(República Argentina). Stato dell'America Meridionale (2.780.400 km²). Capitale: Buenos Aires. Divisione amministrativa: province (24). Popolazione: 42.669.500 ab. (stima 2014). Lingua: spagnolo (ufficiale), guaicurú, quechua, tehuelce. Religione: cattolici 76%, non religiosi / atei 11%, protestanti 8%, musulmani 1,5%, ebrei 0,7%, altri 2,5%. Unità monetaria: peso argentino (100 centesimi). Indice di sviluppo umano: 0,808 (49° posto). Confini: Bolivia e Paraguay (N), Brasile e Uruguay (NE), oceano Atlantico (E), Cile (W). Membro di: MERCOSUR, OAS, ONU e WTO.

Generalità

Spesso identificato con la Pampa, grande regione pianeggiante suddivisa in Pampa umida o orientale (la pianura fertile lungo il fiume Paraná, tra Santa Fe e Buenos Aires), e Pampa occidentale (regione meno produttiva della prima), il territorio argentino ospita in realtà scenari differenti, come le Ande nordoccidentali, la “Mesopotamia argentina”, tra i fiumi Paraná e Uruguay e, a S, i desertici altopiani della Patagonia. La sua fisionomia appare più “europea” degli altri Paesi dell'America Latina, anche nello stesso paesaggio: le sue città e le sue campagne hanno come sfondo un ambiente temperato, largamente al di fuori di quella tropicalità che è caratteristica tipica delle altre regioni del subcontinente. Definitasi nei suoi confini attuali nel corso dell'Ottocento, grazie all'aristocrazia gaucha, questo immenso Paese che si estende per quasi 5000 km tra le Ande e la costa atlantica affermò, attraverso la lotta per la conquista dell'indipendenza e le successive guerre di espansione territoriale, non solo l'idea di una precisa vocazione unitaria a livello politico, ma anche e soprattutto a livello geografico. Terra di conquista per i colonizzatori europei, l'Argentina, dopo aver visto sterminate quasi completamente le popolazioni indigene, dalla metà del XIX sec. ha accolto un consistente flusso di emigranti dal Vecchio Continente, attirati dalla rivoluzione economica che diede slancio alla formazione di uno stato moderno, al punto che oggi più dell'80% della popolazione è costituita da discendenti di spagnoli e italiani. Tuttavia nel XX sec. lʼArgentina ha faticato a trovare stabilità politica e ha attraversato periodo bui. Dopo un periodo relativamente stabile sotto il regime militare-riformista di Juan Domingo Perón dal 1946 al 1955, il Paese fu governato da coalizioni instabili di civili o da giunte militari fino al colpo di stato del 1976 che depose il governo della moglie di Perón, María Estela Martínez de Perón, detta “Isabelita”, e che impose una durissima dittatura, terminata nel 1983. I governi successivi hanno cercato di togliere il Paese dalla crisi con più o meno fortuna, ma nel 2001 il collasso economico e le proteste popolari portarono alle dimissioni del governo. Attualmente è governato, al suo secondo mandato, da Cristina Fernández de Kirchner, moglie dellʼexpresidente neoperonista Néstor Kirchner.

Lo Stato

L'Argentina è una Repubblica federale di tipo presidenziale. In base alla Costituzione del 1853, più volte modificata, il potere esecutivo è affidato al capo dello Stato, che è anche capo del Governo e viene eletto a suffragio diretto. Con l'emendamento del 1994 il mandato presidenziale è stato ridotto a 4 anni e reso rinnovabile solo una volta. Il potere legislativo è affidato al Congresso Nazionale formato dalla Camera dei Deputati, i cui membri sono eletti a suffragio generale, e dal Senato, i cui membri sono invece scelti dagli organi rappresentativi delle varie province. L'ordinamento giudiziario dell'Argentina è basato sul sistema continentale europeo, con influenze di derivazione statunitense. In ciascuna provincia sono presenti una Corte Suprema e tribunali locali; l'organo federale principale è rappresentato dalla Corte Suprema. La pena di morte non è più in vigore per i reati ordinari. La difesa del Paese è affidata alle tre forze tradizionali: esercito, marina e aviazione; il servizio militare non è obbligatorio e l'età minima prevista per la leva volontaria è 18 anni. Dal 1884, l'istruzione nel Paese è laica e gratuita e la scolarità obbligatoria fra i 6 e i 14 anni. La lotta a favore dell'alfabetizzazione, condotta durante il governo di Perón attraverso piani quinquennali per la scuola (nonostante un rigido controllo statale delle istituzioni culturali) ha contribuito a ridurre in buona parte il tasso di analfabetismo, che è fra i più bassi dell'America Latina (2,3% nel 2008). Il sistema dell'istruzione è organizzato in insegnamento primario, che dura 7 anni e insegnamento secondario, che inizia a partire dai 12 anni d'età e dura 5 o 7 anni. L'insegnamento superiore è impartito invece in numerose università statali e provinciali (tra cui si ricordano Buenos Aires, 1821; Córdoba, 1613; La Plata, 1884; Rosario,1968; Tucumán, 1914) e private.

Territorio: morfologia

Dal punto di vista geomorfologico in Argentina predominano le pianure; data la vastità del territorio, sono naturalmente molto estese anche le zone montuose, corrispondenti al versante orientale delle Ande, che non è ripido e unitario, ma piuttosto smembrato e preceduto da un sistema montuoso (sistema preandino) o, meglio, da un ampio avampaese dalle forme generalmente dolci e monotone: si tratta dei più antichi piegamenti delle Ande a contatto diretto con le masse rigide e basali del continente. Queste masse formano il sostrato delle pianure argentine nonché della Patagonia, la lunga appendice meridionale del continente che si spinge sino allo stretto di Magellano al di là del quale è la montuosa Terra del Fuoco, di cui appartiene all'Argentina la sezione orientale. Il basamento cristallino affiora, con le sue rocce precambriane e paleozoiche antiche, solo in poche zone dell'Argentina e precisamente nella fascia dei rilievi preandini e sulle groppe montuose che precedono, ai margini delle pianure della Pampa, i tavolati patagonici, nella sezione settentrionale delle Ande, dove si sono verificate dislocazioni verticali di zolle rigide che oggi formano gli altopiani (posti a oltre 3000 m d'altezza) connessi alle alteterre cilene e boliviane. Altrove le formazioni arcaiche del substrato sono coperte da sedimentazioni mesozoiche, cenozoiche e recenti. Queste ultime, costituite da depositi sia alluvionali sia di materiale eolico, ricoprono tutte le pianure: a NE la cosiddetta Mesopotamia argentina, il bassopiano delimitato dai fiumi Uruguay e Paraná; a N il Gran Chaco, l'ampia pianura pedemontana tra i fiumi Pilcomayo e Salado percorsa dai pigri fiumi che scendono dalle Ande; infine la Pampa, l'immensa regione pianeggiante estesa dai rilievi preandini al mare, tra il Río de la Plata e il Paraná a N fino al Río Colorado a S, al di là del quale iniziano i tavolati della Patagonia. In tutta la sezione argentina delle Ande, morfologicamente assai varia, estese sono le formazioni vulcaniche e le masse intrusive, granitiche; queste ultime predominano nell'estremo tratto meridionale della catena, a S del Tronador (3491 m), caratterizzato da un'orografia piuttosto irregolare modellata dal glacialismo, con valli trasversali, depressioni tettoniche e numerosi bacini lacustri. La sezione centrale è la più erta ed è dominata dall'Aconcagua (6959 m), vertice del continente, e da altre montagne assai elevate, come il Mercedario (6769 m). Pochi e difficili sono i passi, tra i quali quello della Cumbre o del Bermejo. La sezione settentrionale è caratterizzata da maestosi coni vulcanici (Llullaillaco, 6739 m; Socompa, 6031; ecc.), che si innalzano al di sopra degli altopiani, denominati Puna de Atacama, cui si accede tramite le lunghe vallate longitudinali.

Territorio: idrografia

Dal punto di vista idrografico il territorio argentino è diviso tra il bacino del Río de la Plata-Paraná e, in piccola parte, i bacini autonomi dei fiumi che dalle Ande scendono direttamente all'Atlantico. Il bacino del Río de la Plata-Paraná è, dopo quello amazzonico, il più esteso dell'America Meridionale, interessando oltre 3 milioni di km². Esso è formato dal Paraná, che scende dagli altopiani brasiliani, dal Río Paraguay, che accoglie le acque di una vasta sezione tra lo spartiacque amazzonico e le Ande boliviane, infine dai fiumi andini (Río Salado, ecc.), che attraversano il Gran Chaco e le pianure pedemontane in direzione SSE, attratti là dove il bassopiano platense ha la sua maggior depressione: si origina così quel Río de la Plata che è al tempo stesso un estuario e una rientranza continentale di straordinaria ampiezza e al quale giunge anche l'Uruguay, che segna il confine dell'Argentina con l'omonimo Stato, di cui raccoglie le acque. Maestoso e dal corso maturo, il Paraná è navigabile e, con il Río Paraguay, forma una preziosa via di comunicazione del Paese. Dei fiumi andini che tributano direttamente all'Atlantico, il più importante è il Río Colorado; seguono i fiumi patagonici (Río Negro, Chubut, Deseado, ecc.) che hanno un corso pressoché parallelo, da W a E, e incidono i tavolati sedimentari della regione sfociando al mare con profondi estuari. Priva di deflusso al mare è però una vasta area del Paese corrispondente agli altopiani andini e alle zone più aride e di difficile drenaggio del Gran Chaco e della Pampa, dove i corsi d'acqua si perdono nelle salinas (conche coperte da incrostazioni di sale), nei bañados (acquitrini) e in altri bacini di transizione tra lago e salina, come la laguna Mar Chiquita. Laghi veri e propri, taluni dei quali anche di vasta area e celebri per le loro bellezze paesaggistiche (come il Nahuel Huapi, il Buenos Aires, il Viedma, l'Argentino) sono presenti nelle Ande patagoniche e hanno caratteristiche tipicamente alpine.

Territorio: clima

L'essere situata nella porzione più sottile dell'America Meridionale ha una forte incidenza sul clima dell'Argentina, che presenta perciò relativamente attenuati gli effetti della continentalità: di fatto la più peculiare (ed economicamente importante) area climatica dell'Argentina è quella centrale, pampeana, dal clima temperato, anche se in certe zone scarse sono le precipitazioni; data però la notevole estensione del Paese nel senso della latitudine (da 22º a 55º S), le condizioni variano sensibilmente tra il N e il S, passando da un clima tropicale o subtropicale nella Mesopotamia e nel Gran Chaco, con estati calde e inverni miti (media annua 18-20 ºC), a un clima di tipo oceanico freddo nella Patagonia, dove nel 1907 è stata registrata la temperatura record di -33 °C. Il clima della regione andina risente naturalmente anche dell'altitudine e presenta i caratteri tipicamente montani (forti escursioni termiche, inverni assai rigidi ecc.): nella Puna e in genere nelle Ande Settentrionali è accentuata l'aridità, tanto che, presso la località di Rivadavia, è stata registrata una temperatura di 48,9 °C, la più alta mai rilevata nel subcontinente, mentre piovosità assai abbondante si registra a S dove, per l'abbassarsi della catena andina e l'estremo assottigliarsi del territorio, prevale dovunque il clima oceanico. L'Argentina meridionale è l'unica area sottoposta all'azione dei venti del Pacifico, data la barriera altrove frapposta dalle Ande al loro passaggio; sul lato opposto la particolare direzione delle masse d'aria promosse dall'anticiclone dell'Atlantico meridionale fa sì che esso investa direttamente solo la parte più settentrionale del Paese. Qui infatti, a ridosso degli altopiani brasiliani, si verificano le precipitazioni più abbondanti, con massimi intorno ai 1800 mm annui; altrove si scende ai valori propri dei Paesi semiaridi o addirittura aridi, con una generale diminuzione procedendo da E verso W: così il Gran Chaco passa da oltre 1000 a 500 mm di precipitazioni, registrando nell'area occidentale un clima tipicamente tropicale, caratterizzato d'inverno da una lunga stagione secca. A clima subtropicale monsonico senza stagione asciutta è invece la striscia della Mesopotamia; nella Pampa si passa dai 1000 mm della costa (Pampa húmeda) ai 600 mm dell'interno (Pampa seca) dove si ha un clima temperato steppico, con estati assai calde e inverni miti. Subdesertica è la Patagonia, contraddistinta da inverni assai rigidi, escursioni termiche molto alte e precipitazioni tra i 200 e i 400 mm annui; procedendo verso S, sino a includere la Terra del Fuoco, le piogge aumentano per i citati influssi oceanici, mentre le temperature si abbassano sensibilmente (media annua di 5 ºC): qui il limite delle nevi perenni, che sulle Ande Settentrionali è a 5000-6000 m s.m., scende a 1000 m s.m. sullo stretto di Magellano. Per quanto riguarda la distribuzione delle precipitazioni si nota una tendenza delle isoiete ad assumere un andamento meridiano, caratteristico dell'America Meridionale e fondamentalmente dovuto all'orientamento della catena andina. L'anomalia è ancor più marcata se si considerano le isoterme, specie quelle di gennaio (cioè del mese più caldo): quella dei 15 ºC si sviluppa dall'estrema costa patagonica alla zona preandina di Tucumán. Nei mesi più freddi una certa continentalità rimuove l'anomala distribuzione delle temperature: espressione di ciò è il pampero, un vento freddo e secco che soffia da SW nella Pampa (un altro vento frequente nel Paese è il norte, caldo, che spira da N soprattutto d'estate). Sulle coste, specie quelle patagoniche, i valori medi sono mantenuti bassi dalla corrente fredda delle Falkland.

