Definizione

sm. [sec. XVII; tele-+scopio]. Strumento ottico per l'osservazione di oggetti molto lontani. Il termine è sinonimo di cannocchiale, ma viene usato in astronomia soprattutto per indicare i cannocchiali riflettori. Si distingue infatti tra cannocchiali (o telescopi) rifrattori, in cui l'obiettivo è costituito da un gruppo di lenti, e cannocchiali (o. telescopi) riflettori, in cui l'obiettivo è rappresentato da uno specchio. Per uso professionale, cioè per i grandi osservatori astronomici, per i quali sono richiesti obiettivi di grande apertura, non si costruiscono telescopi rifrattori sin dai primi decenni del Novecento. Piccoli telescopi rifrattori (detti cercatori), di ridotto ingrandimento, ma di grande campo, sono usati con l'asse parallelo a quello del telescopio maggiore per rendere rapido il puntamento di quest'ultimo.

Ottica: caratteristiche

Le caratteristiche ottiche sono definite allo stesso modo di quelle del cannocchiale rifrattore. È detta apertura dell'obiettivo il diametro D dello specchio; la focale, , è la distanza dal vertice dello specchio alla quale si formano le immagini; l'apertura numerica, /D, è il rapporto tra la focale e l'apertura; le dimensioni dell'immagine data dallo specchio si ottengono moltiplicando le dimensioni angolari dell'oggetto per la focale dello specchio; l'ingrandimento visuale, Iv, è dato dal rapporto tra la focale dello specchio e la focale dell'oculare, oc, con il quale si osserva l'immagine data dallo specchio; l'ingrandimento di un telescopio dipende quindi, oltre che dallo specchio, anche dall'oculare(intercambiabile) usato. Tuttavia il massimo ingrandimento utile è limitato dal potere risolutivo teorico, che dipende esclusivamente dal diametro dello specchio. Il potere risolutivo teorico è definito come il minimo angolo γ sotto il quale due oggetti puntiformi possono essere visti ancora distinti attraverso il telescopio: vale la formula γ=1,22λ/D, in cui λ è la lunghezza d'onda della radiazione considerata e D è il diametro dello specchio. Misurando il diametro D in millimetri e prendendo una lunghezza d'onda media, si ha la relazione empirica: γ=120/D, con γ espresso in secondi d'arco. Il potere risolutivo reale è in genere molto peggiore di quello teorico. Per quanto riguarda la capacità di un telescopio di raccogliere luce, per un oggetto esteso l'illuminazione per unità di area dell'immagine data dallo specchio è proporzionale al quadrato dell'apertura numerica /D; per oggetti puntiformi, l'energia luminosa raccolta dall'obiettivo si distribuisce sull'area della centrica di diffrazione, e quindi l'illuminazione del disco centrale della centrica è proporzionale all'apertura dell'obiettivo.

