Descrizione generale

Parte centrale dell'atomo costituita da un sistema di due tipi di particelle, dette nucleoni e distinte in protoni e neutroni. Il nucleo ha raggio dell'ordine di 10-15 m e ha quindi dimensioni molto inferiori a quelle dell'atomo che ha raggio dell'ordine di 10-10 m. Ha carica positiva, conferita dai protoni, e massa uguale alla quasi totalità della massa atomica. Il numero dei nucleoni A componenti un nucleo atomico è detto numero di massa; il numero Z dei protoni è detto numero atomico; indicando con N il numero dei neutroni, per ogni nucleo vale la relazione A=Z+N. Il numero Z caratterizza l'elemento chimico, in quanto, in un atomo neutro, deve essere uguale al numero degli elettroni periferici; il numero A è invece quello che dà il maggior numero di informazioni sulla struttura del nucleo: nuclei con numeri di massa uguali sono molto simili, per quanto corrispondano a elementi chimicidifferenti. Per caratterizzare una specie atomica mediante i tre numeri A, Z e N si usa la notazione ZX, in cui X rappresenta il simbolo di un determinato elemento chimico. I nuclei con ugual numero atomico sono detti isotopi, quelli con ugual numero di massa isobari, quelli con ugual numero di neutroni isotoni; uno stesso nucleo, infine, può trovarsi in stati energetici diversi: i nuclei aventi gli stessi valori di A, Z e N sono detti isomeri. Quando si parla di nuclide si intende un nucleo con valori ben definiti di A, Z, N e del livello energetico.

