Brasile

Indice

(República Federativa do Brasil). Stato dell'America Meridionale (8.515.767 km²). Capitale: Brasília. Divisione amministrativa: stati (26), distretto federale (1). Popolazione: 202.768.562 (stima 2014). Lingua: portoghese (ufficiale), idiomi amerindi. Religione: cattolici 65%, protestanti 20,8%, non religiosi/atei 8%, altri 6,2%. Unità monetaria: real (100 centesimi). Indice di sviluppo umano: 0,744 (79° posto). Confini: Colombia, Venezuela, Guyana, Suriname e Guyana Francese (N), oceano Atlantico (E), Uruguay (S), Argentina (SW), Paraguay, Bolivia e Perú (W). Membro di: MERCOSUR, OAS, ONU e WTO.

Generalità

Territorialmente il Brasile occupa poco meno della metà dell'intero subcontinente; le sue coste, che hanno uno sviluppo di 7491 km, rappresentano la maggior parte del contorno costiero atlantico sudamericano; l'interno ha confini artificiali che corrispondono a grandi linee ai limiti della penetrazione portoghese. I confini interni, che misurano 15.719 km, sono stati poi definitivamente fissati dopo l'indipendenza degli Stati confinanti. Il Brasile, perciò, è il primo nell'America del Sud per estensione e numero di abitanti e uno dei maggiori del mondo; può essere considerato al tempo stesso un Paese del Terzo Mondo, "in via di sviluppo", industrializzato o postindustrializzato. Grande quasi 30 volte l'Italia, una potenza di questa grandezza non riesce tuttavia a controllare il suo enorme territorio in modo soddisfacente; inoltre, lo Stato, non è ancora riuscito, né con l'intervento diretto né con la liberalizzazione, a riequilibrare le condizioni di sviluppo delle varie regioni. Nel primo decennio del XXI secolo, però, sembra che il Brasile abbia raggiunto le condizioni di base per promuovere un efficace modello di sviluppo. La consapevolezza di un'identità nazionale forte e originale, di una cultura ricca e sostanzialmente unitaria, nonostante la storia di un popolamento fatto di componenti diverse, è un fattore che potrebbe rivestire grande importanza per costruire un possibile futuro di successo. Rispetto agli altri Stati dell'America Latina, infatti, il Brasile si distingue per la sua peculiare componente umana, nata dal vario mescolamento di amerindi, africani ed europei, conseguente anche alla colonizzazione portoghese.

Lo Stato

Indipendente dal Portogallo dal 1822, il Brasile costituisce dal 1889 una Repubblica federale di tipo presidenziale formata da 26 Stati, ciascuno retto da un governatore e da un'assemblea elettivi, e da un Distrito Federal (Brasília), creato nel 1960; la nuova Costituzione del 1988, sostitutiva di quella imposta dal regime militare nel 1969, mantiene il sistema presidenziale, come confermato dal referendum del 1993. Capo dello Stato e del Governo è il presidente della Repubblica, eletto a suffragio universale diretto e detentore del potere esecutivo. Titolare della funzione legislativa è il Congresso Nazionale, formato dalla Camera dei Deputati, eletti ogni 4 anni a suffragio universale, e dal Senato, i cui membri sono eletti ogni 8 anni e rinnovabili, 1/3 e 2/3 ogni 4 anni. Vi è anche un Consiglio della Repubblica, convocato nei casi di emergenza nazionale. Il sistema giudiziario in uso è basato sul diritto continentale europeo; il Paese non accetta le emanazioni della Corte Internazionale. La giustizia è amministrata, al suo massimo grado, dalla Corte Suprema federale. Presenti anche un alto tribunale di giustizia, un alto tribunale del lavoro e un alto tribunale elettorale. Nei singoli Stati, la legge è amministrata dalle Corti d'Appello e da tribunali minori. La pena di morte, abolita per i crimini ordinari, resta in vigore per i reati commessi in tempo di guerra. La difesa dello Stato è affidata alle tre armi tradizionali, cui si affiancano corpi paramilitari presenti in ogni Stato. Il servizio di leva è obbligatorio e viene effettuato a partire dai 21 anni d'età (17 se il servizio è prestato su base volontaria). La sua durata varia dai 9 ai 12 mesi. È ammessa la partecipazione delle donne. Il sistema scolastico brasiliano ha goduto, nell'arco della parentesi coloniale e della dipendenza economico-politica successiva all'indipendenza, dell'influenza portoghese e nordamericana. Con la Costituzione del 1946 è stata sancita la gratuità e l'obbligatorietà dell'insegnamento primario e l'onere per le imprese dei vari settori economici di istituire scuole gratuite primarie per i propri lavoratori e i loro figli. Come tutti i Paesi latino-americani, anche il Brasile è però lontano dall'aver garantito la diffusione della cultura a tutti i livelli; l'analfabetismo è ancora particolarmente diffuso (10% nel 2010), nonostante gli sforzi compiuti e i successi ottenuti dal Movimento Brasileiro de Alfabetização (MOBRAL), cui si deve (dal 1971) una campagna di alfabetizzazione in seguito alla quale il tasso di analfabetismo è stato ridotto. L'ordinamento scolastico brasiliano prevede otto anni di istruzione primaria obbligatoria (dai 7 ai 14 anni di età) e tre anni di istruzione secondaria facoltativa, a indirizzo scientifico o umanistico. L'istruzione superiore viene impartita in vari istituti tecnici e umanistici e quello universitario, che dura da 3 a 6 anni, nelle numerose sedi amministrate dallo Stato o gestite da privati (in massimo parte istituzioni cattoliche). Le più importanti università sono quelle di Salvador (1946), Rio de Janeiro (1920 e 1950), Brasília (1961), Ceará (1955), l'Università Mackenzie di São Paulo (1952), quelle di Minas Gerais (1927), di Paraná (1912) e le università pontificie di Campinas (1956), di Rio Grande do Sul (1950), Rio de Janeiro (1940) e di São Paulo (1946).

Territorio: morfologia

Il territorio del Brasile ha i suoi fondamenti strutturali in tre elementi che sono alla base della stessa America Meridionale: il massiccio della Guayana, l'altopiano del Brasile e l'interposta depressione amazzonica. I due elementi orografici rappresentano le strutture archeozoiche del subcontinente e affiorano per ampi tratti: sostanzialmente sono dei penepiani dai quali emergono massicci granitici che dominano antiche superfici dove prevalgono le rocce metamorfiche (gneiss, micascisti, quarziti). Esse sono però parzialmente coperte da sedimenti del Paleozoico e del Mesozoico (con prevalenza di arenarie) e da espandimenti lavici: tali formazioni sedimentarie sono soprattutto estese sull'altopiano brasiliano, mentre interessano solo marginalmente il massiccio della Guayana. Per quanto riguarda la depressione amazzonica, essa ha un substrato archeozoico coperto da coltri sedimentarie, dato che il mare coprì la regione per lunghi periodi, sino a tutto il Pliocene. Formazioni plioceniche si trovano anche nei terreni affacciati all'Atlantico. Dalle diverse strutture geologiche dipende la morfologia del Paese. Il massiccio della Guayana è costituito da un altopiano non elevato (la media è sui 500 m) sormontato da montagne granitiche che, al confine con il Venezuela, superano di poco i 3000 m (Pico da Neblina, 3014 m, massima cima del Paese). Gli altopiani sono morfologicamente più vari. Essi si estendono dalla costa atlantica fino alle grandi depressioni continentali interne dell'Amazzonia e del Paraná, divise tra loro dall'altopiano del Mato Grosso che continua a W nei penepiani che precedono le Ande. In genere per questi altopiani si parla di planaltos, ma le loro forme sono diverse. Non mancano le strutture tabulari (chapadas) che terminano con tipiche scarpate a cuestas e sono costituite sia da formazioni sedimentarie sia da formazioni vulcaniche; in altri casi si hanno superfici pianeggianti od ondulate dominate da residui affioramenti cristallini. Considerati nel loro insieme gli altopiani presentano una caratteristica dissimmetria, sono cioè inclinati verso l'interno, terminando a E con un orlo rilevato: qui si succedono delle serras ben marcate e di eguale orientamento, come la Serra do Mar, la Serra da Mantiqueira, la Serra do Paranapiacaba e la Serra do Espinhaço, che toccano in media i 2000 m e che raggiungono la massima altezza nel Pico da Bandeira (2897 m). Queste montagne, che rappresentano l'orlatura del subcontinente, sono prevalentemente formate da rocce granitiche e dominano da vicino il litorale. In taluni casi il rilievo termina direttamente sul mare, originando un contorno costiero roccioso e vario, con insenature che hanno il loro magnifico esempio nella baia di Guanabara (o di Rio de Janeiro), dominata dai morros, alture granitiche dalla caratteristica forma a pan di zucchero; in altri casi la scarpata termina su brevi pianure costiere (restingas) tra le quali si aprono spesso delle lagune (lagoas) chiuse da cordoni sabbiosi: la più vasta è la Lagoa dos Patos (laguna delle Anitre), lunga 300 km. Le pianure costiere si fanno naturalmente ampie sul lato settentrionale, dove inizia la depressione amazzonica, morfologicamente rappresentata da un piatto territorio orlato dalle scarpate del massiccio della Guayana a N e dalle chapadas dell'altopiano brasiliano e del Mato Grosso a S. Tutta la parte centrale dove scorre il Rio delle Amazzoni è costituita da depositi alluvionali; per il resto predominano i terreni sedimentari cenozoici che lasciano poi il posto, intorno al massiccio guayanense e all'altopiano del Brasile, al penepiano cristallino o alle formazioni paleozoiche. Nella parte più interna la depressione amazzonica è delimitata dal penepiano del Mato Grosso, regione archeozoica alta non più di 500 m, che continua verso W nella Chapada dos Parecis, bordo settentrionale del bacino del Paraguay-Paraná, solo in parte incluso nel territorio brasiliano.

Territorio: idrografia

Idrograficamente il Paese è inserito nella rete dei due maggiori fiumi sudamericani, il Rio delle Amazzoni (al cui bacino appartiene il 56% del territorio) e il Paraná (10% ca.); il resto raggiunge l'Atlantico tramite i fiumi che dagli altopiani scendono direttamente alla costa, il maggiore dei quali è il São Francisco (lavori di deviazione del fiume hanno avuto inizio nel 2007 allo scopo di portare l'acqua nella zona arida del sertão del nord-ovest). Dal territorio brasiliano tributano al Rio delle Amazzoni – che è interamente navigabile e ha una larghezza di vari chilometri – i fiumi Purus, Madeira (che però attinge ai versanti andini), Tapajós, Xingu; il Tocantins (con l'affluente Araguaia), che scende dagli altopiani, ha in comune con il Rio delle Amazzoni soltanto la foce. Hanno per lo più un profilo maturo, anche se talvolta il loro corso è rotto da rapide; taluni si impantanano in più o meno ampie depressioni anfibie (pantanais), come il fiume Xingu nel Mato Grosso. Tutti risentono fortemente delle variazioni stagionali delle precipitazioni, contribuendo in misura determinante al particolare regime idrico del Rio delle Amazzoni, caratterizzato da fasi di piena che danno luogo a estese inondazioni in fasce laterali formanti la cosiddetta varzea. Il Paraná sviluppa la parte più elevata del suo bacino sugli altopiani brasiliani; il suo spartiacque orientale corre qui sulle serre marginali, non lontano dalla costa atlantica, cui attingono importanti affluenti (come il Paranaíba, il Rio Grande, l'Iguaçu) che scendono verso W superando le scarpate dei planaltos con una serie di cascate e cateratte tra cui quelle grandiose dell'Iguaçu. Giunto nella parte più depressa del suo bacino, già fuori del Brasile, il fiume riceve il Paraguay, che ha le sue sorgenti nell'altopiano del Mato Grosso; alla base di questo una marcata depressione dà luogo a un esteso pantanal, che rientra tutto in territorio brasiliano. Il più importante dei fiumi che appartengono interamente al Brasile è il São Francisco, che scorre in un ampio solco, dai profili ormai smussati, tra le catene costiere e quelle interne; non è molto ricco d'acque, dato che il suo bacino si estende nell'arido Nordeste. Notevole lunghezza raggiunge anche il Parnaíba, che drena tutto il versante settentrionale dell'altopiano, mentre i fiumi costieri hanno corso breve, data la morfologia piuttosto ripida della scarpata continentale, ma abbondante portata.

Territorio: clima

Dal punto di vista climatico il Brasile rientra per intero nell'area tropicale; e proprio questa tropicalità costituisce il carattere più marcato della sua geografia per le incidenze che essa ha sul paesaggio oltre che sugli uomini e le loro attività. Vi sono peraltro diversità notevoli da regione a regione. Si può anzi fare una prima distinzione riconoscendo un clima equatoriale umido nella regione amazzonica, uno subequatoriale nella fascia immediatamente a S e un clima tropicale a due stagioni, più o meno piovoso, nel resto del Paese, il cui settore più meridionale fa ormai presentire il clima temperato (clima subtropicale): tale ampio raggio di condizioni zonali si deve all'estensione del Paese, che è compreso tra i 5º16´ N e i 33º45´ S. In quanto ai meccanismi che determinano il clima occorre tener conto della conformazione del territorio, che è aperto, privo di catene montuose elevate e quindi largamente esposto all'Atlantico, donde provengono le masse d'aria che apportano precipitazioni. Nella regione amazzonica, situata nella fascia delle convergenze intertropicali, tale apporto è dovuto agli alisei di NE e di SE, i cui effetti si sommano dando luogo alle condizioni di equatorialità che fanno di questa regione una delle aree più umide e piovose della Terra, con valori annui di precipitazioni che si aggirano in media sui 2000 mm e con temperature quasi costanti, sui 26 ºC. Anche in Amazzonia vi è tuttavia un'attenuazione delle piogge che si verifica nei mesi dell'inverno australe (luglio-settembre), cioè in corrispondenza della massima zenitazione del Sole nell'emisfero boreale. In questa stessa stagione le superfici continentali tropicali sono dominate da formazioni anticicloniche che mantengono condizioni stabili e che rientrano perciò come fattori responsabili del clima a due stagioni di gran parte del Brasile. La stagione secca, che nell'Amazzonia è molto effimera e relativa, a S di essa diviene marcata e si prolunga sino a sei mesi. Le precipitazioni si verificano massimamente nei mesi dell'estate australe, da novembre a marzo, e apportano intorno a 1500 mm annui di pioggia. Anche le temperature, specie nella parte interna dove la continentalità è più accentuata, variano molto, con escursioni termiche annue sino a 7-8 ºC e con escursioni termiche giornaliere che raggiungono i 15 ºC sugli altopiani interni più meridionali. A Brasília, dove però l'altitudine contribuisce ad abbassare notevolmente le medie, si passa dai 22 ºC di gennaio ai 19 ºC di luglio. Valori più elevati si registrano sulla costa, dove si fa sentire l'effetto mitigante del mare: a Rio de Janeiro si passa dai 27,5 ºC di gennaio ai 23 ºC di luglio. Nella regione costiera è di nuovo elevata la piovosità e ciò perché le alte scarpate continentali hanno un effetto di cattura nei confronti delle masse d'aria umida atlantiche; si ha qui un clima di tipo monsonico, con precipitazioni complessive che superano anche i 2000 mm annui sui rilievi. Un'area eccezionale è tutto il Nord-Est (Nordeste), regione che si trova defilata rispetto alla direzione prevalente dei venti atlantici e che perciò ha un clima tropicale tendenzialmente secco, con precipitazioni in ogni caso saltuarie, irregolari, che determinano sovente condizioni critiche. In certe zone del bacino del São Francisco non si toccano i 500 mm annui; le temperature raggiungono qui valori particolarmente elevati.

