procèsso

Indice

Lessico

sm. [sec. XIV; dal latino processus-us].

1) Antiq., atto e modo del procedere, procedimento: in processo di tempo, con l'andar del tempo. Più comunemente, la successione dei momenti in cui si realizza o si modifica, secondo leggi sostanzialmente uniformi, un dato fenomeno; svolgimento, evoluzione: esame dei processi semantici; un significativo processo biologico; il processo di accumulazione del capitale. In particolare, in termologia, sinonimo di trasformazione.

2) Metodologia operativa che, nella tecnica, definisce le singole operazioni fondamentali per ottenere un certo prodotto industriale: fasi del processo produttivo; il processo di elaborazione delle materie prime. In particolare, serie di modificazioni subite da una sostanza sottoposta a un determinato procedimento: processo di solidificazione; processo di fusione di un metallo.

3) Nel diritto civile, il complesso degli atti compiuti dal giudice e dalle parti al fine di attuare la norma giuridica nel rispetto delle forme stabilite dalla legge. Nel diritto penale, fase del procedimento penale che si svolge nel pubblico giudizio. In particolare: processo monitorio, nella dottrina giuridica, termine equivalente a ingiunzione; processo verbale, atto compilato da un pubblico ufficiale o anche da un privato (che in quel momento assume veste di pubblico ufficiale) per attestare atti e fatti da lui stesso compiuti o constatati. In sede di processo la compilazione del documento è fatta dal cancelliere. Il processo verbale ha valore di atto pubblico fino al momento in cui non sia proposta querela di falso. Per estensione, l'insieme dei documenti relativi a un atto processuale: esaminare il processo. Comunemente, pubblico dibattito: il pubblico assisteva al processo. Fig.: fare il processo a qualcuno, muovergli critiche; processo alle intenzioni, giudizio formulato basandosi non su dati o fatti obiettivi, ma sulle presunte intenzioni di chi ne costituisce l'oggetto.

4) In filosofia, il termine ha diverse accezioni: il modo di operare per passare dalle cause all'effetto o per risalire dall'effetto alle cause; il divenire delle cose; una concatenazione di eventi.

5) In psicanalisi, processo primario, processo che regola tutte le funzioni inconsce sulla base del principio del piacere, secondo cui la soddisfazione va ricercata immediatamente, ricorrendo all'immagine allucinatoria dell'oggetto di desiderio; processo secondario, processo che regola tutte le funzioni consce sulla base del principio della realtà, secondo cui la realizzazione dei desideri tiene conto della realtà, e un appagamento può essere posposto se le condizioni attuali non lo consentono.

6) In anatomia, termine generico di sporgenze o escrescenze per lo più cartilaginee od ossee variabili per forma e volume: processo alveolare, processo ciliare.

7) In matematica, nello studio dei modelli, intesi come formulazione matematica di una relazione causale o descrittiva di una situazione che si evolve sotto l'influsso di certe variabili, è detto processo stocastico, o processo aleatorio, un modello che può assumere a degli istanti appartenenti a un insieme T(t1, t2, ... ti, ...) uno stato aleatorio Ei appartenente a un insieme E(E1, E2, ... Ei, ...) di stati possibili. Se l'insieme E è formato dalla successione dei numeri naturali, il processo è detto processo numerico; per esempio, il processo rappresentativo del numero di aerei in attesa di atterrare sopra un aeroporto è un processo numerico. Per il processo di Markov, vedi A. A. Markov.

8) In informatica, calcolatore di processo elaboratore usato per il controllo di processi industriali; il processo sotto controllo invia all'elaboratore certi segnali e l'elaboratore risponde con degli altri segnali che determinano la regolazione diretta del processo. Per processo si intende anche il concreto processo di calcolo e la descrizione astratta di un calcolo in cui un insieme di variabili viene modificato da attività atomiche. Contrariamente all'algoritmo, non è richiesto che un processo termini producendo un risultato, ma solo che ogni sua singola azione si svolga impiegando un tempo e uno spazio finiti. Un esempio di processo non terminante è il sistema operativodi un elaboratore elettronico, che dopo l'esecuzione di ogni azione resta attivo, in attesa del prossimo comando. Più processi possono essere concorrenti fra loro, nel caso in cui leggono e scrivono le stesse variabili. In queste situazioni, occorre garantire che solo un processo alla volta possa scrivere un nuovo valore per ogni variabile (assenza di conflitti), che non si verificano situazioni in cui nessun processo può proseguire in quanto ognuno attende il completamento delle operazioni di un altro (proprietà dell'assenza di deadlock), e che a nessun processo venga negata indefinitamente l'opportunità di accedere a una variabile (proprietà di fairness). Il controllo degli accessi per evitare conflitti avviene definendo le sezioni critiche di ogni processo (per esempio quelle in cui avviene l'accesso a variabili condivise). Si usano quindi particolari tecniche che garantiscono che un solo processo per volta si trovi in una sezione critica per una certa variabile. La dimostrazione che un insieme di processi concorrenti tragga beneficio delle proprietà di fairness e di assenza di deadlock richiede l'uso di metodi di calcolo, fra i quali ricordiamo il CCS (Calcolo dei sistemi concorrenti) o il CSP (Calcolo dei processi sequenziali) e di particolari logiche, quali per esempio quelle temporali.

9) In geografia fisica, processi geomorfici, insieme di fenomeni che concorrono a modellare la superficie terrestre. Possono essere endogeni, se causati da fenomeni interni al pianeta (per esempio diastrofismo e vulcanesimo) oppure esogeni, se causati dall'azione erosiva e deposizionale degli agenti atmosferici e dell'acqua (alterazione, demolizione, erosione, trasporto e sedimentazione).