Cenni storici

La fisica del nucleo ebbe inizio con la scoperta di H. Becquerel(1894) della radioattività, ma il nome di nucleo atomico fu usato per la prima volta da E. Rutherford durante gli esperimenti da lui condotti sulla diffusione delle particelle α da parte della materia. In base a questi esperimenti l'atomo fu riconosciuto come costituito da un piccolissimo nucleo carico positivamente intorno al quale è distribuita una carica, di ugual valore e di segno opposto, sotto forma di elettroni. Con gli esperimenti di Rutherford, perfezionati nel 1920 da J. sir Chadwick, mediante la comparazione fra gli angoli di deflessione (scattering) delle particelle α incidenti sui nuclei di elementi diversi e la velocità delle particelle α stesse, fu possibile ottenere informazioni sulla carica dei nuclei e quindi sul numero atomico Z dei diversi atomi. Il peso atomico era stato il primo parametro usato per classificare gli elementi chimici e aveva consentito di individuare la massa di ciascun atomo assumendo come unità di misura quella di un atomo campione. W. Prout, basandosi sulla previsione che il peso atomico doveva risultare intero, se l'atomo campione fosse stato l'atomo di idrogeno, ipotizzò che tutti gli atomi fossero costituiti da atomi di idrogeno. L'anomalia di alcuni pesi atomici, come quello del cloro (35,5), pose in crisi la sua teoria fino a quando furono messe a punto tecniche in grado di isolare atomi di uguale carica elettronica, ma di diverso peso atomico. Si constatò allora che in effetti i pesi atomici erano molto prossimi a numeri interi. Gli studi di Rutherford precisarono l'indirizzo della ricerca, evidenziando che il problema della struttura dell'atomo era in realtà quello della struttura del nucleo, il quale ragionevolmente poteva considerarsi un aggregato di particelle più semplici i cui componenti potevano essere nuclei di idrogeno (protoni) oppure nuclei di deuterio (deutoni) oppure nuclei di elio (particelle α). Il mezzo per identificare i costituenti nucleari era quello di ottenere la rottura dei nuclei bombardandoli con opportuni proiettili. Le sostanze radioattive, offrendo quei proiettili, consentirono a Rutherford di ottenere l'espulsione di un protone durante la rottura di un nucleo di azoto bombardato con particelle α. Il protone è dunque un costituente del nucleo e il numero atomico Z può quindi considerarsi il numero dei protoni nucleari. Successivamente, ragioni di stabilità nucleare indussero a pensare che nel nucleo esistessero anche altre particelle di natura diversa dai protoni. Mentre continuavano le ricerche sui costituenti nucleari, alla luce dei risultati sul valore della carica nucleare, furono ottenute le prime informazioni sulla dimensione del nucleo, misurando il massimo approccio possibile delle particelle α ai nuclei nell'ipotesi dell'esistenza di forze puramente coulombiane nella deflessione delle particelle α. L'ipotesi coulombiana fu considerata valida anche a distanza piccolissima dal nucleo dato l'ottimo accordo fra risultati teorici e sperimentali. Successivamente, studi teorici e sperimentali misero in evidenza deviazioni dalla legge di Coulomb che si avevano nella deviazione di particelle α che passavano molto vicino al nucleo. Le sole forze repulsive e coulombiane non erano in grado di render conto del valore delle deviazioni che si avevano in quel caso. Questi risultati misero in evidenza per la prima volta l'esistenza di forze nucleari di natura non elettrostatica. Con l'ausilio di nuovi metodi teorici furono stabiliti criteri per valutare i raggi dei nuclei. Una catalogazione e interpretazione dei nuovi dati e di tutti quelli fino ad allora in possesso mise in evidenza la proporzionalità esistente fra i raggi nucleari e la radice cubica del numero di massa A e cioè: r=r0 A1/3 con r0 ca. uguale a 10-15 m. Più tardi, accurati esperimenti misero in evidenza che spesso i nuclei radioattivi emettono particelle α con una serie di differenti energie (spettro α). La scoperta degli spettri α propose il problema di come venissero generate, da uno stesso nucleo, particelle α con un insieme di valori discreti di energia. In analogia agli spettri atomici, che nella teoria dell'atomo di Bohr e nella meccanica ondulatoria erano interpretati in termini di livelli elettronici di energia quantizzata, furono postulati livelli di energia nucleare che potessero rendere conto della natura discreta dello spettro di emissione delle particelle α. Si suppone, cioè, che esistano nel nucleo un numero discreto di livelli energetici, corrispondenti a diversi stati del nucleo, comprendenti lo stato fondamentale di energia minima e stati eccitati con energie crescenti. Lo stato fondamentale corrisponde alla condizione di stabilità nucleare, ma, in particolari condizioni e per intervalli di tempo dipendenti dallo stato energetico, il nucleo può trovarsi in uno dei livelli eccitati permessi: il decadimento allo stato fondamentale avviene con emissione dell'energia in eccesso. Tutto questo, teorizzato per giustificare gli spettri di emissione delle particelle α, portò alla previsione che la diseccitazione del nucleo dovesse avvenire anche con emissione di particelle di massa inferiore alle α o di pura radiazione elettromagnetica; infatti lo spettro teorico dei livelli eccitati risultò più ampio di quello necessario per le sole emissioni α. A conferma della validità della teoria, venne la scoperta delle produzioni in cascata di particelle α e raggi γ e di particelle β e raggi γ da nuclidi attivati artificialmente. Le esperienze di W. Bothe e R. Beker del 1930 sulle reazioni nucleari indotte da particelle α isolarono una nuova radiazione penetrante la cui natura fu identificata da J. Chadwick nel 1932: si trattava di particelle neutre (vedi neutrone) di massa prossima a quella del protone. Le due particelle nucleari (protone e neutrone), essendo in grado di giustificare il valore della carica e della massa del nucleo, furono assunte come i componenti del nucleo stesso. Una conferma della validità di questa ipotesi fu vista nella spiegazione che la presenza di neutroni era in grado di dare dell'esistenza degli isotopi.

