Lessico

sm. [sec. XIII; dal latino appetītuss].

1) Lett., tendenza naturale a soddisfare bisogni e desideri immediati al di fuori dell'intervento razionale; impulso, inclinazione istintiva: “Il desiderar le cose buone è appetito universale di ciascuno” (Tasso); dominare con la ragione gli appetiti della natura umana. Per estensione, desiderio ardente, brama: appetito di piaceri, di potenza.

2) Com., desiderio naturale di cibo; fame: avere, provare appetito; perdere, ritrovare l'appetito; mangiare di buon appetito. Proverbio: “l'appetito vien mangiando”, per spingere a mangiare chi ne ha poca voglia; fig. iron., per indicare la sempre più forte cupidigia di possesso in chi già possiede molto.

Filosofia

Secondo Aristotele, la tendenza di ogni essere vivente verso il suo fine. L'appetito può essere volto al soddisfacimento di bisogni o desideri sia fisici sia intellettuali. Per gli scolastici questa tendenza ancora incognita costituisce l'appetito naturale e si distingue dall'appetito elicito, che invece conosce il proprio fine. Questo è intellettivo se tende al fine conosciuto dall'intelligenza, sensitivo se a un fine conosciuto dai sensi (Summa Theologica I, qq. 80-82).

Medicina

Percezione della necessità di alimentarsi, di origine molto complessa, in cui entrano fattori nervosi di provenienza centrale (eccitamenti legati all'azione del centro regolatore della nutrizione localizzato in zone specifiche dell'encefalo) e periferica, come stimoli chimici (presenza nello stomaco di acido cloridrico a digiuno) e meccanici (aumento del tono e della peristalsi gastrica). L'appetito può presentare gravi alterazioni, nel senso di una sua riduzione o aumento, in molte condizioni patologiche: traumi psichici, malattie generali e in particolare mentali, malattie dell'apparato digerente, diabete. In tutti questi casi possono osservarsi fame vorace (polifagia), talvolta con contenuto ossessivo (bulimia); altre affezioni che determinano invece la diminuzione o la scomparsa dell'appetito (anoressia).

Farmacologia

Numerose sostanze naturali o di sintesi hanno la proprietà di esaltare o di attenuare l'appetito; i farmaci che esaltano l'appetito sono detti oressizzanti od oressanti, e, in rapporto al meccanismo della loro azione, vengono suddivisi in tre gruppi: centrali, periferici e umorali. Gli oressizzanti centrali sono tipici psicofarmaci e comprendono gli inibitori della amminossidasi (iproniazide, isoniazide, nialamide), la fenelzina, la reserpina, il clordiazepossido, l'amitriptilina, l'imipramina. Tali composti vengono impiegati nel trattamento delle disappetenze legate a psicopatie, a stati d'ansia, di preoccupazione, d'angoscia, ecc. Contrariamente alle ipotesi avanzate in un primo tempo, la loro azione sull'appetito non è conseguente all'effetto psichico, ma si svolge direttamente sui centri ipotalamici della fame che vengono stimolati. Gli oressizzanti periferici comprendono i composti che aumentano l'intensità e la frequenza degli stimoli diretti ai centri nervosi dell'appetito. Vanno ricordate a tale proposito sostanze, alcune delle quali da tempo utilizzate in gastronomia oltre che come farmaci, quali gli amari naturali e le varie droghe che esaltano il sapore o l'odore dei cibi, e, tra i farmaci, la stricnina e un composto sintetico, il tannato di 3-fenil-3,4-diidrossichinazolina (Orexin®), che al pH gastrico si idrolizza liberando la base amara. La categoria degli oressizzanti umorali comprende numerosi composti che aumentano il metabolismo basale, tra cui l'insulina, gli ipoglicemizzanti orali, gli ormoni tiroidei, gli anabolizzanti proteici, il cortisone, la corticotropina, ecc. I farmaci che attenuano la sensazione dell'appetito sono definiti anoressizzanti o anoressanti.

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