Territorio: geografia umana. Il popolamento

Prima dell'arrivo degli europei il territorio brasiliano era occupato da importanti gruppi amerindi: tribù di tupí-guaraní, stanziate tra la costa e l'Amazzonia meridionale, che per prime entrarono in contatto con i bianchi, di bororò e nambikwara, localizzati nel Mato Grosso, genti appartenenti al raggruppamento etno-linguistico dei , insediate nell'altopiano centrale e oggi in parte estinte, gruppi di caribi e di tucano. Queste comunità praticavano la caccia, la raccolta e la pesca e vivevano in situazioni di nomadismo o semi-nomadismo. Si ritiene che prima dell'arrivo degli europei fossero presenti sul territorio tra i 2 e i 2,4 milioni di indios, scesi a 800.000 unità all'inizio del XIX secolo. Di queste tribù hanno conservato la loro identità etnica quasi unicamente gli amazzonici, cioè le popolazioni stanziate in quell'unica grande area di rifugio che può considerarsi la foresta amazzonica, ben difesa dalla penetrazione bianca. Questa è infatti iniziata ed è a lungo rimasta attestata sulle coste atlantiche, intorno ad alcuni importanti centri portuali, divenuti le basi dei rapporti con l'Europa che sono stati determinanti per lo sviluppo del Paese. Tale sviluppo trovò le sue giustificazioni iniziali nello sfruttamento minerario e forestale, poi nelle attività di piantagione che nobili e ufficiali portoghesi, privilegiati dai re lusitani, avviarono nelle terre costiere. A partire soprattutto dal sec. XVII le fazendas divennero le componenti di un'organizzazione territoriale che, appoggiandosi ai centri amministrativi, trasformò rapidamente la vita e l'economia locali, con immediate conseguenze anche sulla struttura etnica. Da principio i portoghesi impiegarono nei lavori di sfruttamento gli indios, che essi reclutavano come schiavi nell'interno del Paese; ma queste genti, abituate a un genere di vita completamente diverso, mal si adattavano ai lavori pesanti imposti dai colonizzatori: d'altronde il contatto con i bianchi era già risultato estremamente pernicioso, a causa delle malattie (come l'influenza e il morbillo) e dell'alcolismo. Per limitare le decimazioni degli indios (alcune popolazioni si ritirarono sempre più nelle foreste) ci furono da un lato le fondazioni utopistiche delle reducciones da parte dei gesuiti, dall'altro la massiccia introduzione di schiavi africani. Su queste basi ebbe origine la particolare composizione etnica del Paese, quel tríptico vital che è considerato l'espressione della vitalità e dell'originalità del Brasile. La mescolanza fra la componente europea e quella locale ebbe caratteri di grande estensione e rapidità, arricchendosi successivamente con l'arrivo degli africani, che si calcola siano giunti dall'Angola e dal Congo in numero di 4 milioni. La grande immigrazione europea, fino a quel momento monopolizzata dai portoghesi, per lungo tempo gli unici autorizzati a occupare la colonia, portò dal XIX sec. ai primi decenni del XX sec. masse di italiani, spagnoli, tedeschi, scandinavi e slavi che, a differenza dei primi occupanti, cercarono di conservare la loro identità europea, spesso nazionale. Il grado della mescolanza etnica presenta peraltro varie sfumature. Semplificando, i dati ufficiali parlano di bianchi, di sanguemisti (pardos), di neri, di indios do mato (indiani della foresta) o indios bravos. Tra i sanguemisti si classificano i mulatti, nati da bianchi e africani, e i meticci, nati da indios e bianchi, secondo un processo iniziato all'epoca della colonizzazione, quando i primi incroci erano definiti mamelucos e caboclos a seconda del grado di meticciamento. Sempre molto rari sono stati gli incroci tra indios e africani (cafusos). All'inizio del nuovo millennio (2010) i bianchi rappresentavano poco meno della metà della popolazione (47,7%), per il resto composta da mulatti (43,1%), neri (7,6%), asiatici (1,1%), amerindi (0,4%). Quantitativamente queste diverse presenze etniche variano fortemente da una parte all'altra del Paese. Fino al sec. XIX la colonizzazione ebbe i suoi centri principali sulle coste del Nordeste ed è qui che si possono osservare ancora gli aspetti più interessanti della mistione, benché prevalenti siano neri e mulatti. La maggior parte della popolazione bianca è stanziata invece più a S (dove ha trovato più adatte condizioni climatiche) con massimi centri a Rio de Janeiro, São Paulo, Pôrto Alegre e nelle altre città di più recente sviluppo. I primi importanti gruppi di immigrati non portoghesi furono tedeschi; successivamente, con la promettente espansione delle piantagioni di caffè, cominciarono ad arrivare italiani e spagnoli (un periodo di forte immigrazione italiana si ebbe dopo il 1890); il fenomeno non conobbe sosta, pur calando per le restrizioni poste nel 1934, anzi ha conosciuto un nuovo slancio in coincidenza della fondazione di Brasília e la colonizzazione delle aree interne. Complessivamente tra il 1850 e il 1950 sono entrati in Brasile ca. 4,8 milioni di persone, di cui 1,5 milioni di italiani e altrettanti portoghesi. I grandi flussi migratori sono andati esaurendosi nel XX secolo e all'inizio del Duemila il saldo migratorio era sostanzialmente in una situazione di pareggio: oltre alle poche migliaia di rifugiati provenienti da Angola, Liberia, Repubblica Democratica del Congo, Sierra Leone e, negli ultimi anni, Colombia, il Paese ospiterebbe secondo alcune stime circa 1,5 milioni di stranieri mentre 3 milioni sarebbero i brasiliani all'estero (Stati Uniti, Portogallo, Regno Unito, Germania, Svizzera, Italia e Belgio). L'immigrazione e l'incessante incremento demografico hanno fatto raggiungere al Brasile una popolazione ben presto elevatissima, che dai 9,9 milioni ca. del 1872 è passata ai 30,6 milioni del 1920, ai 41,2 milioni del 1940, ai 93 milioni del 1970, fino ai 163 milioni del 1999. Le proiezioni demografiche, che quotavano il Brasile a circa 166 milioni di abitanti nei primi decenni del 2000, sono risultate sottostimate. Il Brasile è lo Stato più popoloso dell'America Meridionale: una enorme massa umana distribuita su un territorio con ingenti risorse che tuttavia, non riesce a evitare condizioni di pesante squilibrio nella distribuzione della popolazione. Il tasso di incremento demografico ha subito nel corso dell'ultima parte del Novecento notevoli trasformazioni, con il passaggio dei valori medi dal 33,3‰ del periodo 1975-1980 al 10,3‰ un quarto di secolo più tardi, all'8,6 del 2012. Molto è stato fatto per abbattere gli alti tassi di mortalità infantile (scesi dal 46,9‰ del 1990 al 24,5‰ del 2005) e per la riduzione del tasso di fertilità. La “piramide delle età”, a base notevolmente slargata (quasi metà della popolazione al di sotto dei 20 anni), è quella tipica dei Paesi in via di sviluppo e tale da creare problemi sociali di grande complessità, purtroppo ben lontani dall'essere risolti. I dati relativi alla crescita demografica devono tenere conto inoltre, agli albori del XXI secolo, della diffusione del virus dell'HIV (0,3% degli adulti nel 2011) che condizionano necessariamente le aspettative di vita anche se i programmi governativi per combatterne l'avanzamento sono considerati molto avanzati e un modello per gli altri Paesi. Nonostante ciò, si evidenzia un aumento nella diffusione del virus tra le donne e nella popolazione nera. Quest'ultima è di fatto la componente più povera del Paese e oggetto di discriminazione; solo con la presidenza Lula si è ottenuto un riconoscimento di questa situazione e la creazione di un piano a favore degli afro-brasiliani. Lo stesso governo ha stabilito nell'aprile 2007 una Commissione per i popoli indigeni, con lo scopo di promuovere la salvaguardia dei diritti e delle tradizioni dei nativi. La popolazione indigena, stimata tra le 360.000 e le 500.000 unità e concentrata nel bacino del Rio delle Amazzoni, nel Mato Grosso, negli Stati di Pará, Roraima, Maranhão e nel territorio di Xingu, è anch'essa oggetto di discriminazione, con episodi particolarmente violenti nello Stato del Mato Grosso do Sul. Nel 2004 il Paese ha ratificato la Convenzione 169 dell'ILO sui popoli indigeni e tribali (1989, in vigore dal 1991) volta a riconoscere i diritti di proprietà sulla terra dei popoli tribali e il rispetto della loro cultura e tradizioni, e sono stati istituiti parchi nazionali, comunità protette e riserve. Inoltre, secondo le organizzazioni internazionali, oltre 25.000 brasiliani di fatto lavorano in condizioni di schiavitù, specie nelle piantagioni. Complessivamente il 31% della popolazione vive in una situazione di povertà ma le percentuali più alte riguardano l'infanzia (50%), le minoranze afro-brasiliane e la popolazione degli Stati del sertão (70%). Nel 2012 la popolazione che viveva sotto la soglia di povertà era del 15,9%.

Territorio: geografia umana. Lo sviluppo demografico

Il Paese è popolato in modo estremamente irregolare e la densità media, che è di 23 ab./km², è poco significativa. I maggiori squilibri, derivati dalla colonizzazione e dalla sua particolare occupazione territoriale, si hanno tra le zone costiere e l'interno; non si hanno mai densità superiori ai 23 ab./km² oltre i 500 km dalla costa, tranne nell'area di Brasília (458 ab./km²). In tutta la regione amazzonica si hanno valori simili e che si aggirano sui 4 ab./km² nel Mato Grosso: anche qui tuttavia si trovano nuclei di popolamento, promosso da città come Manaus sul Rio delle Amazzoni o Cuiabá nel Mato Grosso. Al contrario l'85% della popolazione vive nelle regioni di Nordeste, Sudeste e Sul, su un territorio che corrisponde a poco più di un terzo della superficie totale del Paese. I maggiori centri di queste aree raggiungono, e in taluni casi superano, una media di 100 ab./km². Se si eccettuano le zone attorno alle grandi città dove si addensano le principali attività industriali, i territori di media densità sono per lo più occupati da popolazioni che praticano l'agricoltura e risultano spesso fin troppo popolati rispetto alle capacità effettive di contenimento. Le immense distese savaniche sono sfruttate dall'allevamento e quindi con densità bassissime, dato il carattere estensivo dell'attività. Si può dire però che l'occupazione dell'interno sia in continuo sviluppo e avvenga con caratteri meno avventurosi di quelli del passato, quando coloni ardimentosi e spregiudicati come i bandeirantes o paulistani (perché la loro base di partenza era São Paulo) muovevano alla ricerca di spazi aperti per le loro mandrie (vaqueiros o partivano con gli strumenti per raccogliere il caucciù (seringueros) o per cercare diamanti (garimpeiros). L'avventura è in gran parte finita, ma ciò corrisponde a un rapporto fra uomo e territorio assai meno “naturale”, fondato piuttosto su strutture di tipo urbano-industriale: nella foresta, più che il villaggio, nasce la città. L'urbanesimo (pur con le sue piaghe sociali e la sua incapacità di assorbimento, denunciata dalle favelas presenti in tutte le città brasiliane) è infatti il grande fenomeno del Brasile, registrando dagli ultimi decenni del XX sec. incrementi impressionanti: la popolazione urbana, che nel 1940 era appena del 30%, supera l'80% del totale (2005). L'aumento vertiginoso della popolazione urbana, pur avendo portato ben due metropoli brasiliane, São Paulo e Rio de Janeiro, fra le prime al mondo per dimensione (São Paulo è la città più popolosa d'America e il secondo agglomerato urbano del mondo dopo Città di Messico), non va interpretato solo nel senso dell'addensamento demografico. L'urbanizzazione del Brasile è da ricondurre, piuttosto, a un disegno generale di carattere geopolitico, impostato dal potere centrale per favorire l'integrazione, in particolare delle aree rurali e interne, nel processo di sviluppo produttivo e di utilizzazione del territorio. Quest'ultimo obiettivo, per raggiungere il quale grande spazio è stato dedicato alla pianificazione e al riassetto della rete stradale e delle comunicazioni, ha sconvolto gli equilibri delle zone periferiche, investite da un'ondata di trasferimenti che ha nettamente privilegiato i modi di produzione capitalistici, favoriti anche dagli incentivi federali. In particolare la strategia dei “poli” industriali, condotta dagli staff tecnocratici operanti a Brasília, ha di fatto centralizzato la geografia umana dell'immenso Paese, quasi annullandone il carattere volontaristico e le differenziazioni regionali che ne conseguivano. In tal modo il continuum rurale-urbano, prima rappresentato da flussi di uomini e di beni dalla campagna alla città, ha subito una vera e propria inversione ed è ora riconoscibile in flussi innovativi e finanziari con direzione opposta. La struttura insediativa ha così subito profonde modificazioni: per esempio, alle classiche fazendas – comprendenti la casa grande del proprietario, l'engenho (lo zuccherificio artigianale) e le abitazioni dei contadini – sono subentrate grosse borgate di braccianti agricoli giornalieri o di operai pendolari, che riproducono gli aspetti deteriori delle cinture suburbane, mentre si è fortemente indebolito il sistema dei piccoli centri commerciali e manifatturieri. Pertanto, da un punto di vista gerarchico, la dominanza delle grandi città litoranee e, soprattutto, dell'area metropolitana di São Paulo, si è ulteriormente rafforzata, in quanto vi si concentrano le sedi direzionali delle imprese multinazionali, detentrici della massima parte dei mezzi di produzione. In tal modo, mentre prosegue la crescita demografica delle maggiori agglomerazioni, risulta frenata quella delle città medie con funzioni regionali e, per contro, addirittura esplosiva quella di molti centri pionieri (per esempio, negli Stati di Amazonas, Rondônia, Maranhão), con pesanti effetti di impatto ambientale e sociale. I centri costieri del Nordeste conobbero per primi un certo sviluppo, in quanto erano gli approdi più vicini all'Europa, tutti con funzioni portuali rispetto alle aree di piantagione circostanti (meno nei confronti dell'interno che le scarpate montuose rendono non facilmente accessibile): Recife, Salvador, la vecchia Bahia, che è stata la prima capitale del Paese; altri centri portuali sono Fortaleza, Natal e São Luís, collegati con ferrovia a Teresina, grosso centro dell'interno. Ma la vera metropoli costiera è Rio de Janeiro, che è importante sia per il porto sia per il passato ruolo di capitale; spodestata da Brasília, Rio risente della perdita delle sue antiche funzioni, nonostante lo straordinario fascino esercitato da questa città che forse più di tutte esprime l'anima del Brasile e che con la sua splendida baia è considerata una delle più belle del mondo. Essa è ben collegata con Belo Horizonte, terzo agglomerato urbano del Paese e massimo centro delle attività minerarie e industriali del Minas Gerais. Rilevante attività portuale registrano, infine, Belém, sbocco dell'area amazzonica, e Santos, sviluppatasi in funzione di São Paulo e di tutta l'area del caffè. La metropoli paulista, che fu alla base della valorizzazione delle regioni interne degli altopiani, è una città sempre dinamica, industriale, commerciale, nodo di comunicazioni ferroviarie fondamentali e massimo centro del Paese. Grosse città sono anche Curitiba, capitale del Paraná, e Pôrto Alegre, del Rio Grande do Sul: è città portuale e industriale, su cui gravita tutto il Sul. Brasília è infine la grande città nuova, cresciuta rapidamente nonostante l'iniziale sfiducia e divenuta il polo di attrazione e di propulsione verso i centri pionieri dell'interno, insieme con la non lontana Goiânia.

