Le teorie

Teorie dell'azione

Le teorie dell'azione focalizzano l'attenzione sui rapporti di interazione individuale, sui significati che le persone attribuiscono alle loro azioni e sull'origine sociale di questi significati. Tali teorie vengono spesso classificate nell'ambito della microsociologia proprio a causa dello scarso interesse da esse nutrito nei confronti delle grandi sistematizzazioni. I ruoli, le istituzioni, gli universi simbolici propri delle culture vengono qui considerati all'interno della loro genesi processuale e comunque sempre in considerazione delle ripercussioni che hanno sull'interazione dei soggetti.

Il grande riferimento di queste teorie è l'opera dello psicologo sociale americano George Herbert Mead. Tuttavia, già nel pensiero di Max Weber erano presenti degli elementi che diverranno centrali nello sviluppo di questo filone di ricerca.

A partire da Max Weber (1864-1920), si introduce l'idea che la sociologia, oltre a quello di determinare leggi e regole, abbia come compito specifico quello di comprendere l'atteggiamento degli individui che partecipano alle formazioni sociali: queste infatti sono formate da esseri umani che agiscono sulla base di una razionalità cosciente. L'analisi sociale deve pertanto cogliere il senso implicito all'azione individuale e il riferimento che tale senso implicito ha rispetto all'atteggiamento di altri individui. Secondo la teoria weberiana, infatti, l'agire sociale è con-determinato dal senso veicolato dalle forme culturali. Le forme culturali (dette anche forme simboliche) costituiscono forme codificate e dotate di senso che, una volta interiorizzate dai soggetti, formano la base del reciproco relazionarsi e co-determinarsi delle diverse azioni di ciascun individuo, a partire dalla previsione degli effetti che esse produrranno sugli altri.

L'espressione "interazionismo simbolico" è stata coniata dal sociologo statunitense Herbert Blumer per designare la teoria elaborata da George Herbert Mead, poi ripresa da importanti sociologi come Blumer stesso ed Erving Goffman (nella sua teoria del sociale come rappresentazione scenica). Alfred Lindesmith, Howard Becker ed Edwin Schur applicano invece l'interazionismo all'analisi della devianza.

Sociologi come William Isaac Thomas e Charles Horton Cooley considerano la ricerca sociale come analisi degli atteggiamenti e dei valori che influenzano il comportamento sociale. Nel caso di Cooley si afferma la complementarietà di individui e società: l'identità individuale (o "Sé") ha origine sociale e si forma nelle relazioni a-faccia-a-faccia all'interno dei gruppi primari; il "Sé" si basa sulla reazione a ciò che l'"Io" ritiene essere la sua immagine per gli altri, in quanto elementi costitutivi della realtà sociale. Se la struttura materiale del rapporto organismo biologico-ambiente naturale è il presupposto dei processi di costituzione del senso e del soggetto, la società umana è soprattutto un fenomeno di comunicazione mediante forme simboliche codificate dell'agire che garantiscono l'interazione umana. Con la simbolizzazione, che si realizza nelle diverse forme di linguaggio, si verifica l'emergere dei significati comuni (cioè condivisi da più individui), tramite cui il senso del gesto individuale viene a essere universalizzato sullo sfondo di un contesto generale di riferimento, che Mead chiama l'"altro generalizzato". L'"altro generalizzato" è un fattore di importanza cruciale anche per la mente dell'individuo; solo assumendo l'atteggiamento dell'altro generalizzato verso se stesso l'individuo riesce a pensare nei termini di quei simboli astratti che costituiscono la mente razionale dell'adulto. Le parole sono degli universali che suscitano negli individui un atteggiamento comune; questa implicazione di universalità non esisterebbe se non ci fosse una certa struttura mentale che assume l'atteggiamento di tutti: vale a dire una specie di specchio globale in cui ogni singolo coglie le proprie espressioni per dar loro un significato generale.