10) In economia aziendale, il processo produttivo è quell'insieme di operazioni economiche omogenee sia nella specie sia nell'oggetto, costituite dal ripetersi dei singoli cicli produttivi. I processi produttivi sono classificabili in riferimento alle aree funzionali in cui si articola l'impresa (processi di acquisto, di vendita, di produzione, di reperimento delle risorse finanziarie, ecc.); essi, secondo differenti livelli di aggregazione, considerati nei loro reciproci vincoli di complementarietà e di interdipendenza, danno origine alla unitaria gestione dell'azienda.

Diritto: principi fondamentali

In uno Stato democratico il processo è condotto dal potere giudiziario, indipendente sia dal legislativo (Parlamento) sia dall'esecutivo (governo) e formato da giudici cui è demandata la decisione finale. La Costituzione detta i principi fondamentali valevoli per ogni processo civile, penale o amministrativo: “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo”, “sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione”, “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.

Diritto: il giusto processo

Riformando l'art. 111 della Costituzione, la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 ha introdotto il principio del giusto processo: l'accusato deve avere, nel contraddittorio che si svolge tra le parti in condizioni di parità davanti al giudice, la facoltà di far interrogare chi ha reso dichiarazioni nei suoi confronti, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; deve essere, inoltre, informato riservatamente nel più breve tempo possibile della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi si è sempre sottratto all'interrogatorio da parte del legale dell'imputato; non hanno più valore i verbali degli interrogati al pubblico ministero se non sono ripetuti in aula; la legge, infine, assicura la ragionevole durata del processo. In base al decreto legge n. 2 del 7 gennaio 2000, i nuovi principi costituzionali sul giusto processo vengono applicati a tutti i processi in corso; le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del suo difensore, sono valutate, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento, solo se la loro attendibilità è confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalità. Possono però essere considerate prove le dichiarazioni di testimoni che hanno rifiutato di rispondere in dibattimento se minacciati oppure sottoposti a violenza o a tentativi di corruzione.

Diritto processuale civile: generalità

Il processo civile attua la legge nel campo della giurisdizione civile ed è promosso dalla parte lesa in un suo diritto soggettivo. Parti e giudice sono i soggetti del rapporto giuridico processuale, svolgentesi secondo regole che stabiliscono i rispettivi obblighi, oneri e poteri. Il giudice è assistito da altri organi ausiliari: cancelliere che documenta gli atti del processo, ufficiale giudiziario che ne notifica gli atti ed esegue anche con la forza le decisioni esecutive, e a volte consulente tecnico e Pubblico Ministero. Il giudice fissa le udienze del processo, lo dirige con ordinanze e decreti e lo decide con sentenza. Le parti sono assistite da avvocati o procuratori e danno impulso al processo con atti quali la citazione, il ricorso, la comparsa, la memoria, il precetto.

Diritto processuale civile: processo di cognizione

Il Codice di Procedura Civile regola vari tipi di processo civile, tra i quali il più importante è il processo di cognizione, che ha lo scopo di accertare un diritto controverso. La domanda dell'attore può chiedere al giudice una sentenza che abbia un contenuto di mero accertamento di una situazione, di condanna o di costituzione di una nuova situazione giuridica. Il processo di cognizione inizia con la citazione che l'attore notifica al convenuto, invitandolo a presentarsi davanti al giudice competente per valore (giudice di pace fino a cinque milioni di lire per le cause relative a beni mobili e fino a trenta milioni di lire per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti; tribunale oltre tali cifre) o per materia, entro un termine stabilito dalla legge. Tra il giorno della notificazione e quello della prima udienza di comparizione debbono intercorrere almeno 60 giorni e 120 se il luogo della notificazione è all'estero. Costituitesi le parti o almeno una di esse (in tal caso si procede in contumacia nei confronti della parte non presente in giudizio) viene formato il fascicolo di ufficio e la causa viene iscritta a ruolo e assegnata al giudice per la sua istruzione: giudice istruttore scelto dal presidente del tribunale se la competenza spetta al tribunale; lo stesso giudice di pace se sua è la competenza. La trattazione della causa durante la fase istruttoria è orale, tuttavia il giudice può autorizzare comunicazioni scritte. Nella prima udienza il giudice interroga le parti e se possibile tenta la loro conciliazione; fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti devono compiere gli atti processuali; se ammissibili e rilevanti ammette i mezzi di prova e le prove. Questi sono proposti dalle parti o disposti di ufficio e sono: la consulenza tecnica, la verifica della scrittura privata, la querela di falso, la confessione giudiziale, l'interrogatorio, il giuramento, la testimonianza, l'ispezione, il rendimento dei conti. Esaurita l'istruzione, il giudice invita le parti a formulare interamente le proprie conclusioni e, con sentenza, decide la causa egli stesso salvo nei casi in cui la competenza spetti al tribunale. In tal caso il giudice istruttore decide la causa in funzione di giudice unico o rimette la causa avanti al collegio (costituito da tre giudici: giudice istruttore più altri due giudici) nelle ipotesi previste dalla legge. La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva ma il giudice di appello (il tribunale per le sentenze del giudice di pace e la Corte d'Appello per quelle del tribunale) può sospendere l'efficacia esecutiva quando ricorrono gravi motivi. Nel giudizio d'appello, adito dalla parte soccombente nei termini di legge, sono inammissibili le domande nuove e, salvo eccezioni, i nuovi mezzi di prova. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa. Le sentenze pronunciate in grado di appello (che abbiano o meno confermato la sentenza di primo grado) o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione esclusivamente per motivi relativi a una cattiva applicazione delle norme di diritto e nei termini di legge. La sentenza di cassazione può essere pronunciata con o senza rinvio. Nel primo caso la sentenza oggetto del ricorso è cassata e la causa viene attribuita a un giudice di pari grado a quello che ha pronunciato la sentenza stessa affinché la decida. Nel secondo caso può trattarsi di una mera conferma della sentenza impugnata o di una decisione relativa alla giurisdizione o alla competenza.