Le forze nucleari

Il problema fondamentale dello studio del nucleo atomico è quello dell'identificazione delle forze nucleari, cioè delle forze che tengono insieme i nucleoni (protoni e neutroni) nel nucleo. Perché possano esistere nuclei stabili, tali forze devono essere di tipo attrattivo, a corto raggio di azione ed estremamente intense. Infatti, in loro assenza, i protoni del nucleo tenderebbero a respingersi tra di loro per repulsione elettrostatica e, se fossero dello stesso ordine di grandezza delle forze coulombiane, il nucleo non avrebbe la grandissima stabilità sperimentalmente osservata. Le forze nucleari che agiscono fra protone e neutrone, fra due neutroni o fra due protoni, risultano molto più complesse di quelle gravitazionalied elettromagnetiche della fisica classica. La forza attrattiva nucleare è molto forte a distanze dell'ordine dei raggi dei nuclei e cioè è a corto raggio, mentre fuori del nucleo decresce molto rapidamente, sì che predominano le forze repulsive di Coulomb, che agiscono, per esempio, nel caso dello scattering di particelle α. L'intensità delle forze nucleari è tale che il lavoro richiesto per dividere un nucleo nelle sue particelle costituenti, cioè l'energia di legame del , è molto più grande del lavoro necessario a separare un elettrone orbitale dall'atomo. Mentre in quest'ultimo caso l'energia necessaria è dell'ordine degli elettronvolt, l'energia di legame tra nucleoni è dell'ordine di milioni di elettronvolt. A causa dell'alto valore di questa energia, la massa atomica di un nuclide può essere interpretata in termini di massa dei suoi costituenti meno una quantità chiamata energia di legame. Si trova, infatti, che la somma delle masse dei nucleoni costituenti un nucleo, preso singolarmente, è sempre maggiore della massa del nucleo considerato. In base all'equivalenza tra massa ed energia, se ΔM è la variazione di massa (detta difetto di massa) che si ha quando protoni e neutroni si combinano per formare un nucleo, la quantità di energia liberata nel processo di fusione è

con c uguale alla velocità della luce. ΔE, che è l'energia di legame, è anche detta impacchettamento (inglese packing). Il rapporto tra energia di legame e numero di massa di un dato nucleo,

è detta energia specifica di legame e rappresenta l'energia media di legame per ciascun nucleone componente; il corrispondente rapporto

è detto anche rapporto di impacchettamento (packing ratio); tale rapporto in funzione del numero di massa è rappresentato da una curva. Con eccezione dell'elio 4, del carbonio 12 e dell'ossigeno 16, i valori dell'energia di legame giacciono in una curva con andamento crescente rapidamente per atomi leggeri fino a raggiungere un massimo di ca. 8,8 MeV per nucleone in prossimità di A=50 per decrescere poi lentamente, tanto che l'energia di legame è ancora di 8,4 MeV per nucleone a ca. A=140, per decrescere poi ancora fino a 7,6 MeV per nucleone per l'uranio. Se ogni nucleone interagisce con tutti gli altri nucleoni, l'energia di interazione, e quindi di legame dovrebbe essere approssimativamente proporzionale al numero di coppie interagenti. Poiché A particelle di un nucleo possono interagire con le restanti (A-1) il numero di coppie interagenti dovrebbe essere

