dimensionaménto

sm. [sec. XX; da dimensione]. Con questo termine vengono indicati in urbanistica sia elementi quantitativi (regolamenti, norme, standard), sia il livello di intervento (dimensionamento dell'insediamento: estensione dell'area, numero degli abitanti). Il problema ha sempre interessato gli urbanisti (Ippodamo, Vitruvio, teorici rinascimentali), ma è solo a cominciare dall'Ottocento che ha ricevuto una maggiore attenzione, prima con le comunità degli utopisti socialisti (Owen, 1817, unità urbane per 1200 persone; Fourier, 1822, falansterio per 1600 persone; Godin, 1859, familisterio per 400 famiglie) e le città dei teorici e igienisti inglesi (Buckingham, Richardson, seconda metà del 1800) sui 100.000 ab.; poi con le proposte di Howard (1898, città-giardino, 32.000 ab.) e di Garnier (1904, città industriale, 35.000 ab.). Le Corbusier, cercando l'integrazione residenza-servizi primari, nel 1945 mette a punto l'unité d'habitation de grandeur conforme (1600 ab.) e analizza (1947) i 3 insediamenti umani: rurale a unità sparse, città lineare industriale, città radiocentrica degli scambi. Il dimensionamento dell'insediamento, sostenuto dai razionalisti in base al raggio d'influenza dei servizi, viene ripreso nel dopoguerra. Nascono le new townsinglesi, che d'altra parte si collegano alla tradizione di Howard, con una popolazione tra 50 e 100.000 ab. (Stevenage, Harlow, Basildon, Cumbernauld, ecc.). Dimensioni analoghe hanno raggiunto quartieri urbani pianificati in diversi Paesi europei: per esempio, grands ensembles in Francia, e zone per edilizia economica e popolare in Italia.

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