacucho. Vi si ritrovano tutti i prodotti artigianali, coperte di vicuña (vigogna) tessute a mano, selle di cuoio, vasi, zucche lavorate, vestiti tessuti a mano. Ogni Paese ha i suoi colori e disegni; anche i cappelli sono diversi da Paese a Paese. Diversamente da altri Stati però, la vendita non è occasione di chiassose contrattazioni. La cucina peruviana è una sintesi di ricette indie, nere, europee. Il piatto più apprezzato è il cebiche, pesce crudo a pezzi marinato in succo di limone, arancia amara e ají (peperoncino rosso), ricoperto di cipolle crude e servito con contorno di pannocchie di granoturco lesse e patate dolci. Caratteristiche della cucina della costa le zuppe di gamberi e, nelle haciendas, la pachamanca, piatto di carni di manzo, castrato, capretto, polli e patate, cotte su pietre roventi calate in buche e ricoperte di foglie di banana. Tra i molti dolci presenti, si distinguono quelli fatti di pasta di mandorle. Diffusa fra gli indios è ancora la abitudine di masticare la coca per sopportare fatica e monotonia. Ogni due o tre ore la bola di coca viene sostituita e si ricomincia a masticare; nei testi antichi si parlava della cocada come di una vera e propria unità di tempo.

Cultura: letteratura

Centro d'irradiazione della più ricca e suggestiva, forse, fra tutte le culture precolombiane, il Perú divenne dopo il 1543 il più colto e prospero vicereame dell'America ispanica. Emarginando sulle Ande e nella selva milioni di indios, nei nuovi centri urbani creati specialmente lungo la costa (a cominciare da Lima) trionfarono la lingua e la cultura, le istituzioni e i costumi spagnoli. Viceré aristocratici e spesso raffinati (o poeti, come Esquilache) vollero nella capitale l'Università (1551), molte scuole e collegi, tipografie (il primo stampatore fu l'italiano Antonio Ricardo; oltre 4000 furono le opere pubblicate in età coloniale), teatri pubblici (dal 1559 in poi), gazzette di notizie (dalla prima metà del sec. XVII), concorsi poetici, accademie, ecc. Moltissimi, quindi, gli scrittori ecclesiastici e laici, a cominciare dai cronisti e storici della Conquista (Pedro Cieza de León, A. de Zárate, Sarmiento de Gamboa, Jerez, ecc.); e persino troppi i poeti, ammiratori non solo dei massimi spagnoli, da Cervantes a Lope de Vega e a Calderón, ma anche di Ovidio e Dante, Ariosto e Tasso. A tanto fervore di produzione contribuirono i religiosi (specie per la storia e gli studi sulle lingue indigene) e meticci o indios puri come Juan Santa Cruz Pachacuti, Titu Cusi Yupanqui e il singolare Felipe Guamán Poma de Ayala (m. dopo il 1613), primo esaltatore della civiltà incaica. Il primo grande scrittore peruviano fu Garcilaso de la Vega detto el Inca, autore dei Comentarios Reales de los Incas e di La Florida, storia romanzata della conquista. Nel Seicento non vi fu un solo genere in auge nella madrepatria che non avesse immediato e largo successo in Perú: dalla lirica barocca (soprattutto con Juan de Espinosa Medrano, poeta in castigliano e in quechua e grande ammiratore di Góngora) alla satira quevedesca (Juan del Valle Caviedes, ca. 1652-ca. 1697); dal teatro (Pedro de Peralta Barnuevo; Espinosa, Ana Morillo, Valle Caviedes, ecc.) al poema eroico e religioso (Pedro de Oña, autore de El Arauco domado, vissuto in Perú anche se cileno; Diego de Hojeda autore di La Christíada) al racconto (Miscelánea Austral, di Diego Dávalos, 1602) al sainete satirico-popolare (F. del Castillo, J. de Monforte), ecc. Nel Settecento penetrò il pensiero illuministico, culminante nella figura di Pablo de Olavide, famoso anche in Spagna, e nel singolare Lazarillo de ciegos caminantes (1775 o 1776), nonché in una nuova fioritura del teatro e della poesia satirica e popolare, al tempo del viceré Amat e della celebre attrice Micaela Villegas, detta la Perricholi. Agli inizi del