Territorio: ambiente. Flora

Dal punto di vista del clima e delle condizioni ambientali il territorio brasiliano si può suddividere in alcune grandi regioni: il Norte, o Amazzonia; il Nordeste, corrispondente alla grande sporgenza orientale del subcontinente; il Leste o Sudeste, che comprende tutta la parte atlantica centrale; il Centro-Oeste, relativo alle distese interne; infine il Sul, cioè l'area più meridionale del Paese. La regione amazzonica, col suo clima equatoriale piovoso, è dominata dalla foresta pluviale, la più estesa e vigorosa manifestazione vegetale della Terra, ricca di specie che si sviluppano variamente a seconda dei suoli più o meno umidi: all'igapó, zona anfibia occupata dalle mangrovie, succede la varzea, l'area inondabile, con formazioni non molto alte ma intricate; nei terreni al riparo dalle inondazioni (terra-firme) si hanno le formazioni più possenti, con alberi che giungono sino a 60 m d'altezza. Tra le piante industriali basti ricordare l'Hevea, così importante nello sviluppo economico del Brasile. La foresta pluviale si spinge, con lunghe diramazioni corrispondenti al reticolo idrografico, anche nelle regioni adiacenti, dove l'accentuarsi del clima a due stagioni sostituisce alla foresta pluviale la savana e il bosco xerofilo. Negli ambienti semiaridi si parla in generale di caatinga, cioè di una successione di arbusti, alberi e distese erbose, in cui non mancano le specie con caratteri xerofili, particolarmente spiccati nel siccitoso Nordeste; la regione presenta però aspetti abbastanza vari passando dalla parte occidentale, dove si alternano spazi erbosi inframmezzati da palme (palma babaçu) e distese arbustive, a quella orientale, dominata da arbusti spinosi, cactacee e altre specie marcatamente xerofile: si parla allora di sertão, termine con il quale si usano definire le zone alle spalle della fascia costiera, con poche possibilità di sfruttamento. Nel Leste, dato il suo clima piovoso, si ha un ambiente forestale che nelle zone più favorite, sui versanti montuosi elevati, dà luogo a una tipica foresta (mata atlântica) esuberante e ricca di specie, tra cui Caesalpinia echinata il cui legno (brasile) ha dato il nome al Paese; sulla fascia costiera si trovano terreni fertili (massapé) che, in rapporto al clima caldo e umido, ne fanno la regione più adatta all'agricoltura di piantagione. Al di là delle serre, sull'altopiano, ritorna, più o meno ricca, la caatinga, che cresce sui suoli (la terra roxa) adattissimi al caffè. Nel Centro-Oeste prevale nuovamente la caatinga, che inizia già nel Mato Grosso, dove si hanno arbusti e zone arborate (campos cerrados), cui succedono a S sempre più estese zone erbose (campos limpios). Piante dominanti sono diversi tipi di palma, tra cui quella vitifera (burití, Mauritia vitifera) e quella gommifera (mangabeira, Hancornia speciosa); nella zona più meridionale cresce spontaneo l'albero del mate (Ilex paraguariensis). Nel Sul, infine, si hanno formazioni subtropicali; sui rilievi, dove la piovosità è ancora elevata, le associazioni di conifere (araucarie) formano estese e regolari foreste (mata do pinhal); le zone più basse sono ricoperte da praterie a graminacee (campinas), che preludono alle pampas uruguayane.

Territorio: ambiente. Fauna

La fauna del Brasile è quanto mai varia, data anche l'estensione del Paese, e coincide in pratica con la fauna della parte settentrionale dell'America Meridionale. Vi sono presenti quasi tutte le Scimmie Platirrine (ateles, cacajao, uistitì, tamarini ecc.), tutti i Maldentati (formichieri e armadilli), numerosi pipistrelli tra cui il vampiro (Desmodus rotundus) e il pipistrello pescatore (Noctilio leporinus). Molto diffuso è il capibara, un grosso roditore, mentre tra i Felini sono presenti il giaguaro, il puma e lo yaguarondi. Non mancano i Mustelidi come il taira e i carnivori come la volpe grigia delle pampas del Brasile meridionale, la volpe dalle orecchie corte dell'Amazzonia e dell'Orinoco, il crisocione e lo speoto, rinvenuto allo stato fossile prima ancora che ne fossero trovati esemplari vivi. Nel Rio delle Amazzoni si trovano infine numerosissime specie di pesci, in particolare tutti quelli appartenenti alla famiglia Caracidi (compreso il pesce tigre o piranha), oltre ai terribili barracuda. Nelle acque alte si trovano anche l'inia, grosso cetaceo, e il lamantino brasiliano, specie di sirenide proprio delle Amazzoni, a rischio di estinzione. Per quanto riguarda gli altri vertebrati il Brasile non offre grande varietà di animali. Sono quasi del tutto assenti gli Anfibi fatta eccezione per le raganelle arboricole, mentre tra i Rettili un posto di primo piano spetta agli anaconda, allo jacaré e all'iguana dai tubercoli; e tra gli Uccelli ai pappagalli (tra cui l'ara giacinto, il più grande al mondo) e ai tucani.

Territorio: ambiente. Ecologia

A partire dagli anni Sessanta del XX secolo, è iniziato un processo di occupazione dei territori a bassa densità umana, in particolare del bacino amazzonico. Tale processo, orientato da precisi obiettivi geopolitici, si è fondato sull'impiego di tecnologie avanzate per realizzare, nelle frange pioniere, una rete infrastrutturale e urbana che potesse consentirvi lo sfruttamento delle immense risorse idroelettriche, minerarie, agricole e zootecniche. È iniziata, così, una penetrazione nelle aree forestali e savaniche che ha profondamente alterato gli equilibri naturali: a parte la tecnica del taglio-incendio, da tempo utilizzata dagli agricoltori e dagli allevatori, gli spazi aperti per la costruzione delle nuove strade e dei centri abitati, ricorrendo anche all'impiego di potenti mezzi chimici, hanno determinato un impatto ambientale difficilmente controllabile, nel quale sono rimaste pesantemente coinvolte le popolazioni indigene. La conversione di enormi aree boschive in piantagioni per la coltivazione di cacao e di eucalipto (una specie non endemica) e, più recentemente, della soia (in funzione dell'espansione dell'allevamento) hanno causato una riduzione nell'estensione delle foreste brasiliane, che occupano il 61,2% del territorio. La deforestazione, che solo nel periodo 2003-2004 ha investito una superficie di oltre 26.000 km², costituisce una seria minaccia per le specie che popolano la macchia; alcune di queste, inoltre, sono oggetto di traffico illegale. Il Paese presenta alti tassi di inquinamento dell'aria e delle acque non solo nelle grandi città e negli agglomerati urbani di Rio de Janeiro e São Paulo ma anche presso le località di estrazione e lavorazione dei minerali. Qui la contaminazione del suolo ha causato e continua a causare un impoverimento dei terreni e la perdita della loro produttività. Tutto ciò ha suscitato un vasto movimento di opinione, su scala internazionale, i cui effetti sembrano essersi tradotti, sullo scorcio del sec. XX, in una maggiore attenzione del governo brasiliano per le problematiche ecologiche. A dare ulteriore risonanza alle questioni ambientali del Paese si sono impegnati, dai primi anni del Duemila, i membri del Movimento dei Sem terra e di altre organizzazioni che protestano contro la riduzione dell'area amazzonica protetta e contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse; le contestazioni del giugno 2008 hanno portato all'occupazione, tra l'altro, di centrali termoelettriche, raffinerie, stabilimenti industriali e piantagioni. Il governo ha avviato negli ultimi anni un piano di protezione dell'ambiente, con l'istituzione di appositi organismi per la salvaguardia delle risorse rinnovabili e la creazione di numerosi parchi e riserve: nel 2000 è stato istituito un sistema unico per la conservazione del patrimonio naturale (SNUC) nell'ambito dell'autorità federale per l'ambiente e le risorse naturali rinnovabili (Ibama) del Ministero dell'ambiente. Di fatto però solo il 26% del territorio brasiliano è formalmente tutelato e nell'ambito del sistema nazionale si distinguono unità a protezione integrale e unità destinate a un uso sostenibile. Nel primo rientrano i 58 parchi nazionali e numerose riserve biologiche, naturali ed ecologiche; nel secondo altri tipi di aree come le foreste nazionali, le riserve faunistiche ecc. Esistono poi 19 siti naturali e culturali segnalati dallʼUNESCO, di cui 7 patrimonio mondiale naturale dellʼumanità. Il primo, il Parco Nazionale Iguaçu, è stato creato nel 1986; a questo sono seguiti la Foresta atlantica - Riserve del sud-est (1999); le Riserve della foresta atlantica la Costa della Scoperta (1999); l'Area protetta dell'Amazzonia Centrale (2000, 2003), estensione del Parco nazionale Jaú; l'Area di conservazione del Pantanal (2000); l'Ilhas Atlanticas brasileiras: arcipelago Fernando de Noronha e Atol das Rocas (2001); i Parchi nazionali Chapada dos Veadeiros ed Emas (2001).

Economia: generalità

Dotato di un enorme potenziale di risorse umane e naturali, il Brasile è di gran lunga il più importante Paese dell'America Meridionale, ma è altresì quello in cui più compiutamente si esprime la storia economica sudamericana con le sue marcate dipendenze sia dall'Europa sia dagli Stati Uniti e con i suoi periodi di rapido arricchimento alternati ad altrettante fasi di recessione per i mutati interessi del capitale internazionale. Sin dagli inizi dell'epoca coloniale il Brasile fu contrassegnato infatti da una serie di cicli economici, cominciati con lo sfruttamento dei legni pregiati, proseguiti con il lungo periodo della coltivazione di canna da zucchero, con l'allevamento nelle aree del sertão, con le fortune minerarie del Minas Gerais; si ebbero l'intenso sfruttamento di caucciù della selva amazzonica e la vera e propria epopea del caffè, iniziata alla metà del XIX.- e che determinò un sensibile spostamento verso sud degli interessi economici brasiliani. Definitivamente conclusa l'epoca dei cicli, il Paese ha rafforzato la propria economia, da un lato diversificando e consolidando le produzioni agricole, dall'altro avviando un poderoso processo d'industrializzazione (più della metà delle esportazioni consiste in manufatti di ogni genere), il Brasile continua a presentare un assetto economico fondamentalmente subordinato al capitale straniero; ciò dà la misura della fragilità del sistema produttivo brasiliano, dovendosi tener conto che esso, date le ristrettezze del mercato interno, lavora essenzialmente per l'estero. Anzi proprio la poderosa spinta all'industrializzazione, iniziata nella seconda metà degli anni Sessanta del XX e che avrebbe potuto consentire al Paese di acquistare un'autentica autonomia sulla scena economica mondiale, è stata indotta da investimenti esteri (statunitensi innanzitutto, quindi della Germania, del Canada, del Giappone ecc.), che qui hanno trovato, oltre naturalmente alle ingenti materie prime, manodopera abbondante e a basso costo e amplissimi appoggi governativi: metà dell'industria brasiliana appartiene a società straniere e nei settori più sviluppati, come l'automobilistico, il farmaceutico, il cementiero ecc., la partecipazione estera è addirittura dell'80 e del 90%. Queste considerazioni possono rendere conto della marcata vulnerabilità dell'economia brasiliana alle fluttuazioni: un tempo quelle dei prezzi delle materie prime di cui è produttore (come accadde con il caucciù e il caffè), quelle delle condizioni di applicazione dei capitali internazionali, che risulta difficile attirare e ancora più difficile conservare. Da un quadro di questo tipo ha preso origine la grave crisi finanziaria che ha investito il Brasile nelle prime settimane del 1999 (dopo che il Paese aveva risentito seriamente della precedente crisi asiatica e russa), secondo un modello speculativo (cui non sembrano estranee anche motivazioni politiche) che ormai si va consolidando e che ha visto, anno dopo anno, colpire il Messico, la Thailandia, l'Indonesia e quindi il Brasile, in un processo continuo, che viene periodicamente enfatizzato da crisi locali. Le cause tecniche di tali sussulti sono assai complesse, anche se è relativamente facile ridurle a una sola: la ricerca dei maggiori possibili profitti da parte di chi controlla i capitali internazionali. Quanto agli effetti, si tratta di fenomeni che si sviluppano su un periodo alquanto lungo per cui non è ancora possibile delinearne il quadro: pare ovvio che, almeno nel breve periodo, tali effetti saranno assai gravi, specie in un'economia sostanzialmente debole come quella brasiliana; ma, insieme e in maniera anche più considerevole, ha visto allargarsi la forbice tra i redditi, aumentare la quantità di popolazione al di sotto della soglia di povertà, radicalizzarsi le differenze socio-economiche fra regioni (con gli Stati costieri meridionali che continuano a progredire a un ritmo sempre maggiore, mentre quelli dell'interno e del Nordest ristagnano o regrediscono), concentrarsi sempre più la popolazione in aree urbane di difficilissima gestione, migliorare il tasso di inflazione, stabilizzarsi la disoccupazione a prezzo di una sostanziale riduzione del potere d'acquisto dei salari. Tutto ciò avviene benché le prospettive, aperte dall'entrata in funzione del MERCOSUR (1991), sembrassero garantire fin dall'immediato un consolidamento e un ampliamento dei risultati positivi raggiunti dalle economie sudamericane e da quella brasiliana in specie: risultati e prospettive che la nuova crisi ha messo in forse. D'altro canto, paradossalmente, proprio la nascita del MERCOSUR (con l'eliminazione progressiva della protezione doganale) e il dinamismo economico-finanziario (con il boom delle borse di São Paulo e Rio de Janeiro, tra il 1996 e il 1997, e con l'aumento dei capitali esteri investiti) hanno messo il Brasile in una condizione più debole che in passato, di fronte a una crisi finanziaria di origine esterna, tanto più che l'adozione della nuova moneta (il real, dal 1994) e la necessità di mantenere alti i tassi di interesse sui titoli pubblici, per attirare capitali, hanno insieme aumentato la pressione sul debito pubblico e la dipendenza dalla fiducia degli investitori internazionali. Le numerose e importanti privatizzazioni, nel settore industriale e in quello creditizio, hanno alleggerito la situazione solo per breve tempo, mentre gli interventi di razionalizzazione dell'industria, tesi ad aumentarne la competitività, nell'immediato, hanno avuto soprattutto un effetto sociale negativo, espellendo centinaia di migliaia di lavoratori (l'industria produce oltre un terzo del PIL nazionale impiegando circa un quinto della popolazione attiva). Le condizioni strutturali dell'agricoltura (8% circa del PIL, compresi i settori agroindustriali, e circa un quinto degli occupati) non accennano a migliorare realmente, e dunque non consentono di ribilanciare né il popolamento, almeno frenando l'inurbamento, né l'accesso a mezzi adeguati di sussistenza: circa la metà delle aziende (praticamente tutte quelle a conduzione diretta) si dividono il 5% delle terre coltivabili, mentre neanche l'1% dei proprietari di aziende agricole possiede almeno 1000 ha, per un complesso pari a poco più di un terzo delle terre coltivabili. Il settore terziario, infine, classicamente diviso, da una parte, in una serie di attività “moderne” e tipicamente urbane, ad altissimo valore aggiunto, legate all'economia mondiale e, dall'altra, in minuscole attività di intermediazione, prevalentemente informali, rappresenta come sempre una valvola di sfogo, specie per la popolazione urbana di nuovo insediamento (più del 56% del PIL, occupando oltre la metà della forza lavoro). Nel 2000, la politica di rigore concordata con il FMI e i fondi derivanti dall'ingente prestito di cui il Paese ha beneficiato nel 2002, hanno favorito la ripresa dell'economia, nonostante restino alcune lacune strutturali da colmare con opportune riforme a livello micro e macro economico, a partire dal completamento delle infrastrutture per arrivare alla stabilizzazione della moneta, alla riduzione dell'inflazione e al contenimento della disoccupazione. Nel periodo 2000-2003 il governo è, tuttavia, riuscito a ricomporre alcune sinergie regionali, incentivando un modello di crescita che riuniva in un efficace modello cooperativo le amministrazioni locali, le imprese private e il sistema creditizio. L'economia del Paese conosceva tassi di crescita notevoli con una momentanea stasi nel biennio 2008-9. Dopo una ripresa nel 2010, il presistere della crisi mondiale e la riduzione della domanda determinavano un nuovo raffreddamento. Dal 2013 il debito pubblico è in continuo aumento e ha reso necessari tagli alla spesa pubblica e misure di austerità. Nel biennio 2015-16, il Brasile ha dovuto affrontare una grave recessione dovuta al calo dei prezzi del petrolio, alla bassa produttività e alla carenza di investimenti. Nel biennio successivo la crescita economica è tornata positiva, irrobustendosi nel 2018-19; la disoccupazione, quasi raddoppiata tra 2013 e 2017, ha iniziato a ridursi. Nel 2018, il PIL del Brasile ha raggiunto la cifra di 1.868.184 ml $ USA, con un PIL pro capite di 8.968 $ USA. Il  del debito, che si attesta a circa 542.980 ml $ USA (nel 2017). La pandemia di COVID-19 nel 2020 ha riportato il paese in recessione. L’aumento della disoccupazione ha aggravato le già precarie condizioni di vita di larghe fasce di popolazione.

