Globalizzazione e società multietniche

Le difficoltà d'asilo

In proposito sostengono J. Habermas e C. Taylor: "[...] l'afflusso degli immigranti modifica la composizione sociale della popolazione anche sotto l'aspetto etico-culturale. È perciò lecito chiedersi se il desiderio d'insediamento da parte dei nuovi immigranti non trovi il suo limite nel diritto di una collettività politica a conservare integra la propria forma di vita politico-culturale. In altri termini, visto che l'ordinamento democratico complessivo ha sempre comunque una sua pregnanza etica, noi possiamo chiederci se il diritto all'autodeterminazione non includa anche un diritto ad affermare l'identità della nazione, un diritto da far valere anche contro gli immigrati nel caso in cui essi minacciassero una forma di vita politico-culturale storicamente ereditata".

È noto che tutti i paesi del mondo mantengono le porte aperte agli emigranti provenienti da altre parti del globo, purché questi abbiano specializzazioni molto richieste, capitali sostanziosi da investire o stretti legami familiari nel paese di destinazione. La situazione diviene però estremamente difficile qualora manchino le caratteristiche descritte. Mentre, infatti, nei trent'anni successivi al secondo conflitto mondiale il boom economico che ha investito Europa, Nordamerica e Oceania faceva sì che vi fossero ampie richieste di manodopera, specialmente per i lavori meno specializzati, consentendo così l'ingresso nel paese a un ingente numero di individui provenienti da regioni quali il Nordafrica, l'Europa meridionale, il subcontinente indiano e i Caraibi, le mutate condizioni attuali hanno visto ridursi drasticamente il numero dei permessi di soggiorno.

Allo stato attuale il fabbisogno di immigranti poco qualificati è scomparso, soprattutto nell'Europa occidentale, per diversi motivi tra cui:

-la fine del boom del dopoguerra e il successivo rallentamento della crescita economica;

-il declino delle industrie tradizionali, che occupavano molta manodopera, e l'introduzione di nuove tecnologie, che necessitano di un minor numero di lavoratori manuali;

-l'aumento della disoccupazione e il fatto che i datori di lavoro possono soddisfare le restanti necessità di manodopera non specializzata impiegando donne e personale non dichiarato.

Per questi e altri motivi, durante gli anni '70 e '80 la maggior parte dei paesi industrializzati ha introdotto leggi sempre più restrittive relativamente all'ingresso di lavoratori stranieri. Contemporaneamente, in molti paesi del Terzo Mondo crescevano le pressioni all'emigrazione.

Per molti individui, pertanto, le uniche possibilità sono state quella di entrare o restare clandestinamente in un altro paese, oppure di aggirare le normali restrizioni all'immigrazione chiedendo lo status di rifugiato. Nonostante l'ovvia difficoltà di ottenere dati precisi sull'immigrazione clandestina, l'OIL indica una cifra di 30 milioni di persone, di cui 4,5 milioni nei soli Stati Uniti. Un numero consistente di immigrati clandestini è presente anche in Germania, in Italia e in Spagna (500 mila in ognuno di tali paesi), in Giappone (forse 300 mila), in Francia (200 mila), in Corea del sud e a Taiwan (100 mila in ciascun paese), in Australia e in Nuova Zelanda (fino a un massimo di 100 mila in totale).