William Shakespeare

La fortuna critica

Già in vita Shakespeare godette di una certa reputazione e nelle preferenze dei contemporanei fu secondo solo al rivale Ben Jonson, ritenuto più colto, raffinato e misurato. La chiusura dei teatri nel 1642, la rivoluzione repubblicana, la restaurazione di Carlo II furono avvenimenti tali da influenzare anche l'attività drammatica: prevalsero gli influssi italiani e francesi e al nuovo gusto Shakespeare apparve talvolta troppo sregolato e rozzo, tanto da rendere necessarie revisioni e alterazioni delle sue opere. I suoi contemporanei del resto lo considerarono sempre un bravo e popolare drammaturgo, ma non più di molti altri. In realtà, il suo genio poetico e la ricchezza di contenuti e sfumature presente nella sua opera erano straordinari per essere misurati e apprezzati dalla critica di quei tempi. Il merito di aver riconosciuto la grandezza di Shakespeare va al Settecento, secolo in cui numerosissimi critici, letterati, biografi cominciarono a raccogliere materiale critico e filologico sulla sua opera. Decisivo si rivelò l'interesse dei romantici, che scoprirono nelle sue maggiori tragedie il prototipo del "genio inconsapevole", del cantore di grandi passioni a loro congeniali. Il Novecento ha consacrato Shakespeare come uno dei massimi autori della letteratura mondiale di ogni tempo e ha approfondito lo studio filologico delle sue opere, riconoscendo non solo l'assoluto valore poetico dei testi, ma anche la loro insuperata rappresentabilità; infatti, proprio perché concepiti per essere rappresentati, i drammi shakespeariani rivelano sulla scena e nelle trasposizioni cinematografiche la loro inesauribile vitalità.