Diritto processuale civile: processo di esecuzione

Altri mezzi di impugnazione sono la revocazione e l'opposizione di terzo. La decorrenza dei termini stabiliti dalla legge per proporre impugnazioni definisce l'iter del processo statuendo il cosiddetto passaggio in giudicato della sentenza e quindi la costituzione del titolo per ottenere, nel caso di decisione di condanna o costitutiva, l'adempimento della parte soccombente. Se questa non ottempera spontaneamente alla sentenza notificatale, il vincitore può instaurare un processo di esecuzione che può essere iniziato da parte del creditore anche con il semplice possesso di una cambiale, di un atto notarile, ecc. Il processo di esecuzione di solito assume la forma del processo di espropriazione forzata dei beni mobili (o immobili) del debitore, anche se detenuti da terzi; i beni sono prima pignorati dall'ufficiale giudiziario e poi venduti all'asta o assegnati in proprietà al creditore a soddisfazione del credito. Il processo di esecuzione può anche assumere la forma dell'esecuzione forzata per consegna o rilascio dove si tratti di consegnare al creditore una determinata cosa mobile o immobile, e quella dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, a spese del debitore che non li abbia volontariamente adempiuti.

Diritto processuale civile: processi speciali

Accanto a queste forme di processo la legge prevede alcuni processi cosiddetti speciali o sommari. Il processo d'ingiunzione consiste nella condanna emessa dal giudice con decreto, per lo più se c'è prova scritta del credito, e sposta sul condannato il peso d'iniziare un normale processo di cognizione per dimostrare le sue ragioni. Il processo per convalida di sfratto è promosso dal locatore o dal concedente contro l'inquilino o l'affittuario nei casi e con le modalità determinati dalla legge. Nel processo cautelare il giudice dispone i provvedimenti necessari per assicurare la futura esecuzione delle decisioni di merito; per iniziarlo è necessaria la parvenza del proprio buon diritto e il pericolo che nelle more d'attuazione di un processo di cognizione ordinario la situazione di fatto possa aggravarsi. Quando vi è una causa pendente per il merito la domanda deve essere proposta al giudice della stessa; prima dell'inizio della causa di merito la domanda si propone al giudice competente a conoscere del merito. Se competente per la causa di merito è il giudice di pace, la domanda si propone al tribunale. Il giudice sente le parti omettendo ogni formalità non essenziale al contraddittorio e, quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento, provvede, ove occorra, assunte sommarie informazioni. In tal caso fissa un'udienza di comparizione delle parti. Il provvedimento può essere di accoglimento o di rigetto. Nel primo caso la parte che ha ottenuto il provvedimento deve intraprendere un processo di cognizione ordinario entro un termine stabilito, altrimenti il provvedimento cautelare concesso, decorso il detto termine, perde la sua efficacia. § Il Codice di Procedura regola poi i processi di volontaria giurisdizione, quali la separazione personale dei coniugi, lo scioglimento del matrimonio, l'interdizione, ecc.; prevede anche che le controversie insorte tra le parti su diritti di cui possono disporre siano decise da privati scelti dagli interessati (arbitri).

Diritto processuale civile: processo del lavoro

Le controversie relative ai rapporti di lavoro subordinato, di affitto a coltivatore diretto, di agenzia, di rappresentanza commerciale, ecc. sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro ai sensi degli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile. Competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda alla quale è addetto il lavoratore; per i rapporti di agenzia e simili è competente il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio del lavoratore. La domanda si propone con ricorso, che viene depositato presso la cancelleria del tribunale competente il quale fissa l'udienza di discussione con decreto. Questo è notificato con il ricorso al convenuto. Nell'udienza di discussione il giudice interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione della lite. Se questa non riesce, egli procede all'istruzione probatoria, alla quale seguono la discussione orale, le conclusioni delle parti e la pronuncia della sentenza il cui dispositivo viene immediatamente letto in aula. La sentenza è provvisoriamente esecutiva se pronunciata a favore del lavoratore per crediti derivanti dal rapporto di lavoro e può essere sospesa dalla corte d'appello (giudice d'appello per il processo del lavoro) se all'altra parte può derivare un gravissimo danno ma, in ogni caso, l'esecuzione provvisoria resta autorizzata fino alla somma di lire 500 mila; se pronunciata a favore del datore di lavoro può essere sospesa quando ricorrono gravi motivi.

Diritto processuale penale: generalità

La decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale non ha efficacia vincolante in nessun altro processo. Quando la decisione di un giudizio penale dipende dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza, il giudice penale, se la questione è seria e il processo civile è già in corso, può sospendere il processo penale fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione che, a ogni modo, ha efficacia vincolante nel processo penale. Questo è finalizzato all'accertamento della responsabilità dell'imputato come in ipotesi assunto dall'accusa nei capi di imputazione e quindi, in caso di comprovata colpevolezza, all'irrogazione della pena. In caso di accertata pericolosità sociale del reo, alla pena viene associata l'irrogazione di una misura di sicurezza e, qualora sia stata esercitata nel processo penale l'azione civile, la condanna penale è accompagnata da una condanna per il risarcimento dei danni provocati dal reato. Parti del processo penale sono: il Pubblico Ministero; l'imputato che è presunto innocente sino alla condanna di secondo grado; la parte civile; il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria. La competenza è del giudice di pace per i reati previsti dalla legge 24 novembre 1999, n. 468. La Corte d'Assise è competente in genere per i reati più gravi, per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni, come i delitti contro la personalità dello Stato e la strage. Il tribunale è competente per i reati che non appartengono alla competenza della Corte d'Assise o del giudice di pace. Il processo penale è azionato dal Pubblico Ministero che procede d'ufficio quando non è necessaria la querela, la richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a procedere.