Territorio: geografia umana. Il popolamento

L'Argentina è il Paese americano che conserva meno tracce delle antiche popolazioni indigene, quasi totalmente sostituite dai bianchi. I primi abitatori dell'odierna Argentina giunsero in queste terre intorno a 10.000 anni fa; data la natura del territorio essi si caratterizzarono come popoli nomadi, dediti alla caccia, alla raccolta e alla pesca. All'arrivo degli spagnoli erano numerose le comunità indigene, in parte nomadi in parte sedentarie, dislocate in vaste aree del Paese: nel nord, al confine con Paraguay e Brasile, erano stanziati i guaraní, che i gesuiti accolsero nelle reducciones; nelle aree nordoccidentali i diaghiti, agricoltori che avevano sviluppato tecniche moderne per l'irrigazione e la coltivazione; nella Pampa i querandí e i puelche, abili cacciatori e raccoglitori; in Patagonia i tehuelche, anch'essi cacciatori nomadi; nella Terra del Fuoco diverse tribù raggruppate sotto il nome di fuegini, come gli halakwulùp, gli yamana e gli ona, questi ultimi affini ai tehuelche. La maggior parte di queste popolazioni fu sterminata dagli spagnoli, non senza aver opposto una strenua resistenza rallentando l'insediamento dei conquistatori, che dovettero tra l'altro ricostruire la città di Buenos Aires distrutta dagli indigeni. All'inizio del Duemila esistono alcune minoranze di guaraní nella provincia di Misiones, di altri gruppi più arcaici che un tempo occupavano la vasta area del Gran Chaco, come i wichí, e di mapuche, genti araucane stanziate in Patagonia (nelle province di Neuquén, Río Negro, Chubut). Molto attivi nella salvaguardia delle antiche tradizioni e nella difesa dei diritti dei nativi, i mapuche sono giunti allo scontro con i governi che hanno ignorato a lungo la questione indigena, rifiutando di riconoscere la preesistenza di questi popoli rispetto a quelli europei. Il 70% delle comunità non possiede i diritti sulle terre che abita ma di fatto occupa suolo pubblico con il consenso del governo. La Costituzione riconosce la preesistenza degli amerindi e l'Argentina aderisce al trattato 169 dell'ILO sui diritti dei popoli indigeni; le comunità e il governo centrale dialogano attraverso l'Ufficio Nazionale per gli Affari Indigeni e alcune province hanno una legislazione attenta alle richieste dei nativi. Tuttavia ancora molto resta da fare per il riconoscimento dei diritti collettivi sulle terre e sulla rappresentatività amministrativa delle assemblee delle tribù. Terra di grande attrazione anche per il clima e la ricchezza dei suoi suoli, l'Argentina cominciò a essere massicciamente popolata solo in epoca recente. In passato praticamente essa costituiva una terra di sbocco dei traffici che portavano alle zone minerarie (oro, argento) delle Ande; venuti meno i traffici di metalli preziosi, gli spagnoli cominciarono a sfruttare gli spazi liberi della Pampa, dove l'allevamento bovino ed equino trovò condizioni ideali. Le fortune dell'allevamento determinarono prosperità e benessere che, a partire dalla seconda metà del sec. XIX, suscitarono la grande immigrazione europea. Essa continuò per decenni, raggiungendo l'apice nel primo decennio del XX secolo. Nel 1869 la popolazione argentina era di 1,7 milioni di ab. e nel 1914 era già di 8 milioni; la crescita continuò ancora, seppure ben presto sostenuta anche dall'incremento naturale; nel 1936 vi erano 12 milioni di ab., più che triplicati alla fine del XX secolo. Al censimento del 2001 gli argentini risultavano 36.260.130 ab. ma le stime del 2013 parlano di oltre 42 milioni. L'incremento demografico, come anche il tasso di natalità hanno comunque registrato una progressiva diminuzione e si sono stabilizzati su valori inferiori a quelli medi sudamericani (rispettivamente 1% nel periodo 2000-2005 e 16,9‰ nel 2012). La composizione etnica vedeva, nel 2012, prevalere l'elemento europeo (86,4% della popolazione), seguito da quello meticcio (6,5%); gli amerindi rappresentavano il 3,4% della popolazione, gli arabi il 3,3% e altri 0,4%. Alla formazione del popolo argentino hanno contribuito soprattutto gli italiani e gli spagnoli, in misura minore tedeschi, francesi, slavi ecc. Cessata del tutto l'immigrazione europea, l'apporto del movimento migratorio è rappresentato da un sensibile flusso proveniente dai Paesi più poveri dell'America Latina, diretto prevalentemente verso le squallide periferie delle maggiori città (villas miserias) ed è quasi pareggiato dall'emigrazione, secondo un fenomeno di rimpatrio che è sempre stato caratteristico dell'Argentina. A partire dagli anni Ottanta del Novecento il Paese ha accolto poi alcune migliaia di rifugiati provenienti da Asia (Laos, Pakistan, Iraq, Armenia ecc.) e Africa (Nigeria, Congo, Sierra Leone ecc.), mentre dalla fine degli anni Novanta l'Argentina ha ricevuto i rifugiati colombiani che si sono riversati negli altri Paesi dell'America Latina. Nei primi anni del XXI secolo, in seguito alla grave crisi economica, una massiccia ondata migratoria ha portato circa 150.000 argentini verso Italia, Spagna e Stati Uniti.

Territorio: geografia umana. Densità e urbanizzazione

La densità media è bassa (15 ab./km²) e il Paese dimostra in tal senso notevoli capacità di contenimento. La distribuzione è molto irregolare: elevata è la concentrazione di popolazione nelle aree urbane, mentre la popolazione delle zone rurali è scesa al 9,9%. Solo intorno al Río de la Plata, cioè nella Pampa e nella sezione meridionale della pianura del Paraná (il Litoral) si hanno una distribuzione continua e una buona densità. Aree discontinue ma densamente popolate si hanno nei bacini e nelle valli preandine, come quella di Córdoba, di Tucumán, di Mendoza. Le zone a più bassa densità sono quelle della regione patagonica, dove le province si aggirano intorno agli 3 ab./km². In tutte le aree di più alta densità i valori sono accresciuti dal forte sviluppo dell'urbanesimo. Nelle città vive il 90,1% della popolazione argentina, uno dei tassi di urbanizzazione più elevati al mondo, persino esagerata se si pensa che il Paese non ha un'economia di tipo industriale: ciò è la conseguenza delle passate fortune economiche, che hanno formato una vasta borghesia e creato vivaci centri commerciali in funzione delle attività agricole e zootecniche. L'area metropolitana che negli ultimi anni del XX ha attirato il maggiore numero di persone è quella della Gran Buenos Aires il secondo conglomerato dell'America Latina; polo fondamentale di tutta l'organizzazione territoriale, essa concentra funzioni di servizi e importanti attività produttive ed esercita una profonda influenza non solo sul territorio argentino ma sull'intero bacino platense, sull'Uruguay e sul Paraguay. Intorno a Buenos Aires si stendono grossi centri (partidos: come La Plata) con i quali la capitale forma un'unica conurbazione. Aumenti demografici consistenti si sono avuti anche in altre città, spesso determinati da un'accresciuta offerta di lavoro, come nel caso di Mar del Plata, grande città turistica balneare, di Bahía Blanca, sede di importanti industrie, e di molti altri centri della Patagonia come Neuquén, Río Gallegos e Viedma, che nel giro di pochi anni hanno raddoppiato la propria popolazione. Poli urbani di notevole importanza, benché secondari rispetto a Buenos Aires, sono le città sul Paraná, tra cui in primo luogo Rosario, Santa Fe, Paraná ecc. Centro fondamentale, inferiore solo a Buenos Aires, è, nell'interno, Córdoba, la seconda città del Paese, con uno sviluppo industriale di particolare rilievo nonché centro culturale e sede di università. Funzioni più strettamente regionali hanno nuclei preandini come San Miguel de Tucumán e Mendoza, rinomato centro vitivinicolo, e quelle che sorgono, come sbocchi portuali, sulle coste patagoniche (Comodoro Rivadavia ecc.). Ushuaia, oltre a ricoprire le funzioni di capoluogo della provincia di Tierra del Fuego e di fiorente porto con rotte verso l'Antartide, è la città più meridionale del mondo.

Territorio: ambiente

Dalla varietà di condizioni climatiche deriva una notevole diversità di ambienti. Quello più caratteristico, più tipicamente argentino, è la Pampa, grande pianura erbosa, alimentata dalle piogge invernali, che verso l'interno più arido si fa steppica, ma in genere sempre su ricchi suoli agricoli adatti alla cerealicoltura. Nel nord subtropicale umido, il paesaggio fluviale è caratterizzato da lembi forestali dove si trova anche l'Ilex paraguariensis. Il Gran Chaco è un ambiente savanico, con palme e associazioni arboree di quebracho nelle aree più umide. La Patagonia è un'unica regione steppica, talora desertica, con vegetazione oasica raccolta lungo i fiumi. I primi rilievi andini presentano una vegetazione cespugliosa, xerofila (caratteristica l'associazione detta monte formata da Leguminose della sottofamiglia Mimosoideae). Sugli altopiani settentrionali si trova il desolato ambiente della puna e solo nella sezione più meridionale, oceanica, compare la foresta, con conifere e latifoglie, che crescono talora ai margini delle lingue glaciali. Nella Terra del Fuoco queste si spingono sino al mare, dato che, come si è detto, il limite delle nevi perenni in queste zone australi è molto basso. Anche la fauna è quanto mai varia. Nella Pampa i pochi cervidi rimasti sono confinati nelle zone più aride; numerosi invece sono roditori, donnole, furetti, volpi, guanachi, tapiri, armadilli e, fra gli uccelli, i nandù. Nel Gran Chaco vivono cebi e callitrici, vampiri, puma, giaguari, formichieri e armadilli. Nella Mesopotamia argentina numerose sono le scimmie, i serpenti, i giaguari e i tapiri. Nelle Ande caratteristici sono la vigogna, che vive solo oltre i 3500 m s.m., il guanaco, il lama, alcuni cervidi e il condor. Infine nella Patagonia, ricca di armadilli e guanachi, vivono roditori e pappagalli in gran numero, mentre sulle rive gelate della Terra del Fuoco si trovano uccelli antartici (pinguino di Magellano, albatro ecc.), elefanti marini e leoni di mare, mentre la fauna marina comprende otarie, balene, delfini. Analogamente ad altri Paesi altamente urbanizzati, l'Argentina soffre di problemi di inquinamento delle acque e dell'aria dovuti alle eccessive emissioni nocive. I governi negli ultimi anni si sono trovati, inoltre, ad affrontare la questione del disboscamento, che ha interessato specialmente le province del nord, in una nazione dove le foreste ricoprono complessivamente solo il 10,7%; tale problema si accosta a quello dell'impoverimento dei suoli causato dallo sfruttamento intensivo dei terreni per l'agricoltura e soprattutto per il pascolo. Nelle aree costiere delle province patagoniche la fuoriuscita di petrolio dalle navi di passaggio ha causato gravi danni all'ecosistema. Il Paese è tra i più attivi sostenitori delle politiche volte al monitoraggio del cambiamento climatico e alla promozione di programmi più attenti alla conservazione del pianeta. La prima legislazione argentina in tema di salvaguardia dell'ambiente risale agli anni Trenta del Novecento, quando fu creato il Sistema Nazionale di Aree Protette, in parte modificato negli anni Ottanta con l'istituzione dell'Amministrazione dei Parchi Nazionali, l'ente incaricato della tutela del patrimonio biologico e culturale di alcune località e specie animali e vegetali di importanza nazionale e internazionale. Il primo sito protetto argentino risale all'inizio Novecento: si tratta di una vasta area donata dall'esploratore Francisco P. Moreno al governo, ora compresa nel Parco Nazionale Nahuel Huapi. Le aree protette interessano il 6,6% del territorio nazionale e comprendono 29 parchi nazionali, diverse riserve nazionali e naturali e monumenti nazionali (tra cui alcune specie di interesse storico e scientifico come la balena franca australe o il giaguaro). Sono molto più numerosi però i parchi che non rientrano nel sistema nazionale ma hanno carattere provinciale (come la Riserva Faunistica della Penisola Valdés), municipale o privato. L'UNESCO ha dichiarato patrimonio naturale mondiale dell'umanità i seguenti siti argentini: il Parco Nazionale Los Glaciares (1981) istituito come luogo protetto per la prima volta nel 1937 in un'area di oltre 726.900 ettari compresa tra 200 e 3375 m s.m., formata da numerosi ghiacciai del blocco patagonico; il Parco Nazionale Iguazú (1984), situato nella provincia di Misiones e attiguo al parco brasiliano, per un totale di 55.000 ettari intorno alle cascate omonime; la Penisola Valdés (1999), una riserva di 360.000 ettari costituita nel 1983 e volta alla tutela di mammiferi marini in pericolo, come le balene australi, ma anche di altri animali come orche, elefanti marini, leoni marini e vari uccelli migratori; i Parchi Naturali di Talampaya-Ischigualasto (2000) di grande interesse geologico poiché contengono un'eccezionale quantità di reperti fossili del Triassico, due siti protetti istituiti negli anni Settanta tra le province di San Juan e La Rioja per un totale di oltre 275.000 ettari.

