dòge

sm. [sec. XIII; voce d'origine veneta che risale al latino dux-ducis, capo]. Con questo titolo venne designato nel corso di vari secoli il capo dello Stato veneziano e di quello genovese. A Venezia, nel ventennio che va tra gli ultimi anni del sec. VII e i primi del sec. VIII, al magister militum bizantino viene affiancato un dux di nomina popolare. Sospesa la carica dal 737 al 742 a causa della resistenza dell'aristocrazia, il dogato tornò ad affermarsi sia pure attraverso lunghe lotte spesso cruente durante le quali un doge perì assassinato (Orso Ipato nel 737) e molti altri furono deposti con la violenza (Diodato, Gaulo Galla, Domenico Monegario nel sec. VIII; Giovanni Galbaio, Antenoreo Obelerio nel sec. IX). In tale periodo venne totalmente meno anche la nominale dipendenza da Bisanzio (metà sec. IX). Tentativi di instaurare un dogato ereditario furono fatti a più riprese da varie famiglie (Partecipazio, Tradonico, Candiano, Orseolo) ma si infransero dinanzi alla reciproca resistenza delle famiglie più ricche e al contrasto di influenze fra Impero d'Occidente e Impero d'Oriente. Durante tali lotte un altro doge perì di morte violenta (Pietro IV Candiano nel 976); diversi furono deposti (Giovanni Partecipazio nell'836, Ottone Orseolo nel 1023 e poi ancora nel 1026; Pietro Barbolano Centranico nel 1032, Domenico Selvo nel 1084). Col sec. XII la carica finì nelle mani degli aristocratici, che con la Serrata del Maggior Consiglio, effettuata nel 1297, divennero un'oligarchia, e d'allora il doge fu sempre meno influente fino a diventare semplicemente il simbolo dello Stato. Di famiglia patrizia ed eletto a vita, non poteva abiurare: in oltre sei secoli, solo un doge, Marino Faliero, fu processato e decapitato (nel 1355) e uno, Francesco Foscari, fu deposto (nel 1457). L'ultimo doge, Ludovico Manin, abdicò nel 1797, sotto la pressione dei Francesi. A Genova il titolo di doge fu adottato solo a partire dal 1339 per Simone Boccanegra, di nomina popolare e obbligatoriamente di parte guelfa; solo nel 1413 furono ammessi alla suprema carica quelli di parte ghibellina. Con la riforma del 1528 il dogato fu riservato agli aristocratici, ma il doge, che doveva avere almeno cinquant'anni d'età, restava in carica solo un biennio. Ancor più che a Venezia, il dogato (che fu abolito nel 1797) si ridusse a uno strumento di governo dell'aristocrazia.

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