Diritto processuale penale: le indagini preliminari

Nell'ambito della prima fase del procedimento, detta delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero e la polizia giudiziaria sotto la direzione di questi svolgono ogni attività necessaria per la determinazione dell'esercizio dell'azione penale. Gli atti di indagine sono coperti dal segreto fino alla chiusura delle indagini preliminari. La persona sottoposta alle indagini (indagato) ha diritto all'assistenza di un difensore in occasione dell'interrogatorio, dell'ispezione, del sequestro, del confronto, degli atti di perquisizione. Sin dal compimento del primo atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il Pubblico Ministero invia all'indagato un'informazione di garanzia con l'indicazione delle norme penali che si assumono violate. Se il Pubblico Ministero richiede l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato al giudice per le indagini preliminari, questi può o meno accettare l'opzione. Nel secondo caso, come in assenza di richiesta di archiviazione, il Pubblico Ministero esercita l'azione penale, formulando l'imputazione. Per il Codice di Procedura Penale il processo ordinario ha luogo lungo tutto il suo iter qualora non ricorrano i presupposti per accedere a uno dei cinque procedimenti speciali previsti dallo stesso codice e cioè: giudizio abbreviato; applicazione della pena su richiesta delle parti; giudizio direttissimo; giudizio immediato; procedimento per decreto. Di norma, il Pubblico Ministero effettua una richiesta di rinvio a giudizio che è trasmessa con il fascicolo delle indagini al giudice per le indagini preliminari.

Diritto processuale penale: udienza preliminare e dibattimento

Il Pubblico Ministero fissa l'udienza preliminare la cui data è notificata alle parti del processo. L'udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del Pubblico Ministero e del difensore dell'imputato. Dopo l'accertamento della costituzione delle parti il Pubblico Ministero espone i risultati delle indagini e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. L'imputato può chiedere, con il consenso del Pubblico Ministero, che il processo sia definito nell'udienza preliminare. In tal caso il giudice dispone il giudizio abbreviato (art. 438 e seg.) se ritiene che il processo possa essere definito allo stato degli atti. La particolarità del giudizio abbreviato è che, in caso di condanna, la pena che il giudice determina è diminuita di un terzo e l'imputato e il Pubblico Ministero non possono proporre appello contro le sentenze di proscioglimento, quando l'appello tende a ottenere una diversa formula. Quando la prova appare evidente il Pubblico Ministero, previo interrogatorio dell'imputato, può chiedere il giudizio immediato. Nel caso in cui l'udienza preliminare prosegua prendono la parola i difensori delle parti presenti, dopodiché il Pubblico Ministero e i difensori formulano le rispettive conclusioni. In ogni caso l'imputato può chiedere di essere sottoposto a interrogatorio. § Dopo la chiusura della discussione il giudice per le indagini preliminari procede alla deliberazione pronunciando sentenza di non luogo a procedere che proscioglie l'imputato (che può essere oggetto di appello e di revoca) oppure il decreto che dispone il giudizio in dibattimento, fase pubblica del processo. Compiuti gli atti introduttivi del dibattimento, si procede all'istruzione e quindi, esaurita l'assunzione delle prove, il Pubblico Ministero e successivamente i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata e dell'imputato formulano e illustrano le rispettive conclusioni. In ogni caso l'imputato e il suo difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi se la domandano.

Diritto processuale penale: la sentenza e la sua impugnazione

La sentenza (di non doversi procedere; di assoluzione; di condanna) è deliberata sulla base delle sole prove acquisite legittimamente in dibattimento. La sentenza emessa dai giudici di primo grado è in genere impugnabile con l'appello ma la parte che ha diritto di appellare la sentenza può proporre direttamente ricorso per cassazione. Sull'appello proposto contro le sentenze pronunciate dal giudice di pace è competente il tribunale che giudica in composizione monocratica; sull'appello contro le sentenze pronunciate dal tribunale decide la Corte d'Appello; sull'appello contro le sentenze della Corte d'Assise decide la Corte d'Assise d'Appello. Dal momento della pronuncia, durante i termini per impugnare e fino all'esito del giudizio di impugnazione, l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa. Oltre che dall'imputato e dal Pubblico Ministero, la sentenza può essere impugnata dalla parte civile ai fini della tutela dei suoi interessi civili. Se il giudice d'appello ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti può disporre la rinnovazione del dibattimento. Nel caso in cui l'appello è proposto dal solo imputato, la sentenza del processo d'appello non può essere più sfavorevole di quella di primo grado (divieto di reformatio in peius). Esclusi i casi in cui il giudice d'appello dichiara la nullità della sentenza appellata e quindi trasmette gli atti al giudice di primo grado, egli pronuncia sentenza con la quale conferma o riforma la sentenza appellata. Contro le sentenze d'appello o inappellabili è possibile ricorrere in Corte di Cassazione per violazione della legge penale sostanziale o processuale, mancata assunzione di una prova decisiva richiesta da una parte, illogicità della motivazione della sentenza. La Corte di Cassazione pronuncia sentenza di conferma della sentenza impugnata oppure il suo annullamento. La sentenza divenuta irrevocabile in quanto non più impugnabile può essere impugnata per mezzo del processo di revisione qualora emergano nuove prove che dimostrino l'erroneità della decisione pronunciata. Il ricorso per Cassazione è sempre ammesso contro i provvedimenti restrittivi della libertà personale per violazione di legge ma l'impugnazione non ha effetti sospensivi del provvedimento.