Economia: agricoltura, foreste, allevamento e pesca

L'agricoltura pur disponendo di un'ampia superficie coltivabile, sfrutta solo il 7,7% dell'area totale. Inoltre la maggior parte dei terreni è occupata da colture commerciali, mentre relativamente limitata è la superficie destinata a quelle alimentari, le cui produzioni non bastano alle necessità di una popolazione tanto numerosa e in parte devono essere importate. La situazione è anche il frutto di un sistema agrario di vecchia impostazione, in cui la grande proprietà privata è ancora dominante e occupa la maggior parte delle terre coltivate; si tratta in molti casi, come nel Nordeste, di un latifondismo statico e improduttivo, in altri di moderne aziende nelle zone di piantagione più ricche, come nelle aree del caffè, della canna da zucchero, del cotone. Tra le colture alimentari predominano la manioca, consumata diffusamente insieme alle patate e ai fagioli, il mais e il riso, coltivato nelle zone irrigue del Goiás, del Minas Gerais, del São Paulo e del Rio Grande do Sul; da quest'ultimo proviene anche per lo più il frumento, la cui produzione è in via di sviluppo. Nettamente più importanti sono le colture di piantagione, per molte delle quali il Paese si colloca ai primissimi posti nella graduatoria mondiale. Il caffè ha il suo ambiente più adatto negli altopiani a terra roxa, che da São Paulo si stendono sino al Paraná; il Brasile è tuttora nettamente al primo posto nel mondo. Coltura di antico insediamento, anche la canna da zucchero rappresenta una risorsa molto importante (nel 2005 primo produttore mondiale). Particolarmente vario è il panorama delle piante oleifere, sia coltivate come la soia (nel 2005 era il secondo produttore mondiale), le arachidi, il ricino, il lino, ecc., sia spontanee come la palma da olio, la palma barbaçú, la Bertholletia excelsa che dà le cosiddette noci del Brasile, ecc. Con le sue varietà climatiche il Paese è in grado di fornire una gamma assai vasta di frutta: colossali le produzioni di banane e di agrumi, di cui è il primo produttore del mondo, quindi di ananassi, noci di cocco, uva; elevata è anche la produzione di sisal, che con la iuta completa il quadro delle piante tessili. Si ricordano ancora il tè e soprattutto il tabacco, coltivato negli Stati del Rio Grande do Sul, di Santa Catarina e di Bahia. § Grandiose sono le risorse delle foreste, che coprono più della metà della superficie nazionale e sono per larga parte comprese nel bacino amazzonico. In essa trova il suo ambiente originario l'Hevea; il latice gommifero si ricava anche dalle palme. Dalla foresta della facciata atlantica provengono invece legni pregiati come il palissandro e il cedro mentre dai pinheros del Sul, dove predomina il pino del Paraná, si ricava legname da opera e per l'industria della carta; complessivamente il Brasile è il quarto produttore mondiale di legname. § L'allevamento è praticato su basi eminentemente commerciali nei vasti spazi dell'interno; il Brasile possiede un patrimonio bovino in forte espansione (causando deforestazione di aree del bacino amazzonico) e tra i più cospicui del mondo, mentre minor peso hanno gli ovini e i caprini, cui si aggiungono i cavalli, impiegati soprattutto nel Nordeste. Diffuso è l'allevamento dei suini e dei volatili da cortile. § Notevole importanza presenta infine il pescato (merluzzi, aragoste, gamberi, granchi).

Economia: industria e risorse minerarie

Quanto all'industria, è stato soprattutto grazie al suo spettacolare sviluppo (è tra i primi dieci Paesi industriali del mondo) se il Brasile ha conosciuto il più elevato tasso di accrescimento del prodotto nazionale dell'America Latina, con valori a lungo rimasti sul 10% annuo. L'industria di base è stata creata sin dagli anni Sessanta grazie a poderosi aiuti governativi, cui si deve per esempio il grande centro siderurgico di Volta Redonda, nello Stato di Rio de Janeiro, al quale sono stati affiancati numerosi altri complessi, come quello di Usiminas, nel Minas Gerais, uno dei maggiori dell'America Latina. Meno rilevante, ma già ben diversificato, è nell'insieme il settore metallurgico, con fonderie di piombo, zinco, stagno, rame e soprattutto alluminio. Anche l'industria meccanica ha enormemente allargato la propria attività e di particolare rilievo è il potenziamento dell'industria automobilistica, concentrata attorno a São Paulo, Belo Horizonte, São Bernardo do Campo, Rio de Janeiro, Pôrto Alegre: il Brasile si pone ormai anche in questo settore ai primi posti nella graduatoria mondiale, anche grazie alla presenza in loco delle più grandi multinazionali del settore (Fiat, Ford, General Motors, Renault ecc.). Si hanno inoltre buone produzioni sia di macchine agricole, materiale ferroviario ecc., sia di apparecchiature varie e di elettrodomestici, specie radio e televisori. Nel Sudeste sono sorti importanti centri industriali ad alta tecnologia con una discreta affermazione dell'industria aerospaziale (a São Bernardo do Campo è attivo un centro dedicato) e degli armamenti; inoltre, si è tentato di incentivare lo sviluppo del ramo informatico. Notevole anche il polo elettrico ed elettronico sito a Manaus, dove è presente un distretto che raccoglie ca. 400 aziende. Conserva poi tutta la sua importanza la tradizionale industria tessile, concentrata a São Paulo e con preminenza per il cotonificio ma con buon sviluppo anche per le fibre tessili artificiali. Oltre alla tessile, sono naturalmente assai notevoli tutte le attività legate alla trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici locali, annoverando quindi imponenti zuccherifici, tabacchifici, impianti per la lavorazione del caffè, conservifici, fabbriche di cacao ecc. In grande espansione è l'industria petrolchimica, che conta una dozzina di raffinerie, per lo più ubicate nei centri portuali, e ancor più quella chimica, tradizionalmente posta al servizio dell'agricoltura (fertilizzanti), ma altresì ottimamente rappresentata nell'ambito farmaceutico, delle materie plastiche, della produzione di acido solforico, soda caustica ecc. Rilevanti sono del pari l'industria della gomma, favorita dalla materia prima locale, quella del cemento e quella della carta. § Considerato per secoli un Paese pressoché unicamente agricolo, il Brasile è in realtà una potenza mineraria: in particolare per il ferro è già il secondo produttore del mondo e i depositi amazzonici di Serra dos Carajás, che si affiancano a quelli di più antico sfruttamento del Minas Gerais, sono ritenuti i più vasti del mondo, con una previsione di sfruttamento di 400 anni. Per molti altri minerali il Brasile si pone ai primi posti nella graduatoria mondiale, per esempio per il cristallo di rocca, di cui il Brasile è particolarmente ricco, la cromite, lo zirconio; molto cospicui sono anche i giacimenti di manganese, magnesite, cassiterite, bauxite, nichel, uranio, titanio, amianto, fosfati, tungsteno, ecc., che si aggiungono ai minerali di tradizionale estrazione come l'oro proveniente in particolare dal Minas Gerais, Mato Grosso e Pará, donde si ricava anche una buona quantità di diamanti e di pietre preziose (acque marine, ametiste, topazi). Le industrie estrattive sono comunque in buona parte controllate da società straniere. Le fonti energetiche non sono invece abbondanti: il carbone è piuttosto scarso e così pure il petrolio che, date le crescenti richieste delle industrie, deve essere importato in quantitativi ingenti; giacimenti sono presenti sia sulla terra ferma (Bahia, Espírito Santo, Paraná, Sergipe) sia sulla piattaforma continentale (in particolare l'estuario di Rio de Janeiro e il bacino di Campos). Enorme è, per contro, il potenziale idroelettrico; la quasi totalità dell'energia elettrica prodotta è di origine idrica e il Paese dispone di centrali colossali, come quella di Urubupungá, sul fiume Paraná; sempre sul Paraná è stato realizzato il complesso di Itaipú, in collaborazione con il Paraguay, mentre sul fiume Tocantins è sorto il complesso Tucuruí. Non meno promettente è il settore dell'energia nucleare; a seguito della scoperta di importanti giacimenti di uranio, nel 1977 il Brasile ha avviato la costruzione di due centrali nucleari concentrate nella zona di Angra dos Reis: la prima è entrata in funzione nel 1983.

Economia: commercio e comunicazioni

Il commercio estero è in continua e rapida crescita, anche se il volume dei traffici sembra attenuarsi dopo una lungo periodo di surplus. Nel 1995, le importazioni sono state circa due volte e mezzo, in valore, il montante delle importazioni del 1991; pure le esportazioni sono cresciute costantemente, ma in maniera più contenuta a causa di un aumento repentino dei consumi interni, poi scemato negli anni seguenti. L'aumento di reddito, in certi strati della popolazione, ha anche prodotto flussi turistici in uscita più consistenti di quelli in entrata, al punto che il numero di ingressi nel Paese tende a restare nettamente inferiore ai flussi in uscita. Il settore risente anche dell'inadeguatezza delle strutture ricettive e della scarsa sicurezza del Paese. Nello stesso periodo di tempo, si è discretamente diversificato il quadro degli interlocutori commerciali del Brasile, che ormai contempla, oltre gli Stati Uniti sempre al primo posto, l'Argentina, quindi la Cina, la Germania, la Nigeria, il Giappone, la Corea del Sud e il Cile, cui si aggiungono, per le importazioni (prodotti chimici, petrolio e derivati, componentistica per il settore automobilistico), i Paesi Bassi e il Messico; tra i Paesi europei, spiccano invece Francia e Italia. Tra le voci delle esportazioni si annoverano macchinari e autoveicoli, prodotti siderurgici, carne fresca o conservata, ferro, petrolio e derivati, seguiti da semi di soia, zucchero, caffè, residui di industria alimentare ecc. Il Brasile ha stipulato inoltre diversi accordi commerciali a livello internazionale (come la creazione della Comunità Sudamericana delle Nazioni, nel 2004 e l'accordo di cooperazione con l'Ecuador per lo sfruttamento delle risorse petrolifere e la ricerca di combustibili alternativi), ampliando le sue possibilità di scambio a tariffe agevolate. § Le comunicazioni interne hanno un andamento che rispecchia l'organizzazione territoriale: sono cioè relativamente sviluppate lungo le zone costiere e sono invece povere per quanto riguarda i collegamenti con l'interno. Ciò vale sia per la rete stradale sia per quella ferroviaria (estesa per circa 30.000 km nel 2014). Questa ha il suo massimo centro a São Paulo e fondamentalmente raccorda i centri costieri con l'immediato retroterra; i collegamenti in senso meridiano sono scarsi e si hanno solo sugli altopiani. La ferrovia raggiunge Brasília e Goiânia ed è allacciata poi alla Bolivia da un lato, all'Uruguay e all'Argentina dall'altro. La rete stradale, che disponeva nel 2011 di soli 213.459 km asfaltati su un totale di ca. 1.581.181 km, è caratterizzata in particolar modo dalle arterie che uniscono il Paese lungo le direttrici nord-sud Brasília-Belém, Cuiabá-Santarém e Pôrto Velho-Manaus-Boa Vista); importanti anche i collegamenti lungo la diagonale Sudeste-Rondônia e quello in direzione est-ovest garantito dalla Transamazzonica, destinata a raccordare i centri del Nordeste con il Perú. Assai importante in tutto il Paese e fondamentale nell'Amazzonia, dove i fiumi sono ancora le principali vie di comunicazione, è la navigazione interna; oltre al Rio delle Amazzoni, accessibile da navi oceaniche sino a Manaus, sono navigabili il São Francisco, il Paraná e il Paraguay. Tra i porti principali: Santos, Rio de Janeiro, Belém, Macapá, Pôrto Alegre, Salvador, Recife ecc. Particolare rilievo rivestono le comunicazioni aeree (talora sono anzi le uniche in grado di collegare certe località amazzoniche); gli scali principali sono quelli di São Paulo, Guarulhos, Rio de Janeiro, Brasília, Recife e Salvador; il Brasile possiede, inoltre, una rete assai fitta di trasporti aerei interni. Queste le principali esportazioni (ml $ USA, Dati 2017): soia 25.718, minerali di ferro 19.199, petrolio e derivati 18.626, veicoli e loro parti 14.724, carne 13.953, macchinari 13.848, ferro e acciaio 12.255, zucchero e derivati 11.566, imbarcazioni 7.796, prodotti chimici 7.125, pasta di legno 6.355, residui dell’industria alimentare 5.395, mais 4.631, caffè 4.613, velivoli e loro parti 4.045, materie plastiche 3.656, materiale elettrico ed elettronico 3.435, oro 2.800, legname 2.780, minerali di rame 2.485, succhi e conserve di frutta e verdura 2.273, tabacco 2.092, bevande 2.015, carta e cartone 1.913, pellame 1.899, cotone 1.497, oli vegetali 1.440.

Storia: dal colonialismo alla prima Costituzione del 1824

Il Brasile precolombiano non conobbe civiltà progredite, simili a quelle che fiorirono nel Messico o nel Perú; i Portoghesi, sbarcati nel 1500 con Cabral, trascurarono inizialmente il nuovo dominio, tanto che i Francesi, anch'essi in espansione, poterono stabilire un forte sulla costa del Pernambuco. Nel 1530 la corte lusitana, decisa a interessarsi più attivamente della colonia, vi inviò Martim Afonso de Souza che, dopo avere estromesso i Francesi dal Pernambuco, rinforzò le guarnigioni portoghesi e cominciò a istituire i primi servizi amministrativi. Nel 1533 il re Giovanni III introdusse il sistema delle capitanías: si trattava di un'estensione territoriale che il sovrano assegnava a un nobile (donatário), sulla base di suddivisioni effettuate lungo la linea costiera e prolungate idealmente verso occidente fino a raggiungere i limiti previsti dal Trattato di Tordesillas con il quale nel 1494 Portogallo e Spagna si erano accordati per tratteggiare i confini delle rispettive, eventuali conquiste in America. Il Brasile risultò così diviso in dodici capitanías, che sul tratto costiero erano lunghe da venticinque a sessanta leghe e nelle quali i donatários non tardarono a trasformarsi in signorotti, forniti di poteri praticamente illimitati. Nel 1549 Giovanni III per riprendere il controllo della situazione nominò Tomé de Sousa governatore generale ed elevò la città di Bahia a capitale della colonia; da quel momento il consolidamento della presenza lusitana poté procedere con maggiore efficacia. Nel 1567 il governatore generale Mem de Sá respinse un tentativo di occupazione da parte di ugonotti emigrati e, nel posto che gli invasori avevano chiamato Francia Antartica, fondò Rio de Janeiro. Il periodo della dominazione spagnola sul Portogallo, dal 1580 al 1640, fu molto importante per la formazione nazionale brasiliana: abbandonati in buona misura a se stessi, i coloni dovettero provvedere con le proprie forze a difendersi dagli assalti stranieri, che in quell'epoca si moltiplicarono a opera di Inglesi, Francesi e Olandesi. I primi si limitarono a qualche scorreria, i secondi, sistematisi entro la zona che è parte del Maranhão, ne vennero espulsi nel 1615; gli Olandesi, sbarcati numerosi, erano riusciti a impiantarsi nel Pernambuco. La loro comunità, specie durante l'amministrazione del principe Giovanni Maurizio di Nassau (1637-44), si era assestata così solidamente che i Portoghesi-Brasiliani si videro costretti a prolungare i loro sforzi bellici per la liberazione sino al 1654. In quell'anno, dopo un'estrema difesa a Recife, gli Olandesi capitolarono. Quando tornarono i rappresentanti della corona portoghese, la situazione in Brasile era perciò sostanzialmente mutata: gli abitanti di Rio, di São Paulo e delle zone settentrionali avevano acquistato una coscienza nazionale con aspetti rivendicativi poco graditi a Lisbona. Spinte espansionistiche si verificarono da parte dei pionieri di São Paulo che, in gruppi più o meno numerosi, si avventurarono verso l'ovest e il sud alla ricerca di nuove terre e di indigeni da rendere schiavi per il lavoro nelle piantagioni. Lo scontro fra i bandeirantes (così erano chiamati i pionieri) e i gesuiti fu inevitabile quando i primi raggiunsero le reducciones, vale a dire quegli stanziamenti fortificati che i padri della Compagnia avevano eretto, soprattutto nella zona dell'attuale Paraguay, per garantire agli elementi autoctoni una vita sicura, anche se appesantita da norme autoritarie e inflessibilmente religiose. Gli scontri furono numerosi e i bandeirantes ebbero la meglio solo quando la posizione dei gesuiti cominciò a indebolirsi tanto in Portogallo quanto in Spagna (nella seconda metà del sec. XVIII furono espulsi). Il Brasile intanto, con l'aiuto di compagnie appositamente costituite, entrava in una fase di sviluppo commerciale, traendo vantaggio inoltre dalle riforme amministrative introdotte dal primo ministro, marchese di Pombal, durante il regno di Giuseppe I (1750-77). L'autorità centrale fu ulteriormente rafforzata a svantaggio dei donatários e la colonia, che nel 1714 era già stata elevata al grado di vicereame, ebbe dal 1763 Rio de Janeiro come capitale. Quel periodo di assolutismo illuministico, che tra l'altro condusse pure al provvedimento formale di abolizione della schiavitù per gli Indios, fu però troncato dalla politica reazionaria della regina Maria I (1777-1816). In tutto il Brasile covarono sentimenti di ostilità verso Lisbona. Si ebbero in tal modo, in coincidenza con eventi analoghi in altri Paesi sudamericani, i primi moti indipendentistici. Nel 1789, in concomitanza quindi con l'inizio della Rivoluzione francese, nella provincia di Minas Gerais alcuni patrioti guidati da Cláudio da Costa e dal giovane ufficiale Joaquím José Xavier da Silva (soprannominato Tiradentes dalla sua professione di dentista) organizzarono una congiura per spingere il popolo alla rivolta; fallita la cospirazione, nel 1792 Tiradentes fu arrestato e condannato alla pena capitale. La bufera napoleonica fece precipitare gli avvenimenti. Nel 1808 l'intera corte portoghese si trasferì a Rio de Janeiro, che pertanto divenne provvisoriamente la capitale del regno. Nel 1816 Giovanni VI, salito al trono alla morte di Maria, assunse il titolo di re del Regno Unito del Portogallo e del Brasile; nel corso dello stesso anno fu occupato il territorio spagnolo della Banda Oriental (l'odierno Uruguay) che diventò Provincia Cisplatina del Brasile. Nel 1821, quando Giovanni VI, dovendo rientrare a Lisbona, lasciò a Rio il figlio Dom Pedro come reggente, la situazione venne interpretata in Portogallo come preludio all'indipendenza del Brasile; parlamento e governo ingiunsero perciò più volte a Dom Pedro di rimpatriare, mentre i Brasiliani, a loro volta, lo convinsero a trattenersi e a difendere la propria posizione. Una nuova ingiunzione di tornare in patria fu ricevuta da Dom Pedro mentre stava ispezionando le truppe sulle rive del fiume Ypiranga, alle porte di São Paulo; in quell'occasione egli si rivolse ai soldati e lanciò il grido: “Indipendenza o morte!”. Era il 7 settembre 1822. Il 1º dicembre successivo, in una Rio de Janeiro esultante e adornata dei nuovi colori nazionali, il verde e il giallo, il figlio di Giovanni VI fu incoronato imperatore del Brasile e prese il nome di Pietro I e due anni dopo diede al Paese la sua prima Costituzione, di stampo autoritario .