Economia: generalità

L'economia dell'Argentina ha seguito un percorso di sviluppo tipicamente latino-americano, anche se complessivamente più fortunato a causa di vari fattori. All'inizio l'allevamento ha fornito soprattutto pelli e cuoiami (limitata era invece la produzione di carni, lavorate localmente in grandi saladeros); nella seconda metà del XIX sec. l'invenzione delle celle frigorifere e la loro introduzione sulle navi hanno consentito uno sfruttamento ben più redditizio dell'attività zootecnica, grazie all'esportazione delle carni in Europa. Ben presto l'Argentina è diventata un grande Paese esportatore: all'azione avventurosa e pionieristica del gauchos si è sostituita una complessa organizzazione produttiva e commerciale che ha portato benessere nel Paese, consentito il formarsi di un solido urbanesimo (sempre centrato fondamentalmente su Buenos Aires) e permesso la creazione di strade, ferrovie e porti. Importanti sono stati in questa fase anche gli investimenti stranieri, specie britannici. Nel contempo si è sviluppata anche l'agricoltura, che si è rivelata altrettanto redditizia (soprattutto nel settore granario), sollecitata dalle richieste del crescente urbanesimo. Le attività agricole hanno occupato dapprima le terre pampeane spingendosi poi nell'interno, nelle pianure del Paraná, nelle conche e nelle vallate preandine. Malgrado le inevitabili flessioni dovute a fattori contingenti e all'imporsi sul mercato mondiale di altri Paesi produttori di carni e cereali (Stati Uniti e Canada soprattutto), l'economia argentina non è mai stata diversificata, in quanto la borghesia locale si riteneva paga e sicura di un genere di attività che manteneva un rapporto costante con l'Europa e sembrava garantire all'Argentina inalterabili possibilità. Una prima industrializzazione è stata avviata solo durante l'ultima guerra, grazie alle crescenti richieste di grano e carni provenienti dall'Europa, i cui proventi potevano essere reinvestiti nelle industrie. A stimolare tale processo è intervenuto successivamente il regime di Perón, il quale però con la sua politica nazionalistica e piuttosto demagogica ha finito per mandare in crisi tutta l'economia. Nel decennio 1960-70 si è registrato tuttavia una notevole crescita del prodotto nazionale (6-7% annuo); ma il potenziamento dell'industria, che pur si andava realizzando anche perché poteva contare su notevoli risorse naturali e su infrastrutture di livello europeo, ha dovuto fare i conti con la contraddizione di fondo dell'Argentina, vale a dire, da un lato, la presenza di un mercato interno troppo ristretto per poter assorbire la propria produzione manifatturiera e dall'altro, l'incapacità di proporsi sul mercato internazionale come Paese industriale altamente avanzato. La gravissima crisi economica mondiale del 1973 ha avuto immediate ripercussioni in Argentina, provocando la salita dei prezzi dei prodotti industriali di cui il Paese necessitava, mentre contestualmente la CEE operava pesanti tagli all'importazione delle carni e degli altri prodotti agricoli e zootecnici, facendo registrare tassi di inflazione del 500% e persino del 900% nel 1976. Parallelamente si registravano il crollo della produzione industriale, la drastica caduta degli investimenti stranieri e una massiccia fuga dei capitali verso l'estero. Sembravano dunque poste tutte le premesse per il colpo di stato del 1976, che ha consentito ai militari di mantenere il potere fino al 1983. Il vertiginoso aumento del costo della vita, limitato fra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta dall'adozione di una rigorosa politica di austerità e grazie all'aumentata estrazione del petrolio, ha ripreso a crescere in conseguenza delle spese sostenute per la guerra delle Falkland (1982) e in seguito al peggioramento dei termini di scambio (in primo luogo, dovuti alla caduta dei prezzi delle materie prime). Complessivamente, dalla fine degli anni Settanta e per tutto il decennio successivo, il tasso d'inflazione si è mantenuto costantemente al di sopra del 100%; l'andamento del prodotto interno lordo si è mostrato negativo (–0,2% annuo) e il reddito medio pro capite (2370 $ nel 1987), benché uno dei più elevati tra i Paesi dell'America Latina, è diminuito in termini reali del 2% annuo. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta l'Argentina ha attraversato un lungo periodo di incertezza, caratterizzato da un elevato tasso di inflazione, da un pesante indebitamento estero e da un netto calo della produttività. Negli anni successivi il governo ha promosso numerose riforme economiche, che hanno portato alla privatizzazione delle imprese pubbliche, alla riduzione delle barriere doganali e all'apertura ai mercati internazionali (nel 1995 è entrato in vigore il MERCOSUR), mantenendo nel contempo una ferrea parità del peso con il dollaro. Gli anni Novanta sono stati anche il decennio in cui si sono concentrate le tre maggiori crisi dell'economia argentina, che hanno reso evidente quanto la fragilità interna del Paese fosse legata anche ai rapidi processi di liberalizzazione e apertura verso i mercati internazionali, responsabili di un'eccessiva esposizione economica alle perturbazioni provenienti dall'esterno, in particolare la crisi finanziaria del Messico avvenuta nel 1995, il crollo delle borse asiatiche nel 1997-98 e la crisi economico-finanziaria del Brasile generata dalla svalutazione del real nel 1999. Se l'andamento finanziario del Messico ha infatti danneggiato l'economia finanziaria argentina, provocando un massiccio ritiro di capitali degli investitori, una diminuzione dei depositi bancari di circa il 20%, il fallimento di numerosi istituti di credito medio-piccoli e un drammatico aumento della disoccupazione con punte del 17%), il Paese ha saputo reagire in breve tempo, assistendo a un rapido periodo di ripresa, coinciso con incrementi di produttività, aumento delle esportazioni e riassorbimento di una quota notevole di lavoratori. La cisi asiatica invece, estesasi a tutti i mercati dell'area, ha determinato un periodo di recessione e un vertiginoso aumento dei tassi di interesse, senza tuttavia determinare la caduta della domanda interna. La vera catastrofe si è verificata in concomitanza con la crisi brasiliana, che ha originato un flusso imponente di importazioni dal paese vicino e un contestuale flusso di esportazioni, a cui ha fatto seguito un aumento del deficit della bilancia verso l'estero e, naturalmente, un calo di produttività industriale. Le ripercussioni immediate sono state arginate da alcuni provvedimenti governativi, dalla stabilità monetaria alla riforma fiscale e lavorativa, all'aumento della flessibilità del mercato del lavoro a una più efficace riscossione delle tasse. Tuttavia, la forzosa parità del peso argentino con il dollaro ha aggravato in breve tempo la situazione economica, generando una nuova ondata di crisi: il paese ha così dovuto fare ricorso al FMI e attribuire poteri straordinari al governo (soprattutto in materia di tagli per recuperare fondi). Nel 2001, il congelamento dei depositi bancari, predisposto per impedire una eccessiva fuga di capitali verso l'estero, ha fatto esplodere la protesta nelle piazze, dove si sono verificati scioperi, saccheggi e scontri con la polizia e l'esercito e alla fine dei quali il presidente argentino de la Rúa si è visto costretto alle dimissioni. Nel corso degli anni successivi, in cui si sono avvicendati ben 4 presidenti, il governo ha tentato la strada della rivalutazione del peso (slegato definitivamente dal dollaro nel 2002), congelando i debiti verso l'estero. Dopo due anni di grave instabilità, nel 2003 il governo è riuscito a recuperare la fiducia della comunità internazionale e a trovare una soluzione alla crisi. Sono stati varati una serie di interventi quali la rinegoziazione del prestito del FMI, la lotta alla fame, il rilancio del MERCOSUR e la partecipazione alla Comunità Sudamericana delle Nazioni. A essere messa sotto accusa, è stata in prima analisi la parità di cambio con il dollaro. Il perdurante legame tra la moneta nazionale e il dollaro statunitense si era rivelato infatti controproducente, sulla distanza, dal momento che le economie dei Paesi interessati non erano per nulla integrate. L'Argentina, nei fatti, mostrava di avere un sistema relativamente chiuso, che si rivolgeva a un ventaglio di partner che comprendeva oltre agli Stati Uniti, anche altri Paesi, contrariamente a quanto era successo per tutti gli altri Stati che avevano scelto di “dollarizzare” le loro monete (come l'Ecuador o El Salvador). Ma responsabilità forti per il fallimento economico dell'Argentina sono state, inoltre, imputate alla classe dirigente interna, incapace di creare un patto sociale che fosse garante della stabilità istituzionale e che nel contempo promuovesse politiche economiche prudenti e lungimiranti. Gli effetti di questa crisi si sono riverberati in modo forte soprattutto sui percettori di reddito fisso, vale a dire sulle classi medie e medio-basse, travolte dall'inflazione e dalla disoccupazione, manifestandosi in particolar modo nel contesto urbano, dove gli squilibri erano più marcati e la distanza tra ricchi e poveri più profonda. A essere colpita è stata innanzitutto la capitale Buenos Aires, dilaniata dall'emergere di una criminalità sempre più aggressiva, ma via via l'onda ha investito anche le aree deboli e periferiche, rendendo ancor più evidente il divario tra la regione andina, il Gran Chaco e la Pampa occidentale rispetto alle regioni economicamente più evolute. Tuttavia, nel biennio 2005-2008 si è assistito a una nuova impennata dei tassi di crescita del PIL (8,5% nel 2006, nel 2009 ha raggiunto un valore nazionale pari a 310.065 ml $ USA e un PIL pro capite di 7.726 $ USA), grazie soprattutto alla vitalità ritrovata di settori quali l'edilizia e l'industria meccanica nonché all'aumento dei consumi privati; altri comparti che hanno registrato un notevole sviluppo sono stati l'agricoltura e il turismo. Nel 2006, inoltre, il governo è riuscito a saldare il debito per il periodo 2006-2008 con l'FMI. Sono rimasti tuttavia notevoli gli squilibri tra le varie regioni del Paese, sia per quanto riguarda le attività economiche, sia per quanto riguarda i trasporti e le infrastrutture: nelle province di Buenos Aires, Córdoba e Santa Fe (che insieme interessano un quinto del territorio), sono concentrati i due terzi della popolazione, l'80% della produzione industriale e il 90% di quella agricola; mentre in alcune province della Patagonia, del Noroeste e del Nordeste vi sono alte percentuali di cittadini che vivono sotto la soglia di povertà. Tali differenze acuiscono i contrasti tra il governo centrale e le regioni meno sviluppate. L'inflazione resta elevata (8,6% nel 2008), mentre è sceso il tasso di disoccupazione, passando dal 20,8% del 2002 all'8% del 2008. Restano da sanare inoltre anche le situazioni debitorie nei confronti dei Paesi appartenenti al Club di Parigi (i governi dei Paesi industriali) a cui il Paese deve oltre 6 mld $ USA e nei confronti dei possessori di titoli (i cosidetti tango bond) dal valore nominale di circa 20 mld $ USA, che non sono stati scambiati nel piano di riconversione del 2005, seguito all'insolvenza del 2001.

Economia: agricoltura, foreste, allevamento e pesca

Per quanto riguarda le attività produttive, il settore primario occupa ancora un ruolo importante nell'economia argentina, favorito dall'estensione e dalla fertilità del suolo, oltre che dall'adozione di tecniche di coltivazione moderne. Tuttavia, in conseguenza dei forti divari nella produttività delle diverse regioni e in seguito a un calo del settore, contribuisce per meno del 10% alla formazione del PIL e occupa appena l'1,3% della forza lavoro. Solo un decimo del territorio è dedicato all'arativo; le province più fertili sono quelle della regione Pampeana, di Tucumán, mentre poco o per nulla adatte alla coltivazione sono la zona centrosettentrionale della Cordigliera delle Ande e la Patagonia. La politica di sostegno agricolo ha determinato un'estensione e una diversificazione delle colture e sono aumentate le produzioni frutticole e oleaginose; grazie alla scarsità della popolazione, inoltre, circa la metà della produzione cerealicola è dedicata all'esportazione. La soia (di cui il Paese è il terzo produttore a livello mondiale, con 38 milioni di t prodotte nel 2005, in parte OGM) è la principale coltura dell'Argentina, e la sua produzione continua a crescere. Tra le cerealicole prevale il frumento (particolarmente diffuso nella provincia di Buenos Aires), seguito dal mais (a Buenos Aires, Santa Fe, Córdoba), dal sorgo e dall'orzo. Il lino e il girasole sono coltivati nelle province di Buenos Aires, Entre Ríos, Santa Fe, Córdoba; il cotone nel Gran Chaco; il tabacco e il tè nelle province di Corrientes, Misiones, Salta, Jujuy; la canna da zucchero nella provincia di Tucumán; la frutta (mele, pesche e pere) nelle province di Mendoza, San Juan, Río Negro, La Rioja; la viticoltura è un settore in pieno sviluppo (l'Argentina era, nel 2007, infatti il quinto produttore di vino a livello mondiale) e ha suscitato l'interesse degli investitori stranieri. §Importante è anche il patrimonio forestale, che occupa circa il 12% del territorio (per la maggior parte situato nella zona del Nordeste), dove si trovano legnami pregiati quali cedro, palissandro, jaracanda e quebracho. § L'allevamento, anche se in calo rispetto agli anni Ottanta, continua a rappresentare un'attività fondamentale nell'ambito del settore primario, praticato in forma estensiva prevalentemente nella Pampa (bovini, cavalli) e in Patagonia (ovini, caprini): l'Argentina è uno dei maggiori produttori mondiali di carne, latte, burro, formaggi e lana (per quest'ultima, in particolare, si colloca al quinto posto a livello mondiale tra i Paesi produttori). Tuttavia, nonostante il miglioramento dei controlli sanitari, il patrimonio bovino argentino nel 2001 è stato colpito da un'epidemia di afta epizootica e ciò ha comportato l'arresto delle importazioni da parte di numerosi Paesi (fra i quali Stati Uniti e Giappone), con gravi ripercussioni economiche per gli allevatori argentini. Le esportazioni sono migliorate quando il Paese è stato dichiarato indenne da afta epizootica tramite vaccinazione. In continuo decremento è il patrimonio ovino: dal 1900, il Paese è passato da circa 66 milioni di capi a meno di 13 milioni nel 2005. § Nonostante la ricchezza delle acque, la pesca non ha avuto particolare sviluppo a causa della mancanza di buoni porti lungo la costa della Patagonia e di una flotta peschereccia adeguatamente attrezzata; solo alla fine del Novecento la produzione di pescato è cresciuta, grazie al miglioramento delle infrastrutture.

