Generalità

(DC), nome di un partito politico e, precedentemente, espressione usata, alla fine del sec. XIX, dai cattolici italiani per definire la loro azione in campo politico-sociale.

Storia: dalla fondazione al X Congresso (1967)

Secondo le indicazioni contenute nell'enciclica Rerum Novarum, l'azione politica doveva essere volta al raggiungimento di una maggiore giustizia sociale mediante l'applicazione dei principi della fede cristiana in una società in cui una solidarietà comunitaria eliminasse i conflitti di classe. Tale spinta verso un rinnovamento “dal basso” dello Stato borghese e liberale nei suoi contenuti socio-economici finì per assumere anche un significato politico, come tentativo di impegnare i cattolici in una battaglia civile per il consolidamento della partecipazione dei cittadini alla gestione democratica dei pubblici poteri. I primi movimenti organizzati che ritenevano la “democrazia politica” condizione essenziale della “democrazia sociale” sorsero agli inizi del sec. XX soprattutto in Francia e in Italia (movimento del Sillon di M. Sanguier, R. Murri e la Lega democratica nazionale, modernismo), ma caddero subito sotto le esplicite condanne delle gerarchie ecclesiastiche, timorose che entrasse in crisi il tradizionale concetto d'autorità imposto dall'alto e si finisse per cedere alle suggestioni delle correnti individualistiche e liberali. Il rapido inserimento delle masse popolari nella vita dello Stato, conseguente alla prima guerra mondiale, rese però indispensabile in tutti i Paesi europei il formarsi di organizzazioni capaci di raccogliere e di indirizzare i cattolici nel dibattito politico. In Austria, Belgio, Svizzera, Germania e, soprattutto, Italia (Partito Popolare) l'intervento dei cattolici nella vita politica assunse nuovo vigore con la ricerca di un equilibrio egualmente lontano dal tradizionale estremismo di una radicale visione teocratica della società come dall'identificazione del cristianesimo con le forme politiche tipiche della democrazia parlamentare, ancora inaccettabile per la Chiesa. I totalitarismi nazifascisti e le loro atrocità hanno in seguito contribuito a far evolvere l'azione politica dei cristiani verso una chiara difesa delle istituzioni democratiche e liberali, intese come garanzia di convivenza delle diverse ideologie e salvaguardia della piena dignità della persona umana. Nel 1943 sorse così, dall'unione di gruppi cattolici avversari del fascismo (p. es. il movimento neoguelfo di Piero Malvestiti) e di esponenti del Partito popolare, il partito della Democrazia Cristiana (DC). Nel programma, pubblicato sul Popolo del 12 novembre 1943, si affermava la necessità di non riaprire il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, risolto dal Trattato del Laterano, e si auspicava il ritorno alla democrazia parlamentare e rappresentativa, come unica forma di garanzia delle libertà civili. La struttura regionalistica doveva fare da alternativa al centralismo burocratico statale nella ricerca di una giustizia sociale, capace di salvare la libertà economica e il godimento dei frutti del lavoro individuale. Presenti con formazioni partigiane (Brigate del Popolo, Fiamme Verdi) soprattutto in Veneto e in Lombardia, gli esponenti della DC riuscirono a dare una struttura capillare al nascente partito, utilizzando anche le organizzazioni cattoliche e parrocchiali. Favorevoli a un compromesso con la monarchia, parteciparono al gabinetto Badoglio. Mentre si consumava la crisi della coalizione del CLN e il governo Parri era costretto a dimettersi, De Gasperi si affermava come il più autorevole leader del partito. Il fatto di voler raccogliere soprattutto i settori della borghesia moderata, timorosi di un'avanzata delle sinistre, provocava però nella DC l'abbandono di molte istanze innovatrici e la conseguente reazione del gruppo di Dossetti, Fanfani, La Pira e Lazzati, riunito attorno alla rivista Cronache Sociali e