I poeti della seconda generazione romantica: Byron, Shelley, Keats

I poeti romantici minori

Tra i numerosi poeti dell'età romantica vanno almeno ricordati: Thomas Hood (1799-1845), autore di poemi, in cui la sofferenza individuale assume i toni più alti della pietà sociale, e di componimenti umoristici di grande successo; John Clare (1793-1864), autore di Rural muse (Musa rurale, 1835), raccolta di liriche semplici sull'amore e la natura; Thomas Lovell Beddoes (1803-49), medico amante dell'esotico e del soprannaturale, autore di Death's jest-book (Il libro delle facezie sulla morte, 1850), una cupa tragedia di imitazione elisabettiana, ma che contiene anche strane e interessanti liriche.

Thomas Campbell

Thomas Campbell (1777-1844), di origine scozzese, celebre per lo stile brillante, viene ricordato soprattutto per alcune liriche epiche e patriottiche, come Ye mariners of England (Voi marinai d'Inghilterra), Hohenlinden (dal nome di un paese a est di Monaco di Baviera) e The battle of the Baltic (La battaglia del Baltico), scritta per celebrare la vittoria di Nelson sui danesi nella battaglia di Copenhagen del 1801.

Thomas Moore

Thomas Moore (1799-1852), irlandese, amico di Byron, di cui scrisse una biografia (1830), trovò la sua migliore espressione nelle raccolte Irish melodies (Melodie irlandesi, 1807-34), in parte musicate da lui stesso; sono liriche di tono sentimentale adattate ad arie irlandesi e ispirate a una tradizione popolare e ai suoi sentimenti semplici: rimpianto, nostalgia, devozione patriottica o amorosa. Immenso successo tra i suoi contemporanei riscosse il poema orientaleggiante, misto di prosa e versi, Lalla Rookh (1817).

James Henry Leigh Hunt

James Henry Leigh Hunt (1784-1859), amico di Shelley e Keats, fu poeta, saggista e giornalista. Le sue poesie sono però di scarso valore e il più ambizioso poema narrativo The story of Rimini (1816), basato sulla storia di Paolo e Francesca, è ricordato soprattutto per la dubbia influenza sul giovane Keats. Di maggior interesse sono gli scritti in prosa e i saggi che apparvero nei vari giornali liberali che egli fondò o diresse in vari periodi della sua carriera: "The Examiner", "The Liberal" (con Byron), "The Indicator". Suo libro migliore è forse l'autobiografia (1850), che diede un notevole contributo alla storia letteraria del periodo.

Walter Savage Landor

Walter Savage Landor (1775-1864), nato a Warwick, vissuto per parecchi anni in Italia e morto a Firenze, fu poeta abbastanza pregevole. Scrisse poemi in latino su modelli classici, che poi tradusse in inglese. Le sue opere più importanti sono: Gebir (1798), un lungo poema epico d'argomento orientaleggiante, e The Hellenics (1847), una raccolta di racconti brevi o conversazioni immaginarie su temi tratti dalla mitologia greca, della quale Landor riesce a cogliere in modo sorprendente lo spirito. La sua fama, però, restò legata a componimenti brevi e occasionali, nei quali riuscì a concentrare in pochi versi sobria intensità, misura e precisione lapidaria, quasi in contrasto con l'afflato emotivo delle composizioni di Shelley e la nobile declamazione di quelle di Byron. Identica disciplina artistica appare nei saggi in prosa Imaginary conversations (Conversazioni immaginarie, 1824-54), una serie di circa centocinquanta dialoghi tra grandi figure storiche di tutte le epoche. La differenza tra lui e la maggior parte dei poeti e scrittori contemporanei risiede nella sua capacità di concentrare purezza ed energia d'espressione in una forma sempre disciplinata, che gli valse la definizione di "classico che scrive in un'età romantica".