e l'energia di legame dovrebbe essere proporzionale a tale quantità. Si trova invece, per i nuclei pesanti, che l'energia di legame risulta proporzionale ad A e non ad A². Se ne deduce che le particelle del nucleo non interagiscono che localmente fra di loro, analogamente a quanto avviene nei liquidi e nei solidi dove ciascun atomo è chimicamente legato solo agli atomi situati nei più immediati dintorni. Considerazioni sui diversi tipi di legami chimici portano alla conclusione che la miglior analogia per le forze nucleari è rappresentata dal legame che si ha nella molecola d'idrogeno che è detto saturato nel senso che un terzo atomo non potrebbe essere legato fortemente nella molecola. Pertanto, se si considerano le forze nucleari come sature, se ne può dedurre una corretta dipendenza dal numero dei nucleoni. Se un nucleone interagisce solo con i nucleoni più prossimi ciò significa che la forza nucleare è a corto raggio con raggio di azione più piccolo del raggio del nucleo più leggero. La forza di repulsione elettrostatica risulta di ca. 0,5 MeV per una coppia di protoni e pertanto trascurabile rispetto ai ca. 8 MeV dell'energia di legame, però siccome tale forza cresce per i nuclei pesanti proporzionalmente ad A5/3 mentre l'energia di legame è proporzionale ad A ne risulta una diminuzione della stabilità dei nuclei a partire da Z=50 e A=135 e, per nucleo con A oltre 200, l'effetto è forte abbastanza da instaurare instabilità rispetto alla disintegrazione α. Il numero di massa A è ca. due volte Z per i nuclei leggeri mentre per valori grandi di A tale valore cresce oltre 2Z, cioè il numero dei neutroni aumenta più rapidamente del numero dei protoni (figura 3). Le considerazioni precedenti sui nuclei stabili portano a formulare l'ipotesi che le forze nucleari siano sempre attrattive indipendentemente dalla carica dei nucleoni. La validità di questa ipotesi è stata accertata da studi sui livelli energetici, e in special modo sul livello corrispondente allo stato fondamentale, di coppie dei cosiddetti nuclidi speculari, cioè di quelle coppie di nuclei costituite da isobari con un eccesso neutronico pari a ±1. In tali nuclei è stato verificato, con buona approssimazione, che la differenza fra le energie totali in ciascun livello energetico e, in particolare nello stato fondamentale, è dovuta alla repulsione coulombiana (presente solo fra protoni) e alla differenza di massa fra neutrone e protone. Considerazioni su triadi di isobari come 10Be, 10B, 10C e 14C, 14N, 14O completano lo studio sull'indipendenza dalla carica delle forze nucleari, provando che, in buona approssimazione, non solo sono uguali fra loro le forze n–n e le forze p–p ma che queste sono anche uguali alle forze n–p. Per il meccanismo attraverso il quale agiscono tali forze, si ipotizza che i nucleoni costituenti il nucleo creino un campo di forze (il campo nucleare) i cui agenti, cioè i quanti, sono costituiti da mesoni π. Queste particelle, di massa non nulla, furono previste teoricamente da H. Yukawa nel 1935 e furono poi ritrovate nella radiazione cosmica. Un nucleone emette e riassorbe mesoni, cosicché intorno a esso si stabilisce una nube di π, sede del campo di forze nucleari. I nucleoni interagiscono scambiandosi mesoni: è in questa azione di scambio che si concretizza il mutuo legame fra essi. L'evidenza sperimentale mostra che le forze nucleari non sono di tipo puramente centrale; cioè all'interno del nucleo non esiste una struttura densa centrale (il cosiddetto core nucleare) che agisca come centro di forza (come il nucleo nell'atomo); inoltre le forze nucleari sono mutue forze che agiscono fra nucleoni individuali e manifestano un massimo di intensità (proprietà di saturazione delle forze nucleari) in un'unità nucleare costituita da 2 neutroni e 2 protoni.

Modelli nucleari

Per dar conto dei fenomeni e degli esperimenti relativi al nucleo atomico sono stati introdotti diversi modelli di nucleo, ciascuno dei quali è basato su un gruppo di assunzioni semplificative. Ogni singolo modello collega una porzione delle conoscenze sul nucleo comprese all'interno di una determinata banda, ma non è applicabile alle conoscenze esterne a questa banda. Hanno avuto e hanno importanza particolare il modello a goccia, il modello a strati, il modello collettivo, il modello ottico e il modello a quark.

Il modello a goccia

Per spiegare la coesione dei protoni nei nuclei e la neutralizzazione degli effetti di repulsione coulombiana, G. Gamow, nel 1930, ipotizzò (accogliendo una proposta di N. Bohr) il modello a goccia liquida nel quale le forze di legame, che consentono stabilità ai nuclei, sono in tutto simili alle forze di coesione che legano fra loro le molecole di una goccia di liquido. Poiché questo approccio semiempirico non diceva nulla sulle forze in gioco fu successivamente introdotto un processo in cui un elettrone veniva scambiato fra coppie di protoni; in un secondo tempo, su ipotesi di Yukawa, tale compito di scambio fu attribuito al mesone π. § Nell'ipotesi di Yukawa, tutte le proprietà delle forze nucleari (l'indipendenza dalla carica, la proprietà di saturazione ecc.) sono da esprimere in termini di caratteristiche del mesone π scambiato durante l'interazione. Per questa via si giunse alla previsione che il mesone π dovesse avere una massa espressa all'incirca dalla relazione , con r uguale al raggio di azione delle forze nucleari, h costante di Planck e c velocità della luce. Il mesone π doveva avere tre stati di carica (positiva, negativa, neutra) e spin uguale a zero; la particella individuata sperimentalmente come mesone π ha effettivamente tutte queste proprietà. Il modello dà buoni risultati nell'interpretazione delle reazioni nucleari coinvolgenti nuclei pesanti.