Ottica: schema ottico

Il primo telescopio riflettore fu costruito da Newton sulla base della falsa ipotesi (il cosiddetto “errore di Newton”) che non sarebbe mai stato possibile costruire un cannocchiale rifrattore esente dalle aberrazioni cromatiche che davano origine a fastidiosissimi fenomeni di iridazione delle immagini. Il telescopio newtoniano, che continua a essere prodotto per il mercato amatoriale, ha come obiettivo uno specchio concavo metallico che forma un'immagine degli oggetti posti all'infinito (come possono considerarsi gli oggetti astronomici) in corrispondenza del suo piano focale. Poiché uno specchio sferico presenta la cosiddetta aberrazione di sfericità, l'obiettivo, nei telescopi newtoniani, è spesso sostituito da uno specchio parabolico corretto appunto per questa aberrazione per gli oggetti all'infinito. L'immagine fornita dallo specchio sferico, o dallo specchio parabolico, nel suo piano focale viene poi osservata con un oculare che ne fornisce un'immagine ingrandita ulteriormente. Nei telescopi newtoniani i raggi riflessi dallo specchio parabolico (che è lo specchio principale) vengono deviati per mezzo di uno specchio piano, di modo che l'immagine degli oggetti astronomici si forma al di fuori del tubo che sorregge lo specchio principale, in posizione comoda per l'osservazione. È lo specchio principale che determina la qualità dell'immagine. Lo schema ottico del telescopio riflettore più usato non è però quello newtoniano, ma quello Cassegrain, in cui lo specchio secondario è convesso e di forma iperbolica. I raggi da esso riflessi vengono focalizzati in un punto dove si forma l'immagine degli oggetti osservati. Si hanno così due fuochi: il primo fuoco è quello fornito dallo specchio principale; il secondo è quello dove convergono i raggi dopo la riflessione sullo specchio iperbolico. I raggi luminosi escono da un foro nello specchio secondario e così l'immagine può essere osservata comodamente con un oculare da dietro tale specchio. Nel telescopio di Mount Palomar (entrato in servizio nel 1948 e per lungo tempo il più grande telescopio del mondo: 5 m di diametro dello specchio principale) è di questo tipo. In esso l'osservazione può essere fatta al primo fuoco o al fuoco secondario (fuoco Cassegrain). Un terzo sistema ottico di riflettore è quello Gregory, che, a differenza del telescopio Cassegrain, fa uso di uno specchio secondario concavo, ellissoidale e non convesso iperbolico. Un quarto schema di telescopio riflettore è quello di Herschel ; in esso non vi è specchio secondario, ma i raggi vengono deviati verso l'esterno da un'opportuna inclinazione dello specchio. Lo schema herscheliano è però obsoleto. I telescopi con specchi principali parabolici hanno il vantaggio di avere una buona correzione dell'aberrazione sferica assiale, ma lo svantaggio di presentare forti aberrazioni extrassiali. Queste aberrazioni diventano intollerabili anche a piccolissima distanza dall'asse e pertanto le immagini di oggetti molto estesi sarebbero di pessima qualità. La maggior parte dei telescopi costruiti prima degli anni Settanta del Novecento erano di tipo Cassegrain; per effetto dell'aberrazione di coma, che negli specchi parabolici è fortissima, la massima ampiezza angolare di immagine utilizzabile era di alcuni primi d'arco per il fuoco principale e di una decina di primi per il fuoco Cassegrain. I telescopi Schmidt risolvono questo problema utilizzando uno specchio principale sferico, ma facendo passare la luce attraverso una lamina di vetro (lamina di Schmidt) di forma studiata opportunamente per correggere l'aberrazione di sfericità. Si ha allora un'immagine di grandi dimensioni che si forma sul fuoco dello specchio principale in corrispondenza a una superficie convessa dove viene disposta la lastra fotografica. Con i telescopi Schmidt non è quindi possibile l'osservazione visuale, ma ciò non ha alcuna importanza, in quanto nei grandi telescopi l'osservazione è ormai esclusivamente fotografica o elettronica. T. Schmidt di grandi dimensioni sono installati in diversi osservatori. Da ogni fotografia ottenuta in questo modo si può ottenere un enorme numero di informazioni. Tutti i dettagli dell'ampia zona di cielo fotografata si ricavano automaticamente con apparecchi computerizzati. Lo Schmidt è insostituibile nello studio di oggetti di grandi dimensioni come le nebulose. Su un principio analogo a quello del telescopio Schmidt è basato anche il telescopio di Maksutov, che fa anch'esso uso di una lamina rifrangente di forma opportuna. Fu progettato allo scopo di ottenere un gran campo di visibilità – visuale e/o fotografica – unita a un'economicità superiore a quella dei telescopi Schmidt; infatti, sia lo specchio principale sia la lente correttrice vengono lavorate secondo superfici semplicemente sferiche. Più recentemente è stato introdotto un nuovo sistema ottico, il Ritchey- Chrétien, che nei grandi telescopi ha soppiantato tutti gli schemi precedenti.

