Art déco

espressione che indica, in forma abbreviata, lo stile che ebbe la sua consacrazione all'esposizione parigina “des arts décoratifs” del 1925, ma che solo a partire dagli anni Settanta è stato oggetto di revisione critica con una serie di monografie e di mostre negli Stati Uniti (Minneapolis 1971), in Francia (Parigi 1966 e 1977) e in altri Paesi europei. L'espressione si riferisce tanto al tipo di prodotti presentati in quella rassegna (mobili, arredi, oggetti d'arte applicata con speciale intenzione “estetica”), quanto al gusto di cui essa si faceva portatrice. Lo stile (definito anche “stile 1925”) può considerarsi filiazione diretta del liberty, con il quale in seguito fu confuso, o del modernismo internazionale, del quale peraltro scartava gli aspetti dinamici, le asimmetrie, la flessuosità delle linee, puntando sugli aspetti “geometrizzanti”. Si definì con caratteri peculiari nell'immediato dopoguerra, specialmente in area francese e austriaca; in Francia ebbe il suo sviluppo più intenso, in quanto rappresentava la formula più adatta per il rilancio di una produzione di lusso. Agli esordi delle Arts déco si collocano la fondazione della “Compagnie des arts français Suë et Mare”, l'attività di ebanisti e decoratori quali Ruhlmann e Rateau e il deciso volgere in senso déco dei Laboratori viennesi (Wiener Werkstätte) diretti da Joseph Hoffmann. In Italia lo stile venne affermandosi nelle esposizioni biennali monzesi di arti decorative (con la presenza di Giò Ponti, Tommaso Lancia, Duilio Cambellotti, Guido Balsamo Stella e così via). L'ascesa del razionalismo e la crisi del 1929 determinarono il declino di uno stile troppo esornativo e legato alla preziosità del pezzo unico.

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