Definizione

sf. [sec. XIV; dal lat. ulcus-cĕris]. Perdita di sostanza causata sempre da un processo patologico che interessa gli strati più profondi del tessuto colpito; è caratterizzata da scarse capacità riparative spontanee. Le cause determinanti sono varie: processi infiammatori, turbe circolatorie periferiche, disturbi trofici di origine nervosa, traumi fisici e chimici. La riparazione di un'ulcera avviene tramite la formazione di una cicatrice.

Patologia: ulcera esofagea

È rara e si instaura per reflusso di succo gastrico acido; di solito è unica, di forma rotondeggiante od ovale e ha sede nell'estremo inferiore dell'esofago. Può complicarsi con emorragia e perforazione ed evolvere in una stenosi responsabile di una grave disfagia. La terapia è sia medica sia chirurgica.

Patologia: ulcera gastrica

Lesione peptica, singola o multipla, che colpisce con frequenza pressoché pari i due sessi fra i 50 e i 70 anni. È localizzata più spesso lungo la piccola curva, può essere associata a gastrite del fondo, a ulcera duodenale, oppure può, nel caso di lesioni prepiloriche, comportarsi come una vera e propria ulcera duodenale. Il quadro clinico è caratterizzato da un dolore epigastrico, crampiforme, con insorgenza subito dopo i pasti, e che può essere accompagnato da disturbi dispeptici; i sintomi presentano una periodicità annuale (con recidive primaverili e autunnali). Fra le possibili complicanze vi sono essenzialmente il sanguinamento, la perforazione, la cancerizzazione, benché ancor oggi sia poco chiaro se le ulcere-cancro siano tali fin dall'inizio, oppure degenerino in un secondo momento. La diagnosi è endoscopica, di rado radiologica, con l'obbligo di effettuare prelievi bioptici multipli, specie nei casi con sospetto di neoplasia o di presenza di Helicobacter.

Patologia: ulcera duodenale

Lesione peptica, singola o multipla, più frequente nel sesso maschile che in quello femminile, in soggetti fra i 20 e i 40 anni, localizzata nel 90% dei casi entro 3 cm dalla giunzione gastroduodenale, ragione per cui viene spesso detta ulcera bulbare. È molto frequente, tanto che la diffusione si è stimata vicina al 10% della popolazione nei Paesi industrializzati. Si tratta di una malattia cronica che, se non curata, presenta un'incidenza di recidive del 90% circa entro due anni dal primo attacco. Il sintomo cardine è un dolore epigastrico: insorge da un'ora e mezza a tre ore dopo i pasti, a volte sostituito da pirosi; talora manca del tutto, al più è presente una lieve dispepsia. Non di rado, al contrario, compare una sintomatologia tipicamente ulcerosa, in assenza di lesioni dimostrabili: in questi casi si parla di dispepsia (o duodenite) non ulcerosa. Al dolore si associano spesso vomito, nausea, anoressia, eruttazioni acide, senso di gonfiore epigastrico, a volte reazione di difesa nei quadranti addominali superiori, dolore alla palpazione lungo l'ultima costola destra e riferito alle ultime vertebre dorsali. I disturbi compaiono in genere in primavera e in autunno, tendono a ridursi con l'assunzione di cibo o antiacidi. Le complicazioni più frequenti sono il sanguinamento, la stenosi pilorica o bulbare, la penetrazione dell'ulcera in altri organi (più spesso nel pancreas) e la perforazione. La diagnosi è endoscopica, raramente radiologica, mentre nei casi con lesioni poste nella seconda porzione duodenale, si impone la ricerca di un'eventuale sindrome di Zollinger-Ellison, specie se non si sono avute risposte alla terapia medica.