Il modello a strati

Secondo il modello a strati, o a shell, o atomico, i nucleoni sono organizzati a strati nel nucleo entro un campo di forza descritto da una buca di potenziale, in analogia con il modello atomico di Bohr. La formulazione di tale modello è giustificata dal fatto che le proprietà nucleari presentano delle periodicità: in particolare, si hanno i nuclidi più stabili in corrispondenza di taluni valori dei numeri di protoni e neutroni nucleari, e precisamente in corrispondenza dei numeri “magici” 2, 8, 20, 28, 50, 82, 126 ecc. Questi numeri vengono interpretati in analogia agli strati elettronici completi del modello di atomo di Bohr. Si noti che la particolare stabilità dei nuclei leggeri in corrispondenza ad A=2Z=2N ha portato alla considerazione di un modello a particelle α, nel quale si ammette che queste esistano come entità individuali all'interno del nucleo. In generale, il modello a strati dà buoni risultati per i nuclei leggeri.

Il modello collettivo

Il modello collettivo costituisce un compromesso fra il modello a goccia, che interpreta il nucleo in termini di materia nucleare paragonabile a un fluido, e il modello a strati, che individualizza il comportamento dei nucleoni in analogia con il modello atomico. Il modello collettivo introduce nella fisica nucleare considerazioni familiari in fisica molecolare: i nucleoni si muovono entro un campo medio variabile con le deformazioni possibili del nucleo indotte dalle forze a lungo raggio agenti fra i nucleoni esterni all'ultimo strato saturo del nucleo.

Il modello ottico

Nel modello ottico il nucleo si comporta, rispetto all'onda rappresentante una particella incidente, come una sfera grigia che in parte assorbe e in parte riflette l'onda entrante e cioè, con il linguaggio dell'ottica fisica, come una regione sferica con dato indice di rifrazione e di data opacità. Questo modello si adatta in modo particolarmente soddisfacente al calcolo delle sezioni di urto di neutroni veloci incidenti su nuclei medi e pesanti.

Il modello a quark

Gli sviluppi della teoria hanno mostrato che il mesone π non può essere la sola particella coinvolta dalle forze nucleari. Per giustificare le interazioni a cortissimo raggio, in corrispondenza al core nucleare, occorre ipotizzare che i quanti del campo siano particelle più pesanti, probabilmente identificabili come aggregati di mesoni. In effetti, le proprietà del nucleo sono tuttora meno conosciute di quanto lo siano quelle degli elettroni all'interno dell'atomo e delle singole particelle che lo costituiscono. Il nucleo infatti è un sistema a molte componenti per le quali non è possibile effettuare semplificazioni del tipo di quelle che si fanno nel caso dell'atomo. Gli stessi nucleoni sono costituiti da altre particelle più semplici dette quark, legate tra loro da forze più intense di quelle nucleari.I modelli di nucleo derivanti dall'introduzione dei quark implicano un aspetto concettuale nuovo e cioè l'utilizzo sostanziale della cromodimamica quantistica (QCD). A livello puramente qualitativo, le forze nucleari vengono assimilate a forze molecolari. Mentre queste sono interpretabili sulla base dello scambio di elettroni, le forze nucleari vengono studiate sulla base dello scambio di coppie di quark. In questo modo sono quindi possibili tre diverse descrizioni del nucleo: modelli basati su quark e gluoni; modelli intermedi basati su barioni e mesoni interagenti; modelli convenzionali a nucleoni. Per lo studio sperimentale del nucleo sulla base del modello a quark sono utilizzati nel mondo acceleratori di particelle utilizzati anche in fisica delle particelle elementari, come LHC e HERA, ma anche apposite macchine dedicate, come gli acceleratori per ioni pesanti di cui i più rappresentativi sono lo statunitense RHIC e il russo NUCLETRON.

Bibliografia

E. Segrè, Nuclei e particelle, Bologna, 1966; A. Bohr, B. R. Mottelson, Nuclear Structure, 2 voll., New York, 1969-71; A. S. Davydov, Teoria del nucleo atomico, Bologna, 1970; G. E. Brown, Unified Theory of Nuclear Models and Forces, Amsterdam, 1972; C. Bernardini, G. Guaraldo, Fisica del nucleo, Roma, 1982.

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