Economia: industria e risorse minerarie

L'industria argentina è la più diversificata dell'America Latina. I principali impianti nazionali si concentrano ancora nella regione metropolitana di Buenos Aires e, in misura minore, a Santa Fe e Córdoba. Nel 2000-2003 il settore ha, però, subito una rilevante crisi e, nella sola area di Buenos Aires, sono state chiuse quasi la metà delle fabbriche (40%), principalmente di medie dimensioni. Tra le industrie del comparto manifatturiero, sono particolarmente importanti quelle tessili e agroalimentari (tra cui primeggiano gli impianti di lavorazione della carne, degli oli commestibili, del pomodoro e i pastifici – per cui eccelle la città di San Francisco –, seguiti da zuccherifici e birrifici). Sono presenti inoltre una ventina di raffinerie di petrolio situate lungo il corso del Río de la Plata (La Plata, Campana, Avellaneda, Dock Sud e San Lorenzo), a Bahía Blanca, a Puerto Galván e nei luoghi di estrazione (Comodoro Rivadavia, Luján de Cuyo, Campo Durán e Plaza Huincul). A Córdoba e Rosario sono localizzate delle industrie chimiche, mentre nelle province di Buenos Aires (Sierras Bayas), Córdoba e Mendoza vi sono impianti per la produzione del cemento. Nel comparto siderurgico e metallurgico, vi sono acciaierie, impianti per la produzione di piombo, zinco e alluminio. Nel comparto meccanico, vi sono industrie che producono aeroplani, trattori e autoveicoli, materiale ferroviario, materiali per l'industria petrolifera, macchine per ufficio e cantieri navali. Importanti sono ancora l'industria automobilistica (a Córdoba, Forja, Ferreyra, Buenos Aires, Barrancas e La Boca) e quella della gomma (che ha il suo centro principale a Córdoba). § Il Paese possiede considerevoli risorse minerarie: si estraggono carbone (a Río Turbio), argento, oro, rame, stagno, ferro, manganese e uranio (nella Sierra Pintada). È soprattutto in campo energetico, tuttavia, che l'Argentina è particolarmente dotata. Importante è l'estrazione del petrolio che, oltre a soddisfare la domanda interna, favorisce la crescita industriale. Nel corso dell'ultimo decennio del XX sec. il Paese ha profondamente trasformato la propria industria petrolifera e del gas naturale, passando da una condizione di relativa autosufficienza a quella di esportatore, divenendo pressoché del tutto autosufficiente in campo energetico. Circa un terzo del petrolio proviene dal giacimento di Comodoro Rivadavia (prov. di Chubut), il resto è estratto dai pozzi delle province di Santa Cruz, Neuquén, Río Negro, Salta, Mendoza e nella Terra del Fuoco. Importanti sono gli oleodotti Campo Durán-San Lorenzo (1489 km) e Puerto Rosales-La Plata. In aumento è la produzione di gas naturale, trasportato ai terminali da tre gasdotti: dai giacimenti di Comodoro Rivadavia a Llavallol, nei pressi di Buenos Aires (1604 km), da Plaza Huincul a Neuquén-General Conesa (462 km), da Pico Truncado a Buenos Aires (1690 km). Sul piano energetico, inoltre, è rilevante la ricchezza idrica, che alimenta gli impianti idroelettrici di Ycyretá, sul Paraná e quello di Piedra del Aguila sul Limay. Nel febbraio 2001, inoltre, il colosso tedesco dell'energia eolica, Enercon, ha installato in Patagonia due enormi turbine. Nel Paese vi sono, infine, alcune centrali nucleari. Complessivamente, il settore secondario partecipa per il 35,6% alla formazione del PIL e occupa un quinto della popolazione attiva.

Economia: commercio, comunicazione e turismo

Il terziario rappresenta il principale settore economico del Paese, contribuendo per il 55,3% alla formazione del PIL e occupando più dei due terzi della forza lavoro. Per quanto riguarda il commercio internazionale, il Brasile rappresenta (2006) la principale fonte di importazioni (quasi un terzo) e il maggiore mercato delle esportazioni argentine (17,5%). Altri partner commerciali sono Cina e USA, seguiti da Cile e Spagna per l'export e Germania per l'import. L'Argentina è uno dei maggiori esportatori di prodotti agricoli e derivati, tra cui soia, mais e frumento (di cui è, rispettivamente, il terzo e il quinto Paese esportatore a livello mondiale), cui seguono carne, petrolio, gas, minerali e mezzi di trasporto ecc.; mentre importa principalmente beni d'investimento e semilavorati. § Le privatizzazioni degli anni Novanta hanno consentito un miglioramento del sistema ferroviario, del trasporto aereo e delle telecomunicazioni, tuttavia la distribuzione delle infrastrutture di trasporto continua a riflettere gli squilibri economici delle varie regioni (ad esempio, le vie di comunicazione sono molto scarse in Patagonia). La rete stradale argentina si sviluppava per circa 229.000 km, di cui 68.730 km asfaltati, nel 2004, mentre quella ferroviaria, a scartamento non uniforme e interamente privatizzata, si estendevq per quasi 31.000 km. Il maggior numero di linee si addensa nelle province centrali e i principali tronchi fanno capo a Buenos Aires (aeroporto di Ezeiza). Altre sedi aeroportuali del Paese sono quelle di Córdoba, Corrientes, Mar del Plata, Mendoza, Rosario, Salta, Comodoro Rivadavia e Jujuy. Porti principali sono quelli di Buenos Aires, Bahía Blanca, Rosario, Santa Fe, San Nicolás, La Plata e Quequén. § Il turismo riveste un notevole rilievo nell'economia argentina, grazie anche allo sviluppo delle infrastrutture ricettive e delle comunicazioni, che consentono di soggiornare anche in regioni un tempo isolate ma di eccezionale bellezza: principali mete sono i paesaggi andini, le spiagge atlantiche, le cascate dell'Iguazú, la Terra del Fuoco e la Patagonia; i visitatori provengono soprattutto dall'America del Nord, ma anche dagli altri Paesi dell'America Latina e dall'Europa.

Preistoria

Secondo l'opinione dominante, i più antichi gruppi umani giunsero in Argentina verso il VII millennio, provenienti dalle regioni più settentrionali, raggiunte a loro volta da genti dell'America Settentrionale. Queste popolazioni erano dedite in prevalenza alla caccia, che praticavano usando, fra l'altro, punte litiche a forma di foglia, di cui si sono trovati esemplari ad Ayampitin e in altri siti come per esempio Intihuasi, i cui livelli più antichi sono datati 8065±95 e 7970±100 anni fa. Alcuni millenni più tardi andarono diffondendosi anche in Argentina l'agricoltura, la cui zona d'origine s'individua nel Messico, e, quasi parallelamente, l'impiego della ceramica, con usanze che si protrassero a lungo sino ai tempi protostorici.

Storia: dalla conquista all'indipendenza

Il nome di Argentina deriva dal poema secentesco La Argentina di Martín del Barco Centenera, che lo aveva introdotto riprendendo una convinzione popolare: la constatazione che i Guaraní portavano anelli e collane d'argento aveva infatti indotto a ritenere che i grandi fiumi celassero favolosi depositi di minerali preziosi. La regione era abitata, prima dell'intervento europeo, da Indios di ceppi diversi: i Quechua a N, i Tola e i Mataco nel Gran Chaco, i Guaraní lungo il bacino del fiume Plata, i Querandí intorno a Buenos Aires, i Puelche nella Pampa, i Patagoni (o Tehuelche) nella Patagonia, i Fuegini nella Terra del Fuoco; popolazioni in prevalenza primitive e nella maggioranza nomadi, tra le quali solo i Quechua avevano raggiunto un certo grado di civiltà. Tutti comunque opposero una tenace resistenza alla penetrazione spagnola e ritardarono considerevolmente la colonizzazione. Juan Díaz de Solís, il primo conquistador arrivato all'estuario del Río de la Plata (1516), fu ucciso poco dopo lo sbarco dagli indigeni; l'esplorazione tuttavia continuò grazie ad Alejo García, Sebastiano Caboto, Diego García, Francisco César. Ferdinando Magellano esplorò la zona nel 1520, ma solo nel 1535 Pedro de Mendoza, alla testa di ca. 2500 uomini, diede inizio alla vera e propria conquista del Paese fondando una città-fortilizio, Santa María de los Buenos Aires, che avrebbe dovuto permettere arroccamenti difensivi nel caso di assalti degli Indios e offrire una base per successivi balzi in avanti. Nonostante la distruzione della città da parte degli Indios, Juan de Ayolas e Domingo Martínez de Irala proseguirono le esplorazioni e costruirono il forte di Asunción. Altre spedizioni, partite dalle coste del Pacifico (Perú e Cile), ebbero come conseguenza la fondazione di Santiago del Estero (1553), Tucumán (1565), Córdoba (1573), Santa Fe (1573). Nel 1580 Juan de Garay riedificò Buenos Aires, che undici anni dopo fu proclamata capitale del Territorio del Plata. Il complesso dei possedimenti spagnoli nella regione fu posto dalle autorità iberiche alle dipendenze del governatorato di Asunción, nel quadro del Vicereame di Lima, finché nel 1617, cresciuti gli interessi locali, l'Argentina ebbe, pur sempre nell'ambito del Vicereame del Perú, un proprio governatore con sede a Buenos Aires. Intanto la Pampa aveva cominciato a svelare come la vera ricchezza della regione fosse da cercarsi nella possibilità di sviluppo agricolo (produzione di cereali e allevamento del bestiame). Si costituirono così ben presto gruppi privilegiati (gli hacendados) che non tardarono a divenire i veri padroni della colonia. Fu dall'entroterra che cominciò a emergere, già sul finire del sec. XVII ma in particolare agli inizi del XVIII, la figura tipica del gaucho: una specie di cow-boy autoctono, che viveva libero da ogni vincolo politico e stipulava soltanto accordi con gli hacendados e che, elemento determinante della colonizzazione, non tardò a venire in urto con gli interessi degli abitanti della costa (Buenos Aires), dove risiedeva l'autorità centrale. Il conflitto con la costa, acuito dal fatto che gauchos e hacendados avevano bisogno, in modo sempre più pressante, di sbocchi sul Plata dove c'era, da parte dei residenti, una sempre più netta pretesa di controllo e di predominio, condizionò l'intero fluire della storia argentina di cui costituì, insieme al problema dei rapporti con l'impero portoghese del Brasile, un elemento costante. In seguito alle scorrerie dei pionieri di San Paolo (i bandeirantes), impegnati nella ricerca di nuove terre da colonizzare e di Indios da schiavizzare, sorsero i primi dissidi tra Spagna e Portogallo; le guarnigioni spagnole dell'estuario e i gesuiti delle missioni del Paraguay riuscirono a ricacciare i bandeirantes ma non poterono impedire l'infiltrazione dovuta all'arrivo di mercanti che con una fittissima rete di contrabbando cominciarono a trafficare con Buenos Aires. Per meglio organizzare il commercio essi fondarono sulla costa della Banda Oriental (il moderno Uruguay) la località di Colonia che divenne più tardi, mentre il contrabbando prosperava, pomo di discordia fra Spagna e Portogallo tanto che il problema della città si inserì persino nelle trame politico-diplomatiche dei conflitti europei del sec. XVIII. Dopo alterne vicissitudini, e con il favore dell'Inghilterra e della Francia, il Portogallo si vide assegnare Colonia nel 1737. I creoli di Buenos Aires ne furono indignati e accusarono Madrid di non averli saputi difendere. Il malessere durò a lungo tanto che, per prevenire lo scoppio di una vera rivolta, Carlo III di Spagna elevò nel 1776 Buenos Aires al rango di capitale del nuovo Vicereame del Plata, comprensivo di Argentina, Uruguay, Paraguay e della Bolivia. Il viceré Pedro Ceballos l'anno seguente occupò Colonia e perfezionò l'assestamento spagnolo nella Banda Oriental. Sempre nel 1777, quale ulteriore concessione ai creoli argentini, i porti di Buenos Aires e Montevideo vennero aperti al commercio internazionale. La nuova situazione, che favorì i porteños (abitanti di Buenos Aires) provocando di riflesso una maggiore tensione nei rapporti con i gauchos, accese nei cittadini bonaerensi l'esigenza di una maggiore autonomia politica; i fermenti si acuirono quando in Europa divampò l'incendio napoleonico. In questa situazione gli Inglesi tentarono, sbarcando truppe a Buenos Aires (26 giugno 1806), di procurarsi sul continente americano nuove basi (dopo la perdita, in seguito all'indipendenza degli Stati Uniti, delle colonie del nord) che avrebbero dovuto servire da centri di rifornimento e di sbocco per l'economia britannica, messa in crisi dalle guerre contro Napoleone. Dopo un apparente successo iniziale, lo sbarco inglese provocò la reazione dei porteños che, organizzatisi, riuscirono in pochi mesi a respingere gli invasori; ugualmente infruttuosa fu una seconda spedizione inviata da Londra nel giugno 1807. Le vicende della Spagna, dove Ferdinando VII era stato detronizzato, provocarono una nuova reazione a Buenos Aires: i cittadini si radunarono in cabildo abierto e il 25 maggio 1810 concordarono la nomina di una giunta provvisoria delle Province Unite del Río de la Plata, che avrebbe governato ancora in nome del re e di cui erano membri Cornelio Saavedra (presidente), Mariano Moreno, Manuel Belgrano e Bernardino Rivadavia. La decisione, prontamente avversata dai provincianos dell'interno (hacendados e gauchos), che non vedevano di buon occhio il sorgere a Buenos Aires di un'autorità centrale dotata di poteri autonomi, risvegliò istanze separatistiche in Paraguay, in Bolivia e nella Banda Oriental. Il Paraguay si proclamò indipendente nel 1811; si era nel frattempo scatenata anche la reazione spagnola, alla quale facevano riscontro le gesta dell'esercito guidato dal generale José de San Martín, e nel 1816, traendo profitto dalle difficoltà della situazione, il Brasile occupò la Banda Oriental. Il 9 luglio di quello stesso anno, un'assemblea costituente, convocata per impedire lo sfaldamento definitivo della compagine politico-territoriale uscita dal cabildo abierto del 1810, si riunì a Tucumán e statuì solennemente l'indipendenza delle Province Unite del Plata. Fece seguito a questo atto, che sanciva in realtà l'indipendenza argentina, un periodo di turbolenze e conflitti fratricidi, riaccesi dall'antagonismo fra porteños e provincianos. La contrapposizione ebbe al centro la forma del nuovo Stato: si lottò cioè per configurare un'Argentina unitaria, quale la volevano i porteños, o un'Argentina federale secondo le esigenze dei provincianos; unitarios e federales furono chiamati i protagonisti del contrasto. Allo scontro di fondo, che caratterizzò il processo formativo del Paese, si aggiunse nel 1824 una guerra con il Brasile per il possesso della Banda Oriental; le ostilità si conclusero nel 1828, con la firma di un trattato che garantiva l'indipendenza del territorio, erettosi in Repubblica Orientale dell'Uruguay. La fine della guerra contro il Brasile favorì, a Buenos Aires, l'ascesa di un governo unitario, retto dal generale Juan Lavalle, contro il quale i provincianos si affidarono alla guida di un giovane caudillo, Juan Manuel de Rosas. Questi, organizzato un esercito, marciò sulla capitale ed estromise Lavalle (1829).