Diritto costituzionale

Il processo costituzionale si svolge davanti alla Corte Costituzionale. Ha come oggetto la declaratoria di costituzionalità o meno di una legge, sulla quale è stata avanzata eccezione di costituzionalità da parte di chiunque o anche d'ufficio in un processo qualsiasi. Il giudice in questo caso emana un'ordinanza, in cui espone le violazioni alla Costituzione ravvisate in detta legge e nel contempo le motivazioni del suo convincimento; di conseguenza interrompe il processo in corso e rimette tutti gli atti relativi alla Corte Costituzionale. L'ordinanza deve essere notificata anche al presidente del Consiglio (o della Regione in materia regionale), ai presidenti della Camera dei Deputati e del Senato e al presidente della Corte Costituzionale. Questo dispone per la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (o sul Bollettino della Regione) e invita le parti a presentare entro venti giorni le loro deduzioni e a costituirsi. Dopo questo periodo il presidente della Corte fissa la data del dibattito. L'udienza è pubblica e la discussione è impostata sulla relazione preparata da un giudice costituzionale. Ascoltata la difesa delle parti, la Corte si riunisce in camera di consiglio per deliberare e poi il presidente pronuncia la sentenza. Diversa la procedura per il giudizio di alto tradimento e attentato alla Costituzione da parte del presidente della Repubblica, del presidente del Consiglio e dei ministri: ai quindici giudici ordinari se ne aggiungono altri sedici nominati dal Parlamento in seduta comune; l'accusa è sostenuta dal Parlamento tramite una commissione di sua nomina. Il presidente della Corte notifica l'accusa; viene poi istituita l'istruttoria e ha luogo l'interrogatorio dell'imputato. Dopo il dibattito, la Corte si ritira in camera di consiglio per decidere e il suo presidente legge poi la sentenza. Per la pena valgono le norme del Codice Penale applicate agli altri cittadini.

Diritto comunitario

Il processo avanti alla Corte di Giustizia e al tribunale di prima istanza dell'Unione Europea si svolge secondo le norme del trattato CEE. La Corte e il tribunale hanno il potere di stabilire il proprio regolamento di procedura dopo aver ottenuto l'approvazione del Consiglio. In particolare, la Corte è competente per i ricorsi per inadempimento degli obblighi derivanti dai trattati comunitari; i ricorsi di annullamento e carenza degli atti del Consiglio e della Commissione; le pronunce pregiudiziali sollevate avanti a un giudice di uno degli Stati membri sull'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni dell'Unione; i ricorsi per responsabilità extracontrattuale delle Comunità. Il tribunale di prima istanza è competente in primo grado, per le cause relative al personale delle Comunità e alla concorrenza. Gli aspetti generali del processo dinanzi alla Corte e al tribunale rispecchiano i principi comuni ai tribunali nazionali. Il carattere contraddittorio del processo e in particolare l'eguaglianza delle parti e i diritti della difesa sono rigorosamente osservati. Le udienze sono pubbliche e le sentenze vengono pronunciate in udienza. Il processo è gratuito e le uniche spese sono quelle relative alla rappresentanza delle parti. I processi sono promossi mediante le domande di Stati membri, di istituzioni comunitarie o di privati. Le domande di pronuncia pregiudiziale possono essere presentate solo dai giudici nazionali. Dopo l'arrivo della domanda, il presidente della Corte assegna la causa a una delle sezioni e designa uno dei giudici di questa come relatore. Dal canto suo, il primo avvocato generale presso la Corte attribuisce la causa a uno degli avvocati generali. Lo scambio di documenti tra le parti costituisce la fase scritta del procedimento. Terminata questa fase, il giudice relatore presenta alla Corte una relazione preliminare ove propone l'assunzione eventuale di mezzi probatori (ulteriori informazioni, produzione di documenti, comparizione personale delle parti, perizie). Assunti i mezzi probatori il processo prosegue nella fase pubblica dell'udienza. Ai fini della trattazione orale, il giudice relatore ha il compito di redigere una relazione d'udienza nella quale si espongono i dettagli della causa. Le parti possono formulare osservazioni su questa relazione che costituirà la parte in fatto della sentenza. Dopo aver sentito l'avvocato generale, la Corte delibera in camera di consiglio: la discussione è aperta dal giudice relatore; la deliberazione e la votazione sono informali. Nel corso della deliberazione la Corte può in qualsiasi momento decidere di riaprire il processo e chiedere alle parti nuovi argomenti scritti e orali o disporre qualsiasi altro provvedimento istruttorio. Le decisioni della Corte hanno di regola la forma di sentenze articolate in tre parti: fatto, motivazione e dispositivo. La lingua del processo è scelta dal ricorrente, ma quando il ricorso è diretto contro uno Stato membro la lingua processuale è la lingua ufficiale di quello Stato.

Diritto: il procedimento giudiziario nei Paesi anglosassoni

Un cenno a parte merita il procedimento giudiziario nei Paesi anglosassoni: il processo è snellito da molte formalità esteriori e di conseguenza molto più rapido; il processo civile è quasi completamente orale, rapida l'assunzione dei mezzi di prova, la decisione è affidata al convincimento del giudice; il processo penale è fondato sul sistema accusatorio e la dimostrazione della colpevolezza dell'imputato è dovere dell'accusatore. Lo svolgimento del processo avviene nella più assoluta pubblicità; i cittadini vi partecipano formando la giuria; l'imputato può essere chiamato a deporre; il verdetto finale spetta alla giuria; i giudici sono scelti fra i giuristi e gli avvocati più illustri che non sono magistrati di carriera.

