10 grandi artisti del passato affetti da malattia mentale

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Un enorme talento, altrettanta sofferenza: la storia dell'arte è costellata di figure che hanno avuto seri disturbi mentali. Ecco alcune.

È opinione diffusa che in ogni artista ci sia un pizzico di pazzia: l’estro deve pur nascere da qualche parte. Di sicuro, l'artista tormentato è un personaggio ricorrente nella finzione, così come nella vita reale. La storia delle arti è infatti costellata di figure che hanno avuto seri disturbi mentali, i quali sono stati spesso causa della loro morte. Eccone dieci.

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LaPresse - Virginia Woolf

Virginia Woolf

Componente del Bloomsbury Group e figura di rilievo nell'ambiente letterario londinese, Virginia Woolf era probabilmente affetta da disturbo bipolare. Fu vittima per tutta la vita di forti sbalzi d'umore, crisi depressive e profondi esaurimenti nervosi. Negli ultimi anni, a tutto ciò si aggiunse una psicosi. Terrorizzata dagli eventi della Seconda Guerra Mondiale, il 28 marzo del 1941 si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume Ouse, nei pressi della sua abitazione.

Lasciò una commovente lettera al marito Leonard: «Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere [...] Tutto se n'è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi».

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LaPresse, Van Gogh, Autoritratto

Vincent Van Gogh

Vincent Van Gogh soffrì a lungo di schizofrenia, malattia che gli fece provare allucinazioni di ogni tipo, portandolo a stati acuti di confusione e persino amnesia. Trasferitosi ad Arles nel 1888, esaltato dalla luce e dalle tinte mediterranee, Van Gogh realizzò ben duecento dipinti e cento altre opere tra disegni e acquerelli.

In Provenza fu raggiunto da Paul Gauguin, ma la convivenza si rivelò ben presto impossibile: le tensioni raggiunsero l’apice il 23 dicembre: dopo un accesissimo alterco con Gauguin, con un rasoio si tagliò parte dell'orecchio sinistro in preda a disperate allucinazioni, poi avvolse il macabro trofeo nella carta di giornale e lo regalò a una prostituta del bordello che i due pittori erano soliti frequentare. «Non sono veramente malato di mente. Come puoi vedere, i quadri che ho fatto nel periodo fra i due attacchi sono più tranquilli e non peggiori degli altri. Ho molta voglia di lavorare e non mi stanco», scrisse al fratello Théo. Le crisi di alienazione mentale, sempre più frequenti, lo costrinsero però a lunghi periodi di degenza in vari ospedali psichiatrici, fra cui quello di Saint-Rémy. Oppresso da senso di solitudine e tristezza, Van Gogh si sparò un colpo di rivoltella al petto e morì dopo due giorni di agonia, il 29 luglio 1890.

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LaPresse - Edgar Allan Poe

Edgan Allan Poe

«Mi hanno chiamato folle, ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell'intelletto». A giudicare da Edgan Allan Poe sì: il primo scrittore alienato americano, nonché padre della letteratura dell’orrore, visse un'esistenza contrassegnata da forti squilibri e disagi mentali, a cui contribuirono (o di cui furono causa?) debiti di gioco, abuso di alcolici e stupefacenti, delusioni d'amore e la morte della moglie. Poco prima della morte fu trovato delirante per le strade di Baltimora: portato in ospedale, morì il 7 ottobre 1849, senza riuscire a spiegare perché fosse in quelle condizioni, né il motivo per cui indossasse abiti non suoi. I giornali dell’epoca riportarono come causa del decesso una «congestione del cervello».

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LaPresse, E. Munch, L'urlo

Edvard Munch

«La malattia, la follia e la morte sono gli angeli neri che hanno vegliato sulla mia culla, seguendomi poi per tutta la vita», scrisse il pittore Edvard Munch. Si diceva soffrisse di isteria, mentre probabilmente ebbe frequenti esaurimenti nervosi associati a ipocondria. I disturbi psichiatrici, d’altra parte, erano presenti in famiglia: il padre fu a lungo depresso, mentre una delle sorelle (quella non morta di tubercolosi) era schizofrenica. Riversò tutta l’angoscia nelle sue opere, in particolare nelle quattro versioni realizzate de L’Urlo: «Stavo camminando per una strada con due amici. Il sole è tramontato. Ho sentito un attacco di malinconia. All'improvviso il cielo divenne rosso sangue. Mi fermai e mi appoggiai a una ringhiera stanco morto e guardai le nuvole fiammeggianti che pendevano come sangue, come una spada sul fiordo nero-bluastro e sulla città. I miei amici hanno continuato a camminare. Rimasi lì tremante di paura e sentii un infinito grido acuto penetrare nella natura», scrisse evocando la genesi del quadro.

