I poeti della seconda generazione romantica: Byron, Shelley, Keats

Percy Bysshe Shelley

Percy Bysshe Shelley (1792-1822), animato da uno slancio lirico intensissimo e da un soggettivismo emotivo a volte esasperato, fu poeta dalle voci diverse e contrastanti. La sua poesia, fatta soprattutto di idee e costantemente proiettata verso dimensioni rarefatte, ha fatto di lui l'interprete per eccellenza del genio mistico e rivoluzionario, oltre che uno dei massimi rivendicatori della funzione profetica e oracolare del poeta.

La vita e le opere

Shelley nacque a Field Place House, vicino a Horsham, nel Sussex, da una famiglia aristocratica. Studiò a Eton e a Oxford, da dove fu espulso insieme all'amico T.J. Hogg per aver scritto l'opuscolo The necessity of atheism (La necessità dell'ateismo, 1811), influenzato dalle idee libertarie del filosofo William Godwin, che furono determinanti sulla sua formazione culturale e sulla sua fantasia di scrittore. I primi due romanzi Zastrozzi (1810) e St. Irvyne (1811) mostrano una tendenza al genere "gotico". Nell'agosto 1811 sposò, contro la volontà paterna, la sedicenne Harriet Westbrook; con lei condusse tre anni di vita vagabonda, durante i quali scrisse il primo poema, Queen Mab (La regina Mab, 1813), in cui rivelava la propria avversione per le istituzioni e l'odio contro i tiranni, l'ortodossia cristiana e le convenzioni della morale corrente. Il matrimonio, comunque destinato a naufragare per l'immaturità dei coniugi, si ruppe quando Shelley si innamorò della figlia di Godwin, Mary, e fuggì con lei sul Continente, regolarizzando poi l'unione nel 1816, dopo il suicidio della prima moglie, episodio tragico che lo tormentò per tutta la vita. Nel 1816 pubblicò il poemetto Alastor e nel 1818 il poema epico The revolt of Islam (La rivolta dell'Islam), The masque of anarchy (La mascherata dell'anarchia, postumo, 1832) e England in 1819 (L'Inghilterra nel 1819), liriche scritte sotto l'impressione del "massacro di Peterloo", causato dall'intervento dell'esercito contro gli operai e le operaie di Manchester che contestavano le leggi sul grano e chiedevano il suffragio universale. Nel 1818 Shelley e la moglie lasciarono l'Inghilterra per la Svizzera, dove incontrarono Byron; si stabilirono poi definitivamente in Italia, dimorando in varie località, tra cui Lucca, Este, Napoli, Roma, Firenze, Pisa e Lerici. Durante il soggiorno in Italia egli compose la sua poesia migliore: i drammi in versi The Cenci (I Cenci, 1819) e Prometheus unbound (Prometeo liberato, 1820); nel 1821 pubblicò la famosa elegia per la morte di Keats, Adonais (Adone), e il poemetto Epipsychidion, che cantava il tema dell'amore platonico e passionale ed era dedicato alla contessina Emilia Viviani. L'eccezionale produzione di questo periodo si espresse anche nelle liriche Lines written among the Euganean hills (Versi scritti sui colli Euganei, 1818), Stanzas written in dejection near Naples (Strofe scritte in un momento di sconforto vicino a Napoli, 1818), Ode to the west wind (Ode al vento dell'ovest, 1820), To the cloud (Alla nuvola, 1820), To a skylark (A un'allodola, 1820), The sensitive plant (La pianta sensitiva, 1820). Al periodo italiano appartengono anche i suoi migliori lavori in prosa, tra cui A defence of poetry (Difesa della poesia). Stava lavorando al poemetto in terza rima The triumph of life (Il trionfo della vita) quando morì annegato nel golfo di La Spezia, di ritorno da un viaggio a Livorno. Le sue ceneri vennero tumulate nel cimitero protestante di Roma, accanto alla tomba di Keats.