sec. XIX, un delicato poeta d'amore, il meticcio Mariano Melgar (1791-1815), fucilato dagli spagnoli a ventiquattro anni, aprì la via, con i suoi preromantici Yaravíes, alla rinascita della lirica indigenista. Poco dopo, l'indipendenza politica e gli influssi romantici aprirono nuovi orizzonti alla poesia, alla storia, alla pubblicistica e al teatro del Paese. Il Perú non ebbe grandi poeti romantici: Manuel N. Corpancho (1830-1863), José A. Márquez (1831-1903), Clemente Althaus, Luis B. Cisneros (1837-1904) e Carlos A. Salaverry (1830-1891), che fu il più originale (Diamantes y perlas, 1869; Albores y destellos, 1871, e il poema filosofico Misterios de la tumba, 1883), furono lirici mediocri. Ebbe invece scrittori satirici di rilievo sia nella poesia sia nel teatro, come Felipe Pardo y Aliaga e Manuel Ascensio Segura; oltre ad altri di secondo piano, tra cui Manuel A. Fuentes (1820-1889), detto el Murciélago (il Pipistrello) dal giornale satirico da lui diretto, e Pedro Paz Soldán Unanúo (1839-1895), poligrafo infaticabile, e, soprattutto, un grande prosatore, Ricardo Palma, le cui Tradiciones peruanas (1872-1919), ampia serie di scene storico-ironiche sul Perú coloniale, restano un testo esemplare e godibilissimo, di inconfondibile cifra stilistica. Anche la narrativa in senso stretto fu coltivata con buoni esiti: Aves sin nido (1889) di Clorinda Matto de Turner fu uno dei primi romanzi realistici e indigenisti pubblicati in America. Saggisti e polemisti pugnaci furono infine Bartolomé Herrera (1808-1864) e Francisco Vigil (1792-1875). Verso la fine del secolo apparve una figura d'eccezione, che aprì una nuova era: Manuel González Prada pubblicista, politico, poeta ed educatore di idee nuove e audaci (Páginas libres, 1894, raccoglie i suoi saggi più rappresentativi). Un rinnovamento poetico fu portato dal modernismo, grazie specialmente a José Santos Chocano e a José M. Eguren, ma anche a José Gálvez (1885-1957), Leónidas E. Yerovi (1881-1917), Abraham Valdelomar (1888-1919), maestro della generazione successiva con la sua rivista Colonida, ed Enrique Bustamante (1884-1936). Il modernismo ebbe una forte influenza anche su originali saggisti e narratori quali Enrique López Albújar (1872-1965) e Ventura García Calderón (1887-1959); e su storici e critici di valore quali Mariano F. Paz Soldán e José de la Riva Agüero. Un posto a sé occupa il politico e saggista José Carlos Mariátegui (1895-1930), animatore di varie iniziative culturali e autore dell'importante Siete ensayos de interpretación de la realidad peruana (1928). Numerosi e delle più varie tendenze sono i poeti del Novecento, tra cui emergono Alberto Guillén (1897-1935), il futurista Alberto Hidalgo (1897-1967), César Vallejo, unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori dell'America Latina. L'influenza di Vallejo sulla poesia ispanoamericana fu fortissima anche negli anni a venire. La generazione surrealista, qui capeggiata da Martín Adán, Carlos Germán Belli (n. 1927), Francisco Bendezú (n. 1928-2004), mediò da lui, rinnovandole sul piano stilistico, tematiche e inquietudini. Tra i rappresentanti della corrente surrealista meritano menzione anche César Moro (1903-1956), che scrisse sia in francese sia in castigliano, e Emilio Adolfo Westphalen (1911-2001), amante del “flusso di coscienza” dominato, però, da un severo stile formale. A questi sperimentalismi si legò, tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento, una feconda assimilazione di esperienze poetiche di matrice europea (Pound, Brecht, Eliot, Pessoa ecc.), con interessanti riscontri in César Calvo (1940-2000), Rodolfo Hinostroza (n. 1941), Antonio Cisneros (n. 1942), Julio Ortega (n. 1942), Jorge Eduardo Eielson (1924-2006), molto vicino alle liriche di Rilke e Rimbaud, Washington Delgado (1927-2003). Sul finire degli anni