Lessico

sm. [sec. XIII; latino tardo cappellus (dim. di cappa, cappa), propr. cappuccio].

1) Copricapo di varia foggia e materiale diverso, che spesso fa parte della divisa o dell'abito di particolari categorie (militari, ecclesiastici, ecc.), costituito per lo più da una cupola con tesa più o meno larga: cappello da uomo, da donna; cappello di paglia, di feltro;cappello cardinalizio, il copricapo in feltro rosso dei cardinali, con cupola rotonda e ala rigida; è guarnito da un cordone in seta con fiocchi a forma di nodi che corrispondono ai gradi della gerarchia ecclesiastica (come simbolo della dignità cardinalizia anche solo cappello: prendere, ricevere il cappello, essere nominato cardinale); cappello alla calabrese, di feltro, con cupola alta, tese rialzate e un laccio per fermarlo sotto il mento o portarlo appeso al braccio; proprio degli abitanti della Calabria, fu portato anche dai carbonari; cappello goliardico, in feltro con cupola alta e stretta, tesa rialzata che si allunga a punta sul davanti; guarnito da un cordone e mille ammenicoli scelti dagli studenti, ha colore diverso secondo la facoltà universitaria frequentata; cappello da cow-boy, a tese larghe, cupola rotonda e sottogola, è portato dai mandriani nell'Ovest degli USA. In varie loc.: portare il cappello sulle ventitré, molto inclinato da una parte; togliersi, levarsi il cappello, fare di cappello, scoprirsi il capo in segno di rispetto o di omaggio (anche fig.: far tanto di cappello a qualcuno, riconoscerne pienamente il valore e la superiorità). Fig.: appendere il cappello al chiodo, sistemarsi sposando una donna agiata; prendere cappello, offendersi, impermalirsi (propr., facendo atto di andarsene).

2) Ant., cappuccio di cuoio con cui si copriva il capo del falcone da caccia: “Quasi falcone ch'esce del cappello” (Dante). Anche elmo, copricapo difensivo. Per estensione, ghirlanda, corona specialmente d'alloro: “ritornerò poeta, ed in sul fonte / del mio battesmo prenderò 'l cappello” (Dante).

3) Fig., breve notazione introduttiva premessa all'argomento di cui si parla o scrive.

4) Per analogia, qualsiasi oggetto o elemento che abbia funzione di copertura. In particolare: A) Ant., capocchia dei chiodi. B) Strato di nuvole o nebbia che copre la cima di un monte. C) In geologia cappello diapirico, lembo sommitale a struttura brecciata delle cupole diapiriche, costituito sia da porzioni degli strati sovrastanti in origine l'orizzonte salifero sia da una mescolanza delle rocce attraversate dal diapiro in ascesa. D) Porzione terminale slargata caratteristica del corpo fruttifero di funghi macroscopici; è detta anche pileo. È presente in alcuni Funghi appartenenti alla divisione Ascomiceti, come le morchelle, dove ha forma conica e superficie alveolata simile a una spugna ed è chiamato anche mitra o mitria (per la sua somiglianza con il copricapo prelatizio da cerimonia); è costante nella divisione Basidiomiceti, dove a maturità assume forma da emisferica a convessa. E) Nell'industria mineraria, elemento superiore del quadro, usato per l'armatura di gallerie e cantieri di coltivazione. Può essere in legno, acciaio o cemento armato e viene collegato coi due ritti verticali (gambe). F) In marina, ghia semplice armata con gancio, impiegata per alzare la parte centrale della vela di trinchetto e di maestra, quando si serrano le vele; coperchio esterno dei tubi di lancio subacquei (per esempio dei sommergibili); vela a cappello, sinonimo di controranda. G) Nell'industria tessile, organo della carda del cotone.

Cenni storici

L'uso del cappello per la sua funzione protettiva è conosciuto fin dai tempi più antichi. Il tipo di cappello più comune, portato dai popoli che si dedicavano all'agricoltura e alla pastorizia, era ampio, di forma rotonda e completato quasi sempre da una larga tesa. Derivato da questo fu il petaso dei Greci, presso i quali il cappello cominciò a essere portato anche per ornamento. Significato simbolico esso assunse a Roma, dov'era riservato agli dei, agli eroi, ai re e ai liberi. Nei secoli successivi il cappello fu portato comunemente da pellegrini e contadini per ripararsi dal sole e dalle intemperie; solo nel sec. XIV l'uso cominciò a generalizzarsi e il cappello si differenziò in diverse fogge . Da allora ne divenne predominante la funzione decorativa: il cappello si ornò di nastri, piume, pelliccia, ecc. Nello stesso secolo ebbe inizio alla corte borgognona l'uso per gli uomini di togliersi il cappello in segno di saluto, uso che divenne comune solo nel sec. XVIII. Nel sec. XVI furono di moda i cappelli di feltro a larghe tese, chiamati poi alla Rubens o alla Rembrandt, perché spesso riprodotti nei quadri di questi pittori . Alla fine del secolo successivo comparvero il tricorno, portato fino al tempo di Napoleone, talvolta anche dalle donne, e il cilindro, che fu il cappello tipico delle epoche Impero e Biedermeier. Il cappello femminile cominciò a essere veramente di moda solo dopo la Rivoluzione francese e per tutto l'Ottocento si sbizzarrì nelle forme più leggiadre. Anche nel sec. XX il cappello femminile ha fogge diverse , mentre quello maschile si è stabilizzato sulla forma floscia, con cupola ovale e ala leggermente rialzata. § Nell'abbigliamento militare il cappello ha subito nel tempo varie trasformazioni. Nell'esercito italiano hanno conservato il cappello i carabinieri, che indossano la caratteristica “lucerna” a due punte; i bersaglieri, che portano un cappello di panno nero, tondo, rigido, a tesa larga, ornato sul lato destro di lunghe piume ricadenti; gli alpini, che conservano il cappello di panno grigio-verde con la tesa posteriore rialzata e ornato sul lato sinistro di una penna nera (bianca per gli ufficiali superiori e i generali); la Guardia di Finanza, che porta un cappello simile a quello degli alpini.