Storia: dalla Costituente al peronismo

Assunto il potere, Rosas, conscio della necessità di venire a patti con i porteños per poter conservare la propria posizione, diversificò le sue posizioni da quelle degli antichi sostenitori e si trasformò in dittatore unitario. Arrogante ed espansionista, rivolse le proprie mire nuovamente all'Uruguay dove fomentò una guerra civile (durante la quale i democratici ricevettero l'appoggio di Giuseppe Garibaldi). La politica di Rosas provocò la reazione del Brasile, che a sua volta aiutò contro di lui i provincianos. In queste condizioni maturò la rivolta; il caudillo e governatore della provincia di Entre Ríos, Justo José Urquiza, diede battaglia a Rosas, che il 3 febbraio 1852 fu sconfitto presso Monte Caseros e dovette emigrare. Urquiza diventò “direttore generale” del Paese in attesa delle decisioni di un'Assemblea Costituente; Buenos Aires, benché ostile all'autoritarismo di Rosas, non accettò il successo dei federali e, sollecitata da Bartolomé Mitre, si separò dal resto dell'Argentina; Urquiza, per evitare ulteriori scontri diretti, si spostò a Paraná. Nel 1853, l'Assemblea Costituente, riunita a Santa Fe, varò la nuova Costituzione che prevedeva una Repubblica federale, con un presidente e un vicepresidente eletti per sei anni, un congresso bicamerale e, per ciascuna provincia, un governatore e una legislatura locale: rimaneva in sospeso il problema della capitale. Nel 1861 si raggiunse un compromesso: Buenos Aires pose termine alla secessione, ma Urquiza dovette ritirarsi; Mitre fu successivamente eletto presidente della Repubblica mentre, formalmente, Buenos Aires non riceveva ancora il rango di capitale. Iniziò dopo questo periodo l'era liberale, caratterizzata dalle presidenze di Domingo Faustino Sarmiento (1868-74) e Nicolás Avellaneda (1874-80), in cui si tese a migliorare il livello dell'istruzione e furono potenziati le comunicazioni e l'esercito. Fu questo il periodo in cui venne combattuta, contro il Paraguay del dittatore Francisco Solano López, la cosiddetta guerra della Triplice Alleanza durante la quale (1865-70) Argentina, Brasile e Uruguay, un tempo avversari, trovarono motivi di solidarietà nella comune resistenza alle aspirazioni atlantiche del leader paraguayano. Dopo il 1880 un tumultuoso sviluppo economico e un'imponente ondata immigratoria incominciarono a trasformare la società platense: vennero impiantate le prime industrie (tessili, cartarie, di trasformazione) e si formò una classe imprenditoriale. Dal 1889 al 1905 si ebbero i primi moti operai e antioligarchici. Sorsero il Partito socialista (1890) e quello radicale (1891), espressione quest'ultimo delle istanze progressiste della nuova borghesia. L'oligarchia reagì e si strinse attorno al Partito conservatore, che mantenne il potere dal 1880 al 1916. L'amministrazione radicale, sviluppatasi dal 1916 al 1930 attraverso tre presidenze (Yrigoyen, 1916-22; Alvear, 1922-28; ancora Yrigoyen, 1928-30), tese a rafforzare i diritti civili e la giustizia sociale e impostò una politica di lotta alle ingerenze straniere. Essa non riuscì tuttavia a scalfire nella sostanza il potere dell'oligarchia che, appoggiata dall'esercito e approfittando della depressione economica mondiale, tornò al potere nel settembre 1930 con il colpo di stato del generale José Francisco Uriburu. I nuovi governanti intendevano contenere la pressione dei ceti popolari accrescendo l'autorità dell'esecutivo. Di questa tendenza furono i presidenti Justo, Ortíz e Castillo; occorre però precisare che mentre Justo e Castillo, sempre più influenzati dal fascismo europeo, governarono da conservatori autoritari, Ortíz, in quanto ammiratore del sistema politico inglese, fu un moderato. I partiti democratici, riunitisi in coalizione, riuscirono a vincere le elezioni del 1943, ma la loro vittoria fu annullata da un colpo di stato dei generali di estrema destra Pedro Ramírez e Arturo Rawson e del colonnello Juan Domingo Perón (giugno 1943). Nel 1944 assumeva la presidenza il generale Edelmiro Farrell, Perón era vicepresidente e, di fronte al crollo dell'Asse, venivano abbandonati gli atteggiamenti filofascisti mentre l'Argentina dichiarava guerra alla Germania e al Giappone (marzo 1945). Alle elezioni del 1946 vinceva trionfalmente il colonnello, poi generale, Perón, che, salito al potere, instaurò un regime ispirato a un vago populismo e volto a una rapida industrializzazione. Alienatosi l'appoggio della borghesia, quando esasperò la politica sociale e soprattutto quando nazionalismo e militarismo ebbero coinvolto il Paese in una profonda crisi economica, Perón fu deposto nel settembre 1955 da una rivolta militare e costretto all'esilio. Seguirono quindi le presidenze di Arturo Frondizi (1958-62), di José M. Guido (1962-63) e di Arturo Illia (1963-66), mentre il permanere dell'instabilità politica contribuiva all'aggravarsi della crisi economica. Nel giugno 1966 un gruppo di militari nazionalisti deponeva Illia. Assunse la presidenza il generale Juan Carlos Onganía che, basandosi su un'équipe di tecnocrati, tentò di fare uscire l'Argentina dal punto morto. Anche il nuovo governo però, avendo eluso il problema politico, si attirò le proteste dei gruppi studenteschi e dei sindacati e cadde nel giugno 1970. Veniva nominato presidente il generale Roberto Marcelo Levingston, destituito a sua volta il 23 marzo 1971 e sostituito dal generale Alejandro Lanusse. All'inizio del 1973, il ritorno di Perón in patria portò Héctor Cámpora alla presidenza, in attesa che le successive elezioni (settembre 1973) insediassero nuovamente al potere l'ex dittatore che, del resto, durò in carica pochi mesi. Morto Perón nel luglio 1974, la presidenza venne assunta dalla sua terza moglie, María Estela Martínez detta Isabelita.

Storia: il dopo Perón

Un periodo di violenti disordini aggravati dalla debolezza dell'esecutivo e dalle tensioni interne al movimento peronista favorì nel marzo 1976 un nuovo colpo di stato militare, che portò all'arresto della presidentessa e all'assunzione del potere da parte di una giunta militare guidata dal generale Rafael Videla, nominato capo dello Stato. Soppresso il Parlamento, sciolti i partiti, i militari istituirono un regime duro e oppressivo. Nel marzo 1981 il generale Videla cedette la presidenza al generale Roberto Viola, che nel dicembre dello stesso anno, ammalatosi gravemente, fu sostituito dal tenente generale Leopoldo Galtieri. Inaugurata la presidenza con alcune misure di carattere liberale per porre rimedio alla grave crisi economica, Galtieri ordinò nell'aprile 1982 l'occupazione delle isole Falkland, nella speranza di attirare simpatie e consensi alla giunta. La Gran Bretagna tuttavia, dopo un tentativo di mediazione, rioccupò nel giugno dello stesso anno l'arcipelago, infliggendo all'Argentina una pesantissima sconfitta militare. Galtieri fu costretto alle dimissioni e venne rimpiazzato nel luglio 1982 dal generale Reynaldo Bignone. Ormai irrimediabilmente compromesso, nel 1983 l'esercito decise di restituire il potere ai civili. Terminava così un periodo di sanguinosa dittatura, responsabile di migliaia di vittime. Indette le elezioni politiche per l'ottobre 1983, queste videro l'affermazione di Raúl Alfonsín, leader dell'Unión Cívica Radical, che sconfisse i peronisti del Frente Justicialista, guidati da Italo Luder. Alfonsín, come primo atto di governo, mise sotto inchiesta i militari colpevoli del disastro delle Falkland e della morte di numerosi oppositori politici, trovando però fortissima resistenza, manifestatasi in ripetute insurrezioni di taluni reparti militari. Contemporaneamente, fra il 1985 e il 1986, istituì un organo consultivo per la riforma della Costituzione, annunciò un piano, poi abbandonato, per il trasferimento della capitale in Patagonia e cambiò l'unità monetaria, sostituendo il peso con l'austràl (rimpiazzato nuovamente dal peso nel 1992). Intanto, la pressante crisi economica e le tensioni provocate dall'atteggiamento del governo nei confronti dei militari determinavano un clima di insoddisfazione popolare, che si manifestava soprattutto nel 1987 con la dura sconfitta elettorale del partito di Alfonsín e nel maggio 1989 con la vittoria alla presidenza del Paese del candidato peronista del Movimento nazionalista giustizialista, Carlos Sàul Menem. Alfonsín, quindi, preso atto della situazione e spinto dall'incalzare dell'inflazione, che l'aveva già costretto alla fine di maggio a decretare lo stato d'assedio per i continui tumulti della popolazione esasperata dal carovita, nel giugno successivo rassegnava le dimissioni prima della scadenza del suo mandato. La nomina di Menem a presidente della Repubblica riapriva nel Paese una nuova stagione giustizialista. Il presidente, ereditato un Paese nel caos finanziario e con un'inflazione galoppante, metteva immediatamente mano, con l'aiuto di Domingo Cavallo, illustre rappresentante del neoliberismo latino-americano, a una politica di rigore e di liberismo economico, politica che dava ben presto i suoi frutti con un sensibile abbattimento del processo inflattivo (1992). Il risanamento economico del Paese avveniva però in un quadro contraddittorio, in cui all'aumento della produttività facevano da contrappeso il decremento dei salari reali, la stagnazione e l'incremento della disoccupazione. Alla scelta liberista in economia, faceva riscontro in politica estera un sostanziale allineamento internazionale con gli Stati Uniti, che aveva come effetto la sospensione delle forniture di materiale nucleare all'Iran (1992) e la decisione di rendere noti gli archivi sui gerarchi nazisti rifugiatisi in Argentina. Definito, nel 1994, con il leader dell'opposizione Alfonsín un “patto democratico” ed eletta l'Assemblea Costituente per l'approvazione della nuova carta fondamentale, che riduceva il mandato presidenziale a quattro anni e permetteva l'immediata rielezione del presidente uscente, Menem nel 1995 si ricandidava alla presidenza della Repubblica e vinceva le elezioni, nonostante il crescente malcontento nei confronti del suo governo. Il destino del modello di liberismo economico, che aveva caratterizzato la presidenza di Menem, infatti, appariva ormai segnato: nel 1997 le consultazioni per il rinnovo parziale della Camera facevano registrare una notevole perdita di voti e di seggi per il partito del presidente e le elezioni presidenziali dell'ottobre 1999 vedevano la vittoria del candidato dell'Alleanza di centro-sinistra, Fernando de la Rua. La coalizione di centro-sinistra conquistava anche la maggioranza in Parlamento, ma la crisi economica aggravatasi negli ultimi mesi di governo di Menem, determinava presto problemi all'interno del nuovo esecutivo. Tutti i tentativi per porre rimedio alla recessione economica, nonché il ricorso al Fondo Monetario Internazionale, risultavano vani, producendo diversi rimpasti di governo. Per superare la crisi Fernando de la Rua affidava all'ex ministro Domingo Cavallo il dicastero dell'Economia e il Senato approvava una legge che attribuiva al governo poteri speciali per il varo di misure economiche, come tagli a stipendi e pensioni. Nel frattempo sul fronte giudiziario, sempre nel 2001, una sentenza di un giudice federale, ben accolta dalle numerose famiglie dei desaparecidos e che determinava una certa preoccupazione tra i veterani delle Forze armate, dichiarava incostituzionali le leggi con cui si era concessa l'immunità ai militari coinvolti nelle violazioni dei diritti umani durante il regime peronista (1973-83), approvate tra il 1986-87 dal presidente Alfonsín. In un clima di diffuso malcontento, dovuto soprattutto al deterioramento delle condizioni di vita per il varo di misure economiche restrittive, le elezioni legislative dell'ottobre 2001 vedevano l'Alleanza di centro-sinistra perdere la maggioranza dei seggi al Senato e alla Camera e la rimonta del partito peronista. Nel mese di dicembre dello stesso anno lo stato di crisi in cui versava il Paese si acuiva ulteriormente: la popolazione, esasperata, manifestava nelle strade; le frange più violente saccheggiavano negozi e supermercati e si scontravano con polizia ed esercito. Veniva dichiarato lo stato d'assedio, e le forze dell'ordine reprimevano duramente la rivolta: in pochi giorni si contavano oltre venti morti e centinaia di feriti, numerossisime erano le persone arrestate. Fallito il tentativo di formare un governo di unità nazionale, De la Rua si dimetteva e anche Cavallo rinunciava al proprio incarico. Subito dopo, il peronista Luís Adolfo Rodriguez Saá veniva nominato presidente, ma dopo soli otto giorni, travolto dalla protesta popolare, era costretto a dimettersi. Il suo successore, Eduardo Camaño, rimaneva in carica appena un giorno. Il 1° gennaio 2002 la scelta del Congresso cadeva su Eduardo Duhalde, anche lui peronista, che si impegnava a dare una guida stabile al Paese, con l'obiettivo di governare fino al 2003, anno di scadenza del mandato di De la Rua. Il nuovo presidente varava una finanziaria d'emergenza, che si fondava su una pesante svalutazione del peso, mettendo così fine a dieci anni di parità con il dollaro, e sul "congelamento" dei pesantissimi debiti accumulati con i Paesi esteri. Alle elezioni presidenziali del 2003 si affermava il peronista N. C. Kirchner. Nello stesso anno, su proposta del presidente, il Parlamento argentino annullava l'indulto per i militari protagonisti della repressione, nel periodo della dittatura, consentendo così sia la riapertura dei processi sia l'estradizione all'estero degli stessi. Nell'ottobre 2005 si svolgevano le elezioni di midterm che davano la maggioranza alla formazione del presidente. Nell'ottobre 2007 si svolgevano le elezioni presidenziali, vinte al primo turno da C. Kirchner, moglie del presidente uscente. Nel 2008, per contrastare la crescita dei prezzi interni al Paese, veniva varata una legge che aumentava la tassa di esportazione di prodotti agricoli, che però provocava proteste e scioperi. Nel 2009 si svolgevano le elezioni legislative che vedevano una debole vittoria dei partiti della sinistra peronista, legata ai coniugi Kirchner. Nell'ottobre del 2011 la presidente uscente Kirchner, veniva riconfermata con oltre il 53% dei voti, ma nei due anni successivi perdeva consensi a causa delle politiche economiche messe in atto dal governo. Nel novembre del 2015 il sindaco di Buenos Aires Mauricio Macri vinceva le elezioni presidenziali, sconfiggendo al ballottaggio il candidato peronista Daniel Scioli.