Settanta si delineano o operano attivamente movimenti (Hora Zero, Estaciones reunidas, Grupo Gleba ecc.), più o meno aggressivi, che da diversa prospettiva propongono sperimentazioni e nuovi moduli lirici, e sopravanza, come non di rado è avvenuto nei Paesi del continente sudamericano, una generazione poetica al femminile, con eccellenze nelle opere di María Emilia Cornejo, Mariela Dreyfus, Carmen Ollé, Blanca Varela. È però soprattutto in ambito narrativo che si sono meglio espresse le potenzialità della letteratura peruviana. Il numero degli autori, che si differenziano per tematiche e stile, è molto vasto. Contributi di un certo rilievo sono stati offerti da José Díez Canseco (1905-1949), Ciro Alegría e José María Arguedas, interpreti, questi ultimi, di una letteratura dal carattere indigenista, Manuel Scorza, Enrique Congrains Martín, Oswaldo Reinoso, che prediligono il mondo giovanile, Miguel Gutiérrez e Mario Bellatín y Laura Riesco. Un cenno, se non altro per il successo editoriale che ha rappresentato, lo merita Carlos Castaneda, antropologo e controverso autore di romanzi-saggi di stampo “new age” su ricerca del benessere e allargamento delle possibilità percettive della coscienza (fra i suoi best-seller A scuola dallo stregone, Una via yaqui alla conoscenza, L’isola del Tonal). Tra i nomi più rilevanti della prosa peruviana ci sono quelli di Julio Ramón Ribeyro (1929-1994), Alfredo Bryce Echenique, Mario Vargas Llosa, forse, tra gli scrittori ispano-americani, il più famoso e tradotto in tutto il mondo insieme a Isabelle Allende, e Harry Belevan (n. 1945). Da segnalare anche gli studiosi della cultura quechua (tra cui J. Basadre e Lara), che riportano pazientemente alla luce le superstiti tracce della letteratura incaica (nel Settecento era già stato rappresentato il drammaOllantay), e l'opera teorica di altri linguisti come Mario Montalbetti (n. 1953), noto peraltro anche per le sue raccolte poetiche.

Cultura: arte. Le origini

Solo a partire dagli anni Trenta del sec. XX si è proceduto a uno studio metodico di tutti i reperti peruviani, da parte di illustri archeologi americani, come W. C. Bennett, che hanno stabilito sequenze cronologiche accurate, sulla base di precise ricerche stratigrafiche. In Perú i reperti più antichi appartengono alla civiltà di Paracas e risalgono al 7000-6500 a. C. Però solo nel sec. XIV a. C. iniziarono i primi veri stili ceramici, cioè Ancón e Paracas Cavernas, e bisogna ancora attendere il sec. XIII a. C. per vedere sorgere nella parte montana del Perú la cultura protostorica di Chavín de Huantar, sfociata più tardi sulla costa con la ceramica Cupisnique (ca. 800 a. C.). Nell'ultima fase del Periodo Formativo cominciarono ad assumere importanza le civiltà delle valli costiere (sec. III a. C.-sec. II d. C.), con gli stili ceramici della Valle del Virú, di Paracas Necropolis e di Recuay (Valle del Santa). Del Periodo Classico (200-1000 d. C.) si conoscono soprattutto le civiltà della costa peruviana. È un periodo ricco, in cui sorgono le prime città in adobe con edifici pubblici (templi, palazzi, ecc.). Sono molto note la bellicosa civiltà Mochica (Costa settentrionale), la raffinata cultura Nazca (Costa meridionale), il santuario di Pachacamac (Valle del Lurín) e Cajamarquilla (Valle del Rimac). Nel Periodo Postclassico (1000-1532) gli stili artistici si diffusero prepotentemente con conquiste militari. Sulla costa settentrionale fu particolarmente importante il regno del Chimú e su quella meridionale il regno dei Chincha. Ma la civiltà di gran lunga più famosa fu senza dubbio quella degli Inca, che ebbe come centro di espansione la Valle di Cuzco e che fu poi letteralmente spazzata via dai conquistadores spagnoli. Uno straordinario esempio di architettura incaica è tuttora visibile nei resti della città di Machupicchu.