Ottica: montature

I telescopi devono poter essere puntati con facilità e in qualunque momento in qualsivoglia punto della volta celeste. Inoltre, per permettere l'osservazione di deboli oggetti celesti, che richiedono esposizioni fotografiche molto lunghe, devono essere dotati di un movimento a orologeria che consenta di seguire gli astri nella loro rotazione apparente con la volta celeste. A questo scopo i telescopi sono dotati di opportune montature che permettono il movimento attorno a due assi tra loro perpendicolari. Le principali montature sono sostanzialmente di due tipi: equatoriali e altazimutali. Nelle prime, i due assi sono detti asse polare e asse di declinazione: l'asse polare viene diretto parallelamente all'asse terrestre, mentre l'altro, detto asse di declinazione, viene orientato sull'astro in esame. Una volta orientato correttamente l'asse di declinazione, per mantenere l'asse ottico del telescopio puntato sull'oggetto in esame, basta far ruotare il telescopio attorno all'asse polare in verso opposto e con la stessa velocità di rotazione della Terra. Con le montature altazimutali (o azimutali), i telescopi possono ruotare attorno a due assi, uno verticale, con il quale si orienta l'asse ottico del telescopio in azimut, e uno orizzontale, con il quale si orienta l'altezza del telescopio sull'orizzonte: questi telescopi hanno quindi bisogno di due movimenti continui per poter seguire le stelle, a differenza dei telescopi con montature equatoriali che ne hanno bisogno di uno solo e molto semplice. Poiché l'osservazione con i grandi telescopi è strumentale, la pesante, complessa e rapidamente sostituibile attrezzatura per l'osservazione deve essere disposta nel piano focale dello strumento. Questa posizione deve quindi essere fissa: i telescopi con montatura equatoriale fanno uso di un sistema di specchi, che, muovendosi in funzione del movimento del telescopio, fanno convergere la luce proveniente da quest'ultimo su un punto fisso della montatura, il cosiddetto fuoco Coudé. Analogamente, nelle montature altazimutali, le attrezzature vengono fissate a un'estremità dell'asse zenitale e vengono fatte ruotare in azimut assieme al telescopio. Il corrispondente fuoco è detto fuoco Nasmyth. I vantaggi delle montature equatoriali, la semplicità nel puntamento e nell'inseguimento della sorgente, sono divenute meno importanti con l'introduzione e con il miglioramento di elaboratori elettronici. In effetti i telescopi moderni sono tutti dotati di sistemi di controllo elettronici in grado di puntare rapidamente ed efficientemente l'astro, (con errori di pochi secondi d'arco) e di compensare con la stessa precisione la rotazione terrestre. Per questo motivo le pesanti e costose montature equatoriali sono state rapidamente soppiantate dalle montature altazimutali. Particolari montature si hanno nei telescopi (o cannocchiali) verticali (o zenitali) usati per la misurazione delle distanze zenitali degli astri in un piano verticale qualunque. Altri telescopi con montatura particolare sono i cannocchiali meridiani, in grado di muoversi unicamente per il piano del meridiano del luogo. I cannocchiali meridiani usati per la determinazione del passaggio di un astro sul meridiano del luogo sono detti strumenti dei passaggi.

