I sacrifici umani

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Quando nasceva un bambino la nutrice gli cantava inni di guerra, augurandogli che un giorno avesse il privilegio di morire colpito da un coltello di ossidiana sugli altari degli dèi. Ogni anno centinaia di vittime versavano il loro sangue per nutrire il Sole e il dio della Guerra Huitzilopochtli e per procurare un numero sufficiente di prigionieri vivi veniva organizzata la Guerra di Fiori, un combattimento rituale. Nessuna delle popolazioni precolombiane – dove comunque il sacrificio umano era diffuso – era arrivata a una tale intensità di uccisioni rituali di massa. Nelle grandi ricorrenze sacre l’olocausto durava ininterrottamente quattro giorni e si dice che in media venivano eseguiti piú di 20.000 sacrifici all’anno (le cronache parlano anche di 12.000 vittime al giorno, ma la cifra sembra francamente esagerata). Ai prigionieri di basso rango veniva strappato il cuore, i loro teschi venivano appesi sullo tzompantli, il “muro dei crani”, e il corpo tagliato a pezzi e mangiato: la coscia spettava al sovrano o al sacerdote, mentre il resto veniva distribuito tra i parenti del guerriero che lo aveva catturato.

La vittima di alto rango veniva invece portata al Tempio di Huitzilopochtli o a quello di Xipe Tótec, il “dio scorticato”, Signore della vegetazione e della rinascita. Qui il prigioniero veniva legato a una pietra sacrificale ed era costretto a combattere con armi spuntate contro guerrieri armati di tutto punto. Gli veniva quindi aperto il torace con un coltello di ossidiana, strappato il cuore, poi bruciato, e il suo sangue era sparso sui gradini del tempio. La pelle scuoiata della vittima veniva indossata da un sacerdote e infine seppellita ai piedi della piramide. I sacrifici dei bambini erano invece dedicati al dio della Pioggia Tlaloc: i maschi venivano uccisi sulle montagne vicine alla città e la statua del dio dipinta con il loro sangue, mentre le femmine, vestite d’azzurro, venivano sgozzate e gettate nelle acque del Lago Texcoco.