Cultura: arte. Dalla colonizzazione all'età contemporanea

La prima fase della colonizzazione spagnola vide la fondazione di nuove città, prima fra tutte Lima, o la trasformazione di centri già esistenti, come Callao; nelle località di nuova fondazione prevalse in genere una pianificazione urbana di tipo geometrico. L'architettura del sec. XVI appare ispirata per lo più a modi rinascimentali, vicini ai motivi dello stile mudéjar e del plateresco. Esempi si ritrovano ad Ayacucho, in località del Perú sudorientale, in ville vicereali. I due motivi di maggiore interesse sono, da un lato, l'impiego di particolari tecniche costruttive legate all'instabilità tellurica del Paese, dall'altro, l'influsso delle maestranze locali nella decorazione. Già nella seconda metà del sec. XVI venne sviluppandosi un'attiva scuola pittorica locale, sulla quale esercitarono evidenti influssi artisti spagnoli attivi per qualche tempo in Perú, come Diego de Mora e Juan de Illescas. Il Seicento fu un secolo di grande rigoglio artistico. Il gusto barocco dette il via alla costruzione di una serie di notevoli edifici religiosi (S. Agostino a Lima; duomo di Cuzco). Non mancano, in alcuni casi, come nella cattedrale di Puno, evidenti influssi del gusto indigeno. La presenza nel Paese di numerosi artisti sivigliani esercitò un influsso determinante sulla scultura locale; pochi però sono gli artisti noti. Oltre all'esuberante decorazione delle chiese, furono diffuse le immagini sacre e le statue policrome, di forme eleganti, modellate su quelle ispano-meridionali. Fra i maestri più attivi si ricordano gli spagnoli Martínez Montañés e Pedro Noguera, mentre assai notevole a Lima fu l'opera di Antonio de Rivas (fontana di Plaza de Armas, 1650). Importante anche l'attività della scuola di Cuzco, di gusto realistico. Ancora a Cuzco venne sviluppandosi un'interessantissima scuola pittorica indigena, alla quale, nel corso di due secoli, si devono ca. 10.000 dipinti; essa mostra un particolare accostamento a motivi della pittura religiosa medievale europea. Nel resto del Perú i pittori si mossero in genere sulla scia di Zurbarán e Murillo (al primo sono attribuiti alcuni quadri in S. Francesco a Lima). Fra gli artisti più notevoli, quasi tutti attivi a Lima, sono Angelino Medoro, M. Pérez di Alesio, Basilio Pacheco. Assai viva fu anche nel sec. XVIII l'attività architettonica, che vide svilupparsi i motivi di un barocco evolventesi sempre più verso il rococò (S. Domenico a Lima), trasformazione cui non furono estranei gli influssi culturali francesi, mentre tipicamente locali sono il gusto fantasioso degli altari e l'eleganza dei porticati e dei chiostri dei conventi. La scultura del Settecento ha il suo maggiore esponente in Baltasar Gavilán (ritratti, sculture lignee), mentre caratteristica è la produzione dei cori e dei mobili di sacrestia, dai motivi fantasiosi e piacevoli. Nella pittura appaiono evidenti, specie nella seconda metà del secolo, gli influssi del nuovo gusto europeo, in artisti come Martín Torres e J. Gil de Castro, che per primo venne sostituendo ai modi spagnoli quelli di derivazione francese. Col sec. XIX e la proclamazione dell'indipendenza vennero formandosi, nel campo delle varie arti, due tendenze fondamentali: l'una mirava a rifarsi a