critico verso la segreteria Piccioni (iniziata nel settembre 1946). Le elezioni del 1948, quando la DC raggiunse il 48,71% dei suffragi, confermarono il ruolo assunto da questo partito come barriera contro il “pericolo marxista”. Tra il 1948 e il 1953, per la stessa configurazione interclassista del partito, si approfondiva al suo interno il dibattito tra le diverse correnti, che prendevano a organizzarsi in modo sempre più autonomo e contrapposto. Accanto ai dossettiani, sulla sinistra operavano il gruppo sindacalista e quello ispirato da G. Gronchi, favorevoli a una più incisiva azione innovatrice in campo economico-sociale; al centro del partito, la maggioranza si riconosceva nell'opera mediatrice del governo di De Gasperi, alla cui abilità e al cui prestigio personale era affidata la possibilità di attenuare i contrasti, mentre l'ala destra rifletteva gli interessi dei ceti più conservatori, opponendosi a ogni riforma agraria e a ogni tentativo di allargare le autonomie locali. Il trauma per l' “operazione Sturzo”, che pretendeva di comporre una lista unitaria con le forze di estrema destra per le amministrative romane del 1952, il fallimento della legge maggioritaria e il brusco calo elettorale DC nelle politiche del 1953 ruppero l'equilibrio politico centrista, tanto che De Gasperi non ottenne la fiducia alla Camera e passò alla segreteria del partito. Il tormentato periodo di instabilità politica all'interno della DC sfociò nel Congresso di Napoli del 1954 durante il quale la corrente di Iniziativa democratica conquistò la maggioranza: il suo leader, Fanfani, divenne il nuovo segretario e tutti gli esponenti più in vista del popolarismo lasciarono il campo agli uomini della “nuova generazione”. La linea autonoma e differenziata anche rispetto agli indirizzi del governo, rivendicata dalla segreteria Fanfani, incontrò una notevole resistenza in cui si inquadrarono, nel 1955, l'elezione di G. Gronchi alla presidenza della Repubblica e il rifiuto del candidato ufficiale C. Merzagora. All'estrema sinistra del partito era intanto nata una nuova corrente, ispirata dal periodico lombardo La Base, che proponeva un dialogo con il PSI attuato, dopo le elezioni del 1958, in un governo (DC-PSDI) guidato da Fanfani, a maggioranza assai ristretta. Fallito l'esperimento per la fronda interna alla DC e dimessosi Fanfani, il gruppo di Iniziativa democratica si divise dando vita, con altri elementi moderati, alla nuova corrente di maggioranza dei “dorotei” (dal convento di S. Dorotea dove si riunirono), alla quale apparteneva A. Moro che al congresso di Firenze del 1959 divenne il nuovo segretario. Questi, abile mediatore tra le varie correnti, dopo la parentesi del monocoloreTambroni (marzo-luglio 1960) sostenuto dai voti del MSI e che suscitò una forte reazione popolare, riprese la strategia di avvicinamento ai socialisti che il Congresso di Napoli (gennaio 1962) consacrò nella politica di centro-sinistra” sfociata nel governo Fanfani (DC-PSDI-PRI) con l'appoggio esterno del PSI. Larghi settori della borghesia moderata ritirarono la fiducia alla DC e le elezioni del 1963 segnarono un netto regresso per il partito, che si ritirò allora su una posizione più moderata, mentre il Paese accusava una vasta depressione economica. La successiva segreteria di Rumor (gennaio 1964) crollò di fronte alle tensioni e ai disaccordi drammaticamente emersi in occasione delle elezioni presidenziali, conclusesi con la nomina di Saragat. L'introduzione della proporzionale nelle elezioni degli organi interni, stabilita nel gennaio 1964 per accentuare il ruolo rappresentativo e democratico del partito, favorì il consolidarsi delle diverse correnti e i tentativi di superare le differenziazioni interne, di fronte ai contraccolpi e ai timori seguiti all'unificazione socialista del 1966, ebbero un esito assai tiepido. Rumor al X Congresso di Milano (novembre 1967) ottenne una maggioranza molto limitata.