Diritto canonico

La competenza a giudicare nelle cause ecclesiastiche è ripartita secondo le seguenti regole: foro privilegiato “ex qualitate personarum”, competenza del pontefice o dei tribunali della Santa Sede; competenza per materia, assoluta e inderogabile; l'incompetenza non è sanabile e deve essere rilevata d'ufficio dal giudice, in qualunque stadio della causa; competenza per territorio, regola per la quale è competente il tribunale del domicilio o quasi-domicilio del convenuto; può essere derogata (fori speciali esclusivi, o concorrenti); competenza per grado, di regola la causa è proposta in prima istanza al tribunale diocesano, in seconda (appello) al tribunale del metropolita, in terza ai tribunali ordinari della Santa Sede. Il tribunale della Segnatura Apostolica è il supremo organo giurisdizionale della Chiesa. Il normale procedimento giudiziario consta di quattro stadi: preparazione, dal libello introduttivo alla citazione e alla litis contestatio; istruzione, raccolta delle prove e svolgimento delle eventuali cause incidentali; discussione, presentazione e scambio, tra i difensori o le parti stesse, delle allegazioni difensive; decisione, stesura e pubblicazione della sentenza da parte del giudice. Norme speciali sono stabilite per le cause criminali, per le cause contro la sacra ordinazione, per i processi di beatificazione e canonizzazione e per le cause matrimoniali.

Cenni storici: diritto greco

Caratteristica del sistema processuale attico era la fondamentale uniformità e unitarietà tra processo privato e pubblico. Il procedimento aveva carattere accusatorio, orale, pubblico. L'iniziativa spettava al cittadino che, in veste di attore o di accusatore, presentava la sua richiesta al magistrato. Questi non esercitava in Atene una funzione giurisdizionale vera e propria: egli accoglieva le istanze delle parti, apriva la sezione istruttoria e la conduceva a termine, iscriveva la causa a giudizio e la presentava al collegio giudicante, del quale aveva la presidenza. Le differenze tra i vari procedimenti erano di carattere formale più che sostanziale, pur sul presupposto del tipo di rapporto controverso. Non c'era una distinzione o contrapposizione fra cause civili e penali: il dibattimento si svolgeva sempre davanti a un collegio, presieduto da un magistrato, la cui competenza era determinata dalla materia del contendere, o dalla condizione giuridica delle parti. Così, per esempio, per rapporti di diritto familiare, era competente l'arconte eponimo, per reati di sangue il basiléus, per rapporti in cui fossero parte meteci il polemarco, per una serie di reati (politici e comuni) e per controversie in materia commerciale e mineraria i tesmoteti. Sempre sotto un profilo procedurale si poneva la differenza tra díke e graphé: esperibile la prima da parte del soggetto leso, la seconda da chiunque avesse capacità di agire in giudizio. È interessante ricordare le modalità per la persecuzione dell'omicidio: l'azione, una díke, spettava ai familiari dell'ucciso; in caso di loro inattività, un qualsiasi cittadino poteva esperire apposita graphé. Il procedimento si apriva con la citazione a comparire davanti a un magistrato; successivamente l'attore o accusatore esponeva per iscritto i fatti e le sue pretese e altrettanto il convenuto, o accusato. Con la comparsa davanti al magistrato aveva inizio l'istruzione della causa: accertamento dei presupposti, procedibilità o proponibilità dell'azione, competenza dell'organo adito. Al termine di questa fase, la causa era deferita al tribunale. Dopo che il magistrato aveva riferito sul caso, si svolgeva il dibattimento; al termine il collegio pronunziava il verdetto, a seguito di votazione. La sentenza poteva essere impugnata soltanto in particolari casi, così per falsa testimonianza o per opposizione contumaciale.

Cenni storici: i principi generali del diritto romano

Il processo privato romano arcaico e classico era caratterizzato dalla rilevanza che assumeva l'iniziativa di parte e dal fatto che la sentenza era pronunziata da un privato, designato dai contendenti. Solo nella più tarda procedura (età imperiale) si assiste a una pubblicizzazione del procedimento. La forma più antica era la procedura per legis actiones, caratterizzata da un rigido formalismo e da una bipartizione in due fasi: in iure e apud iudicem. Le parti potevano tendere all'accertamento di un fatto (processo di cognizione) o alla realizzazione di una pretesa già accertata (processo di esecuzione). Nel primo caso le parti si presentavano al magistrato (in iure) per esporre i termini della controversia e ciò facevano recitando appositi, immutabili formulari (certa verba). Concordato il nome del giudice, le parti si presentavano a lui (apud iudicem) e aveva luogo il dibattimento, con contraddittorio e assunzione delle prove, e la pronunzia della sentenza, inappellabile. Nel secondo caso si svolgeva soltanto la fase in iure, dove l'attore chiedeva al magistrato di essere autorizzato all'esecuzione. Il processo di cognizione poteva essere impostato in tre modi: legis actio sacramento, per la tutela sia di diritti reali (in rem) sia di rapporti obbligatori (in personam). Le due parti affermavano solennemente la rispettiva pretesa davanti al magistrato, dopo di che si provocavano a una scommessa (sacramentum), il cui ammontare era proporzionato al valore della lite e che doveva esser versato dal soccombente; legis actio per condictionem, per la tutela di rapporti obbligatori. Dopo la solenne affermazione delle rispettive pretese, le parti si davano appuntamento dopo 30 giorni per farsi assegnare il giudice. Il procedimento non era oneroso come il precedente; legis actio per iudicis arbitrive postulationem, impiegato in genere per giudizi divisori e, sembra, per casi in cui non si controverteva sull'esistenza ma sull'entità di una pretesa. Le parti chiedevano al magistrato l'assegnazione di un giudice o un arbitro. Il processo di esecuzione poteva svolgersi in due forme: legis actio per manus iniectionem, secondo il quale, sul presupposto di un accertamento della sua pretesa (in genere con sentenza), l'attore trascinava in giudizio il convenuto inadempiente e, precisato in forma solenne il fondamento della richiesta, si faceva autorizzare dal magistrato all'esecuzione; legis actio per pignoris capionem, procedimento stragiudiziale, impiegato per la realizzazione di taluni crediti privilegiati. Il creditore s'impadroniva di un bene del debitore, accompagnando al gesto la pronunzia di determinate parole.