motivi europei, in specie francesi, come reazione al tradizionalismo cattolico-spagnolo; l'altra cercava di recuperare la tradizione indigena. Questi due temi di fondo costituiscono tuttora le principali componenti della cultura artistica peruviana. L'architettura del XIX secolo ha visto una forte presenza di motivi neoclassici o eclettici di derivazione europea, con la costruzione di poderosi edifici pubblici; mentre intorno alla metà del Novecento Lima si è trasformata in una sorta di “città-giardino”, con realizzazioni di architetti (L. Miró Quesada Garland) aggiornati sulle varie correnti contemporanee. Nella pittura personalità di qualche rilievo sono, nel XIX secolo, Ignacio Merino, Francisco Laso e Luis Montero. Nel XX secolo uno degli eventi più importanti per lo sviluppo delle arti figurative in Perú è stata la fondazione della Scuola Nazionale di Belle Arti (1918), divenuta in breve tempo istituzione di riferimento per movimenti e artisti di tutto il Paese. Tra i protagonisti che nella prima metà del secolo legano il proprio nome alla scuola: Daniel Hernández (1856-1932), Manuel Piqueras Cotolí (1886-1937), José Sabogal (1888-1956). Sul versante della scultura questi sono gli anni di Ismael Pozo, Luis Agurto, Artemio Ocaña. Nella seconda parte del XX secolo la corrente più viva è rappresentata da artisti (in specie Ricardo Grau e Macedonio de la Torre) che tentano di inserire la pittura peruviana nel contesto internazionale, sottraendola alle polemiche fra gli “europeizzanti” e i fautori del ritorno alla tradizione indigena (T. Castillo, J. Reinoso, M. Urteaga ecc.). A questi si affiancano gli esponenti dell'astrattismo, Jorge Eduardo Eielson (notevole anche la sua produzione poetica), Joaquín Roca Rey (1923-2004), Emilio Rodríguez Larraín e Fernando de Szyszlo; delle avanguardie come la pop art e la op art, Luis Arias Vera, Jesús Ruiz Durand, Luis Zevallos Hetzel. Alla parentesi di chiusura internazionale legata alla dittatura è seguita una rinascita delle arti plastiche e figurative. Nuovi artisti, nuove tecniche, nuove influenze (da Europa, USA, Asia) sono alla base delle opere e delle installazioni delle generazioni più giovani. Innovazioni e scenari promossi e aperti anche grazie alla nascita della Biennale Iberoamericana di Lima, appuntamento di rilievo continentale per tutta l'arte contemporanea del Sudamerica.

Cultura: musica

La tradizione musicale peruviana rappresenta un dato di eccezionale interesse nel panorama dell'America Meridionale. La musica degli Inca, che era basata inizialmente sulla scala pentatonica ma finì per accogliere la scala eptatonica, ebbe un'importanza notevole e spesso determinante nella vita della comunità, sia nella sua forma vocale, sia in quella strumentale. Proprio dall'esame degli strumenti, osservati nelle figurazioni o reperiti negli scavi archeologici, è possibile immaginare un certo parallelismo fra l'attuale musica della regione andina e la sua forma antica. Essa usava largamente tamburi di vario tipo e di varia grandezza, sonagli, qualche strumento a fiato (la conchiglia forata, il flauto diritto, il flauto di Pan, ecc.). Tutti questi strumenti, in forme simili alle antiche, si trovano ancora tra i Quechua e gli Aymará, che rappresentano l'estrema sopravvivenza etnica e