Storia: dall'abdicazione di Pietro I alla nascita della Repubblica

Nel 1826, alla morte di Giovanni VI, sorsero nuove complicazioni; non volendo rinunciare alla corona brasiliana, Pietro I nominò regina del Portogallo la propria figlia Maria, mentre in America un nuovo conflitto con l'Argentina per il possesso della Banda Oriental si protrasse fino al 1828 e si concluse con l'indipendenza dell'Uruguay. Nel 1831, attirato dalle lotte dinastiche apertesi in Portogallo, Pietro I abdicò in favore del figlioletto Pedro d'Alcântara e rientrò in patria. Il consiglio di reggenza affiancato al piccolo sovrano governò fino al 1840, quando il nuovo imperatore cominciò a regnare come Pietro II. Fu un regno lungo, caratterizzato da tre fasi: la prima, dal 1840 al 1850, riguardò essenzialmente la pacificazione interna; nella seconda, dal 1850 al 1870, dovettero essere affrontati conflitti con potenze straniere; la terza, dal 1870 al 1889, vide l'affermarsi delle correnti antischiaviste e repubblicane, sino al crollo della monarchia. La pacificazione impegnò l'esercito nello spegnimento di varie rivolte, quali quelle di Maranhão (1841), São Paulo e Minas Gerais (1842), Rio Grande do Sul (1845), Pernambuco (1849). Sul piano internazionale, il Brasile aiutò, intorno al 1850, i liberali uruguayani contro il dittatore argentino Rosas e soprattutto, dal 1865 al 1870, combatté al fianco dell'Uruguay e dell'Argentina (la “Triplice Alleanza”) contro il Paraguay di Francisco Solano López. Questa guerra accrebbe l'estensione territoriale del Paese e permise al Brasile di affermarsi come la maggiore potenza militare dell'America Meridionale. Nel frattempo, all'interno, si erano prodotti cambiamenti economici. Dopo il 1850 le province meridionali, specie São Paulo, avevano dato molto impulso alla coltivazione del caffè, per soddisfare una domanda in continuo aumento. Era sorta una nuova schiera di proprietari terrieri e commercianti all'ingrosso, in forte antagonismo con i piantatori di zucchero e di cotone del Nord. La loro attività aveva stimolato a sua volta la formazione di ceti imprenditoriali più dinamici, così da fare del sud il nuovo polo propulsivo del Paese. Tutto ciò ebbe conseguenze di natura politica: la crescita in corso attirò, infatti, una vasta immigrazione europea, con l'immissione di idee e principi di ammodernamento. Per di più, mentre l'economia del Nord deperiva perché continuava a basarsi sullo schiavismo, nelle zone centro-meridionali le nuove esigenze operative favorivano una marcata mobilità della forza-lavoro. Venne così a determinarsi un contrasto che sfociò nella richiesta, da parte dei progressisti, di abolizione della schiavitù. L'imperatore non comprese il significato di quei fermenti e si schierò, per istintivo conservatorismo, con la parte perdente dei piantatori settentrionali. La contrapposizione si radicalizzò: nel 1871 si costituì a São Paulo un partito repubblicano, guidato da Joaquím e da José Nabuco de Araujo. Nello stesso anno, approfittando di una momentanea assenza del sovrano, i liberali indussero la reggente, principessa Isabella, a firmare una legge (nota con il nome del suo promotore, visconte di Rio Branco), che concesse la libertà a tutti i nati da schiavi di origine africana (fu anche detta, per questa ragione, “legge del ventre libero”). Poco dopo scoppiarono agitazioni popolari e rivolte di schiavi. La situazione si aggravò dopo il 1880. Nel 1888 Isabella, ancora reggente per un'altra assenza di Pietro II, firmò una seconda legge, che dava la libertà a tutti gli schiavi. Ormai, però, l'istituzione monarchica era condannata: il 15 novembre 1889 il maresciallo Manuel Deodoro da Fonseca, comandante dell'esercito, presentò all'imperatore un ultimatum per l'abdicazione; Pietro II non oppose resistenza e il Brasile si trasformò in repubblica. Primo presidente provvisorio fu lo stesso Fonseca, il quale, nel 1891, promulgò la nuova Costituzione: il Paese assunse il nome di Stati Uniti del Brasile, con un potere confederale insediato a Rio de Janeiro e governi locali in ogni Stato. Gli anni d'avvio del regime repubblicano furono molto agitati. Fonseca fu costretto a dimettersi nel novembre 1891; gli succedette Florián Peixoto (1891-94), che con pugno di ferro riuscì a domare varie insurrezioni. Seguirono Prudente José de Moraes Barros (1894-98), Manuel Campos Salles (1898-1902), Francisco de Paula Rodrigues Alves (1902-06), Alfonso Augusto Penna Moreira (1906-09), Milo Peçanha (1909-10), Hermes Rodriguez de Fonseca (1910-14). Durante questo periodo il Brasile si assestò nelle sue attuali frontiere, mediante l'acquisto, diplomaticamente negoziato dal ministro degli Esteri visconte di Rio Branco, di ampie zone territoriali alle frontiere con l'Argentina, il Paraguay, la Bolivia e la Guayana britannica. All'interno, però, la vita politica restava sempre dominata dalla lotta delle fazioni, guidate nei singoli Stati dagli oligarchi locali. Più in generale, le leve di comando erano passate nelle mani dei gruppi dirigenti di São Paulo e Minas Gerais, i protagonisti cioè dello sviluppo della repubblica; la stessa scelta del presidente si risolveva ormai nell'alternanza di uomini dei due Stati.

Storia: dalla crisi del 1929 al governo dei militari

Nel 1914 fu eletto Wenceslau Braz Pereira Gomes, del Minas Gerais, al quale spettò il compito di dichiarare guerra agli Imperi Centrali, nel 1917. In quegli anni il Brasile si arricchì, per aver fornito agli alleati enormi quantità di materie prime; ma, con la fine del conflitto, attenuatosi l'ingresso di valuta pregiata, diminuì la prosperità. Cominciò una catena di agitazioni, a stento represse dai presidenti Epitacio da Silva Pessôa (1919-22), Arthur Bernardes da Silva (1922-26) e Washington Luiz Pereira de Souza (1926-30). Il crollo di Wall Street e la crisi mondiale del 1929 – data la struttura ancora coloniale dell'economia brasiliana – fecero giungere il Paese sull'orlo del precipizio. Getulio Vargas, governatore del Rio Grande do Sul, si presentò alle elezioni del 1930 in opposizione a Julio Prestes, amico di W. Luiz Pereira e come lui rappresentante dei produttori di caffè di São Paulo. I risultati della consultazione comunicati dal governo attribuirono con oltre un milione di voti la vittoria a Prestes. I circoli legati a Vargas accusarono l'autorità di brogli e invocarono l'annullamento delle elezioni. Nel mese di ottobre, Vargas marciò su Rio e con l'aiuto delle forze armate costrinse Washington Luiz Pereira a dimettersi. Fu così proclamato presidente del Brasile. Il suo successo significava che una nuova epoca era cominciata: così come nella seconda metà del sec. XIX il caffè aveva battuto il cotone e lo zucchero, determinando la caduta dell'impero, ora il ceto medio e giovani categorie di imprenditori industriali, formatisi fra il boom del conflitto mondiale e la crisi del 1929, premevano per un rinnovamento nazionale e avevano trovato in Vargas il loro leader. Imposta con la forza, la presidenza di Vargas non poteva essere che una dittatura. E tale fu per quindici anni, mascherata dietro il paravento di presunte garanzie costituzionali. Nel 1932 egli dovette reprimere una rivolta a São Paulo; più tardi diede ai Brasiliani due Costituzioni: una, nel 1934, di stampo democratico, l'altra, nel 1937, chiaramente autoritaria e corporativa. Complessivamente però Vargas esercitò una funzione positiva, perché impostò il problema dello sviluppo, soprattutto come lotta ai centri di potere dei singoli Stati, per affermare la priorità del governo confederale. Vargas fu pure il promotore di due grandi partiti nazionali, il Partido Trabalhista Brasileiro (PTB, Partito Laburista Brasiliano) e il Partido Social Democrático (PSD, Partito Sociale Democratico). Aiutò l'industrializzazione e sostenne la partecipazione statale all'attività economica. Nel novembre 1942 dichiarò guerra all'Asse e inviò in Europa un corpo di spedizione che combatté in Italia contro i Tedeschi. Terminata la seconda guerra mondiale, Vargas si trovò di fronte tutta l'opposizione, che reclamava anche per il Brasile un sistema politico fondato sulla libertà. Il presidente, su esplicito invito dell'esercito, si vide costretto a dimettersi (29 ottobre 1945). Le successive elezioni condussero alla presidenza il generale Eurico Gaspar Dutra, già ministro della Guerra di Vargas. Nel settembre 1946 fu promulgata una Costituzione liberale, ispirata alla prima repubblicana del 1891. Il Paese sembrò potersi incamminare sul sentiero della democrazia, ma né Dutra né le forze che lo appoggiavano seppero interpretare quelle esigenze di ammodernamento che invece Vargas aveva captato. Perciò, nel 1950, il voto popolare riportò al potere l'ex dittatore, che riprese la sua politica di sviluppo. Nuovamente entrò in conflitto con gli oligarchi, ma continuò nella sua azione riformatrice. Fra l'altro, nel 1953, creò la Petrobrás, ossia l'ente di Stato per lo sfruttamento e la distribuzione del petrolio. Questo indirizzo governativo, per i costi che comportava, accelerò la spirale inflazionistica. Ne trassero profitto i conservatori per attaccare duramente Vargas. Nel 1954 la tensione salì al massimo. In agosto, ancora una volta, i militari intervennero e chiesero al presidente di abbandonare l'incarico. Vargas respinse l'ultimatum e il 24 dello stesso mese, anziché cedere, preferì uccidersi. Il suicidio di Vargas sembrò gettare il Paese nella guerra civile; le elezioni, già fissate per l'ottobre del 1955, portarono alla presidenza della Repubblica il candidato socialdemocratico Juscelino Kubitschek; vicepresidente fu il delfino di Vargas e leader del PTB João Goulart. La nuova amministrazione, entrata in carica nel 1956, proseguì la politica del predecessore contro l'arretratezza, ma con maggiore condiscendenza verso gli investimenti stranieri. Ne derivarono cospicue spese pubbliche, che fecero accelerare l'inflazione. Il 21 aprile 1960, inoltre, Kubitschek inaugurò la nuova capitale Brasília, costruita ex novo nello Stato di Goiás. L'opposizione, di destra e di sinistra, ebbe facile gioco nell'accusare il governo di incapacità; nessuno si sorprese quando le elezioni dell'ottobre 1960 furono vinte largamente dal governatore di São Paulo, Jânio Quadros, presentatosi con un programma moralistico e risanatore. Goulart venne comunque confermato vicepresidente. Anche Quadros, però, rimase prigioniero degli ingranaggi inflazionistici e non seppe proporre una politica coerente di riassestamento. Il 25 agosto 1961 Quadros si dimise. Ancora una volta il Brasile parve sull'orlo della guerra civile; i gruppi della destra e buona parte dei militari si opponevano infatti alla successione di Goulart, prevista dalla Carta costituzionale. Si dovette giungere a un compromesso: il 2 settembre il Congresso modificò la Costituzione, abolì il sistema della Repubblica presidenziale e lo sostituì con quello della Repubblica parlamentare. In tal modo, privato dei suoi poteri effettivi, Goulart poté assumere la carica che gli spettava (7 settembre). Superata la crisi istituzionale, la tensione momentaneamente si allentò. Nel gennaio 1963 con un referendum il popolo approvò a larga maggioranza il ripristino del sistema presidenziale. Il capo dello Stato riprese dunque la direzione del governo e tentò di attuare una politica di riforme, a cominciare da quella agraria, ma la strada gli fu sbarrata dalla reazione conservatrice; il 31 marzo 1964 i governatori di alcuni Stati si sollevarono, chiedendo l'intervento dell'esercito. Goulart fu deposto e dovette rifugiarsi in Uruguay. La presidenza della Repubblica fu affidata al maresciallo Humberto Castelo Branco. Nel mese di ottobre dello stesso anno un “Atto istituzionale” provvide a sciogliere tutti i partiti; al loro posto ne furono creati due di regime, uno per l'appoggio al governo, Aliança Renovadora Nacional (ARENA, Alleanza Rinnovatrice Nazionale), l'altro, formalmente, per l'opposizione, Movimento Democrático Brasileiro (MDB, Movimento Democratico Brasiliano). Sulla base del voto di queste due organizzazioni, il 3 ottobre 1966 il Congresso designò capo dello Stato il generale Arthur da Costa e Silva, che entrò in carica nel marzo successivo. La vera natura dittatoriale del nuovo ordine risultò ben chiara dalla Costituzione promulgata il 17 ottobre 1969. E ancor più rigido diventò il regime quando ascese alla presidenza – dopo le dimissioni di Costa e Silva per malattia – il generale Emilio Garrastazu Medici (30 ottobre 1969).