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LaPresse - Beethoven

Ludwig van Beethoven

Non diventò solo precocemente sordo, il buon vecchio Ludovico Van Beethoven. Considerato uno dei più grandi e influenti compositori di tutti i tempi, soffrì pare anche di depressione e, come ipotizzato da molti, persino di un grave caso di disturbo bipolare. Gli attacchi sarebbero stati ben noti nella sua cerchia di amici: quando Beethoven era in fase maniacale poteva comporre numerose opere nel giro di pochissimo tempo, anche contemporaneamente. Nelle stesse fasi, però, aveva tendenze suicide, testimoniate in varie lettere scritte ai fratelli. L’asma, la sordità e la pancreatite cronica gli resero la vita impossibile e il conseguente abuso di alcolici fece il resto: colpito da una polmonite, Beethoven morì poco dopo di cirrosi epatica.

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LaPresse - Goya, La Maya desnuda

Francisco Goya

Nel 1793, all’età di 47 anni, il pittore Francisco Goya fu colpito da una misteriosa malattia, che gli provocò mal di testa, vertigini, problemi alla vista e paresi a un braccio, oltre a causargli la perdita dell’udito. Poco dopo, il malessere fisico si trasformò in psicologico: depressione, allucinazioni, deliri di ogni genere, che portarono Goya a un drastico crollo di peso. Basta osservare Saturno che divora suo figlio e le altre Pitture Nere (1819-1923) per rendersi conto di come il male abbia influenzato le sue opere, cupe e pessimiste. Secondo alcuni studiosi, Goya potrebbe essere stato colpito dalla Sindrome di Susac, malattia che provoca lesioni ischemiche nei piccoli e piccolissimi vasi sanguigni, coinvolgendo cervello, retina e orecchio interno.

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LaPresse - Baudelaire

Charles Baudelaire

Simbolo della vita bohemienne, dedito al consumo di alcol e sostanze allucinogene, protagonista di una vita spesa tra debiti, alloggi precari e crisi mistiche, senza dimenticare vari tentativi di suicidio e un’evidente instabilità mentale. Nessuno più di Charles Baudelaire ha incarnato il mito del “poeta maledetto”. Morì per un ictus, provocata dalla sifilide o forse da avvelenamento da mercurio, a soli 46 anni, Lasciando al mondo I fiori del male, raccolta di poesia pubblicata nel 1857. La prima sezione ("Spleen et ideal") esprime lo stato di malessere del poeta, descrivendo con metafora quanto accade durante gli attacchi di panico.

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da Wikipedia - Dino Campana

Dino Campana

Il nostro poeta maledetto, omologo italiano dei ben più celebrati Verlaine e Baudelaire. Maledettamente geniale, vagabondo e selvatico, da giovane fuggì spesso dalla casa di Marradi, Romagna fiorentina. Anche all’estero: Svizzera, Francia, Belgio, (forse) persino Argentina. Un nuovo lavoro, problemi psichiatrici, ricovero in manicomio. Questa la “routine” di Dino Campana, autore dei Canti Orfici, personaggio talmente problematico al punto che la madre  si era convinta di aver messo al mondo l'anticristo. Non era così: mentre le cartelle cliniche lo avevano descritto a lungo affetto da demenza precoce, Campana in realtà soffriva di ebefrenia, come stabilì la diagnosi ricevuta all’ospedale psichiatrico di Villa di Castelpulci, dove fu internato nel 1918. Morì 14 anni dopo, per una setticemia causata dal ferimento con un filo spinato, forse durante un tentativo di fuga, pochi giorni prima di essere dimesso dal manicomio.

Sylvia Plath

La mattina dell’11 febbraio 1963, Sylvia Plath preparò pane, burro e due tazze di latte per la colazione dei suoi bambini. Poi sigillò porta e finestre della cucina e inserì la testa nel forno a gas. Le circostanze del suo suicidio sono piuttosto note, meno lo è il fatto che La campana di vetro sia un romanzo semi autobiografico: il libro racconta la storia di una stidentessa dello Smith College (come lei) che cade in depressione (come lei) a seguito di un tirocinio in un giornale di moda di New York (come lei) e che per questo tenta il suicidio (come lei), per poi essere ricoverata in un ospedale psichiatrico (come lei). Forse Sylvia Plath voleva solo lanciare un grido d’aiuto, forse voleva morire davvero, chissà. Si suicidò a soli 30 anni, a un mese dall'uscita del romanzo.

David Foster Wallace

Quando nel 1996 David Foster Wallace dette alle stampe Infinite Jest, la critica, che già lo aveva coccolato per il romanzo d’esordio La scopa del sistema e la raccolta di racconti La ragazza con i capelli strani, gridò al capolavoro. E lui diventò un autore di culto internazionale. Ma dietro alle pagine scritte da questo genio postmoderno si nascondeva una vita tormentata dalla depressione, combattuta da David Foster Wallace a colpi di felezina ed elettroshock. Forse non esattamente la ricetta giusta: il 12 settembre 2008, dopo aver redatto un messaggio di addio di due pagine e corretto parte del manoscritto di Il re pallido (uscito poi postumo tre anni dopo), lo scrittore si impiccò a una trave di casa sua.

Matteo Innocenti