culturale indigena, e costituiscono il fondamento della loro musica strumentale, pur se queste popolazioni usano oggi anche altri strumenti di importazione. Sembra che lo scopo principale dell'attività musicale incaica fosse connesso alla danza e quindi contasse più sul controllo del ritmo e del tempo che sulla libertà melodica. Le attuali danze della regione andina mostrano aperti punti di contatto con quelle incaiche, note attraverso i bassorilievi. La musica colta, portata in Perú dagli spagnoli e condizionata dall'azione missionaria dei gesuiti, si sviluppò per lungo tempo quasi esclusivamente nell'ambito delle chiese, a opera di musicisti europei (per lo più spagnoli e italiani). Tra i primi emersero Juan de Araujo, maestro di cappella delle cattedrali di Lima e di La Plata e autore di composizioni sacre di complessa scrittura, e Tomás de Torrejón y Velasco, maestro di cappella della cattedrale di Lima e autore di La púrpura de la rosa (1701), su testo di Calderón de la Barca, considerata la prima opera composta ed eseguita in America. Durante la prima metà del sec. XVIII fu attivo il primo musicista creolo di cui si abbia notizia, padre José de Orejón y Aparicio (1690-1765), cui si devono originali composizioni barocche. L'avvio alla costituzione di una scuola nazionale peruviana fu dato da Bernardo Alcedo (1798-1879), autore dell'inno nazionale, al quale fu dedicata a Lima, all'inizio del Novecento, l'Accademia di Musica, trasformata nel 1946 in Conservatorio Nazionale. Compositori nazionalisti furono Carlos Enrique Pesta, autore dell'opera Atahualpa (1900), José M. Valle Riestra (1857-1925), allievo di Gédalge a Parigi e autore dell'opera Ollantay, che fu la prima di argomento nazionale, Manuel Aguirre (1863-1951), Daniel Alomía Robles (1871-1942), Luis Dunker Lavalle (1874-1922), Vicente Estea (1884-1944), autore della Sinfonía autóctona. Alla generazione successiva, che attinse alla vera tradizione folclorica (ma si ispirò anche al romanticismo tedesco e francese), appartengono Roberto Carpio Valdés (1900-1986), Teodoro Valcárcel (1902-1942), Alfonso de Silva (1903-1937), Carlos Sánchez Málaga e, soprattutto, José Asunción Silva, creatore di forme vocali guaraní. La fondazione nel 1938 dell'Orchestra sinfonica nazionale, segnò un momento di svolta nello sviluppo della musica colta peruviana. Tra i musicisti del dopoguerra figurano Rosa Alarco, autrice di Retablo del encuentro, Enrique Iturriaga, ricordato per le Canciones quechuas, Celso Garrido Lecca (n. 1926), Jaime Díaz Orihuela (n. 1927), Armando Guevara (n. 1927), Enrique Pinilla (1927-1989), Francisco Pulgar Vidal (n. 1929), Edgar Valcárcel (n. 1932) e César Bolaños (n. 1932), che si è dedicato anche alla musica elettronica. Le cosiddette generazioni del Sessanta e del Settanta hanno proseguito nella ricerca musicale segnata dai predecessori e diretta alla sintesi tra indigenismo, avanguardie e tradizione: tra i compositori più interessanti ci sono senza dubbio Pedro Seiji Asato, Douglas Tarnawiecki, José Sosaya Weckselman. La fine del secolo ha poi messo in evidenza i nomi di Jorge Villavicencio Grossmann, Carlos Ordoñez, Miguel Oblitas. Di risalto internazionale anche molti degli esecutori (soprano, pianisti ecc.) e alcuni direttori d'orchestra peruviani.