Storia: il ritorno alla democrazia

Le due successive presidenze di Ernesto Geisel (1974-79) e di João Baptista de Oliveira Figueiredo (1979-84) segnarono il graduale e inevitabile trapasso dalla dittatura alla democrazia. Il fenomeno, con le sue contraddizioni, divenne particolarmente evidente durante il mandato di Figueiredo, che attuò una serie di misure intese a liberalizzare la vita politica del Paese. Cruciali in questo senso furono le elezioni legislative e amministrative del 1982. Il Partido Democrático Social (PDS, Partito Democratico Sociale), il braccio politico dei militari, vinse di misura, ma il Partido do Movimento Democrático Brasileiro (PMDB, Partito del Movimento Democratico Brasiliano), che rappresentava l'opposizione moderata, conquistò le maggiori città del Brasile. Nel 1985, scaduto il mandato di Figueiredo, la presidenza della Repubblica passò nelle mani di Tancredo Neves, avvocato e uomo dell'opposizione, candidato del PMDB: dopo 21 anni si chiudeva il capitolo della dittatura militare. Neves tuttavia morì un mese dopo l'elezione; gli succedette il vicepresidente José Sarney, che si impegnò subito nell'arduo compito del consolidamento della democrazia e dell'attuazione di un vasto programma riformistico, a suo tempo annunciato dal defunto presidente. Nella seconda metà degli anni Ottanta temi principali della vita politica erano quindi stati quelli concernenti la struttura statale (durata del mandato presidenziale e tipo di repubblica) da far esprimere alla redigenda nuova Costituzione (promulgata nell'ottobre 1988), il risanamento dell'economia (e in particolare la riduzione dell'iperinflazione e dell'indebitamento) e la questione ambientale, connessa all'indiscriminato sfruttamento dell'Amazzonia e posta all'attenzione mondiale dall'omicidio dell'ecologista Chico Mendez (dicembre 1988). I piani di austerità erano falliti, trovando grande opposizione sociale, mentre lo Stato doveva sospendere e quindi rinegoziare la restituzione dei forti debiti contratti (passati in un decennio da 64 a 107 miliardi di dollari). In tale perdurante stato di crisi il conservatore Fernando Collor de Mello, del Partito della Ricostruzione Nazionale (contestualmente creatosi), nelle elezioni del 1989 riusciva a ottenere la presidenza della Repubblica (marzo 1990), avviando quindi una rigida politica economica. Nel 1992, tuttavia, travolto dagli scandali, era costretto a rimettere il mandato nelle mani del vicepresidente Itamar Franco. Nell'ottobre 1994 veniva eletto presidente Fernando Henrique Cardoso che, malgrado il programma di stabilizzazione economica per promuovere lo sviluppo e ridurre sia il costo del lavoro sia i tassi d'interesse, perdeva rapidamente buona parte del credito politico di cui godeva, facendo ripiombare il Paese in un'ennesima crisi. Nonostante l'incertezza economica in cui aveva trascinato il Paese, nel giugno 1997 Fernando Henrique Cardóso riusciva a far approvare al Congresso, in via definitiva, una modifica alla Costituzione, che rendeva rinnovabile il mandato presidenziale per un secondo termine. Questo gli consentiva di ricandidarsi alle elezioni dell'ottobre 1998, dove veniva riconfermato. Il governo proseguiva il cammino delle riforme economiche dovendo però affrontare due problemi: la protesta legata ai militanti del Movimento dei senza terra (MST), che chiedevano l'accelerazione della riforma agraria; e la deforestazione amazzonica che, in occasione del 50° Anniversario dello sbarco portoghese, vedeva manifestare gli Indios contro il progetto “Avanza Brasile” approvato dal governo per il suo elevato impatto sull'ambiente e sulle popolazioni dell'Amazzonia, già gravemente emarginate e discriminate. Le elezioni amministrative dell'ottobre del 2000 vedevano l'affermazione del Partito dei lavoratori (PT) all'opposizione. Il sorprendente risultato del voto amministrativo anticipava quello, ben più rilevante, verificatosi alle presidenziali dell'ottobre 2002, che vedevano l'affermazione proprio dell'esponente del PT, Luiz Inácio "Lula" da Silva, eletto al ballottaggio con ampio margine sul suo rivale, il socialdemocratico José Serra. Già nei primi mesi di governo il neopresidente affrontava problemi scottanti apportando novità rivoluzionarie quali lo spostamento di finanziamenti dagli armamenti ai ministeri degli affari sociali, inaugurando il progetto detto “fame zero” e firmando lo storico decreto che consente agli abitanti delle favelas di diventare proprietari del terreno sul quale sorgono le baracche in cui risiedono. Nonostante la protesta degli strati più poveri della popolazione di fronte alla manovra economica del 2003, il governo riusciva a far approvare una riforma delle pensioni che eliminava sprechi e allargava la platea di soggetti interessati. All'inizio del 2004 entrava nel governo il PMDB (Partito del Movimento Democratico Brasiliano), partito di centro che era stato determinante nell'approvazione in Parlamento della riforma tributaria e di quella riguardante le pensioni. Nel giugno 2005 il primo ministro José Dirceu de Oliveira si dimetteva in quanto coinvolto in uno scandalo di tangenti. Al suo posto veniva nominata Dilma Roussef, ex ministro dell'energia. Nel novembre 2006 si svolgevano le elezioni presidenziali che venivano nuovamente vinte da Lula al secondo turno, dopo essere riuscito a riconquistare il ceto medio, provato dagli scandali, e con l'appoggio determinante dei ceti più poveri beneficiati dal suo programma "fame zero". Nell'ottobre del 2010 si svolgevano le elezioni presidenziali, vinte dalla Roussef con il 56% delle preferenze. Primo presidente donna del Paese, la neo-eletta sconfiggeva al secondo turno il socialdemocratico Josè Serra. Nono stante alcuni successi economici e di sviluppo sociale, il governo perdeva l'appoggio di una parte della popolazione, soprattutto in vista delle grandi manifestazioni internazionali (Coppa del Mondo di calcio del 2014 e Olimpiadi del 2016). Nell'estate del 2013, l'aumento dei prezzi dei trasporti pubblici, scatenava una serie di manifestazioni di massa che deniunciavano la speculazione e la corruzione sulle grandi infrastrutture dei Mondiali di calcio. Nell'ottobre del 2014 si svolgevano le elezioni presidenziali, vinte dalla presidente uscente Roussef, che sconfiggeva il candidato conservatore Aécio Neves. Nel 2015 hanno avuto luogo numerose proteste di piazza contro la presidente Roussef, causate soprattutto della difficile congiuntura economica. Nello stesso anno Roussef è stata coinvolta in uno scandalo di corruzione legato al colosso petrolifero Petrobas ed ha preso avvio una procedure di impeachment per la presunta violazione della legge sulla responsabilità fiscale, che si è conclusa con la sua destituzione, avvenuta nel 2017. Alle presidenza del Paese subentrava M. Temer, anch'egli accusato di corruzione a distanza di pochi mesi dall'assunzione dell'incarico. Alle elezione dell'ottobre 2018 è stato eletto il candidato di estrema destra Jaime Bolsonaro. La popolarità del Presidente J. Bolsonaro ha subito un progressivo calo nel corso del 2019-20 a causa dell’incapacità di far fronte alla crisi economica e al rifiuto di prendere misure decise contro la pandemia di COVID-19, che ha colpito duramente il paese (oltre 5 milioni di casi e 150 000 decessi a inizio ottobre 2020). A ciò si aggiungono le inchieste che hanno coinvolto membri della famiglia del Presidente e le sue reiterate affermazioni di disprezzo verso l’ordine democratico.

Cultura: generalità

Lo scenario artistico, culturale e folcloristico di questo immenso Paese è fra i più vivaci e sfaccettati al mondo. Come tutti gli stereotipi, anche quelli legati al Brasile corrispondono in buona parte alla realtà e descrivono un popolo che ama il divertimento, la convivialità, la musica, la festa e che, nonostante le immense difficoltà attraversate, è capace di uno stile di vita in cui lo spazio riservato al lato più piacevole dell'esistenza è sempre il più importante. Le tradizioni principali alla base della realtà brasiliana sono tre e si differenziano dal resto del continente per la presenza della componente portoghese (e non di quella spagnola, qui decisamente più contenuta), amalgamatasi con quella india e africana (giunta nel Paese a seguito della tratta degli schiavi). I successivi apporti europei e asiatici hanno poi contribuito a dare ulteriore ecletticità al mosaico etnico e culturale del Brasile. All'interno del panorama brasiliano, la letteratura occupa un posto di primissimo piano e in ogni fase, dalla lirica cinquecentesca degli inizi, all'epoca del dominio delle influenze europee, al modernismo, alle avanguardie, ha saputo esprimere personalità di caratura eccezionale, come Joaquím Maria Machado de Assis e Jorge Amado, riuscendo sempre a cogliere, attraverso le parole dei suoi cantori, le molteplici e contraddittorie anime di un Paese tanto vasto e multiforme: la proverbiale allegria, come le vicende più tristi della storia nazionale. Parallela a quella letteraria è la riflessione che può essere fatta a proposito della musica, vero “accompagnamento” della vita in Brasile, anch'essa declinata in ritmi e sonorità frutto di incroci intercontinentali e “madre” di artisti entrati nell'olimpo della musica mondiale, come A. C. Jobim e Gilberto Gil. Celebre è anche l'opera di diversi architetti brasiliani (su tutti Oscar Niemeyer), protagonisti in patria e nelle maggiori città del mondo di un linguaggio al tempo stesso innovativo e universale. Ma molti altri sono gli ambiti in cui il Brasile ha saputo raggiungere vertici assoluti: tra questi, la fotografia (uno dei maestri del XX secolo è Sebastião Salgado, n. 1944), e lo sport, in particolar modo il calcio, oggetto di una passione senza freni. Ed è il Brasile che ha dato a questo sport il miglior giocatore di tutti i tempi: Edson Arantes do Nascimento, il celebre Pelé. Per quanto riguarda la lista dei 12 siti culturali del Brasile che l'UNESCO protegge quale patrimonio dell'umanità si annoverano la Città storica di Ouro Preto (inserito nel 1980), il Centro storico di Olinda (1982), le Missioni gesuite dei guaraní (1983, 1984; sito in comune con l'Argentina), Salvador de Bahia (1985), il Santuario del Buon Gesù a Congonhas (1985), Brasília (1987), il Parco Nazionale della Sierra di Capivara (1991), il Centro storico di São Luís (1997), il Centro storico della città di Diamantina (1999), il Centro storico di Goiás (2001), la piazza São Francisco a São Cristóvão (2010) e i paesaggi Carioca a Rio de Janeiro (2012).

Cultura: tradizioni

Nelle multiformi espressioni e usanze del Brasile, è possibile, in molti casi, riconoscere il diverso peso specifico di ognuna delle componenti (quelle india, nera e portoghese) che ne costituiscono il substrato fondamentale. Oltre che nelle danze popolari, per quanto riguarda il folclore in senso stretto, le derivazioni di origine africana sono rintracciabili principalmente in certa tradizione orale (racconti, leggende, fiabe), in numerosi piatti e dolci e in alcuni particolari elementi legati alle celebrazioni carnevalesche (originariamente collegate alle feste natalizie). Per contro, degli elementi folcloristici lusitani vanno messi in risalto innanzitutto gli apporti della cultura portoghese medievale: medicina popolare, riti funebri, ruoli familiari, come quelli dei padrini. L'elemento cattolico è presente in alcune forme di religiosità (intrise di superstizione e tabù) e in tutto il ciclo di feste della tradizione cattolica, diversificata in una serie di repertori locali; tuttavia esistono feste a carattere nazionale che si concretano in scenografie sontuose e spettacolari: il ciclo delle feste di Natale, quello delle feste di Capodanno e il ciclo del Divino (Spirito Santo), corrispondente alla Pentecoste europea. Il vivace gusto della festa, tipico del popolo brasiliano, si traduce anche negli aspetti folcloristici del tifo sportivo, fortissimo per il futebol (prima delle partite vengono spesso organizzati ritualismi magici). La passione con cui i brasiliani seguono il calcio è assolutamente unica, come testimonia un episodio emblematico: nella finale dei mondiali del 1950, che il Brasile ospitò, la nazionale di casa fu sconfitta a Rio de Janeiro dall'Uruguay; l'attesa e le speranze di un'intera nazione andarono in fumo, furono proclamati tre giorni di lutto nazionale, diverse persone allo stadio furono colte da infarto e altre decine che avevano scommesso buona parte dei propri averi su una partita ritenuta una formalità si tolsero la vita. L'evento che, tuttavia, meglio sintetizza ed esalta lo spirito tipico del folclore brasiliano è il carnevale. Le danze, i cortei e i festeggiamenti durano per alcuni giorni senza soluzione di continuità, ma la preparazione delle coreografie nelle scuole di samba, dei costumi, delle sfilate e dei carri arriva a impegnare molti mesi all'anno; il più noto e sfrenato (anche se forse, oggi, il meno autentico) è certamente quello di Rio de Janeiro, che si conclude con la sfida tra le scuole nel Sambodromo progettato da O. Niemeyer. Accanto al folclore generale, vanno poi ricordati usi e costumi particolari, connessi a specifiche condizioni di lavoro (esiste un folclore della pampa, imperniato sulla figura del gaucho) o a gruppi etnici immigrati (italiani, tedeschi, giapponesi). Assai ricche sono le forme di artigianato, specie quelle indie e quelle di origine africana (vasellame, canestri, amuleti, tessuti). La cucina è semplice e saporita, in gran parte derivata da altri Paesi; tra i piatti più diffusi ci sono il feijão e arroz (riso e fagioli), e la più ricca feijoada, che ai fagioli neri associa diversi tipi di carne, verdure o altro. Pure diffuso è il churrasco, a base di carni arrostite di varia qualità. Particolarmente accurata è la cucina di Salvador, specializzata nel pesce (vatapá, moqueca de peixe) e prevalentemente di origine africana. Molto diffusa nelle fazendas è la sobremeza, insieme di formaggi (spesso mangiati con marmellate di ottima qualità). Le bevande più consumate sono: la cerveja (birra) e varie spremute fermentate e leggermente alcoliche; molto consumati, in qualsiasi ora, il caffè e il cha mate (tè brasiliano), bevanda tipica dei gauchos: essi la bevono da un recipiente comune (cuia), sorbendola con un cannello d'argento (bombilha).

Cultura: lingua

Fin dagli inizi della colonizzazione, il portoghese, lingua ufficiale, subì l'influsso del tupi-guaraní, lingua popolare nata dall'incontro fra i missionari gesuiti e i bambini indigeni (columin). I successivi e copiosi apporti africani e, dal sec. XIX in poi, italiani, tedeschi, giapponesi ecc., senza distruggere la sostanziale "portoghesità" del brasiliano, ne addolcirono ancor più la prosodia (perdita della s e della r) e ne arricchirono largamente il lessico, mentre la differenza fra linguaggio parlato e lingua scritta, enorme nei secoli coloniali, andò attenuandosi, fino quasi a scomparire. Fra il 1931 e il 1945, accordi fra le accademie portoghese e brasiliana hanno portato all'unificazione ortografica; ma l'unificazione totale, benché auspicata da varie parti, è molto difficile, data la varietà del mosaico etnico (e la stessa estensione) del Brasile.

Cultura: letteratura. Dalle origini al XIX secolo

Dall'incontro di tre sentimenti fondamentali, tutti di natura religiosa, sembra scaturire il primo movente espressivo della letteratura brasiliana: il senso amerindio del sacro e del simbolo, quello africano dell'Eros e della natura, quello portoghese del destino individuale e cosmico. Linguisticamente, tale letteratura ha sostenuto per secoli un duro sforzo per adeguarsi alle regole e ai modelli classici lusitani; ma la terminologia tupi-guaraní riguardante la natura vi è entrata massicciamente, così come con il tempo è venuto crescendo l'influsso ritmico africano. Alle origini della letteratura brasiliana stanno le poesie del missionario José de Anchieta (sec. XVI), le satire di Gregório de Matos Guerra (sec. XVII) e i testi di vari cronisti. Nel sec. XVIII, specie nel Minas Gerais, si diffuse l'Arcadia, con poeti lirici ed epici di grande interesse stilistico, quali Basílio da Gama, Cláudio Manuel da Costa, Santa Rita Durão, Alvarenga Peixoto, Silva Alvarenga; su tutti si leva, per novità di temi e intimità dell'accento evocativo e patetico, Tomás Antônio Gonzaga, in Arcadia detto Dirceu. Il movimento arcadico si può dire concluso con la Viola de Lereno di Domingos Caldas Barbosa (1740-1800), poeta meticcio di raffinata cultura neolatina. L'influsso europeo divenne ancor più vasto e determinante dopo il 1808, data del trasferimento in Brasile della famiglia reale portoghese. Nel sec. XIX dominante fu l'influsso dei movimenti europei, a cominciare dal romanticismo. I primi romantici brasiliani furono Domingos José Gonçalves de Magalhães, che aveva viaggiato a lungo per l'Italia, e A. Gonçalves Dias. Drammaturgo in prosa di evidente derivazione shakespeariana (Leonor de Mendonça, Patkull), Gonçalves Dias costruì l'epopea delle primitive popolazioni indigene in Y-Juca-Pirama (in guaraní “colui che deve morire”) e nelle liriche espresse una delicatissima nostalgia dell'innocenza, dello stato di natura, non senza leopardiani momenti di trasalimento cosmico. Nella prosa si distinse il fecondo José de Alencár, “indianista”, cioè evocatore del passato primitivo, nei romanzi storici alla maniera di Walter Scott (O Guarany), ma seguace di Balzac in quelli di argomento contemporaneo. Nella narrativa una prima reazione al colorismo sentimentale dei romantici è rappresentata da Alfredo Escragnolle de Taunay con il romanzo Inocência e con A retirada da Laguna. Tradizionalista nella poesia è invece A. Pôrto Alegre, mentre da Hugo si lascia ispirare Tobias Barreto; sentimentale è Casimiro de Abreu, byronianoÁlvares de Azevedo, spontaneo cantore della natura Fagundes Varela con le sue Vozes de América. Fra tutti i romantici il più importante è il poeta Castro Alves, ardente sostenitore dell'abolizione della schiavitù e sincero democratico, ma più nuovo e pungente nella lirica d'amore. A un ravvicinamento della prosa alla parlata quotidiana contribuirono Joaquim Manuel de Macedo con A moreninha e soprattutto Manuel Antônio de Almeida con le sue deliziose Memórias de um sargento de milícias. Il tramonto del romanticismo è segnato da Joaquím Maria Machado de Assis, il maggior spirito creativo di tutta la letteratura brasiliana, vigoroso narratore realista, stilista perfetto, commediografo e critico di grande valore. Intorno a lui cominciò a fiorire la lirica parnassiana, elegante e impersonale, con Alberto de Oliveira, Olavo Bilac e il più originale Raimundo Corrêa. Nuove inquietudini e una musicale estenuazione del verso portarono i simbolisti Alphonsus de Guimaraens, Hermes Fontes, Augusto dos Anjos e particolarmente il grande poeta nero João da Cruz e Souza. Anche il naturalismo ebbe il suo momento in Brasile, con romanzi come A carne di Júlio Ribeiro e O mulato di Aluísio Azevedo; ma i migliori narratori del tempo continuarono la tradizione ironica e moralistica di Machado de Assis: ricordiamo Raul Pompéia, autore di O Ateneu, e Alfonso Henriques de Lima Barreto, nel quale la tematica sociale acquista uno spicco imprevisto.

