Gòzzi, Carlo

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scrittore e autore drammatico italiano (Venezia 1720-1806). Fratello minore di Gasparo, accanito conservatore, contribuì a fondare l'Accademia dei Granelleschi, per la difesa della “lingua letterale italiana”, combatté l'illuminismo e le innovazioni da esso recate in ogni campo e sostenne, con spirito retrivo, la “tradizione”. Bersagli della sua battagliera polemica furono Goldoni e l'abate Pietro Chiari, già in lite tra di loro, e i rispettivi partigiani. Di Goldoni Gozzi, aristocratico di famiglia e di spirito, respingeva la riforma teatrale, il realismo, lo spirito borghese, lo strumento linguistico “impuro” e, al suo teatro strettamente legato alla vita quotidiana, volle contrapporre un teatro fiabesco, che si rifacesse ai moduli e richiamasse a nuova vita le maschere della Commedia dell'Arte, della quale la riforma di Goldoni aveva appunto rappresentato il superamento. Scrisse dieci fiabe (Fiabe teatrali) che fece rappresentare in un arco di cinque anni (1761-65) e che si aprono con L'amore delle tre melarance, cui Gozzi diede forma di canovaccio dell'Arte e dove Goldoni e Chiari sono presi di mira con buffoneschi strali satirici. Con la seconda fiaba, Il corvo (1761), Gozzi passò a una compiuta stesura letteraria, in versi per le parti non di maschere. Seguirono, fra l'altro, Re Cervo (rappresentata nel 1762), Turandot (rappresentata nel 1762), La donna serpente (1762) e L'augellino belverde (rappresentata nel 1765), considerata la più estrosa di tutte. Con essa Gozzi tornò alla satira ideologica antiilluministica, dopo che si era lasciato guidare soprattutto dal gusto del fantastico (tra le fonti delle fiabe fu il seicentesco Lu cunto de li cunti di G. Basile). Nel suo spregio per Goldoni e il di lui successo Gozzi aveva inteso dimostrare che si può attrarre il pubblico anche raccontandogli la “più vile tra le fole”. In gran parte mancanti di vero senso poetico e tuttavia cariche di colore e di umori, le fiabe di Gozzi godettero di cospicua fortuna presso i romantici di lingua tedesca e suscitarono interesse pure in Francia, mentre in Russia registi come Mejerchold e Vachtangov (autore di una memorabile regia di Turandot) videro in Gozzi l'esempio di una teatralità immaginosamente antinaturalistica. La figura di Gozzi ha suggerito una pregevole commedia a R. Simoni (Carlo Gozzi, 1903), mentre le sue fiabe hanno stimolato l'estro di musicisti come Wagner, Busoni, Prokofev, Puccini, Casella, Henze, ecc. Oltre alle fiabe, Gozzi scrisse un buon numero di altri lavori teatrali, per lo più derivati dal teatro spagnolo. Miglior ricordo meritano certe opere di diverso genere, colme di spirito polemico: La tartana degl'influssi per l'anno bisestile 1756, almanacco in versi berneschi e burchielleschi (1757); La Marfisa bizzarra (1772), dove la satira si cala nella forma del poema cavalleresco, e soprattutto le Memorie inutili della vita di Carlo Gozzi scritte da lui medesimo e pubblicate per umiltà (1797), ricche di pagine vive sulla famiglia Gozzi e sulla Venezia settecentesca.

B. Croce, La letteratura italiana nel Settecento, Bari, 1949; M. Fubini, Dal Muratori al Baretti, Bari, 1954; G. Ortolani, La riforma del teatro nel Settecento, Venezia-Roma, 1962; P. Bosisio, Carlo Gozzi e Goldoni, Firenze, 1979.

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