Tecnica: telescopi di nuova generazione

Lo sviluppo delle nuove generazioni di telescopi, iniziato a partire dagli anni Sessanta del Novecento, si è basato su numerosi sviluppi tecnici, mutuamente legati tra di loro, che possiamo brevemente riassumere: a) lo sviluppo di nuovi schemi ottici, praticamente per la prima volta dai tempi di Newton; b) la produzione di nuovi materiali, più resistenti, più leggeri e con minime deformazioni termiche, per la costruzione degli specchi e l'utilizzo di sensori elettronici a stato solido (CCD), che hanno rimpiazzato le lastre fotografiche per l'acquisizione dei dati; c) l'utilizzo di calcolatori elettronici per il puntamento del telescopio e per l'inseguimento della sorgente astronomica, nonché per il controllo delle deformazioni delle parti ottiche e meccaniche (ottiche attive) e per la gestione della qualità delle immagini (ottica adattiva); d) la progettazione di cupole con una maggiore attenzione alla riduzione delle turbolenze atmosferiche indotte dal sistema di condizionamento dell'aria dell'edificio e dall'edificio stesso; e) l'adozione di tecniche interferometriche, tecniche già impiegate in radioastronomia, ma divenute utili alle lunghezze d'onda del visibile solo dopo l'introduzione delle ottiche adattive. Molte di queste innovazioni, in particolare le ottiche attive e adattive, furono studiate nella costruzione del telescopio di 3,5 m dell'ESO(European Southern Observatory) NTT (New Technology Telescope), costruito negli anni Ottanta e divenuto il modello della classe di telescopi di nuova tecnologia, definiti proprio NTT. Lo schema ottico, il Ritchey-Chrétien, ha una struttura simile al Cassegrain, con la differenza fondamentale che i profili degli specchi principale e secondario non sono coniche (parabola e iperbole), ma curve di ordine superiore studiate in modo da fornire immagini prive di coma nel fuoco secondario (cioè nel corrispondente del fuoco Cassegrain). Nel fuoco principale, però, le aberrazioni addizionali introdotte dalla forma speciale dello specchio principale renderebbero inutilizzabile l'immagine: si usa quindi un sistema ottico correttore di piccole dimensioni posto immediatamente prima del fuoco. Si possono usare correttori anche nel fuoco secondario, ottenendo così immagini prive di aberrazioni di dimensioni comparabili con quelle ottenibili con i telescopi Schmidt. Lo sforzo nel migliorare gli schemi ottici è stato motivato dalla contemporanea introduzione di nuovi materiali di costruzione degli specchi, dotati della proprietà di essere insensibili agli sbalzi di temperatura. I primi specchi erano di metallo e quindi cambiavano facilmente sia di dimensioni che di configurazione geometrica per effetto della dilatazione termica. Ovviamente, in queste condizioni, la focale, e quindi l'ingrandimento, cambiano imprevedibilmente e il fronte d'onda proveniente dalla sorgente non viene messo a fuoco in maniera precisa, determinando un deterioramento delle immagini. Solo nel 1865, con l'invenzione del procedimento chimico di J. von Liebig per metallizzare il vetro, si costruirono i primi specchi di vetro metallizzati. Successivamente, in anni relativamente recenti, gli specchi vennero ricoperti di una sottile pellicola metallica riflettente mediante i procedimenti di evaporazione del metallo sotto vuoto. I nuovi materiali, come l'ULE (Ultra Low Expansion), il Cer-Vit (Ceramica Vetrificata) e, in particolare, lo Zerodur sono caratterizzati da un bassissimo, praticamente nullo, coefficiente di dilatazione termica e da una notevole resistenza a trazioni e sforzi. In tal modo è diventato possibile costruire specchi di notevoli dimensioni, ma decisamente più sottili, a parità di apertura, rispetto a specchi costruiti con materiali tradizionali (circa tre volte), dunque più leggeri e non sottoposti a forti deformazioni meccaniche nelle diverse configurazioni operative in cui lo specchio viene usato nella ricerca astronomica, oltre che piuttosto stabili alle variazioni di temperatura. Questi nuovi materiali hanno dimostrato tutta la loro importanza nel progetto dei nuovi telescopi spaziali e dei recenti telescopi a specchio unico. I telescopi NTT adottano, comunque, alcuni sistemi correttivi dell'immagine, che sono di tipo attivo e adattivo. In essi, gli elementi fondamentali sono rappresentati dal sensore d'onda Hartmann e dall'analizzatore interferometrico. Il primo è sostanzialmente costituito da un mosaico deformabile di piccole lenti (o specchi) destinate a focalizzare su di una matrice di elementi fotosensibili la luce proveniente da una sorgente di riferimento naturale (stella campione) o artificiale (raggio laser) i cui raggi viaggiano insieme a quelli del campo celeste sotto studio. Le condizioni di messa a fuoco sulla matrice fotosensibile - diverse da elemento a elemento, a seconda delle fluttuazioni del fronte d'onda incidente - vengono raccolte e memorizzate per ciascun elemento; nel frattempo l'analizzatore (costituito da un sistema di confronto interferometrico) interviene a quantificare l'entità della deflessione locale del fronte d'onda e ad attivare un attuatore che modifica (entro alcuni micrometri) la posizione della corrispondente lente (o specchio) del mosaico adattivo. La capacità d'intervento degli attuatori raggiunge anche le 4000 correzioni al secondo, consentendo in tal modo il ripristino della corretta geometria del fronte dell'onda luminosa in tutte le sue sezioni incidenti e - con la qualità delle immagini raccolte - il raggiungimento di un più elevato rendimento temporale da parte di installazioni assai costose. Le ottiche