Cultura: teatro

Il Perú precolombiano conobbe certamente molte forme di spettacolo, in particolare religioso-coreografiche. Gli spettacoli popolari non cessarono con l'arrivo degli spagnoli, anzi, in vari casi vinti e vincitori collaborarono in invenzioni coreografiche, come per esempio nel 1546 per festeggiare l'ingresso di Pizarro a Lima. Anche gli autos sacramentales vennero presto introdotti in Perú e se nella maggioranza dei casi i testi erano spagnoli (specie di Calderón e della sua scuola), vi fu anche qualche autore locale, come Alonso Hurtado, vincitore nel 1563 di un concorso in occasione del Corpus Domini, con un Auto de la gula. La prima commedia profana spagnola venne rappresentata a Guayaquil nel 1568; la prima commedia di Lope de Vega fu data a Lima nel 1599. Collezioni di commedie, stampate appositamente per l'America, cominciarono a giungere in Perú nel 1565, quando cioè il teatro era nato da poco nella stessa Spagna. Le compagnie teatrali venivano dalla Spagna, con un repertorio già formato. Tuttavia si ebbero anche autori locali che usarono le lingue indigene per rappresentazioni destinate al popolo. Tra essi il poeta meticcio Juan de Espinosa Medrano, detto el Lunarejo, che compose in quechua l'auto Il figliuol prodigo e in spagnolo il dramma biblico Amar su propia muerte. Dal 1559 Lima ebbe un teatro stabile, il Coliseo (le rappresentazioni precedenti si erano svolte all'aperto, nelle chiese, nei conventi, in palazzi nobiliari, ecc.), per merito della compagnia spagnola di Francisco López e Isabel de los Ángeles. Ebbero così impulso le manifestazioni sceniche, che si susseguirono grazie anche all'estro di autori locali quali Diego Mejía de Fernangil, Lorenzo de las Llamosas (ca. 1665-dopo il 1705), Juan del Valle Caviedes, che espresse la propria vena comico-satirica in brevi lavori come l'Entremés del amor alcalde, il Baile del amor médico e il Baile del amor tahur, Pedro de Peralta Barnuevo, autore di intermezzi, balli, di una commedia musicale (Triunfos de amor y poder, 1711), una commedia calderoniana (Afectos vencen finezas) e della tragedia Rodoguna, derivata da Corneille. Nel 1680 era intanto sorto a Lima il Teatro Principal, per cui scrissero, tra gli altri, Antonio de Solis, Gregorio de Villalta y Núñez, Manuela Carrillo de Andrade y Sotomayor, Francisco del Castillo. Per tutto il sec. XVIII Lima continuò a essere una città teatrale; nella seconda metà del secolo dominò nella sua vita sociale una famosa attrice, Micaela Villegas, detta la Perricholi, protetta dal viceré Manuel de Amat, che recitò al Teatro Principal (distrutto dal terremoto del 1746 e ricostruito nel 1760) e al Coliseo (fatto riedificare nel 1788 dall'attrice e dall'impresario Fermín Vicente Echarri che affidarono l'incarico all'architetto italiano Pellegrino Turchi). Perfino viceré, come il marchese di Castell-dos-Rius, e frati, come Francisco del Castillo Andraca, composero farse, intermezzi e balli. Anche Félix de Alarcón, Jerónimo de Monforte, autore della divertente farsa El amor duende e Jerónimo Fernández de Castro contribuirono alla fioritura del teatro. Anche in alcuni centri minori si ebbe una vita teatrale: ad Arequipo sorse nel 1790 un Coliseo; a Callao, dove già nel 1595 aveva recitato una compagnia di attori nomadi, si diedero rappresentazioni sulla piazza o in teatri improvvisati; intorno al 1780, durante un'insurrezione antispagnola, fu rappresentato presso Cuzco il dramma indigeno Ollantay. Dopo la proclamazione dell'indipendenza fiorì la commedia vera e propria, libera dai vincoli d'omaggio a viceré e governatori, grazie soprattutto a Felipe Pardo y Aliaga e Manuel Ascensio Segura, ricca di forza comica e di icastica vivacità nella resa di costumi ed espressioni popolari di Lima. Nel corso del sec. XIX il teatro, per le convulse vicende del Paese, decadde e drammaturghi dotati preferirono andarsene dal Perú. Così non si ebbero quasi autori romantici e un certo risveglio teatrale si ebbe soltanto con il realismo, tra la fine del secolo e la prima guerra mondiale. Fra i drammaturghi del Novecento si ricordano Felipe Sassone (1884-1959), che operò soprattutto in Spagna; il poeta L. Yerovi (1881-1917), Percy Gibson Parra, Juan Ríos (n. 1914-1991), Bernardo Roca Rey (n. 1918), il notevole Sebastián Salazar Bondy, autore di No hay isla feliz (1954) e animatore anche del teatro di marionette; e fra i più giovani, Julio Ortega (n. 1942), poeta e saggista, il cui Teatro (1965) contiene alcuni testi di sicura forza drammatica. L'antica tradizione iberica e meticcia è tuttora viva. Gruppi studenteschi e sperimentali si dimostrano attenti alle esperienze più nuove e concorsi annuali indetti dalla Escuela Nacional de Arte Escénico fanno conoscere autori nuovi. Centro della vita teatrale è sempre Lima, con il Teatro Municipal, per la lirica e per la prosa, il Teatro Manuel A. Segura, destinato soprattutto alle rappresentazioni drammatiche, il Club de Teatro e il Teatro de la Cabana, sede della Scuola d'arte drammatica.