Cenni storici: il processo formulare nel diritto romano

Il processo formulare (per formulas), che si affermò tra il sec. II e il I a. C., pur conservando la bipartizione, si presentava molto più agile del precedente. La procedura era caratterizzata dalla formula, schema di giudizio che, predisposto nell'editto in forma astratta, veniva adattato al caso concreto nel corso della fase in iure. La formula permetteva di realizzare una tutela differenziata per ogni possibile rapporto controverso, senza restare legata a rigidi formalismi. Questo schema di giudizio si componeva di varie clausole, che potevano diversamente atteggiarsi, allo scopo d'identificare gli esatti termini della controversia e fornire al giudice un'indicazione per la sua attività. Mentre infatti il magistrato accertava la questione di diritto, spettava al giudice (un privato scelto dalle parti) l'accertamento dei fatti indicati nella formula. Particolarmente significativa era l'attività del pretore, che poteva concedere o rifiutare l'azione richiesta, concederla per nuove ipotesi, non previste ma degne di tutela, emanare provvedimenti stragiudiziali: per esempio interdetti, restitutiones in integrum, missio in bona. Con quest'ultimo provvedimento aveva inizio l'esecuzione patrimoniale nei confronti dell'insolvente. Come nel sistema precedente, la fase in iure si chiudeva con un atto solenne, litis contestatio, che, nel processo formulare, consisteva nell'accordo delle parti sulla formula redatta dal pretore. La sentenza era pronunziata dal giudice, privato; in caso di condanna, questa era formulata in termini pecuniari. Su precedenti del periodo repubblicano, soprattutto nell'ambito della giurisdizione provinciale, si sviluppò nel principato una nuova procedura che si affiancò, poi sostituendola, a quella definitivamente fissata da Augusto (ordo iudiciorum privatorum) e venne poi denominata cognitio extra ordinem.

Cenni storici: il processo magistratuale-comiziale a Roma

La più antica forma di repressione criminale venne esercitata dal re e poi dal magistrato supremo nell'esplicazione della coercitio. Dapprima limitata ai fatti più gravi, che mettevano in pericolo l'esistenza stessa della comunità e la pax deorum (per esempio perduellio, paricidium), fu successivamente estesa ad altre fattispecie. Nell'ipotesi che il magistrato avesse pronunziato una sentenza di condanna a morte o al pagamento di una somma rilevante, il cittadino poteva richiedere una votazione dei comizi (provocatio ad populum), che confermavano o cassavano la sentenza. Secondo alcuni studiosi, una volta affermatasi questa prassi, il magistrato avrebbe condotto la sua inchiesta davanti al popolo e, nell'ipotesi di accertamento della colpevolezza dell'accusato, avrebbe formalmente convocato i comizi per una deliberazione di condanna o di assoluzione. Si parla così di processo magistratuale-comiziale. Nel corso del sec. II a. C. vennero più volte istituite commissioni straordinarie d'inchiesta, in genere per conoscere malversazioni commesse da governatori provinciali. Tra la fine del sec. II e nei primi decenni del sec. I a. C. tali commissioni divennero permanenti (quaestiones perpetuae). Una legge, o plebiscito, determinava di volta in volta la fattispecie criminosa, la pena, la procedura da seguire e, soprattutto, i criteri per la formazione del collegio giudicante. La questione venne variamente risolta nei diversi momenti storici: dapprima formate da senatori, le giurie vennero poi affidate all'ordine equestre da C. Gracco (123 a. C.) e restituite all'ordine senatorio da Silla; una legge di A. Cotta (70 a. C.) stabilì che le giurie dovessero essere composte da cavalieri, senatori e tribuni aerarii. Il procedimento era accusatorio nel senso che l'iniziativa spettava al singolo cittadino, mediante presentazione dell'atto di accusa (nominis delatio). Dopo l'accoglimento della stessa da parte del magistrato (nominis receptio), si procedeva, per sorteggio o ricusazioni, alla formazione della giuria, presieduta da un magistrato che aveva il compito di dirigere il dibattimento e di annunziare, alla fine, in forma solenne il risultato della votazione dei giurati. Questi si pronunziavano soltanto sulla colpevolezza o meno, in quanto la pena era già stata fissata dalla legge. Si mantenne, per altre fattispecie, la coercitio magistratuale, sia in Roma sia in provincia, con l'eventuale limitazione della provocatio, che si concretava nel divieto di mettere a morte un cittadino romano. Con l'avvento del principato si affermò anche in questo campo la cognizione dei funzionari imperiali, cognitio extra ordinem, procedimento in prevalenza inquisitorio, dove il giudice godeva di maggiore discrezionalità, soprattutto nella valutazione delle circostanze del reato e quindi nella determinazione della pena.