Cultura: generalità

È indubbio che l'Argentina sia il Paese più “europeo” del Sudamerica in ragione dei flussi migratori che l'hanno contraddistinta; è altrettanto vero che l'esito di questa sovrapposizione di modelli culturali, tradizioni e stili di vita è stato ed è un unicum dal grande fascino. Passionalità e orgoglio latini non hanno impedito alla società argentina di diventare multiculturale e cosmopolita, pur attraverso (o forse proprio grazie a) le travagliate vicende sociopolitiche della sua storia, e ogni aspetto della cultura del Paese ne è un chiaro riflesso. Amplissimo e variegato è il panorama delle musiche e delle danze di estrazione popolare, risultato dell'incontro fra le tradizioni indie e quelle spagnole, di cui il tango è solo l'espressione più famosa. Ugualmente, si sono unite pratiche cattoliche e usanze locali nelle celebrazioni, sempre molto partecipate e intense, del fitto calendario di feste religiose, oltre alle ferias e al classico carnevale. A livello letterario l'Argentina inizia a costruire una vera “storia” nazionale dopo l'indipendenza, facendo registrare i propri esiti migliori a partire dalla fine dell'Ottocento fino agli anni Settanta del XX sec., decenni in cui il fermento demografico e gli influssi delle avanguardie stimolano produzioni e riflessioni a tutto campo (decine le riviste e i supplementi in cui gli autori affinano la propria produzione), tra cui le vette della poetica di J. L.Borges. Anche arte e architettura, come cinema e teatro, abbracciano le scuole che arrivano dall'Europa per trovare poi una propria via, con esiti di prestigio. Buenos Aires, i cui abitanti (porteños) tengono a differenziarsi dal resto degli argentini, rappresenta l'epitome delle tendenze europeizzanti dell'Argentina: la vita culturale della città ha cercato di rifarsi ai modelli importati dall'estero, fatto che ha contribuito alla fondazione di un numero di istituzioni molto ampio. Dal teatro Colón, punto cardine per teatro, danza e musica classica, ai musei di storia, arte, archeologia, cinema, all'architettura di piazze, chiese, palazzi, ai festival e alle fiere dedicati al tango, ai libri all'arte contemporanea. Tra le eccellenze del Paese anche i siti dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO: le Missioni gesuite dei Guaraní (1983, 1984, insieme al Brasile), il Río Pinturas (1999), il Complesso e le estancias gesuite di Córdoba (2000), la Quebrada di Humahuaca (2003) e il Qhapaq Ñan (2014), conosciuto anche come “El camino principal andino” che attraversa anche Perú, Bolivia, Cile, Colombia e Ecuador.

Cultura: tradizioni

Estinte quasi completamente le tribù originarie, il loro peso folcloristico permane in un miscuglio di tradizioni spagnole e, più precisamente, criollas. Simbolo ancora vivissimo della tradizione popolare sono i gauchos le cui feste, i rodei, si tengono al tempo della marcatura del bestiame. Ma grande rilievo hanno anche le feste religiose, nelle quali sopravvivono, insieme ai riti della tradizione cattolica spagnola, parecchi motivi pagani. Grandi feste sono dedicate alla Vergine (Vergine della Candelaria, Vergine di Salta, Vergine Nera di San Juan, Vergine di Itatí, Vergine del Rosario nei dintorni di Buenos Aires, Vergine di Luján), a S. Giovanni (con manifestazioni diffuse in tutta l'Argentina) e specialmente alla celebrazione del Natale (interessante la festa del Niño alcalde di La Rioja; suggestiva la pantomima detta Huachi Toro eseguita dai bambini davanti al presepe). Forme tradizionali criollas e pagane ricorrono in occasione di matrimoni e di funerali, infatti la morte è uno dei temi su cui si basa molta parte dei riti folcloristico-spirituali argentini (singolari il funerale dei bambini, velorio angelito, e quello seguito dall'impiccagione del cane del defunto, o “sacrificio del cane nero”, di chiara origine precolombiana); su residui pagani è pure impostata la festa dei morti (offrenda). Come in tutta l'America Meridionale, grande risalto assume il carnevale (chaya), ritenuto festa per eccellenza; nelle sue forme più tradizionali si ritrova specialmente in campagna (caratteristici sono quelli di Tucumán, Catamarca e, principalmente, di Humahuaca). Gli aspetti più vivaci e mutevoli del folclore argentino si riscontrano nelle danze e nella musica, che formano un complesso campionario di varianti regionali (nel Nord-Ovest sono più evidenti le persistenze incaiche). Tra gli strumenti originari sono tipici la quena (flauto di osso o argilla), il sikus (piccolo flauto di Pan) e la caja (piccolo tamburo schiacciato), importati dagli Inca, in epoca precolombiana, dal Perú. Altri strumenti incaici sono tuttora usati in Patagonia, come il kultrun (tamburo ricavato da una zucca ricoperta di cuoio), l'“arco musicale” (ottenuto con un osso teso da una corda e usato un po' come lo scacciapensieri siciliano), il timbal de agua (un vaso di coccio ricoperto di cuoio e contenente acqua), l'erkencho (corno di vacca), il violino chaqueño e la flauta tucumana. Ma lo strumento degli indios più celebre è la maraca. Derivano invece da modelli europei il charango e l'arpa criolla, che si ispirano alla chitarra, strumento tipico del gaucho, per il quale è stato creato un ampio repertorio di canti e danze. Influenze arcaiche si trovano in canzoni come la baguala (al cui nome si è ispirato in anni recenti un prestigioso complesso folcloristico), il triste, la vidala. Mentre l'azione di coreografi e di compagnie di balletto internazionali favorì, a partire dalla seconda metà del sec. XVIII, l'introduzione di espressioni di ogni tendenza e il loro sopravvento sugli sporadici tentativi di autonomia nazionale, assai diversa fortuna ebbe la danza popolare, che nacque dall'incontro fra la tradizione indigena india e l'apporto della cultura occidentale, prevalentemente spagnola, e che ha le sue più tipiche manifestazioni nella cueca, nella mariquita, nella criolla (derivata dalla fusione di elementi della danza spagnola e del folclore gaucho) e, soprattutto, nel tango argentino. Altre danze diffusissime sono la zamba, il bailecito, l'escondido, la chacarera, il gato (ballo tipico del gaucho), il carnavalito (di origine incaica), il malambo (danza maschile e individuale), il cielito (controdanza tipica dei criollos), il pericón, la media caña. L'influenza della musica nera si trova nella habanera, nella polka, in balli di origine brasiliana e nel già citato tango argentino, a cui è necessario associare i nomi di almeno un compositore che ne ha segnato la storia, Astor Piazzolla (1921-1992), e di un cantante, Carlos Gardel (1890-1935), divenuto leggenda nazionale (nel 2003 l'UNESCO lo ha inserito nella lista del patrimonio intangibile dell'umanità). Le fogge del vestire presentano persistenze folcloristiche criollas secondo le regioni, ma base dell'abbigliamento, principalmente nelle zone rurali, è ancora il poncho, di origine precolombiana, come le ojatas (sandali femminili); nelle aree urbane è pressoché ormai predominante la moda occidentale. Nella gastronomia è dominante la presenza di piatti criollos con varianti regionali; fra i più tipici l'asado con cuero e empanadas, ma la carne in ogni sua forma e preparazione è diffusissima; tra i dessert gli alfajores, con dulce de leche o marmellata, e il rinomato gelato. La bevanda più diffusa è il mate (bevuto nella boccia forata detta bombilla); seguono la caña, la chicha e la aloja (tutte bevande alcoliche); caffè e infusi vengono consumati in qualsiasi momento della giornata. Apprezzati all'estero anche molti vini, soprattutto della zona di Mendoza. Tra i passatempi e gli sport più amati ci sono il calcio (argentino è Diego A. Maradona), il rugby (i pumas argentini sono fra le nazionali più forti), la pallacanestro, il tennis, i rodeo.

Cultura: lingua

La lingua parlata in Argentina è lo spagnolo, che ha assunto alcune caratteristiche particolari per circostanze storiche e socio-culturali quali l'isolamento della regione e la sua scarsa importanza economica e politica nei tre secoli coloniali, il debole rilievo dell'elemento indigeno (diaghiti, araucani, guaraní ecc.), la reazione antispagnola e anticlassica nel primo cinquantennio di indipendenza, il predominio della parlata rurale su quella urbana (il gaucho diventa il simbolo dell'argentinità; il vos contadino sostituisce il tu delle classi colte), oltre al già citato enorme afflusso di immigrati non ispanofoni e poco colti con i conseguenti massicci fenomeni di ibridismo (il cocoliche, bizzarra miscela linguistica italo-spagnola, o il lunfardo, il gergo dei suburbi bonaerensi, con forti influssi genovesi).