Cultura: cinema

Quasi inesistente all'epoca del muto, la produzione si consolidò a Lima nel periodo 1937-40 con una dozzina di titoli della Amauta Films e pochi altri di società minori. Negli anni Cinquanta agirono in Perú i documentaristi italiani E. Gras e M. Craveri (L'impero del sole, 1956), ma più importante fu la nascita della ʽ'Escuela del Cuzco”, grazie al cineclub omonimo e a un gruppo di cineasti locali (M. Chambi, C. Villanueva, L. Figueroa) che, in un film semidocumentario come Kukuli, riscoprì lingua e tradizioni indigene. Alla metà degli anni Sessanta sorse la rivista mensile Hablemos de cine, forse la migliore dell'America Latina. Il regista di maggior successo fu A. Robles Godoy (Ganaras el pan, 1965; En la selva no hay estrella, 1966; La muralla verde, 1970; Espejismo, 1973), ma l'influsso culturale più serio si dovette a tre film girati da stranieri: Amor en los Andes (1965), del giapponese S. Hani, Aguirre furore di Dio (1972), del tedesco W. Herzog, El enemigo principal (1974), del boliviano J. Sanjinés. Negli anni Settanta il processo politico riformista favorì una serie di notevoli documentari e la riscossa del film narrativo, culminata nel 1977 con Los perros hambrientos di Figueroa, Muerte al amanecer di F. Lombardi (n. 1947) e Kuntur Wachana (ovvero Donde nacen los condores) di F. García, parlato in quechua e accolto con favore dal pubblico popolare. Sull'onda di questi risultati, sanzionati anche dai festival di Locarno, Berlino, Mosca e Biarritz, il cinema peruviano ha conosciuto nuovo slancio con il film a episodi (Cuentos inmortales, 1978; Aventuras prohibidas, 1980), il racconto di attualità sociale (Abisa a los compañeros di F. Degregori; Muerte de un magnate di Lombardi, entrambi del 1980), il cinema di problemi contadini (Laulico, 1980, e El caso Huayanay, 1981, entrambi di García; Yawar Fiesta, 1981, di Figueroa), il film storico (La famiglia Orozco, 1982, di J. Reyes). A causa delle tremende difficoltà economiche, la produzione dei decenni Ottanta e Novanta ha registrato poche novità, se si eccettua qualche lungometraggio di Lombardi (La boca del lobo, 1988). A cavallo del millennio si è avvertita una ripresa del movimento cinematografico nazionale, grazie anche alla nascita del Festival del cinema di Lima (1997). I registi maggiormente attivi in questi anni, oltre allo stesso Lombardi (Pantaleón y las visitadoras, 2000; Ojos que no ven, 2003; Mariposa negra, 2006), sono Augusto Tamayo (n. 1953), Aldo Salvini (n. 1964), Alberto Durant (n. 1951) e la giovane Claudia Llosa, nata nel 1976, regista di Madeinusa, 2006, premiato al Sundance Festival; nel 2009, con il film Il canto di Paloma, ha vinto l'Orso d'oro al Festival del cinema di Berlino.

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Per il cinema

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