Cultura: letteratura. L'età contemporanea

Il Novecento, specie all'inizio, portò con sé l'esigenza di un rinnovamento linguistico e metrico al quale provvidero i rappresentanti del modernismo (fondato nel 1922 in São Paulo), primo fra tutti Mário de Andrade, autore del romanzo Macunaíma e di splendide poesie parzialmente influenzate dal futurismo italiano, nonché di decisivi saggi critici. L'affermarsi dello spirito nazionale e della lingua realmente parlata dal popolo si arricchì di un humour esplosivo nell'opera di Oswald de Andrade che, assai vicino al surrealismo, fu autore del manifesto antropofagico, lanciato dalle pagine della Revista de Antropofagia. Nel romanzo si tornò ai temi del regionalismo con l'ultimo grande maestro della letteratura neolusitana, Henrique Coelho Neto. Dal modernismo è nata la poesia più tipicamente brasiliana e famosa nel mondo, con Manuel Bandeira, Raul Bopp, Carlos Drummond de Andrade, Murilo Mendes, Augusto Frederico Schmidt, Jorge de Lima e Vinícius de Moraes, autore tra l'altro dell'Orfeu da Conceição e anche compositore. Accanto a essa si è sviluppato il romanzo neorealista del Nordeste, con Jorge Amado, tra i più letti e tradotti in tutto il mondo, José Lins do Rêgo e soprattutto con l'asciutto, verghiano, inimitabile Graciliano Ramos. Questi scrittori dominano il periodo fra le due guerre mondiali, il più fecondo delle lettere brasiliane. L'eredità del modernismo e le precedenti esperienze del regionalismo sono raccolte nel dopoguerra da una narrativa che – soprattutto con João Guimarães Rosa, Adonias Filho, Osman Lins, Clarice Lispector, Nélida Piñón – cerca nuove forme espressive e giunge a esiti di notevole rilievo. Contemporaneamente, il panorama della poesia è animato da due importanti movimenti: la “generazione del '45” (Cabral de Melo Neto, Moreira de Fonseca, ecc.) e la neoavanguardia “concretista” (Décio Pignatari, Haroldo de Campos, Augusto de Campos), la cui pratica poetica, radicalmente anti-discorsiva, ha rivoluzionato la poesia brasiliana. L'affermazione individuale di singole personalità, come gli impegnati Alfonso Romano de Sant'Anna e Ferreira Gullar, e la predilezione per forme soggettive di poesia sono le caratteristiche del panorama poetico negli anni Settanta e Ottanta, contrappunto peraltro della nascita di una nuova poesia di giovani, diffusa principalmente attraverso canali alternativi di piccole case editrici, la cui tematica spazia dal femminismo all'emarginazione, dall'ambiente cittadino all'ecologia. Anche il cammino della prosa appare, negli anni Sessanta e Settanta, frammentato in varie tendenze, più o meno volte a ricerche sperimentali e a un nuovo impegno letterario. Prosegue il filone regionalista (Herberto Sales, José Cândido de Carvalho, José Conde, Bernardo Elis), mentre il romanzo impegnato – Antônio Callado (1917-1997) con Quarup, Hermilo Borba Filho, Ariano Suassuna che rivisita in teatro come nella narrativa la tradizione cantastoriale del Nordeste – si avvia verso formule che preludono all'affermazione, negli anni Ottanta e Novanta, e specialmente nel racconto breve di taglio nordamericano, dello scenario allucinato delle metropoli (J. J. Veiga, Roberto Drummond, Ignácio de Loyola Brandão, Danton Trevisan, Ivan Angelo, Vanda Fabien). Il periodo di grande fecondità del romanzo brasiliano, iniziato dopo il ritorno alla democrazia e la fine della censura, pare prolungarsi nonostante il momento di difficoltà economiche e sociali attraversato dal Paese; le condizioni di vita e le sofferenze della popolazione durante il periodo della dittatura continuano a essere al centro di una letteratura “di testimonianza”, che è venuta ad assumere, nei primi anni Novanta, quasi un significato di catarsi, con la narrazione dettagliata dell'oppressione subita dagli individui, dalle famiglie e dall'intero Paese (come nei romanzi di Cardoso Meu pai, acabaram con ele e Giário de Berê). Accanto a essa è però fiorita anche una produzione che investe le tematiche più disparate, traducendosi in romanzi di stampo storico (Boca do inferno, di A. Miranda) o sociale (O escândalo, di A. Harringer Lisboa), in saghe dedicate agli immigrati delle diverse nazionalità (agli italiani per esempio, come in Vinho amargo di Lacava, o ai tedeschi come in Quadrilátero di Boos) oppure agli indios, ma anche in opere di fantascienza, thrillers e satire. Particolarmente fiorente il filone che si ispira alla new age, il cui massimo esponente può considerarsi Paulo Coelho (n. 1947), autore assurto a fama mondiale con L’alchimista (1988), cui hanno fatto seguito, tra gli altri, Manuale del guerriero della luce (1997), e La strega di Portobello (2007). Accanto al romanzo si è poi affermato, già a partire dagli anni a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, il genere della cronaca che, praticato in passato da alcuni dei più popolari autori brasiliani, ha conosciuto una seconda giovinezza, non soltanto perché le opere di maestri quali João do Rio, Carlos Drummond de Andrade, Rubem Braga e Raquel Queirós sono state rese nuovamente accessibili al grande pubblico dopo un lungo periodo di indisponibilità, ma anche perché esso ha attratto una vivace schiera di scrittori più giovani (tra cui Paolo Mendes Campos, Alfonso Romano de Sant'Anna, João Ubaldo Ribeiro). Del pari va menzionata l'intensa e proficua attività letteraria di Gilberto Freyre (1900-1987), sociologo che con opere come Casa Grande & Senzala ha saputo modellare precisi e stilisticamente pregevoli ritratti della società brasiliana, e Darcy Ribeiro (1922-1997), antropologo esperto del mondo indigeno e autore di Maíra (1978), proprio incentrato sul conflitto tra gli indios dell'Amazzonia e i bianchi del Brasile odierno. Continuano la loro traiettoria narratori di ampio respiro, come Jorge Amado, Zélia Gattai, Josué Montello, Autran Dourado e Rubem Fonseca (n. 1925), autore di storie profondamente intrise di violenza e realtà urbana: tra i suoi libri O caso Morel (1973), O selvagem da ópera (1994) e la raccolta di racconti Diário de um Fescenino (2003). Ad essi si aggiungono ora nuove voci come quelle di Antônio Olinto, di João Ubaldo Ribeiro, autore epico di grande incisività linguistica, di Sérgio Sant'Anna, dell'amatissimo creatore di fumetti Mauricio de Souza e del suo allievo Marcelo Cassaro (n. 1970), di Bernardo Carvalho (n. 1960), tra i più interessanti autori emersi negli anni Novanta (Onze, 1995; Mongólia, 2003; O sol se põe em São Paulo, 2007), di João Gilberto Noll (n. 1946; O cego e a Dançarina, 1980; Bandoleiros, 1985; A máquina do ser, 2006). Di buona fama godono anche il poeta, drammaturgo e cantautore Francisco Buarque de Hollanda, e i poeti Fabrício Carpi Nejar (n. 1972) e Marcia Theophilo (n. 1941).

Cultura: arte precoloniale

Nell'area della foresta amazzonica è possibile ritrovare solo oggetti di pietra lavorata o di ceramica, a causa del clima caldo e umido che non consente la conservazione degli oggetti in materiale deperibile. I ritrovamenti archeologici più importanti sono quelli di Marajó (ceramica con decorazione geometrica) e di Santarém (ceramica con decorazione naturalistica), le cui rispettive culture non sembrano essere state autoctone, ma piuttosto collegate alle civiltà delle Antille e dell'America Centrale. La cultura di “Lagoa Santa”, dell'altopiano centrale, ha dato prodotti molto rozzi, mentre nella parte meridionale del Brasile la cultura dei sambaquí (cumuli di conchiglie) ha lasciato belle sculture in pietra, al contrario della ceramica che è di modesto livello. Gli indigeni brasiliani, anche se influenzati dai canoni stilistici degli europei, hanno spesso mantenuto un tipo di arte che conserva tutti i caratteri tradizionali. È il caso dell'arte plumaria, in cui eccellono i mundurucú, e della ceramica aruaca, che si rifà sempre ai modelli antichi. Da ricordare ancora la bella ceramica dei pano, nonostante si sia modernizzata, le bambole e le maschere dei carajá, l'arte decorativa, la ceramica e la scultura in legno dei caduveo e la fine ceramica dei chiriguano.

Cultura: architettura

Nelle prime città coloniali, spesso tracciate da architetti militari (Recife, 1526; Olinda, 1531; Salvador, 1549; São Paulo, 1554; Rio de Janeiro, 1567), l'attività architettonica è strettamente legata agli ordini religiosi, soprattutto a quello dei gesuiti, i quali dalla metà del sec. XVI diffusero gli stili europei, secondo le forme portoghesi. Un'attività architettonica autonoma si sviluppò soltanto alla fine del sec. XVII. Nel 1690 la scoperta dell'oro valorizzò le zone montane, dove cominciò un'intensa attività edilizia: soprattutto nella regione di Minas Gerais vennero fondate nuove città (São João Del Rey, 1701; Mariana, 1709; Sabará, 1711; Tiradentes, 1718; Diamantina, 1730; Congonhas do Campo), talora costruite interamente secondo piani regolatori barocchi (Ouro Preto). In queste zone prevale una tendenza riccamente decorativa e pittoresca, che si manifesta nelle sculture ad altorilievo, nei frontoni concavi e convessi, nelle ampie finestre, nel cromatismo vivace delle membrature di pietra rosa e verde sul fondo bianco delle pareti; le piante sono in genere piuttosto semplici. Sulla costa (Bahia, Recife, Olinda, Belém, Rio de Janeiro) le piante hanno una maggiore complessità, mentre le forme esterne sono più disadorne. In un secondo tempo lo stile pittoresco del Minas Gerais, già chiaramente rococò, influenzò anche la costa. Il più grande architetto brasiliano del Settecento è A. F. Lisboa, detto Aleijadinho, che fu attivo a Ouro Preto, Mariana, Santa Luzia, Sabará, São João Del Rey. A Rio fu attivo l'architetto e scultore meticcio V. Fonseca e Silva (1750-1813). L'architettura del sec. XIX è caratterizzata dall'eclettismo, mentre un maggiore interesse presenta l'urbanistica: nuove città vennero fondate in relazione alle nuove fonti di ricchezza economica. Ma il Brasile acquista una posizione di primo piano a livello internazionale con l'adesione alle correnti artistiche moderne. L'iniziatore dell'architettura brasiliana moderna è Lucio Costa che, nel 1936, con un gruppo di architetti razionalisti (tra cui O. Niemeyer e A. E. Reidy) progetta il Ministero dell'educazione e della sanità di Rio de Janeiro e chiama in Brasile Le Corbusier per la supervisione. Di A. E. Reidy si ricordano, a Rio, il complesso Pedregulho (1947-55) e importanti opere pubbliche, come il Teatro Nazionale (1951) e il Museo di arte moderna (1954-67, in collaborazione con R. Burle Marx). Ma il maggiore architetto brasiliano è probabilmente O. Niemeyer, che offre una variante personalissima del razionalismo di Le Corbusier e che è autore di edifici pubblici e di quartieri residenziali a Rio de Janeiro, Ouro Preto, Belo Horizonte (complesso di Pampulha, 1943), São Paulo (unità d'abitazione Copan, 1951), Diamantina. Il rinnovamento architettonico brasiliano trova il suo culmine nell'esperimento urbanistico di Brasília, realizzata a partire dal 1956, la cui planimetria è di Lucio Costa, mentre i più importanti edifici sono stati realizzati da Niemeyer.

Cultura: pittura

In pittura la più notevole personalità del barocco fu il benedettino fiammingo Ricardo do Pilar (m. 1700) che lasciò molte opere nel suo convento di São Bento a Rio de Janeiro. Una corrente ritrattistica e paesaggistica trasse origine probabilmente dall'occupazione olandese del Brasile (il principe Maurizio di Nassau, in Brasile nel 1637-44, portò con sé i pittori F. Post e A. van den Eckout). Ma anche la pittura, come le altre forme artistiche, ebbe un'autentica fioritura soltanto nel Settecento, soprattutto nella decorazione delle chiese. A Rio i maggiori pittori furono J. de Oliveira, C. de Costa Coelho, J. de Souzo, M. da Cunha, L. Joaquim e M. Dias de Oliveira (quest'ultimo allievo di P. Batoni e già neoclassico). Nella regione di Bahia J. J. de Rocha fondò una notevole scuola prospettica (chiesa della Concezione de Praia, Salvador, 1778). Altri pittori attivi in Brasile furono il portoghese J. Soares de Aranjo a Diamantina e M. da Costa Ataíde a Ouro Prêto (volte della chiesa francescana). Nel 1816 una commissione artistica francese, chiamata in Brasile da Giovanni VI, diffuse l'accademismo neoclassico in scultura e le tendenze romantiche in pittura. Scultori e pittori brasiliani contemporanei si sono inseriti con grande vitalità nelle correnti artistiche moderne: particolarmente São Paulo, vivo centro di rapporti con le avanguardie europee sin dagli anni Venti, soprattutto dopo la fondazione (1951) della Biennale d'Arte, è divenuta il più importante punto d'incontro tra gli artisti brasiliani e i movimenti artistici internazionali. A metà del XX secolo sorsero anche il Museo d'arte moderna, il Museo d'arte Assis Chateaubriand nella stessa São Paulo e il Museo d'arte moderna di Rio de Janeiro, che diedero ulteriore impulso allo sviluppo delle arti figurative. Nella pittura del Novecento i nomi più rappresentativi sono quelli di Emiliano Di Cavalcanti (1897-1976), Candido Portinari (1903-1962), precursore di uno stile basato sulla fusione tra soggetti e paesaggi del Brasile rurale e popolare con le forme dell'astrattismo europeo, Ivan Serpa (1923-1973); da menzionare le incisioni di Carlos Oswald (1882-1971), Lívio Abramo (1903-1992), Lasar Segall (1891-1957) e le sculture di Franz Weissmann (1911-2005), Iole de Freitas (1945), Rubem Valentim (1922-1991). Fra gli artisti contemporanei si segnalano Cildo Meireles (n. 1948), Tunga (n. 1952), Cybèle Varela (n. 1943), autrice di quadri, fotografie, video, installazioni, Amélia Toledo, Regina Siveira, Antonio Dias (n. 1944), Anna Bella Geiger.