Cultura: letteratura

L'Argentina non ebbe una cultura di rilievo durante l'epoca coloniale. L'indipendenza politica (25 maggio 1810) fu cantata da rimatori neoclassici di scolorita personalità, come Juan Cruz Varela, autore anche di tragedie di imitazione alfieriana; mentre a livello meno colto, ma più schiettamente originale, Bartolomé Hidalgo iniziava, con i popolareschi Cielitos e i Diálogos patrióticos, la poesia gauchesca. Il romanticismo, importato dall'Europa per merito precipuo di Esteban Echeverría, fu nell'insieme un movimento d'imitazione. Pur tuttavia certe opere narrative, come il forte El matadero (Il mattatoio) di Echeverría e Amalia di José Mármol (1817-1871), contengono pagine intense e assai vigorose. Nel 1850 fu pubblicato un capolavoro della letteratura gauchesca, il Santos Vega di Hilario Ascásubi (1807-1875), precedente diretto del Martín Fierro di José Hernández (1834-1886), mentre risultati minori dava un altro genere romantico e d'importazione, il romanzo storico, il cui più fortunato tentativo fu La novia del hereje (1840; La fidanzata dell'eretico) di Vicente F. López (1815-1903). Una personalità di pieno rilievo venne infine con Domingo F. Sarmiento, scrittore, pubblicista, educatore, polemista ardente, uomo politico: un vero “padre della patria”. Fra le sue numerose opere, nate tutte da un esemplare quanto appassionato impegno morale e civile, emerge un capolavoro, Facundo, biografia di un caudillo dell'epoca di Rosas, violento atto d'accusa e insieme presa di coscienza della problematica realtà di una nuova nazione. Eccellenti animatori di vita culturale furono i saggisti J. B. Alberdi, J. M. Gutiérrez, V. F. López, già citato come narratore, e Bartolomé Mitre, uomo politico e giornalista illuminato, storico di valore e, fra l'altro, traduttore della Divina Commedia; mentre R. Gutiérrez (1836-1896) e O. V. Andrade poetavano, con una certa nobiltà, sulla scia romantica. La poesia gauchesca, intanto, era ancora coltivata da Estanislao del Campo e, con risultati definitivi, da José Hernández, il cui Martín Fierro costituisce un poema epico di meravigliosa originalità, con un protagonista indimenticabile: il gaucho avventuriero e payador (poeta), personificazione dello spirito quasi selvaggio ma nobilissimo della giustizia, dell'autonomia e della dignità umana. Hernández fu il maggiore e l'ultimo dei romantici argentini. Il Paese si evolveva rapidamente, per il grande afflusso di immigrati e di capitali europei, lo sconvolgimento del sistema produttivo, il peso sempre più determinante di Buenos Aires sulle province, l'affermarsi di una borghesia ricca con nuove istanze ideologiche (positivismo) e iniziative culturali (scuole, giornali, teatri). La “generazione del 1880” avvertì e rispecchiò questa svolta capitale: fiorirono la narrativa e il teatro realisti, la pubblicistica professionale, la critica storica e letteraria, l'erudizione. La narrativa trovò nuove vie con Lucio V. Mansilla, la cui Excursión a los indios ranqueles rimane un testo esemplare; con Miguel Cané (1851-1905), autore soprattutto di Juvenilia (Ricordi di gioventù); J. V. González (1863-1923), bozzettista notevole; Roberto J. Payró, felice critico del costume, umorista e satirico; Eduardo Wilde (1844-1913); J. S. Álvarez, meglio conosciuto come Fray Mocho, e altri. Nacque il romanzo naturalista, con E. Cambaceres (1843-1898) e Julián Martel (pseudonimo di J. Miró, 1867-1896), autore di La bolsa (1891; La borsa), primo esempio di romanzo sociale. Al teatro, nato con la trasposizione teatrale del Juan Moreira di E. Gutiérrez (1853-1890) a opera di J. Podestá, diedero apporti M. Coronado, G. de Laferrère (1867-1913), E. García Velloso (1880-1938), B. Roldán, M. Leguizamón, J. Sánchez Gardel e soprattutto Florencio Sánchez, considerato il primo drammaturgo veramente originale dell'America Latina. Nella critica ed erudizione si distinsero P. Groussac, P. Goyena, S. Estrada, M. García Merou, A. Ghiraldo e molti altri. Vera palestra di pubblicisti e scrittori furono i supplementi letterari di due quotidiani di Buenos Aires: La Nación e La Prensa. La lirica si svigorì alquanto nella sua fase tardo-romantica; vi si distinsero tuttavia Rafael Obligado, di cui sopravvive un poema gauchesco, Santos Vega, e P. B. Palacios, più noto come Almafuerte, nella cui poesia si avverte già qualche segno di quel rinnovamento che si ebbe alla fine del sec. XIX, con il modernismo. Grazie anche a un soggiorno di Rubén Darío, caposcuola del modernismo, Buenos Aires divenne uno degli epicentri del rinnovamento che dominò largamente la poesia latino-americana fino all'avvento delle poetiche d'avanguardia (1920 e anni seguenti). Numerosi e di merito gli scrittori degli ultimi anni dell'Ottocento e dell'inizio del Novecento: da L. Lugones, lirico e prosatore di eccezionale personalità, a Evaristo Carriego, poeta del suburbio e maestro di vari epigoni; da B. Fernández Moreno alla insigne poetessa Alfonsina Storni; da E. Banchs a C. Obligado (1890-1949); da L. Cané (1897-1957) ad A. Capdevila, R. A. Arrieta, H. P. Blomberg, J. C. Dávalos, A. R. Bufano, R. Rojas, che fu anche critico e narratore, e molti altri. Anche se formatosi in atmosfera modernista, merita un posto a parte, per la forza stessa della sua personalità, il poeta che la generazione successiva doveva riconoscere come maestro: Macedonio Fernández, geniale rinnovatore del linguaggio poetico. Le tendenze moderniste si riflettono anche nei prosatori del primo Novecento, che in molti casi si identificano con i poeti citati (a cominciare dal caposcuola Lugones); mentre altri narratori si mantengono più vicini alle tradizioni del realismo (M. Gálvez). I narratori più rappresentativi del modernismo sono: Horacio Quiroga, autore soprattutto di potenti racconti della selva, del mistero e della morte; Ricardo Güiraldes, autore di Don Segundo Sombra, originale romanzo gauchesco; Benito Lynch, Enrique Larreta, A. Chiappori, A. Estrada, M. Ugarte, E. M. Barreda, C. A. Leumann, A. Cancela, A. Gerchunoff e diversi altri. Fra i saggisti emergono Alejandro Korn, José Ingenieros (1877-1925) e il poliedrico Ricardo Rojas. La generazione successiva, fiorita intorno al 1920, abbandonò i postulati estetici del modernismo per accogliere le poetiche d'avanguardia. Il suo rappresentante più geniale è Jorge Luis Borges, narratore fantastico, poeta aristocratico del suburbio e saggista raffinato. Borges impersonò il gruppo Florida (così detto dal nome di una strada elegante e cosmopolita di Buenos Aires) e quello della rivista Martín Fierro (1924-27), apertamente avanguardista ed europeizzante, al quale si oppose il gruppo Boedo (così chiamato dal nome di una strada di un quartiere popolare), legato alla rivista Claridad (1926), che intendeva esprimere istanze populiste e marxiste. In realtà il contrasto fu più politico che artistico, perché le tendenze d'avanguardia costituirono la base di partenza di tutti gli scrittori novecentisti, sia “irrealisti” o “surrealisti” (come Borges), sia “realisti”, come Roberto Arlt, uno dei padri della narrativa latino-americana del Novecento, intesa soprattutto a esprimere le contraddizioni morali, politiche e socio-economiche in cui si dibatte il continente. Su questa base comune si sono sviluppate numerose e svariate personalità artistiche. Fra i poeti spiccano Oliverio Girondo, ricco di metafore ardite; e con lui (e Borges) Leopoldo Marechal, notevole anche come narratore, R. E. Molinari, E. González Lanuza, R. Ledesma, F. L. Bernárdez, C. Mastronardi, L. Franco, C. Nalé Roxlo, Nicolás Olivari, V. Barbieri, J. L. Ortiz. A questa prima generazione d'avanguardia sono seguite, intorno al 1940 e al 1960, una seconda e una terza, i cui rappresentanti più significativi sono Alberto Girri, M. E. Etchebarne, E. Molina, E. Bayley, E. Jonquières, R. González Tuñón, J. R. Wilcock, Maria E. Walsh, César Fernández Moreno, D. Devoto, O. Rossler, A. Pellegrini, J. J. Hernández, A. Pizarnik e altri ancora. Anche la prosa è fiorita rigogliosa, soprattutto nei generi della narrativa e della saggistica, con Ezequiel Martínez Estrada, autore della fondamentale Radiografía de la Pampa (1933), Eduardo Mallea, M. Mújica Lainez, Adolfo Bioy Casares e la moglie Silvina Ocampo, Julio Cortázar, uno dei più personali narratori latino-americani moderni, Ernesto Sábato, Marco Denevi, Beatriz Guido, Haroldo Conti, Rodolfo Walsh, P. Orgambide, H. A. Murena, narratore e saggista di primo piano, J. J. Hernández, già ricordato fra i poeti, Gloria Alcorta, Antonio di Benedetto. Successivamente, mentre la narrativa continua a offrire opere di rilievo con Néstor Sánchez, Manuel Puig, conosciuto anche in Europa per romanzi di successo, Juan José Saer, col romanzo La vuelta completa, Abelardo Castillo, Jorge Onetti, Mirko Buchin e numerosi altri, la saggistica risente delle limitazioni imposte dal governo militare a una libera circolazione di idee. Agli inizi degli anni Novanta, le conseguenze devastanti del convulso ventennio precedente si rivelano, ovviamente, anche nella vita culturale. I grandi “vecchi” della letteratura sono ormai scomparsi – Borges, anzitutto, nel volontario esilio di Ginevra – e con essi molti protagonisti delle generazioni più giovani (su tutti Alberto Girri e Bioy Casares). Altri, della generazione di “mezzo”, non sono più tornati dall'esilio in Europa o negli Stati Uniti, con i casi-limite di Héctor Bianciotti, diventato a Parigi scrittore “francese”, e dell'amaro umorista Copi, morto francese. Pochi dei vecchi sono attivi in questi anni: Ernesto Sábato, che dopo un lungo silenzio (la sua introduzione a Nunca más, sconvolgente rapporto della commissione d'inchiesta sui delitti compiuti dalle dittature militari, non è “letteratura” ma “storia” vera e sanguinante) pubblica nel 1998 Antes del fin, una sorta di autobiografia; i sempre validi poeti E. Molina e Olga Orozco. Della generazione di mezzo, brillante protagonista dopo gli anni Settanta, operano in questi anni, oltre a Roberto Juarroz (sempre più ermetico in Undécima poesía vertical), che scompare però nel 1995, poeti di forte personalità, quali Juan Gelman e Francisco Madariaga; nonché narratori importanti (in patria o fuori), come Abel Posse, Horacio Vázquez Rial, il già citato Saer, Jorge Andrade, David Viñas, Osvaldo Soriano, che scompare nel 1997, Néstor Sánchez, Jorge Asís, Ricardo Piglia, J. J. Hernández, J. C. Onetti, scomparso nel 1994, il già citato Denevi, il fertile Abelardo Castillo, Mario Szichman, Mario Satz, Federico Peltzer, L. Futoransky; e inoltre critici e saggisti importanti (Enrique Pezzoni, Massuh, Rabanal, ecc.) e drammaturghi (O. Dragún). Questa generazione dotata e sfortunata (perché più censurata e perseguitata dalle dittature militari) è comprensibilmente amara: un suo portavoce, Soriano, ha detto che la sola Argentina viva è ormai quella della memoria. Ma resta come esempio morale e guida dei giovani che hanno ripreso a operare nelle pur penose difficoltà politiche ed economiche della rinata, fragile democrazia. Sempre negli ultimi anni del sec. XX, compatibilmente con le circostanze non favorevoli, la vita letteraria si va normalizzando: si pubblica molto, anche riviste di poesia (Ultimo reino, Diario de poesía). Non mancano poeti nuovi e nuovissimi, anche se nessuno di essi sembra eccezionale (prevale una sorta di prosaismo retorico). Le loro tendenze variano ampiamente, dalla polemica militante (un gruppo abbastanza nutrito di poetesse femministe) alla frivolezza neobarocca, così come sono disparate e disordinate le influenze esterne che si vanno via via rivelando, in risposta a un comune desiderio di “aggiornamento”. Emergono nomi nuovi, come quelli di Néstor Perlongher, Daniel Freidemberg, Jorge R. Aulicino, Martín Prieto, Daniel García Helder, Ricardo H. Herrera, Emeterio Cerro, Arturo Carrera, Diana Bellesi, Víctor Redondo, María Julia de Ruschi, Mario Morales, che in più casi coltivano anche la critica, la saggistica e la narrativa. Ricordiamo anche Juan Carlos Martini (autore di La construcción del héroe, 1989, opera che sottolinea alcuni dei lati oscuri della nuova realtà argentina), Enrique Medina (El secreto, 1989, in cui vengono narrate esperienze di emarginazione collegate a una sessualità problematica) e Hector Tizón (El hombre que llegó a un pueblo, 1991, ritratto psicologico degli abitanti dei piccoli centri dell'Argentina rurale). Molto intensa è anche l'attività di traduzione, rinnovandosi la tradizione di Buenos Aires come efficiente introduttrice di autori allofoni nella cultura latino-americana. A dispetto della forte crisi economica, l'Argentina del nuovo millennio è presente in maniera decisa nei romanzi e nei versi (e nelle nuove forme di comunicazione che la letteratura ha accolto, come il web), così come continuano a venire indagati la dittatura, l'esilio, i desaparecidos. Tra gli autori più interessanti del panorama letterario, emersi tra la fine del XX e gli inizi del XXI secolo, possono essere citati Alicia Partnoy (n. 1955), la cui esperienza della prigionia politica segna in profondità i temi e lo stile dei suoi scritti (You Can’t Drown the Fire: Latin American Women Writing in Exile, 1988, di cui è curatrice, e la raccolta di versi La venganza de la manzana, 1992); Rodrigo Fresán (n. 1963), giornalista, saggista e autore, fra gli altri, dei romanzi Historia argentina (1991, bestseller), Esperanto (1995) e La velocidad de las cosas (1998); Guillermo Martínez (n. 1962), fattosi notare con Infierno Grande (1989, raccolta di racconti), e confermatosi con Crímenes imperceptibles (2003, La serie di Oxford), da cui è stato tratto un thriller cinematografico, e La muerte lenta de Luciana B. (2007); Federico Andahazi (n. 1963; El anatomista, 1996); il poeta, saggista ed editore della progetto Eloísa Cartonera Washington Cucurto (n. 1973, pseudonimo di Santiago Vega); Marcelo Birmajer (n. 1966), romanziere (L’anima al diavolo, 1995; Tres mosqueteros, 2001), autore di racconti (Storie di uomini sposati, 1995) e sceneggiatore (L’abbraccio perduto, 2004).