Fabbricazione

La materia prima utilizzata per la fabbricazione del cappello è il pelo di coniglio, di lepre, di nutria, ecc. o la lana. Vengono prodotti anche cappelli di tessuto o di fibre plastiche, ma il cappello classico, più pregiato e costoso, rimane quello di feltro di pelo. Una volta raccolte le pelli di coniglio o di lepre, che verranno lavorate nelle couperies, dove si procede al secretaggio, cioè a quel trattamento chimico che esalterà le capacità feltranti del pelo, questo, rasato o strappato dalle pelli, verrà fornito nelle diverse qualità richieste dai cappellifici. Qui, a opera di macchine soffiatrici, il pelo viene liberato da ogni impurità e dai peli vani (non adatti a infeltrare) e quindi subisce l'operazione di mischia, viene cioè proporzionalmente unito alle diverse qualità secondo il tipo di feltro che si vorrà ottenere. Si passa poi alla pesatura, per la ripartizione nelle prestabilite unità di misura. Si producono cappelli del peso di 60 g (cappello piuma) fino a feltri del peso di 120/150 g. La leggerezza è naturalmente un pregio, che può andare tuttavia a scapito dell'indeformabilità del feltro. L'unità di mischia passa all'imbastitrice, dove il pelo viene aspirato su un grande cono bucherellato e irrorato con un getto d'acqua calda che dà così il via al processo di feltratura. Si ottiene in tal modo la campana (un grande cono di feltro) che viene poi centrifugata e passata prima alla sodatura e poi alla follatura, eseguita in bagno di acqua acidula a 90 ºC, il cui compito è quello di ridurre la dimensione della campana e di aumentare la compattezza del feltro. A questo punto il feltro viene rasato, allo scopo di ottenere una superficie regolare. I feltri passano quindi alla tintoria, dove il colore viene generalmente dato in vasche d'immersione. Si passa poi all'informatura, effettuata con le dresseuses. Il cono subisce la prima metamorfosi verso la definitiva forma del cappello: nasce la tesa, mentre la cupola prende forma arrotondata al vertice. Seguono le operazioni di completamento della formatura, con l'ausilio di presse (con definizione della misura e del modello), di rasatura e di pomiciatura (eseguita con carta vetrata finissima) per lisciare perfettamente la superficie. È infine la volta della guarnitura con l'applicazione di un marocchino all'interno della cupola, cucito con punto non passante, e l'applicazione del nastro, o cinta, all'esterno, e della fodera, quando richiesta. I maggiori centri di produzione sono: Alessandria, Sagliano Micca (Vercelli), Ghiffa (Novara) e Montevarchi (Arezzo). Il procedimento è quasi identico per la creazione dei feltri di lana, con impiego preponderante di lana sudafricana e australiana. Sia con feltro di pelo sia con feltro di lana (il cui maggior centro di produzione è Monza) vengono prodotti cappelli a pelo rasato, a pelo lungo e velours e i noti cappelli da cow-boy, molti dei quali esportati negli U.S.A. La produzione di cappelli a cilindro e a bombetta, o chapeau melon, è ormai limitatissima e la fabbricazione segue solo in parte l'iter del cappello di feltro, staccandosi poi per operazioni alquanto complesse fatte a mano. § Il cappello di paglia nasce in Emilia, dove se ne hanno già notizie nel sec. XV e passa in Toscana da cui viene ben presto esportato in tutta Europa. Il cappello di paglia toscano viene preparato con paglia di grano marzolo, secondo principi portativi all'inizio del Settecento dal bolognese Domenico Sebastiano Michelacci. Il grano marzolo viene sradicato prima della maturazione, imbiancato al sole e utilizzato per la treccia. Il cappello di paglia di Firenze, come venne ben presto conosciuto, è preparato con treccia maglina, fatta da 3 a 21 fili, e alcune operazioni, un tempo tutte manuali, sono fatte a macchina, come la cucitura. Oltre alla paglia di grano, sono ora impiegate altre fibre naturali e moltissime fibre artificiali e sintetiche. I maggiori centri di produzione restano Firenze, Signa, Poggio a Caiano, San Piero e Ponti. Tra le paglie estere più pregiate va citata quella ottenuta dalla Carludovica palmata, da cui si ottengono i famosi panama. § L'Emilia ha anche la priorità nella fabbricazione dei cappelli di truciolo, iniziata pare da Nicolò Biondo nel sec. XV. I trucioli ricavati da legno di pioppo o di salice vengono intrecciati, generalmente a domicilio, in 4/7 maglie e passati alle fabbriche per la tintura e la confezione, effettuata per cucitura. I maggiori centri di produzione del cappello di truciolo sono Carpi e Marostica.

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