giada

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Mineralogia

sf. [sec. XVIII; francese jade, dallo spagnolo (piedra de la) ijada, (pietra del) fianco, per la credenza popolare che la pietra avesse virtù taumaturgiche nei confronti di lombaggini e di malattie renali]. Nome di una pietra semipreziosa che può essere costituita da due minerali, differenti per caratteristiche strutturali ma abbastanza simili nell'aspetto superficiale. La nefrite (a cui, a rigore, il termine andrebbe attribuito) e la giadeite, o giada di pirosseno, abitualmente denominati yu in Cina, l'area geografica che vanta maggiori tradizioni di lavorazione della giada. Oltre che in Cina, la lavorazione della giada era diffusa in Nuova Zelanda, in Australia e soprattutto nel Messico precolombiano, dove fu impiegata soprattutto la giadeite e si raggiunsero altissimi livelli nell'elaborazione di forme naturalistiche o comunque legate ai modi della scultura. Erroneamente viene chiamato giada di serpentino anche il crisotilo, che è un silicato di magnesio. § Con riferimento al colore della pietra preziosa, il termine è usato come agg. inv. per indicare il colore verde-azzurro chiaro.

Arte

Nelle ultime fasi protostoriche della Cina la giada costituì uno dei più interessanti incentivi nei rapporti con le culture neolitiche siberiane del Bajkal, in particolare quella di Kitoj (2500-1800 a. C.) e soprattutto quella successiva di Glazkovo, nelle quali la lavorazione della giada appare già evoluta. È stato provato che gli oggetti in giada siberiani di quest'epoca offrono un repertorio di forme e motivi più ricco rispetto a quello delle più antiche giade ritrovate in Cina e databili alla medesima epoca. Oltre che dai giacimenti del minerale nei territori attorno al lago Bajkal, la giada giunse già anticamente in Cina dalle fonti centro-asiatiche di Yarkand e di Khotan. Come la ceramica e i bronzi, oggetti di giada sono presenti negli arredi funebri degli Shang e dei Chou sotto forma di pi e di tsung, quali simboli cosmici del cielo e della Terra, oltre che di armi rituali, di amuleti, di oggetti vari ritenuti insegne di dignità e di autorità. Tale repertorio si arricchì durante i secoli, comprendendo, nelle epoche dei Regni Combattenti e Han, pendagli, ornamenti, scettri, impugnature di spade, guarnizioni e ornamenti vari, soprattutto fibbie, fino a piccole forme di pesci e di cicale, che venivano poste rispettivamente sugli occhi e sulla lingua del defunto e che facevano parte della serie di giade destinate a occultare tutti gli orifizi del cadavere. Tutte queste forme in giada, specie nei caratteri della decorazione (l'immagine animalistica appare costante), derivano o partecipano degli stessi caratteri di altri oggetti funzionali, quali i bronzi. A completare il quadro sul vasto e vario impiego della giada e dei complessi attributi connessi a questa materia, nell'estate del 1968 a Man-ch'eng (Hopei) una spedizione archeologica cinese ha ritrovato in due tombe del sec. II a. C. due cadaveri interamente rivestiti di giada (yu-yi), identificati attraverso le iscrizioni come il principe Liu Cheng e la sua sposa Teu Wan. Dall'esame di tali rivestimenti è emerso che il sudario della principessa è composto di 2156 placche di giada congiunte insieme mediante filo d'oro, mentre quello del principe consta di 2690 pezzi. Il “vestito” di giada della principessa è stato ricostruito nel suo aspetto originario e presentato a Parigi nella mostra dei “Trésors d'art chinois - récentes découvertes archéologiques de la République Populaire de Chine” (1973), mentre quello del principe è stato esposto alla mostra “7000 anni di Cina”, tenutasi a Venezia (1983). Evolutasi nel corso dei secoli, la lavorazione della giada in Cina è divenuta una raffinata forma di artigianato i cui prodotti, soprattutto immagini relative al buddhismo e al taoismo, ebbero il loro secolo aureo nel Settecento. Ancor oggi in Cina i manufatti in giada molto diffusi: nei numerosi centri di lavorazione vengono eseguiti vasi, coppe, statuette di ogni genere e altri oggetti ornamentali. Si impiega a tale scopo una trentina di varietà di giada, la cui vasta possibilità di colorazione dipende dalla presenza di ossidi metallici e può variare dal verde, al bianco, al grigio, al nero.

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