Cultura: arte

L'Argentina non presenta nelle culture autoctone forme artistiche di grande rilievo. La scultura su legno o pietra è poco diffusa e l'arte fittile è assai modesta, a eccezione di quella dei diaghiti dell'Argentina di NW, che si distinsero anche nel campo della metallurgia, della glittica e della ceramica modellata, dipinta o incisa, che presso gli altri gruppi è solo un prodotto di alto artigianato. Degne di rilievo le pittografie su roccia, che rappresentano scene di guerra (Argentina di NW, sierre centrali), orme di animali (area di Cuyo) o impronte di mani in negativo (Patagonia). A promuovere le prime costruzioni di carattere coloniale furono gli ordini religiosi. Oltre alle missioni nell'interno del Paese (la più importante fu quella di San Ignacio Miní, un modello di organizzazione urbanistica, le cui rovine si trovano nella zona di frontiera con il Paraguay) i gesuiti si costruirono chiese e conventi di stile barocco in ogni città. A Buenos Aires fu attivo il maggior architetto della Compagnia, il padre Andrés Blanqui (chiese del Pilar, 1732; de La Merced, di Las Catalinas), autore anche della cattedrale di Córdoba, della chiesa di Alta Gracia e della estancia gesuitica di Jesús María. Il capolavoro dell'architettura coloniale argentina è la chiesa della Compagnia di Gesù a Córdoba, opera dei padri Cardonosa e Lemer, con un notevole tetto “a carena” in legno. Nell'Ottocento si venne spontaneamente elaborando un tipo di casa privata, sia in città sia in campagna, a mura bianche, con il solo pianterreno o a un piano rialzato, con serie di patios e gallerie coperte, chiusa da una cancellata in ferro battuto. Verso la metà del secolo il gusto europeo, soprattutto grazie agli italiani immigrati, portò all'aggiunta di elementi decorativi di tipo neoclassico, pur conservandone la tradizionale sobrietà. A questo stile spontaneo si oppose una corrente intellettuale promossa dai ricchi professionisti che viaggiavano in Europa e si facevano costruire la casa sul progetto di architetti francesi. Nella pittura ha predominato invece in maniera assoluta l'influenza dell'arte europea, conosciuta direttamente dagli artisti che si recavano a studiare a Parigi e in Italia. La maggior personalità di questo periodo fu Prilidiano Pueyrredón (1823-1870), autore di ritratti, paesaggi e scene di genere. All'inizio del Novecento furono costruiti quasi tutti gli edifici pubblici del Paese. A Buenos Aires ha lavorato V. Meano, architetto italiano, autore del palazzo del Congresso e del teatro Colón. Intorno agli anni Venti si verificò un revival di architettura coloniale con Martín Noel (padiglione argentino all'esposizione di Siviglia), mentre l'architettura d'avanguardia si affermò più tardi con l'architetto Virasoro e i fratelli Prebich. L'architettura contemporanea è informata a criteri puramente utilitaristici. Fra i pittori si distinsero Alfredo Guttero ed Emilio Pettoruti, quest'ultimo formatosi in Italia con i futuristi, e tornato in Argentina nel 1924 fu maestro di tutta una generazione. Di un tipo di pittura fauve è stato invece esponente Miguel C. Victorica (1884-1955); seguace di Rodin è stato Rogelio Yrurtia (1879-1950), autore di numerosi monumenti nelle piazze di Buenos Aires. Fra gli altri nomi eccellenti della scultura otto-novecentesca sono Lucio Correa Morales (1852-1923), Antonio Pujia, Lola Mora (1866-1936). Dopo la seconda guerra mondiale una delle personalità più significative è quella di Julio Le Parc che, sviluppando le premesse già contenute nel Manifiesto Blanco (1946) di Lucio Fontana (artista di origine argentina), ha dato vita a Parigi, negli anni Sessanta, al movimento per l'arte concreta (Arturo fu la rivista di riferimento in Argentina). Nel 1946 nasceva anche il movimento Madí, cui si lega l'attività di Gyula Kosice e altri; influenti pittori del Novecento argentino sono stati anche Raúl Soldi (1905-1994), Benito Quinquela Martín (1890-1977), Antonio Berni (1905-1981), con le sue opere dalla forte carica sociale, Guillermo Kuitca, Carlos Alonso (n. 1929). In anni successivi la pittura è rappresentata dagli artisti del gruppo “Nuova Figurazione” e dai seguaci dell'astrattismo geometrico (Eduardo McEntyre), tra i quali alcuni (come Manuel Espinosa) si sono orientati alle esperienze della op art. L'arte di fine secolo ha definitivamente consacrato le creazioni di León Ferrari (1920-2013), Leone d'Oro alla Biennale d'arte di Venezia nel 2007, Remo Bianchedi (n. 1950), formatosi in Europa, e Aníbal Cedrón (n. 1948). Tra le “scoperte” più recenti, si segnalano Andrea Broggi e Bea Diez, nati entrambi nel 1966, Jorge Alio, Alejandro Marmo, che utilizza ferro e oggetti in disuso, Florencia Wagner, e degli scultori Rubén Grau (n. 1959) e Gloria Argelés (n. 1940).

Cultura: musica

La colonizzazione spagnola ha distrutto quasi completamente la civiltà musicale che la precedeva e ha così condizionato sia la formazione di una tradizione popolare locale, sia il sorgere di una tradizione colta. I missionari gesuiti furono i primi a insegnare la musica agli indigeni verso la fine del sec. XVI, ma non si può parlare di musicisti argentini prima dell'indipendenza nazionale. Nella prima metà del sec. XIX emersero tuttavia soltanto musicisti dilettanti, come A. Alcorta (1805-1862) e J. P. Esnaola (1808-1878), ai quali seguì, con maggiore rilievo, A. Williams (1862-1952). Fondatore e direttore del Conservatorio di Buenos Aires, Williams si dedicò infatti professionalmente a una feconda attività compositiva e, sebbene legato alla tradizione europea per studi fatti a Parigi, non mancò di tentare uno stile che tenesse conto di elementi nazionali. Alla musica europea si rifanno sostanzialmente anche i compositori contemporanei, tra cui si segnalano J. M. Castro (1892-1964) e il fratello J. J. Castro (1895-1968), J. C. Paz (1901-1972) e A. E. Ginastera (1916-1983), oltre a Felipe Boero (1884-1958), Celia Torra, Gilardo Gilardi. Tra i direttori d'orchestra, oltre allo stesso J. J. Castro, si ricordano Mariano Drago, Washington Castro (1909-2004), Daniel Barenboim (n. 1942). La presenza in Argentina di un teatro di rinomanza mondiale quale il Colón di Buenos Aires ha incrementato la produzione operistica locale, che però fino a J. J. Castro non si è liberata da una passiva adesione ai modelli italiani. Le più giovani generazioni, precedute dal Paz che aderì alla dodecafonia, hanno assunto a modello l'avanguardia. Tra i più noti musicisti argentini in tale posizione sono C. R. Alsina (n. 1941), pianista e compositore, poi trasferitosi in Europa ed E. Fracassi.

Cultura: teatro

La storia del teatro argentino è in massima parte la storia del teatro a Buenos Aires. Cominciò relativamente tardi, praticamente dopo il raggiungimento dell'indipendenza (prima si ebbero soltanto recite nelle università o nelle missioni indigene) con la fondazione della Sociedad del Buen Gusto del Teatro (1817) che presentò per un pubblico eterogeneo testi drammatici europei o loro imitazioni di autori indigeni. L'itinerario era il solito: tragedie neoclassiche, poi drammi romantici, quindi commedie borghesi. Verso la fine del secolo con l'afflusso di numerosissimi immigrati dall'Europa, si cominciarono a invitare, anche e soprattutto a loro beneficio, compagnie francesi, italiane e spagnole, inaugurando così una tradizione tuttora ben viva. Ma intanto era sorta una drammaturgia più propriamente argentina: arrivava dalla Pampa e presentava un eroe di tipo nuovo, il gaucho. L'iniziatore fu un ex clown di circo, José Juan Podestá, che nel 1884 adattò per le scene il romanzo di Eduardo Gutiérrez Juan Moreira, dramma pieno di sangue e di baccano e punto di partenza di un genere nuovo, i cui modelli spagnoli erano il sainete e poi il genere chico, destinato a influire anche sul teatro colto. Accanto a questi sainetes gauchéscos si svilupparono altri due generi, il sainete urbano, che presentava i conflitti sociali all'interno delle maggiori città invase da un gran numero di immigrati europei, e il sainete criollo, che mostrava in termini grotteschi tipi e personaggi della variopinta popolazione di Buenos Aires e, in subordine, degli altri centri più importanti. Insieme, queste tre forme teatrali dominarono la scena argentina per tutto il primo trentennio del sec. XX. Dal 1930 sorsero alcuni gruppi indipendenti – primo fra i quali il Teatro del Pueblo diretto da Leónidas Barletta – animati dal duplice intento di rinnovare la scena dell'Argentina con l'introduzione del regista, dei capolavori del teatro europeo contemporaneo e delle più recenti tecniche d'allestimento, e allo stesso tempo di stimolare una nuova drammaturgia, sperimentale nelle forme e politicamente impegnata nei contenuti (il cui maggiore rappresentante fu R. Arlt), che si rivolgeva soprattutto a un pubblico popolare. Su questa linea si continuò a lavorare anche dopo la seconda guerra mondiale, con un repertorio nazionale attento alle questioni politiche e sociali di attualità, ma svolto in linguaggi teatrali non piattamente realistici. Commedie come El puente (1949; Il ponte) di C. Goroztiza o Historias para ser contadas (1957; Storie da raccontare) di O. Dragún imposero autori nuovi e indicarono nuovi modelli. Sulla loro scia lavorarono, ancora con gli stessi intenti, i giovani drammaturghi venuti alla ribalta negli anni Sessanta (R. Cossa, R. Halac, R. Talesnik, G. Rozenmacher), costretti a muoversi in un contesto reso spesso difficile dalle dittature militari e dalla loro feroce censura (dittature che avevano costretto all'emigrazione, specie in Francia, talenti come V. García, J. Lavelli, J. Savary, A. Arias e Copi). Nel 1981, due anni prima della restaurazione della democrazia, fu fondato un Teatro Abierto per reagire al ristagno drammaturgico verificatosi nel decennio precedente con la rappresentazione di novità di autori inediti (venti atti unici nel corso della prima stagione). I nomi sin qui fatti appartengono soprattutto all'area del teatro sperimentale, la più interessante ma non certo l'unica. Agiscono infatti a Buenos Aires un teatro nazionale (il Cervantes), uno municipale (il San Martín) e varie sale più o meno commerciali, dove il repertorio, argentino e straniero, è certamente meno ardito e i nuovi autori acquistano diritto di cittadinanza solo dopo essersi affermati altrove. È nella capitale comunque che si concentra il teatro professionale argentino: altrove esistono quasi esclusivamente compagnie filodrammatiche e gruppi sperimentali, alcuni anche di un certo rilievo. I nomi relativamente nuovi della drammaturgia argentina sono quelli di Ricardo Monti (Maratón), Jorge Goldenberg (Cartas a Moreno), Roberto Perinelli (Miembro del jurado, Desdichado deleite del destino), Daniel Veronese (La Noche devora a sus Hijos, 1999), coautore anche della sceneggiatura del film Cómo pasan las horas (2005). Tra le donne emergono in particolare, Alicia Muñoz, Patricia Zangaro (n. 1958; A propósito de la duda, 2000; Las razones del bosque, 2002), Andrea Garrote (n. 1972; La Modestia, 1999; La estupidez, 2003), Mariana Trajtenberg (Mar de Margaritas, 2001).

Cultura: cinema

Capitale del cinema latino-americano per numero di film e di sale, Buenos Aires ebbe negli anni Venti il pittore-pioniere che la dipinse in modo vivo sugli schermi: José A. Ferreira. Il successo del suo primo poemetto sonoro, Muñequitas porteñas (1931), favorì una produzione più ampia, che per reagire all'invasione hollywoodiana fece ricorso a un uso in verità scriteriato del colore locale, platealmente inteso come apologia del tango. Una ventata innovatrice recò Mario Soffici, che in Viento norte (1937) e in Prisioneros de la tierra (1939) aprì gli orizzonti della Pampa quale teatro di scontri sociali e battaglie d'indipendenza e di un primo epos nazionale. È la strada poi seguita da Lucas Demare (da La guerra gaucha, 1942, fino a La zafra, 1959), da Hugo del Carril (I desperados della giungla verde, 1953) e dal più intellettuale Manuel Antín (Don Segundo Sombra, 1969). Ma sono eccezioni nel cinema argentino di quegli anni, che solitamente si limita a confezioni letterarie più o meno evasive o a spettacoli di grana grossa. La tecnica, assicurata da numerosi studios e da attrezzati laboratori, è moderna, ma il rinnovamento tematico è impedito da una censura che è tra le più severe del continente. Negli anni Cinquanta si è affermata tuttavia la personalità tormentata di Leopoldo Torre Nilsson, descrittore del chiuso mondo borghese e della sua decadenza. Nel decennio successivo ha tentato di farsi luce, duramente contrastato, il "nuevo cine" di una generazione orientata verso la testimonianza documentaria e la denuncia sociale: Fernando Birri con Los inundados (1962), Lautaro Murua con Alias Gardelito, Gerardo Vallejo con El camino hacia la muerte del viejo Reales sono fra i rappresentanti più audaci di questo movimento di rivolta interna. Finché nel 1967, fuori del "sistema", è esplosa dal gruppo di "Cine-Liberación" un'opera rivoluzionaria di provocazione politica: il trittico-reportage di Fernando Ezequiel Solanas e Octavio Getino La hora de los hornos. In seguito la situazione politica e la rigida censura hanno avuto conseguenze notevolissime anche nell'ambito cinematografico; ma con la riconquistata democrazia il cinema argentino ha potuto riappropriarsi del meritato spazio internazionale. Grande risonanza all'estero hanno avuto, infatti, negli anni Ottanta e Novanta le opere di Luis Puenzo (La historia oficial, 1985, premio Oscar ; Old Gringo, 1989; La peste, 1992), di Hector Olivera (No habrá más penas ni olvido, 1984; La noche de los lapices, 1986), di Carlos Sorin (La pelicula del rey, 1986), di Héctor Babenco (Il bacio della donna ragno, 1985, basato su un romanzo di Manuel Puig) e, soprattutto, del già citato Solanas, tornato in patria con due opere che hanno come tema l'esilio, Tangos - El exilio de Gardel (1984, realizzato in Francia) e Sur (1988), cui hanno fatto seguito El viaje (1992) e La nube (1998). Una buona affermazione hanno avuto anche Mondo Grúa (1999) di Pablo Trapero e Garage Olimpo (1999) dell'italo-argentino Marco Bechis, dedicato allo scottante tema dei desaparecidos durante il regime del dittatore Videla. Del 1996 è Eva Perón, di J. C. Desanzo (n. 1938), risposta argentina al troppo hollywoodiano Evita interpretato da Madonna, mentre il già citato Trapero ha diretto ancora Familia Rodante (2004) e Leonera (2008). Trapero è fra i migliori rappresentanti del “nuevo cine argentino”, in compagnia di Mariano Llinas (n. 1975), fra i più interessanti registi dell'ultima generazione (Balnearios, 2002; Historias extraordinarias, 2008), Ciro Cappellari (n. 1959, regista di Sin querer, 1997, e di molti documentari cinematografici), Israel Adrián Caetano (n. 1969), Lucrecia Martel (n. 1966; La ciénaga, 2000; La niña santa, 2004; La mujer sin cabeza, 2008), Daniel Burman (n. 1973), vincitore con L’abbraccio perduto del Leone d'Argento a Berlino 2004 e fattosi apprezzare anche con il successivo Derecho de familia (2006). Un altro regista argentino che si è guadagnato fama internazionale è Juan José Campanella (n. 1959), che, dopo aver diretto Il figlio della sposa (nominato allʼOscar per il miglior film straniero nel 2002), nel 2010 riesce a portare in patria lʼambita statuetta con Il segreto dei suoi occhi.

Bibliografia

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