Patologia: ulcera peptica

Lesione a forma di nicchia tondeggiante, singola o multipla, che colpisce mucosa e sottomucosa degli organi del tratto digerente superiore, più spesso stomaco e bulbo duodenale, ma anche esofago e seconda porzione del duodeno. Le cause non sono ancora ben definite, ma si sa che l'ulcera compare nei casi in cui si rompe l'equilibrio tra fattori aggressivi, cioè acido cloridrico e pepsina, e fattori difensivi, cioè il muco, la barriera costituita dalla tonaca mucosa e gli ormoni gastrointestinali inibitori. Fattori che intervengono nell'insorgenza dell'ulcera sono: abitudini voluttuarie (fumo di sigaretta, alcol e caffè); predisposizione familiare a sviluppare la malattia ulcerosa; cause psicosomatiche e farmaci, in particolar modo i cortisonici, l'acido acetilsalicilico e gli antinfiammatori non steroidei. Attualmente si ritiene che la maggior parte delle ulcere non provocate da farmaci antinfiammatori non steroidei sia attribuibile a un'infezione causata dal batterio Helicobacter pylori. Accanto alle terapie tradizionali antiulcera sono comparse terapie antibiotiche per l'eradicazione del germe. Naturalmente, prima di effettuare la terapia occorre stabilire la presenza di infezione da Helicobacter pylori in genere mediante prelievo bioptico in corso di esofagogastroduodenoscopia. Esiste anche un test non invasivo che rivela la presenza del germe, eseguito sull'aria espirata dal paziente (breath test). Il test consiste nel fare ingerire al paziente un liquido contenente urea C (non radioattiva), e successivamente nel fargli espirare aria entro un contenitore. In presenza dell'Helicobacter pylori l'ureasi batterica idrolizza l'urea liberando CO2, che viene rilevata con uno spettrometro di massa. Le terapie per l'eradicazione dell'Helicobacter pylori sono basate essenzialmente su antibatterici quali l'amoxicillina, la claritromicina, il metronidazolo, il tinidazolo e le tetracicline. Solitamente si impiegano due antibatterici insieme con un inibitore dei recettori H2 o a un inibitore della pompa protonica. Tali schemi terapeutici, somministrati per una-due settimane, permettono di eradicare l'infezione da Helicobacter pylori nel 90% dei casi. Ultimamente si è fatta strada l'ipotesi che anche un batterio, il Campylobacter, possa giocare un ruolo nella genesi dell'ulcera, specie come fattore ritardante la guarigione e favorente le recidive. Dall'inizio degli anni Ottanta la terapia dell'ulcera è principalmente medica: si calcola che allo stato attuale meno dell'1% dei pazienti richieda cure chirurgiche. I farmaci di uso più comune sono: gli antistaminici anti-H2 (cimetidina, ranitidina, famotidina, nizatidina e niperotidina), che bloccano la produzione di acido per stimolo istaminico; gli antiacidi (idrossido di magnesio e di alluminio), che neutralizzano l'acido presente nel lume gastrico; il sucralfato, i sali di bismuto, gli analoghi delle prostaglandine (come il misoprostolo); gli inibitori della pompa protonica (omeprazolo, esomeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo, rabeprazolo), che inibiscono l'acidità gastrica bloccando un sistema enzimatico delle cellule parietali gastriche. La terapia medica è molto efficace. Le recidive tuttavia sono assai frequenti: circa il 90% dei pazienti ha riacutizzazioni a due anni dal primo attacco: ciò rende fondamentale una terapia continuativa a basse dosi praticamente per tutta la vita. La terapia chirurgica, riservata ai rari pazienti che non hanno tratto giovamento dalle cure mediche, o a quei casi che hanno presentato gravi complicanze, si basa sulla vagotomia, di solito associata a piloroplastica, oppure sulla gastroduodenostomia o sulla gastrodigiunostomia: interventi, questi ultimi, spesso gravati da disturbi postoperatori, definiti nel loro insieme “sindromi postprandiali dei gastroresecati”.

Patologia: ulcera venerea

Detta anche ulcera molle o streptobacillosi, è un'infezione contagiosa, autoinoculabile, propria della specie umana, sostenuta dallo streptobacillo di Ducrey (Haemophylus Ducreyi). Il contagio più frequente è quello diretto per mezzo del rapporto sessuale e di conseguenza le lesioni sono localizzate quasi esclusivamente agli organi genitali; dopo un periodo di incubazione di 2-3 giorni, la malattia inizia con ulcerazioni di solito multiple per innesto plurimo o per autoinnesto, tondeggianti con un diametro di 5-20 mm, con tendenza ad approfondirsi nel derma.

Patologia: ulcera delle gambe

Detta pure ulcera varicosa della gamba, rappresenta spesso l'alterazione predominante del quadro sintomatologico delle varici venose; si manifesta di solito unica al terzo distale o sulla caviglia con margini a picco, fondo irregolare con granulazioni molli sanguinanti e violacee intercalate a piccole aree giallo-grigiastre a contenuto puruloide e necrotico; la cute circostante è pigmentata e la sua sensibilità tattile e dolorifica risulta diminuita. Per l'ulcera da decubito, v. decubito. Ulcera corneale settica, lo stesso che cheratoipopion.

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