Storia: dalle elezioni del 1968 alla crisi

Dopo le elezioni del 1968, Moro lanciò la formula della “strategia dell'attenzione” verso il PCI, riaffermando il carattere “irreversibile” dei legami della DC coi partiti della sinistra. Tuttavia i frequenti dissidi nella coalizione governativa si riflettevano intanto nel partito, rendendo più aspro il dibattito in vista dell'XI Congresso (luglio 1969). Il numero delle correnti crebbe, mentre si approfondiva il distacco di Moro dal gruppo doroteo e l'ex presidente del Consiglio si presentava come leader del cosiddetto “cartello delle sinistre”. Si formò un accordo di maggioranza tra i resti del gruppo doroteo, i tavianei e i fanfaniani. A sinistra i morotei, i basisti, Forze Nuove, il gruppo dei sindacalisti (Scalia e Storti), la Nuova Sinistra, alla quale aderì F. Sullo, mentre l'opposizione di destra era espressa da Forze Libere, eredi del gruppo di M. Scelba. Il clima politico-sociale nel Paese si aggravava, il naufragio dell'unificazione socialista provocava ulteriori divisioni nella DC, e per evitare i pericoli di una paralisi interna, nel settembre 1969, A. Forlani (Nuove Cronache) e C. De Mita (basista), in un convegno a San Ginesio creavano un nuovo blocco di forze, alla ricerca di un raggruppamento omogeneo orientato a sinistra. Nel novembre 1969 la segreteria passava a Forlani, che cercava di raccogliere l'adesione di tutte le correnti. Ma il succedersi delle crisi sfociava nell'impossibilità per Rumor, Moro, Fanfani e Andreotti di dar vita a stabili maggioranze ministeriali. Infine Colombo riusciva a ricostituire il centro-sinistra, cercando di frenare la dilagante crisi economica, mentre la segreteria Forlani alla fine del 1971 riusciva – seppur faticosamente – a portare un esponente DC (G. Leone) alla presidenza della Repubblica. Decise le elezioni anticipate, si formava il monocolore minoritario Andreotti e la DC lanciava lo slogan della “centralità democratica”, alla ricerca di nuove alleanze che nell'estate 1972 il governo Andreotti trovava nei liberali. Dopo le dimissioni del governo Andreotti, seguite al congresso del giugno 1973, la DC, col nuovo segretario A. Fanfani, tornava alla formula di centro-sinistra con un governo presieduto da Rumor. Impegnata nella campagna per l'abolizione del divorzio, la DC era sconfitta nel maggio 1974 dal risultato del referendum popolare. Nell'autunno il governo Rumor era sostituito dal bicolore DC-PRI presieduto da Moro. Alle elezioni amministrative del giugno 1975 la DC accusava una netta diminuzione di voti dovuta allo spostamento dell'elettorato a sinistra e in particolare verso il PCI. A tale insuccesso, imputabile anche alla stanchezza dell'elettorato moderato produttivo, frastornato dalla crisi economica e da ripetuti scandali politici e amministrativi, la DC cercava di reagire con la segreteria di B. Zaccagnini (1975), fautore di un programma di profondo rammodernamento del partito e di moralizzazione della vita pubblica. Ciò permetteva alla DC di evitare il paventato scavalcamento elettorale da parte del PCI nelle consultazioni politiche del 1976. A tessere le fila dei sempre precari equilibri interni fra le correnti del partito e delle instabili maggioranze governative provvedeva allora il leader DC Aldo Moro nell'intento di dare una stabile direzione al Paese con la formula della “solidarietà nazionale”. L'inserimento dei comunisti nell'area di governo, infatti, avrebbe permesso di costituire un sostegno parlamentare amplissimo, comprendente tutti i partiti dell'arco costituzionale, necessario a un governo impegnato ad affrontare la grave congiuntura economica con provvedimenti richiedenti forti sacrifici sociali. Ma l'efferata uccisione dello stesso Moro per opera dei terroristi delle Brigate Rosse (9 maggio 1978) sconvolgeva il delicato assetto raggiunto. Dopo le elezioni anticipate del 1979, si susseguivano in meno di due anni tre gabinetti democristiani e la DC era costretta a cedere per la prima volta la guida dell'esecutivo a un laico: G. Spadolini (1981-82). Era il segno di un declino cui il partito rispondeva eleggendo segretario Ciriaco De Mita (1982). Questi, dopo la sconfitta elettorale del 1983 e la conseguente perdita della guida del governo a favore del socialista Craxi (1983-86) riusciva comunque a rilanciare il partito, che recuperava progressivamente nelle amministrative del 1985 e nelle politiche del 1987. L'instabilità governativa portava lo stesso De Mita a capo del governo (1988), ma nel XVI Congresso della DC (febbraio 1989) si formava una nuova maggioranza che nominava Arnaldo Forlani alla segreteria. La gestione di Forlani era caratterizzata dal rapporto politico preferenziale con i socialisti. Espressione evidente di questa politica era il nuovo gabinetto Andreotti succeduto a quello guidato da De Mita messo in crisi nel giugno 1989. Quello che appariva un formidabile asse (il CAF, come venne ribattezzato il trinomio Craxi, Andreotti e Forlani) doveva, però, fare i conti con una situazione internazionale e interna in pieno movimento. La fine della divisione del mondo in blocchi contrapposti faceva maturare anche in Italia le condizioni per un ricambio politico. Nelle elezioni del 1992 la DC subiva un serio ridimensionamento (meno 5%) senza che se ne avvantaggiassero gli alleati di governo, mentre le inchieste della magistratura coinvolgevano il suo segretario Forlani. La crisi che investiva il partito portava uno dei suoi esponenti, M. Segni, all'abbandono per formare quello che poi sarebbe divenuto il Patto Segni. Nell'ottobre 1992 M. Martinazzoli avviava un radicale processo di trasformazione della DC a partire dal nome, cambiato (luglio 1993) in Partito Popolare Italiano (PPI). Successivamente, gruppi in disaccordo con la nuova linea politica davano vita a diversi altri partiti e formazioni politiche: nel 1994 al Centro Cristiano Democratico (CCD), nel 1995 ai Cristiano Democratici Uniti (CDU), nel 1996 al Rinnovamento Italiano, nel 1998 all'Unione Democratica per la Repubblica (UDR).

