John Coltrane

Ultimo autentico gigante apparso sulla scena del jazz, tanto da far battezzare gli anni seguiti alla sua scomparsa come "l'era post-coltraniana", John Coltrane (Hamlet, North Carolina 1926 - New York 1967) fu, come ha scritto Arrigo Polillo, un "singolare personaggio che passò con disinvoltura, nel giro di pochi giorni, dall'eroina alle tazze di acqua calda; che, senza abbandonare il suo timido sorriso, inventò una musica furibonda che sembrava volesse esplorare le leggi dell'universo; che leggeva Einstein e i sacri testi indù e parlava di filosofia con gli amici jazzmen (che lo ascoltavano allibiti)". Si avvicinò al clarinetto e al sax alto attorno ai tredici anni. Nel 1947 incontrò il coetaneo, ma ben più famoso, Miles Davis; nel 1949 entrò nella band e poi nel sestetto di Dizzy Gillespie.

Da Miles a Monk e ritorno

Convertitosi all'Islam durante l'esperienza con Gillespie, nel 1955 si sposò con una ragazza decisiva per il suo futuro: Juanita Grubbs, la celebre Naima ­ questo il suo nome musulmano ­ a cui è dedicata la sua composizione forse più toccante. Pochi giorni dopo il matrimonio entrò per la prima volta in sala d'incisione, come secondo fiato, con il quintetto di Miles Davis, col quale effettuò poi altre incisioni e continuò a suonare nei club. Nel 1956 Davis fu costretto a licenziare Coltrane per la sua dipendenza dagli stupefacenti. Il 1957 rappresentò per Coltrane l'"anno zero". Affrontò e vinse "naturalmente", prendendo per giorni solo acqua, la sua dipendenza dalla droga; si dedicò a letture mistiche e si avvicinò sempre più alle culture africane e orientali; musicalmente abbracciò i primi esperimenti modali, rielaborando moduli del raga indiano. Rigenerato, in primavera diresse le prime sedute d'incisione a proprio nome ed entrò nel quartetto di Thelonious Monk, al cui fiancò trovò stimoli fino a quel momento sconosciuti. La scrittura musicale di Monk, con i suoi inconfondibili accordi e le proverbiali sospensioni ritmiche, con il pianoforte che alternava silenzi carichi di pathos a riapparizioni improvvise, costituì un pungolo inesauribile per il suo già sensibilissimo orecchio armonico. Richiamato da Davis, contribuì alla realizzazione dello splendido Kind of Blue nella primavera del 1959. Nel corso dello stesso anno realizzò, inoltre, la sua prima opera d'eccellenza, Giant Steps. Fra i brani dell'album, ancora piuttosto brevi, spiccano: il morbido, dolente Naima, uno dei capolavori lirici del jazz moderno, dedicato alla moglie; Mister P.C., dedicato a Paul Chaambers, spina dorsale del trio ritmico; e soprattutto Giant Steps, una sorta di autodedica per i "passi da gigante" compiuti per giungere alla realizzazione di questo disco.

Musica religiosa?

Formò poi un quartetto (con S. Davis al contrabbasso, McCoy Tyner al piano ed E. Jones alla batteria) col quale incise album destinati a divenire pietre miliari del jazz moderno: il primo, My Favorite Things (1960), vendette 50 000 copie in un anno. Avvicendato S. Davis con il contrabassista Jimmy Garrison, questo quartetto memorabile rimase unito 6 anni. Adottando la tecnica modale, grosso modo sino al 1964, Coltrane si ricongiunse idealmente agli antenati africani e islamici: su un fondale ripetitivo, elementare e pure sottilmente variato, si lanciava in lunghissime perorazioni, dall'effetto ora esaltante, ora ipnotico. Agli inizi del 1965 incideva quello che viene per lo più indicato come il suo capolavoro assoluto, A Love Supreme, una suite in quattro movimenti che Coltrane registrò con i soli Tyner, Garrison e Jones. Nelle quattro parti di cui si compone (Acknowledgement, Resolution, Pursuance e Psalm: letteralmente, "ringraziamento" ­ ma anche "ammissione", "riconoscimento" ­ "risoluzione", "conseguimento" e "salmo"), A Love Supreme esprime, attraverso tracciati musicali di solidissima struttura e ispirazione, l'estremo afflato di Coltrane: il congiungimento, per il tramite della creazione artistica, con l'elemento divino. Nel giugno 1965 egli riunì negli studi della Impulse undici musicisti, il proprio quartetto più i trombettisti F. Hubbard e D. Johnson, i sassofonisti M. Brown, J. Tchicai, A. Shepp e P. Sanders e A. Davis, secondo contrabbasso, tutti coinvolti in un ambizioso progetto: un unico, esteso brano pressoché interamente aleatorio, in cui i musicisti improvvisarono in uno stato di totale libertà, sia uno per volta, sia collettivamente. Ne uscì un nuovo capolavoro, Ascension, un'altra opera basilare nella parabola creativa di Coltrane. Ancora un lavoro "religioso", ma di una religiosità intesa non quale gratitudine panteisticamente rivolta al mondo, bensì come invito alla divinità a interessarsi alle cose del mondo. Una sorta di rito apocalittico, orgiastico, sabbatico, propiziatorio; ma anche una via d'iniziazione, quella di Coltrane al free jazz. Ascension può essere perciò considerata l'autentica chiave di volta della parabola artistica di John Coltrane, ormai ufficialmente annesso alla pattuglia dei freemen.

Verso il nudo suono prima del silenzio

Alla fine del 1965 il quartetto divenne definitivamente un quintetto, in concomitanza con l'abbandono di E. Jones e McCoy Tyner, a cui subentrarono il batterista Rashied Alì e la seconda moglie di Coltrane, la pianista Alice McLeod, e con l'innesto stabile di P. Sanders. Il quintetto Coltrane realizzò le sue ultime incisioni live. Tra febbraio e marzo 1967 Coltrane, che ormai soffriva di lancinanti dolori per un tumore al fegato, firmò due dei suoi lavori più riusciti ed emblematici: Expressions, per la cui realizzazione ritornò alla formula del quartetto, e Interstellar Space, in duo col solo Rashied Alì. Con A Love Supreme e Ascension, Expressions va a completare un ideale trittico delle opere coltraniane più illuminanti. Nel brano To Be Coltrane, suonando eccezionalmente il flauto, scandaglia fondali oscuri, ipnotici, rarefatti, gravemente tesi. Anche i tre episodi col sax tenore confermano questo intento di congiunzione conclusiva col nudo suono, purificando la materia da qualsiasi incrostazione. Nei quattro duetti di Interstellar Space, nonostante la costante presenza dell'elemento ritmico-percussivo, non c'è più alcuno strumento melodico che non sia il sax tenore di Coltrane: solo canto, non di rado lacerato, e ritmo, un po' come a riunire idealmente, all'esaurirsi della propria parabola creativa, le più avanzate propaggini del jazz con le radici africane. Nel 1967 moriva il musicista che in soli sette anni di carriera era riuscito a mettere a soqquadro tutto il linguaggio del jazz.