adattive risultano, però, utilizzabili in pratica solamente in zone limitate di cielo, poiché, per correggere le deformazioni del fronte d'onda indotte dall'atmosfera, devono analizzare la luce proveniente da una sorgente stellare sufficientemente intensa. Per estenderne l'impiego a zone più ampie si usa, come sorgente guida, la riflessione da parte degli strati atmosferici della luce di un laser monocromatico. Un simile sistema, sebbene sia già adottato da alcuni dei telescopi NTT (i VLTper esempio), presenta notevoli difficoltà tecnologiche, dovute in massima parte alla complessità nel realizzare un laser sufficientemente potente e monocromatico. Un ulteriore sviluppo delle tecnologie adattive è la cosiddetta MCAO (Multi-Coniugate Adaptive Optics), che si basa sull'idea dell'utilizzare più stelle e più specchi per ricostruire una mappa tridimensionale e a grande campo delle turbolenze atmosferiche (vedi ottiche adattive). I telescopi di nuova tecnologia possono essere divisi in due grandi gruppi: i telescopi a specchio singolo e i telescopi a specchio composto, e possono operare anche come strumenti multipli, lavorando simultaneamente con tecniche interferometriche. Telescopi del primo modello sono per esempio i quattro telescopi del Very Large Telescope (VLT), o il Subaru. I quattro VLT, con specchio principale di 8,2 metri, di proprietà dell'ESO, sono stati installati in Cile sul Cerro Paranal tra il 1998 e il 2001. Dal 2006 dovrebbero cominciare a lavorare come un unico strumento multiplo. Il Subaru, telescopio giapponese, è il più grande telescopio a specchio unico, 8,3 m ed è stato costruito con uno speciale e costosissimo materiale vetroceramico, molto resistente (lo spessore dello specchio è di soli 20 cm) e con un coefficiente di dilatazione termica pari a 8 miliardesimi di m per grado. Entrambi sono installati con montature altazimutali e sono dotati di tecnologie attive e adattive. L'antesignano del secondo genere di telescopi, i telescopi a specchio composto, è il Multi Mirror Telescope (MMT) del Mount Hopkins, Arizona, costituito da 6 specchi di 1,8 m di diametro ciascuno, allineati tra loro per mezzo di un raggio laser ed equivalente a uno specchio di 4,5 m di concezione classica. I più moderni tra i telescopi a specchio composto, installati a 4150 m di quota sul Mauna Kea, Hawaii (1990-91) sono i due telescopi Keck. Gli strumenti consistono ciascuno in un mosaico di 36 specchi esagonali (180 cm di diagonale) formante un'unica superficie riflettente, a iperboloide concavo, di 982 cm di apertura effettiva, con un rapporto focale f/1,75 ed è installato su una montatura altazimutale. Questo potente collettore di luce pesa 14,4 t e raggiunge un rendimento equivalente a quello fornito da quattro specchi tipo Mount Palomar. Il criterio su cui si basa l'ottica principale ripete quello che l'italiano G. Horn d'Arturo aveva sperimentato a Bologna negli anni Quaranta con il suo "specchio a tasselli". Nei telescopi Keck, i primi telescopi NTT, sono state ovviamente introdotte le moderne tecnologie di controllo interattivo sulle ottiche. Lo strumento è stato destinato a svolgere ricerche nell'infrarosso avvalendosi delle speciali proprietà di trasparenza offerte dal sito: anche esso – come del resto tutti i grandi telescopi di recente progettazione (tra cui proprio l'MMT di Mount Hopkins) – è stato installato su montatura altazimutale ed è controllato, nel corso delle osservazioni, da un calcolatore elettronico. Al telescopio Keck, e nella medesima località, si è di recente aggiunto l'IRTF (InfraRed Telescope Facility), strumento dotato di specchio di 3 m destinato preferibilmente allo studio delle superfici planetarie. L'alternativa alla costruzione di un unico specchio di 25 m lavorato alla "perfezione ottica" consiste nell'utilizzare una serie di specchi di non perfetta lavorazione e nel mescolare con metodi elettronici la radiazione luminosa proveniente dai diversi specchi. Un telescopio basato su questo principio, il Narrabri Intensity Interferometer, formato da 2 grandi specchi di 6,5 m (costituiti ciascuno di un mosaico di specchi più piccoli) montati su un binario è stato installato nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, e viene utilizzato per la misura dei diametri stellari. Un altro telescopio che sfrutterà per la costruzione il principio dell'interferometria è il Large Binocular Telescope (LBT), un telescopio, con una larga partecipazione italiana, ancora in fase di fabbricazione, che sarà costituito da due specchi di 8,4 m montati sulla stessa struttura. Il peculiare progetto ottico consentirà all'LBT un campo visivo molto superiore a quello di altri interferometri. È stato avviato lo sviluppo anche di telescopi di concezione assolutamente innovativa e dal costo estremamente basso, come i cosiddetti "telescopi liquidi". Mettendo in rotazione enormi bacinelle contenenti mercurio liquido, si riescono a ottenere superfici riflettenti di forma rigorosamente parabolica, di focale inversamente correlata alla velocità di rotazione. Un paio di telescopi di questa concezione, di diametro di 3 e 5 m, sono stati realizzati da un gruppo canadese nella stazione osservativa di Cloudcroft nel Nuovo Messico e sono stati utilizzati per la ricerca di detriti interplanetari e per ottenere dati spettrofotometrici di galassie ad alto red shift. Il vantaggio di questo tipo di telescopi è la notevole facilità di costruzione (e quindi basso costo di realizzazione), mentre presentano lo svantaggio di non essere orientabili e di poter osservare, quindi, solo regioni di cielo attorno allo zenith.