La Democrazia Cristiana nel mondo

In Europa i partiti di Democrazia Cristiana generalmente esprimono gli interessi di vasti settori della piccola e media borghesia riuscendo così a condizionare e a determinare le maggioranze di governo in numerosi Stati: l'ÖVP in Austria, la CDU insieme alla CSU in Germania, il Partito cristiano-sociale in Belgio, il CDA (Christian Democratic Appeal) nei Paesi Bassi, il Partito cristiano-democratico in Svizzera, il Partito cristiano-sociale in Lussemburgo. La forte presenza cattolica in Francia non ha invece messo capo a un solido partito politico di Democrazia Cristiana anche perché la maggioranza della borghesia moderata è confluita in altri gruppi politici, che occupano il centro dell'arco partitico del Paese. I democratici cristiani sono anche presenti in Spagna, Portogallo, Danimarca, Finlandia, Norvegia e a Malta. § Il notevole sviluppo di partiti democratici cristiani in America Latina, verificatosi soprattutto dopo gli anni Cinquanta, è dipeso dalla capacità di tali movimenti di realizzare un programma volto a profonde trasformazioni delle strutture arretrate di quei Paesi. Legata agli ambienti intellettuali formatisi attorno a numerose università cattoliche, ma costretta in molti Stati a un'attività precaria o, addirittura, clandestina, per l'assenza di istituzioni democratiche, la Democrazia Cristiana raggiungeva il più cospicuo successo in Cile dove il Partido Demócrata Cristiano deteneva la maggioranza relativa dei seggi parlamentari e, dopo essersi assicurato la guida del Paese per molti anni con la presidenza di E. Frei, col programma di “rivoluzione nella libertà” rappresentava l'alternativa al nuovo governo, espresso dalla coalizione delle forze di sinistra capeggiate da Allende. Il sanguinoso colpo di Stato militare del settembre 1973 e la conseguente dittatura instaurata dal generale A. Pinochet abolivano però ogni dialettica politica e anche la Democrazia Cristiana cilena, che pure non si era mostrata del tutto ostile all'azione dei militari, era costretta al silenzio. A 16 anni di distanza, nelle prime elezioni democratiche (dicembre 1989), la Democrazia Cristiana cilena, con Patricio Aylwin, ottenne di nuovo la maggioranza e la presidenza della Repubblica (marzo 1990). In Venezuela, il Partito socialcristiano (COPEI), guidato da R. Caldera e da L. Herrera Campins, presidente della Repubblica dal 1978 al 1983, si alterna al partito Azione Democratica alla guida del Paese. § Per coordinare l'attività di vari partiti di Democrazia Cristiana sono state create organizzazioni sovranazionali. L'Unione Europea dei Democratici Cristiani (UEDC), sorta nel 1965 in seguito alla trasformazione della NEI (Nouvelles Équipes Internationales), ha lo scopo di sviluppare una collaborazione stretta e permanente fra i partiti democratici cristiani dell'Europa occidentale. L'Union Chrétienne Démocrate d'Europe Centrale (UCDEC), fondata nel 1950 a New York, ha riunito gli esponenti dei partiti cattolici dei Paesi dell'Europa orientale, costretti all'esilio dopo la trasformazione dei loro Stati in democrazie popolari d'ispirazione marxista. Vi facevano capo i movimenti di Cecoslovacchia, Ungheria, Lettonia, LituaniaPolonia, Iugoslavia. In seguito al processo di democratizzazione avviato nei Paesi dell'Est europeo alla fine degli anni Ottanta, l'ufficio europeo dell'Union Chrétienne Démocrate d'Europe Centrale (UCDEC), a Roma dal 1962, si è trasferito nella Repubblica Slovacca a Bratislava (1990). Nel 1947 è stata fondata a Montevideo l'Organización Democrática Cristiana de América (ODCA), che tiene le fila di tutta l'America Latina. Le organizzazioni continentali dei partiti di Democrazia Cristiana fanno capo all'Unione Mondiale Democratica Cristiana di Caracas (1964) con segretariato generale a Roma.

Bibliografia

G. Tupini, I democratici cristiani, Milano, 1954; M. Vaussard, Storia della Democrazia Cristiana, Bologna, 1959; A. Fanfani, Dopo Firenze, Milano, 1961; G. Galli, P. Facchi, La sinistra democristiana, Milano, 1962; A. Fanfani, Centro-sinistra, 1962, Milano, 1963; G. Andreotti, De Gasperi e il suo tempo, Milano, 1964; G. Galli, Il bipartitismo imperfetto, Bologna, 1966; V. Galati, La Democrazia Cristiana, Firenze, s. d.; G. Tamburrano, L'iceberg democristiano, Milano, 1974; F. Rodano, Questione democristiana e compromesso storico, Roma, 1977; G. Galli, Storia della Democrazia Cristiana, Bari, 1978; N. Arbol, I democristiani nel mondo, Milano, 1990.

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