Cenni storici: diritto medievale

Nel processo medievale entrarono come componenti il diritto romano, quello ecclesiastico e quello germanico, frammischiati a un elemento popolare che tentò di salvare, nel disgregarsi dello Stato e nell'involuzione del diritto, alcuni principi, su cui poggiare i propri rapporti nella vita sociale. Nel periodo bizantino le istituzioni giuridiche e le forme di processo furono di nome le stesse, ma in realtà erano sempre più avvilite dal generale sfacelo del potere politico: al magistrato-giudice unico venne sostituendosi la pluralità dei giudici, secondo gli usi germanici; il procedimento penale accusatorio cedette il passo a quello inquisitorio e segreto; nel processo civile l'onere della prova rimase, nello spirito e nella lettera del diritto romano, all'attore, ma con qualche eccezione; il convenuto contumace era perdente in partenza; nell'editto di Teodorico al sistema probatorio si affiancò il giuramento di purgazione, derivato dal diritto germanico. Il diritto germanico s'introduceva in Italia in quel periodo della sua evoluzione in cui lo Stato faceva la sua prima, timida apparizione nel diritto privato, caratterizzato dalla popolarità e dalla collegialità del giudizio. È evidente il suo contrasto con il carattere pubblicistico del processo romano: nel processo germanico il magistrato che presiedeva l'assemblea ne assumeva la guida e il giudice emetteva la sentenza. Fra processo civile e processo penale non vi era separazione alcuna: il processo iniziava con la citazione privata e quando questa fu sostituita da un atto pubblico del giudice, il processo fu però sempre promosso dall'attore. Le parti si presentavano all'assemblea giudicante e ognuna esponeva le proprie argomentazioni. La parte che non si presentava era esclusa dalla tutela giuridica (per cui chiunque poteva ucciderla impunemente) con conseguente perdita dei beni. Il dibattito era orale e pubblico: le prove erano portate dal convenuto e comprendevano anche il giuramento di purgazione e il “giudizio di Dio”. In questi giudizi la prova precedeva la sentenza, che era data da Dio stesso (così si credeva) con l'esito della prova. In origine il diritto germanico non ammetteva il ricorso, ma nel diritto longobardo-franco il perdente poteva appellarsi al tribunale del re e in tal modo la reclamatio divenne un istituto riconosciuto. Nel procedimento esecutivo vigeva il principio dell'autogiustizia, ma in processo di tempo s'introdusse l'intervento dell'autorità pubblica, quando la parte perdente non assolveva direttamente l'obbligo assunto. All'inizio del sec. XII il rinnovato interesse per la scienza giuridica, tanto civile che canonistica, portò a un rivoluzionamento nel diritto germanico e all'affermazione di un nuovo ordinamento processuale, che si chiamò romano-canonico, perché desumeva i suoi principi dal diritto romano e da quello canonico. Nel Rinascimento l'oralità del processo fu sostituita dalla forma scritta e la pubblicità dal processo segreto; il processo venne distinto in una serie di atti; il giudice non doveva giudicare secondo coscienza, ma solo in base agli allegati e alle prove, senza la possibilità di farsi su tutta la materia processuale una convinzione propria; le parti potevano essere rappresentate nel processo; nell'ordinamento giuridico fu reintrodotta la divisione fra processo civile e processo penale. In molti casi era usata come mezzo di confessione la tortura e l'infame strumento non scomparve nemmeno con le molteplici trasformazioni subite dal processo penale.

Cenni storici: l'Illuminismo

Nel periodo illuministico (sec. XVIII) la crisi della giurisprudenza toccò il suo acme e si cercò di affrontarla in base alle idee razionalistiche e illuministiche allora largamente diffuse: timidi tentativi furono compiuti negli Stati sardi e a Modena, ma l'incombente tradizione giustinianea non permise risultati efficaci. Il Codice napoleonico non intaccò quello penale, ancora ben saldo nel sistema inquisitorio, ma nel processo civile aprì strade nuove, offrendo garanzie alle parti, mentre il giudice era ridotto a un ruolo passivo.

Per il diritto processuale civile

U. Rocco, Trattato di diritto processuale civile, Torino, 1957-64; F. Carnelutti, Diritto e processo, Napoli, 1958; T. E. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1959; S. Satta, Diritto processuale civile, Padova, 1959; M. Cappelletti, Processo e ideologie, Bologna, 1969; S. Costa, Manuale di diritto processuale civile, Torino, 1973; E. Merlin, Compensazione e processo, Milano, 1990.

Per il diritto processuale penale

A. De Marsico, Diritto processuale penale, Napoli, 1966; V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, Torino, 1967-72; G. Conso, Costituzione e processo penale, Milano, 1969; F. Cordero, Procedura penale, Milano, 1971; O. Vannini, G. Cocciardi, Manuale di diritto processuale penale italiano, Milano, 1973; G. D. Pisapia, Manuale di procedura penale, Milano, 1975; P. Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano, 1991.

Per il diritto canonico

G. Olivero, Le parti nel processo canonico, Milano, 1941; F. Della Rocca, La contumacia nel processo canonico, Roma, 1943; F. Cappello, Praxis processualis ad normam Codicis et peculiarium S. Sedis Instructionum, Roma, 1948; M. Petroncelli, Corso di diritto canonico, Parte speciale, Il processo canonico, Napoli, 1950; E. Mazzacane, La “litis contestatio” nel processo canonico, Napoli, 1954; V. Del Giudice, Nozioni di diritto canonico, Milano, 1970, A. Jullien, Juges et advocats des tribunaux de l'Eglise, Roma, 1970; F. Bolognini, Lineamenti di diritto canonico, Torino, 1991.

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