potére (sociologia)

capacità di assumere decisioni che determinino comportamenti di altri, entro una relazione sociale che coinvolge gruppi o singoli individui. Il potere implica, perciò, la possibilità di ricorrere a strumenti in grado di imporre la decisione presa a soggetti che non la condividano. In questa prospettiva, il potere si manifesta come esercizio possibile di mezzi che spaziano dall'influenza personale (compresa la seduzione) al più brutale impiego della violenza fisica. Deriva da questa obiettiva pregnanza del concetto di potere la ormai antica controversia definitoria che oppone i sostenitori di una nozione più restrittiva (differenziando così precisamente il potere dall'influenza, dall'autorità, dalla potenza e dalla leadership) ai fautori di un'interpretazione più elastica ed estensiva, affidata a una prevalente connotazione storiografica (tipi di potere concretamente esercitato). Così, R. Dahl ha sostanzialmente ricondotto la categoria di potere a quella di influenza, come relazione in cui un attore sociale induce altri attori a comportarsi come non avrebbero altrimenti fatto. Ma questa capacità di esercitare influenza implica una sostanziale diseguaglianza fra le parti (A, imponendo il proprio volere, è più potente di B). E la nozione di diseguaglianza, a sua volta, introduce il principio di legittimazione dell'influenza-potenza: si può avere una relazione di potere per effetto di una norma giuridica (B è gerarchicamente subordinato ad A), ma il potere di A può manifestarsi anche in una situazione di eguaglianza di diritto, come espressione di una leadership dotata di influenza (o di specifiche capacità, o di abilità persuasiva, o di fascino), esattamente come si può avere il rifiuto di B di riconoscere la subordinazione di diritto ad A. Si pone, insomma, la fondamentale questione della legittimità del potere e delle sue forme (R. Dahl ne individua circa 14.000). Anche H. Lasswell e A. Kaplan distinguono il potere dall'influenza, considerandolo come un “caso particolare” di questa, caratterizzato dalla possibilità di ricorrere a sanzioni. Altri studiosi, come M. Duverger, contestano l'equazione potere-coercizione e si rifanno piuttosto all'accettazione del potere che è indotta dalla forza del diritto. In altre parole, per M. Duverger (che riprende un celebre argomento di T. Parsons) la coercizione sta al potere come l'oro sta alla moneta: in un sistema economico efficiente il credito si basa sulla fiducia e non sull'uso del metallo, al quale si fa ricorso solo quando si incrini la fiducia dei cittadini. Così il potere ricorre solo eccezionalmente alla coercizione, affidandosi piuttosto alla legittimazione che gli deriva dal diritto formale, ma anche dal sistema di norme, valori, credenze e consuetudini di una società. Il potere finisce, così, per identificarsi con l'autorità, in quanto influenza riconosciuta come legittima. Il criterio che conferisce la legittimazione del potere è però desumibile soltanto dalla configurazione storico-sociale della comunità. M. Weber ha individuato tre fondamentali tipi di potere corrispondenti a tre diversi principi di legittimazione: il potere carismatico, basato sul riconoscimento intuitivo e personale delle qualità straordinarie del leader (è il caso dei profeti dotati di “investitura”, dei grandi capi mistici o di alcuni protagonisti di rivoluzioni politiche, anche se M. Weber adotta la tipologia estensivamente, applicandola per esempio a uno statista democratico come Gladstone); il potere tradizionale, ispirato alla continuità dell'ordine politico e alla sua supposta sacralità (è il potere che si trasmette per via dinastica); il potere legal-razionale, fondato sul principio di legalità e di impersonalità, come nel caso delle cariche elettive in una democrazia rappresentativa. Il potere, inoltre, può essere rappresentato in maniere molto diverse: per la scuola struttural-funzionalista, esso è una risorsa circolante nel sistema sociale e funzionale all'equilibrio del sistema stesso. È l'immagine di un potere diffuso, politicamente neutro e indispensabile alla preservazione dell'ordine, che si contrappone alla visione conflittualistica ed elitistica, per cui il potere è in realtà un bene scarso, fortemente concentrato e oggetto di una costante lotta per spostarne porzioni da uno all'altro dei soggetti in competizione (classi, partiti, singoli individui, secondo l'idea di potere a somma zero). Uno studioso come R. Dahrendorf, infine, sottolinea come il problema sociologico centrale sia costituito dal riconoscimento sociale dell'autorità e dalla sua visibilità in un sistema postindustriale, chiamando in causa empiricamente ruoli e posizioni di status più che astratti principi di legittimità del potere formalisticamente inteso.

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