I capolavori

Tra il 1818 e il 1819 Shelley completò il Prometheus unbound, un dramma poetico in quattro atti in cui egli ricreava a modo suo il mito di Prometeo, rappresentando simbolicamente la vittoria dell'eroe greco su Giove come la vittoria finale dell'amore sull'odio, della libertà sulla tirannia e sull'oppressione. Nonostante alcuni difetti di struttura, l'opera contiene brani tra i migliori composti da Shelley, che esemplificano molti aspetti della sua personalità artistica. È evidente l'influsso del neoplatonismo: da Platone Shelley derivava la fede in una società governata dall'etica e dalla saggezza, l'idea della realtà come un'immagine illusoria e ingannevole della vera realtà dell'eternità e quella di un idealistico panteismo, ovvero l'aspirazione del singolo individuo di ritornare all'Uno.

Nella poesia Ode to the west wind (1820), scritta in terza rima e profondamente diversa dalle odi settecentesche, che sviluppavano un argomento logico in uno stile elevato, l'unità sta non nella logica delle idee, ma nell'interdipendenza tra le immagini e il sentimento che le genera. Tema centrale è quello della morte e della rinascita o, più precisamente, della nascita che segue la morte in un ciclo continuo in cui la vita trionfa. Le foglie morte preparano il terreno per la crescita dei semi, le "tombe" diventano quindi delle "culle", perché se l'inverno giunge, la primavera non può essere lontana. Il compito del poeta è quello di aiutare gli uomini nel loro cammino verso la libertà e la rigenerazione; la necessità urgente di un'azione è simboleggiata dal vento, che con la sua energia distrugge senza pietà tutto ciò che è vecchio e decadente.

La poetica

La poesia di Shelley è fatta soprattutto di idee ed è proiettata verso una dimensione rarefatta. Anche nell'opera in prosa Defence of poetry, scritta nel 1821 e pubblicata nel 1840, trovano spazio le sue convinzioni sulla natura e funzione della poesia: egli fa una difesa della poesia come mezzo di espressione dell'immaginazione. I poeti sono gli esseri dotati del massimo grado di immaginazione, con la quale possono realizzare la rappresentazione artistica. Se i poeti sono i "misconosciuti legislatori del mondo" per il legame tra bellezza e verità (e perciò promotori non solo delle arti, ma anche dell'ordine e dell'avvento della società civile), essi sono dotati della capacità di vedere oltre la realtà immediata e diventano anche profeti di una possibile riforma. Solo il poeta può stabilire un vero contatto con la realtà attraverso il linguaggio e trasmetterne il significato autentico. Shelley fu il solo vero poeta radicale tra i romantici inglesi, capace della massima idealizzazione visionaria della realtà. Egli sentì acutamente "l'inadeguatezza della condizione dell'uomo nei confronti delle sue idee" e la sua reazione non fu lo scetticismo satirico di Byron, ma una continua lotta per una rigenerazione morale dell'umanità. Si dichiarò ateo, materialista e riformatore sociale ma, se riformatore sociale fu veramente e rimase per tutta la vita, invece di ateismo e materialismo sarebbe più opportuno parlare di una vaga forma di panteismo.

Lo stile

Nella lirica di Shelley le immagini variano col variare degli stati d'animo e ciascuna trae origine da un preciso impulso emotivo. Animato da uno slancio lirico intensissimo e da un soggettivismo a volte esasperato fino all'ossessione, Shelley non sempre riesce a tradurre tutta la sua emotività in un'espressione adeguata, in un'intuizione concreta, e indugia talvolta nella rappresentazione fine a se stessa dei propri atteggiamenti spirituali, in stati d'animo languidi, misteriosi, estatici. Quando, invece, arriva a cogliere un'immagine precisa in cui trasferire l'idea o l'emozione, allora i suoi componimenti combinano un pathos sincero (anche se enfatico) con l'intensità delle immagini naturali, rappresentando al meglio un'epoca che propone la rivalutazione del sentimento e della natura.