Likud

raggruppamento politico israeliano di destra costituito da partiti e gruppi di partiti, tra i quali: il blocco “Gahal” (Ḥerūt e Liberali), il Centro Libero, la Lista di Stato, il gruppo Terra di Israele. Giunto alla guida del governo in seguito alla vittoria sui laburisti nel 1977, nel 1984 il Likud fu costretto dal risultato elettorale a una coalizione con gli stessi laburisti, coalizione confermata anche successivamente alle elezioni del 1988. Decisamente contrario allo sviluppo di trattative sui territori occupati in seguito alla guerra del 1967, nel 1990 il Likud rompeva l'accordo di coalizione con i laburisti e formava un governo sostenuto dai voti determinanti dell'estrema destra. In realtà con la fine del bipolarismo e, soprattutto, dopo la ricollocazione internazionale di gran parte del mondo arabo in occasione della guerra del Golfo (1991), il Likud era costretto a cedere alla pressione degli Stati Uniti, principale alleato israeliano, accettando di partecipare alla conferenza internazionale sul Medio Oriente che si apriva a Madrid nel 1991. Tale posizione, però, determinava gravi contraddizioni all'interno di un esecutivo fortemente condizionato dai religiosi intransigenti, assolutamente indisposti ad accettare il principio "pace in cambio dei territori". Le inevitabili elezioni anticipate (1992), svoltesi in un Paese nel quale era sensibilmente cresciuta la voglia di porre termine al prolungato stato di guerra, facevano registrare la vittoria dei laburisti, considerati più decisi sostenitori del processo di pace. Costretto all'opposizione, il Likud non mancava di sottolineare tutte le contraddizioni di una trattativa difficile, ma che, comunque, segnava notevoli passi in avanti sul percorso della riconciliazione tra Israeliani e Palestinesi. Una trattativa ostacolata da gravi e sanguinosi episodi ad opera degli estremisti dei due fronti e che culminavano nell'assassinio del leader laburista Rabin da parte di un fanatico religioso ebreo (1995). Alla scadenza della legislatura la campagna elettorale metteva in evidenza la radicale differenza tra il programma laburista e quello del Likud, guidato dal nuovo leader Netanyahu, deciso a rallentare il processo di pace sollecitando la mobilitazione delle componenti più oltranziste della società israeliana. Vinte di misura le elezioni e assunta la guida del Paese (maggio 1996), il Likud non poteva, però, mettere in atto il suo programma alla lettera, anche per le evidenti negative ripercussioni internazionali che un eventuale blocco della trattativa con i Palestinesi avrebbe comportato. Netanyahu sceglieva allora di adottare una linea più moderata riprendendo il dialogo con ‘Arafāt, che portava a un importante accordo su Hebron (gennaio 1997), ma al contempo, per tacitare gli alleati più oltranzisti, dava il via a un piano di colonizzazione della parta araba di Gerusalemme. Si trattava di un'iniziativa che rappresentava un obiettivo ostacolo ai colloqui di pace e innescava un'energica protesta di ‘Arafāt e della popolazione palestinese. Sotto la pressione dei partiti religiosi più intransigenti, il leader del Likud non recedeva nemmeno di fronte alle pressioni internazionali, particolarmente dell'UE e degli USA, anche a rischio di un totale isolamento di Israele (marzo 1997). Proprio questa intransigenza del Likud favoriva un clima di crescente lacerazione nazionale, che stimolava l'opposizione laburista a riorganizzarsi, ed incideva sulla tenuta della stessa coalizione governativa, già barcollante. Pressato dall'estrema destra nazionalista, pronta a contestare anche la linea del primo ministro, e dai moderati, che subivano la defezione del sindaco di Tel Aviv, Roni Milo, fuoriuscito dal partito per fondare un raggruppamento di centro favorevole al processo di pace, il Likud subiva un netto calo di popolarità, mentre il Parlamento appariva sempre più propenso nell'estate del 1998 ad avviare le procedure per le elezioni anticipate. Né l'accondiscendenza verso le correnti nazionaliste, verso il radicalismo estremista dei