Cultura: musica

La storia della musica colta in Brasile iniziò soltanto nella seconda metà del sec. XVIII, quando nella ricca regione del Minas Gerais, dov'erano sorte a opera dei colonizzatori portoghesi città e chiese, si provvide a soddisfare l'esigenza di musica sacra per le feste e celebrazioni religiose. I musicisti, sovente mulatti, vennero reclutati tra la popolazione locale e la loro musica fu strettamente legata alla tradizione della musica sacra europea contemporanea. Al gruppo di questi primi compositori appartengono J. J. E. Lobo de Mesquita, M. C. Netto, F. G. de Rocha. Nello stesso periodo i gesuiti fondarono a Santa Cruz un vero e proprio conservatorio e le diverse attività musicali culminarono nell'opera del padre J. M. Nunes Garcia (1767-1830), autore di musica sacra con influenze da Haydn e Mozart. Va ricordato anche F. Manoel da Silva (1795-1865), che fondò il Conservatorio di Rio de Janeiro e che scrisse, oltre a molta musica sacra, l'inno nazionale brasiliano. Nel corso del sec. XIX si venne affermando anche l'interesse per il teatro musicale. L'operista di maggior successo fu C. A. Gomes (1836-1896), le cui opere, applaudite anche alla Scala (O Guarany, 1870), si inserirono completamente nella tradizione italiana. Nella seconda metà del secolo si affermarono anche compositori di musica strumentale e nacque l'esigenza di una musica “nazionale”, legata al folclore (la tradizione popolare brasiliana è caratterizzata da una prevalente presenza di elementi africani, mutuati anche da Cuba, cui si uniscono componenti ispano-portoghesi e, in modo esiguo, amerinde). Da queste esperienze si svilupparono in forma compiuta stili e tipologie che hanno caratterizzato e contraddistinto il Brasile in maniera forte e che sono confluiti nella più ampia definizione di musica popolare brasiliana, di cui gli esempi più famosi sono il samba e la bossa nova. L. Miguez (1850-1902), A. Levy (1864-1892), A. Nepomuceno (1864-1920), F. Braga sono le figure più significative prima di H. Villa-Lobos, nella cui vasta produzione più compiutamente si realizza la sintesi tra la tradizione musicale europea e quella nazionale. Fra i compositori del Novecento ricordiamo ancora O. L. Fernandez, F. Mignone, C. Guarnieri. Tra gli autori di musica popolare vanno invece menzionati E. Nazareth (1863-1934), creatore del tango brasiliano, Milton Nascimento (n. 1942), Gilberto Gil (n. 1942), che nel 2003 è stato chiamato dal presidente Lula alla carica di ministro della cultura, Caetano Veloso (n. 1942), A. C. Jobim (1927-1994), João Gilberto (n. 1931). Le più recenti generazioni si volgono invece alle esperienze dell'avanguardia europea, rintracciabili nelle partiture di C. Santoro e O. Lacerda.

Cultura: teatro

Le origini del teatro brasiliano vanno ricercate nell'opera di catechesi dei gesuiti e specialmente negli autos di padre José de Anchieta, cui fecero seguito, nell'età barocca, le rappresentazioni (prevalentemente all'interno dei conventi) dei frati francescani. Nel sec. XVIII cominciarono a esibirsi con frequenza compagnie liriche e drammatiche italiane e francesi; i primi spettacoli con attori locali furono invece realizzati dal padre Ventura, bizzarro tipo di impresario e regista, con la sua Casa da Ópera. Con l'arrivo della corte portoghese (1808) Rio de Janeiro divenne un centro di ricca produzione teatrale; fu fondato il Conservatorio Drammatico per preparare interpreti nazionali ed esercitare anche funzioni di censura; apparve il primo grande attore brasiliano, João Caetano dos Santos, cui tennero dietro, fra Ottocento e Novecento, capocomici come Apollonia Pinto, Itália Fausta, Procópio Ferreira, Leopoldo Fróes. Il movimento teatrale si allargò presto a tutti gli Stati: sorsero all'inizio del sec. XX sale di spettacolo fastose, come il Municipal di Rio e quello di São Paulo, accanto a teatri già tradizionali come il São Pedro di Pôrto Alegre. Il continuo afflusso di grandi compagnie straniere esercitò una pressione culturale su quelle locali (tra gli Italiani ricorderemo la Duse, Pirandello, Niccodemi, Bragaglia). Durante la seconda guerra mondiale ha avuto inizio il rinnovamento della messa in scena grazie ai Comediantes, diretti dal polacco Ziembiński, e al Teatro do Estudante di Paschoal Carlos Magno. Nel dopoguerra hanno agito a São Paulo registi italiani (Celi, Jacobbi, Salce, D'Aversa, Bollini, Ratto), cui si deve, tra l'altro, la fondazione del Teatro Brasileiro de Comédia, e sono emersi nuovi attori di gran fama, come Cacilda Becker, Cleyde Iaconis, Sérgio Cardoso, Paulo Autran. Dagli anni Sessanta ha invece predominato il repertorio nazionale, spesso (soprattutto dal 1964) con implicazioni politiche, diretto da registi nuovi come Antunes Filho, Flávio Rangel e Celso Corrêa nel Teatro de Arena e in gruppi di affine attività. Quanto alla drammaturgia, i primi grandi nomi risalgono al tempo del romanticismo: Martins Pena nella commedia e Gonçalves Dias nella tragedia. L'Ottocento ha dato soprattutto commedie di costume, come As doutoras di França Júnior. Il primo Novecento vide qualche tentativo di dramma poetico o simbolico, con Goulart de Andrade, Roberto Gomes, Renato Viana, e i graziosi Flores de sombra di Cláudio de Souza. Coltivarono il genere comico, non trascurando tuttavia il dramma storico, Viriato Correia e Raimundo Magalhães Júnior. Alla verve del grande Procópio Ferreira affidò le sue opere un commediografo geniale e disuguale, Joracy Camargo, autore di Deus lhe pague. Il secondo Novecento ha visto sorgere l'espressionista Nelson Rodrigues, considerato il pioniere del teatro moderno brasiliano, il favolistico e malizioso Guilherme Figueiredo, l'intimista Jorge Andrade, il cattolico Ariano Suassuna, che si rifaceva agli autos medievali, e autori di tendenza rivoluzionaria, spesso influenzati da Brecht, come Gianfrancesco Guarnieri, Augusto Boal e Plínio Marcos. Drammaturgo di grande successo è anche Pedro Bloch (n. 1915-2004), che ha dato prove di consumata perizia nel lungo monologo As maôs de Euridice (1950) e in Os inimigos não mandam flores. Di notevole rilievo la produzione teatrale di Raquel de Queirós e di Roberto Athayde, rappresentato anche in Italia (La signorina Margherita, 1973). Da ricordare ancora il gruppo Pau Brasil che nel 1979, mettendo in scena Macunaíma, tratto dal romanzo di M. de Andrade, riscosse un grande successo internazionale. Negli ultimi anni si è fatta molto sentire l'influenza africana che già aveva segnato l'opera di Zora Seljan e al cui retaggio si richiama anche Abdia Nascimento, fondatore del Teatro Experimental do Negro. Tra i registi emersi a cavallo del millennio si segnalano Moacyr Góes (autrice anche di cinema per bambini), Enrique Díaz, Ulysses Cruz, Gabriel Villela, Bia Lessa, nei quali si apprezza tanto la freschezza di soluzioni testuali e scenografiche innovative, quanto la rilettura personale dei classici della storia della drammaturgia nazionale e internazionale.

Cultura: cinema

Agli inizi del sec. XX risalgono non solo i primi produttori e i primi film brasiliani (dovuti all'immigrato portoghese Antonio Gomes Leal) ma anche i tentativi, primissimi nel mondo, di ovviare al “muto” con attori parlanti e cantanti dietro lo schermo. Le iniziative furono spesso decentrate nell'entroterra, cosicché oltre che a Rio de Janeiro e a São Paulo si ebbe una produzione, artigianale e anarchica, in vari Stati e diverse città, che diede origine a ciclos regionais ma, frantumando le esperienze, si presentò poi indifesa di fronte a Hollywood, la cui industria per molti decenni monopolizzò fra l'80 e il 90% dei programmi. Tra i pionieri vanno citati Luis de Barros (Vivo ou morto, 1915), l'attrice Carmen Santos (Sofrer para gozar, 1924), che terminò nel 1948, come regista, un film su una fallita rivolta di minatori, e soprattutto Humberto Mauro, che tra gli anni Venti e Trenta si affermò come il vero padre del cinema brasiliano. Il periodo “muto”, con affermazioni artistiche e la nascita di cineclub e riviste, si chiuse nel 1930 con il film d'avanguardia Limite, del diciottenne Mario Peixoto. Con il sonoro la produzione, priva di mezzi adeguati, quasi si arrestò; dalla media di una dozzina di film all'anno si scese a tre o quattro, anche a uno solo per quasi due decenni, con pellicole di tipo carnevalesco. Solo attorno al 1950 A. Cavalcanti, rientrato in patria, lanciò la parola d'ordine di “un cinema brasiliano per i Brasiliani”; ma il suo esperimento alla Vera Cruz di São Paulo non riuscì; cineasti e tecnici erano stranieri. L'unico film di successo internazionale, O cangaçeiro, fu sfruttato dalla distributrice Columbia Pictures. A metà degli anni Cinquanta cominciò a prender piede il cinema nóvo. Mauro ne era stato l'ispiratore, Nelson Pereira Dos Santos ne fu il primo maestro e il neorealismo italiano non fu estraneo alla sua crescita. E anche se Anselmo Duarte vinse la Palma d'Oro a Cannes, nel 1962, con un film teatrale, O pagador de promessas, gli anni Sessanta videro il trionfo mondiale di questo cinema “della fame”, antropologico e rivoluzionario, della “nuova ondata” di Glauber Rocha e dei suoi giovani amici, la cui lezione fu tuttavia interrotta dal mutamento delle condizioni politiche nel Paese. Il ritorno, nel 1980, di Rocha a Venezia con un film ambizioso ma confuso (L'età della Terra) ha testimoniato la crisi involutiva degli anni Settanta. Ma a partire dal 1980 una relativa apertura (consacrata dalla fine della dittatura nel 1985) consente il ritorno a una produzione di prestigio. Esce Pixote, la legge del più debole (premiato a Biarritz, San Sebastiano e Locarno) di H. Babenco, sulla delinquenza minorile; Brasile avanti di R. Farias comincia a parlare degli scomparsi; in Cubatão la valle della morte R. Feith denuncia le tragiche conseguenze di un “incidente” industriale; in Memórias do cárcere Pereira dos Santos ricorda lo scrittore-patriota Graciliano Ramos; Ganga Zumba di C. Diegues, parlando delle comunità nere del Seicento, indica l'uso che si può fare della libertà riconquistata dopo la schiavitù; Central Do Brasil (1998; Golden Globe per il miglior film straniero e Orso d'oro al Festival di Berlino) di W. Salles, viaggio attraverso il Paese di un bambino, orfano di madre, alla ricerca del padre mai conosciuto, e della sua accompagnatrice, che riscopre attraverso di lui sentimenti e sensazioni rimasti a lungo sopiti. Eredi in qualche modo della “retomada”, la rinascita del cinema brasiliano di fine secolo scorso, sono molti dei registi saliti sulla ribalta negli anni Duemila, come Daniel Filho (Se eu fosse você, 2006), Sérgio Machado (Cidade Baixa, 2005), Marcelo Gomes, Sandra Werneck (premiata per il documentario Meninas, 2006), Roberto Moreira, Fernando Meirelles (Cidade de Deus, 2002; The Constant Gardener, 2005), João Falcão (A máquina), Eliana Fonseca (Coisa de mulher, 2005), Cao Hamburger (L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza, 2006). Lo stesso Salles si è riconfermato con I diari della motocicletta (2004) e con Linha de Passe (2008). Di notevole e crescente importanza è il Festival del cinema di Rio de Janeiro, rassegna annuale che, oltre a essere uno dei principali motori di sostegno e promozione del movimento brasiliano, insieme all'altro polo cinematografico del Paese rappresentato da São Paulo, è divenuto appuntamento di richiamo per molte pellicole provenienti dall'estero. Un cenno va riservato anche all'opera dei registi afrobrasiliani, impegnati a tutto tondo nel recupero della componente nera della cultura brasiliana (come W. Onofre, 1934-2015).

Cultura: danza e balletto

Ricchissimo è il patrimonio di danze popolari frutto di una fusione tra cultura portoghese e tradizione popolare aborigena e quella di origine africana. Le danze cosiddette “drammatiche” possono essere distinte in tre gruppi principali: i bailes pastoris (per il Natale), le cheganças o chelenças (commemorative delle imprese marinare portoghesi) e i reisados, di argomento vario, e sono caratterizzate dalla suddivisione in due parti: il corteo (cantigas) e l'azione coreografica vera e propria (embaixada), elaborata su testi manoscritti o trasmessi oralmente, diretta da un mestre che generalmente interpreta anche uno dei ruoli principali. Elementi tratti dalla religione primitiva africana e dal culto cattolico sopravvivono insieme in alcune danze cerimoniali: oltre alle sudanesi congadas, si ricordano il candomblé e la macumba, veri e propri riti sacrali afro-brasiliani consistenti nel far reincarnare nei credenti lo spirito delle divinità cristiano-pagane. Di origine rituale sono anche il violento e sfrenato maracatú, cerimonia in uso all'epoca dell'Impero del Brasile (1822-89), eseguita dagli schiavi neri dello Stato di Pernambuco e consistente nell'elezione e incoronazione in forma satirica di un re bianco; l'antica lundú, ispirata allo stile spagnolo; il bumbameu-boi, danza di chiusura dei reisados e ancora eseguita in alcuni Stati brasiliani; il moçambique, danza guerriera di origine africana ancora in uso in occasione di particolari festività religiose; l'india aruana, che ha conservato intatto il suo carattere originale e che è danza sacra; la capoiera, danza acrobatica afro-brasiliana che mima le movenze di una lotta; ecc. Tra le danze diffuse fuori del Brasile citiamo il samba e il batuque (e la derivata batucada), entrambi danze in circolo legate alle grandi feste per il carnevale. Nelle stesse manifestazioni ricorrono le danze a file opposte, caratterizzate dall'alterno avanzare e retrocedere delle due file di ballerini (per esempio le marchas), gioiosi cortei improvvisati e il frevo, tipica danza della città di Recife, risalente al 1907 e considerata il ballo più movimentato del carnevale (sua principale caratteristica è l'accompagnamento con grida e strumenti a fiato). Alla conoscenza e diffusione del folclore brasiliano ha dato un contributo notevolissimo l'opera di Katherine Dunham, alla quale si devono trasposizioni teatrali in chiave di danza di riti, musiche e superstizioni della foresta africana trapiantati nell'America Latina. Vanno inoltre ricordati il Teatro Folcloristico Brasiliano, che dall'epoca del suo debutto a Rio (1950) ha portato in tutto il mondo le manifestazioni popolari e le danze tipiche del Brasile conservando intatti il carattere e il sapore dell'ingenuità popolare, e la Brasiliana, compagnia fondata nel 1949 da Miccio Askanasy e assai nota anche all'estero. § Per quanto riguarda il balletto non esiste una tradizione espressiva originale, potendosi registrare fin qui soltanto sporadici tentativi – per lo più a opera di artisti stranieri – di fondare compagnie di modello e ispirazione europea o nordamericana. Già nei sec. XVII e XVIII si hanno tracce del passaggio a Rio de Janeiro di compagnie di balletto europee. Al 1913 risale l'apparizione dei Ballets Russes di Djagilev. Nel 1931 fu affiancata al Teatro Municipal una scuola di ballo diretta da Maria Oleneva, cui successe Igor Švecov. A questi nel 1945 fu anche affidata, per breve tempo, la direzione della compagnia e nel 1947 ancora Švecov fondò, sempre a Rio, il Ballet da Juventude, che ebbe breve vita. Aurel Milloss, a São Paulo dal 1953 al 1954, fu invitato a creare e riallestire ben sedici balletti e raccolse a questo scopo un suo complesso anch'esso discioltosi alla partenza del coreografo. Tentativi, anche nel campo della modern dance, di ispirazione nordamericana, si sono fin qui rivelati di poca consistenza e di scarsa eco a livello internazionale. La ballerina brasiliana di maggior talento e prestigio, uscita dalla scuola del Teatro Municipal di Rio, è senz'altro Marcia Haydée, étoile di prima grandezza, la cui carriera si è svolta però quasi esclusivamente in Europa.

Bibliografia

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