coloni e verso la mitologia del “Grande Israele” era in grado di controbilanciare le concessioni che Netanyhau era costretto a fare di fronte all'incalzante iniziativa della diplomazia statunitense per la riapertura dei negoziati di pace, sfociati nell'accordo di Wye Plantation stipulato a Washington con ‘Arafāt nell'ottobre del 1998, che di fatto consacrava il principio, fino ad allora rifiutato dal Likud, della resa della terra ai palestinesi in cambio della sicurezza per lo Stato ebraico. Tappa fondamentale dei tormentati negoziati, l'accordo veniva approvato in dicembre dal Parlamento che un mese dopo metteva il governo in minoranza, decretando la fine del predominio dei conservatori. Ormai diviso tra falchi e colombe, il Likud non ritrovava la sua unità attorno alla proposta di Netanyahu di un'alleanza con i laburisti per scongiurare le elezioni anticipate. Si approfondiva anzi la spaccatura fra le correnti più oltranziste, guidate da Benjamin Begin (figlio del leader storico del Likud, Menahem Begin), disposte a dar vita ad un nuovo ragggruppamento contrario ad ogni ulteriore ritiro dai territori occupati, e le forze della sinistra interna, guidate dall'ex ministro delle Finanze, Dan Meridor, sensibili alle proposte del centro ma in disaccordo sull'opportunità di unirsi al dimissionario capo di Stato Maggiore dell'esercito, Amnon Shahak, intenzionato a creare un suo partito moderato. In questo inquieto scenario, la decisione del premierdi congelare sine die l'applicazione del trattato di Wye Plantation rendeva definitivamente operativo il proposito del Parlamento di indire le elezioni anticipate che, svolte nel maggio 1999, sancivano la rotta del Likud e di Netanyahu, sconfitto con il 43,9% dei voti dal 56,1% dei consensi raccolti del leaderdel partito laburista Barak, in luglio a capo di una nuova coalizione di governo composta da laburisti, socialdemocratici e liberali. Se questa sconfitta riapriva la strada di un pur sempre tormentato processo di pace con i palestinesi, va detto che anche l'affermazione laburista era meno splendente di quanto non potesse apparire. Per la prima volta infatti le elezioni si erano tenute in base ad un sistema che prevedeva voti separati per la designazione del primo ministro e per le liste dei partiti. Pertanto il personale successo di Barak non trovava riscontro nei voti ottenuti dal Partito laburista, che anzi subiva un'erosione. Vittima principale della riforma elettorale era comunque il Likud, che pagava lo scotto dell'incapacità di ricomporre le sue diverse anime, obbligando Netanyahu a dimettersi dalla presidenza del partito all'indomani delle elezioni, sostituito da Ariel Sharon (maggio 1999). Tuttavia le nuove difficoltà intervenute nella ripresa del processo di pace israeliano-palestinese, culminate nel sostanziale fallimento dei colloqui tra Barak ed ‘Arafāt tenuti nel luglio del 2000 negli Stati Uniti, oltre a determinare una grave fibrillazione della maggioranza di governo, consentivano all'esponente del Likud, Moshe Katzav, di essere inaspettatamente eletto presidente d'Israele dal Parlamento (luglio 2000). Mentre l'ormai sfaldato governo di Barak era costretto a dimettersi, Sharon si rendeva protagonista di una provocazione nei confronti dei palestinesi, recandosi in visita nel dicembre 2000 alla Spianata delle moschee di Gerusalemme: gesto che scatenava la violenta reazione dei Palestinesi e affossava i negoziati di pace. Il Likud poteva così riprendere vigore e uscire largamente vittorioso alle elezioni del febbraio 2001, che consegnavano a Sharon la guida del Paese all'insegna di una ripresa della linea intransigente di Netanyahu.Il ritiro dagli insediamenti di Gaza, avvenuto nel 2005 e fortemente voluto da Sharon, metteva in crisi il governo per cui Sharon, in novembre, rassegnava le dimissioni e annunciava l'uscita dal partito, per correre con una sua formazione alle elezioni anticipate del 2006. Nel 2005 e nel 2007 Benjamin Netanyahu veniva eletto segretario del partito.

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