Tecnica: caratteristiche del telescopio all'infrarosso

Questi telescopi si distinguono da quelli ottici per il fatto che focalizzano radiazioni alle quali l'occhio umano non è sensibile. A temperatura ambiente lo stesso telescopio e i dispositivi accessori emettono a lunghezze d'onda infrarosse. Per rivelare queste radiazioni sono necessari dispositivi che funzionano a bassissime temperature, alle quali vengono portati per raffreddamento con azoto liquido. Alle lunghezze d'onda dell'infrarosso alle quali l'atmosfera terrestre è trasparente (dell'ordine di 10.000 nm), l'osservazione è disturbata, inoltre, dalle radiazioni infrarosse emesse dallo stesso cielo notturno. Si usano quindi degli specchi oscillanti che forniscono alternativamente immagini del cielo con la sorgente in esame e immagini del cielo senza di essa. Il sistema di elaborazione sottrae un'immagine all'altra fornendo in uscita la sola immagine dell'oggetto in studio. Il più grande telescopio all'infrarosso del mondo è il riflettore britannico UKIRT, di 3,8 m, di Mauna Kea (Hawaii). L'Italia possiede un modernissimo telescopio all'infrarosso con specchio secondario oscillante e con specchio principale di 1,50 m installato sulla cima del Gornergrat, sulle Alpi Svizzere. La stazione astronomica, completamente computerizzata, è dotata di un impianto autonomo per la produzione dell'azoto liquido necessario per i rivelatori dell'infrarosso .

Tecnica: telescopi orbitanti

Per quanto la costruzione di telescopi di tipi sempre nuovi sia in pieno sviluppo sulla Terra, le prospettive forse più interessanti sono quelle dei telescopi in orbita attorno al pianeta. Da una parte, infatti, l'atmosfera terrestre taglia gran parte delle radiazioni elettromagnetiche che arrivano dagli oggetti dello spazio, e dall'altra parte, per effetto della turbolenza atmosferica, della scarsa trasparenza dell'aria, ecc., il potere risolutivo reale dei grandi telescopi terrestri è molto al di sotto di quello teorico. Sono stati posti in orbita telescopi per l'infrarosso, per i raggi X e per l'ultravioletto, ma le prospettive più interessanti sono legate all'attività dell'Hubble Space Telescope (HST) posto in orbita il 12 aprile 1990 a coronamento di un laborioso progetto congiunto NASA-ESA Il telescopio spaziale consta di uno specchio Ritchey-Chrétien, in pasta ceramica CerVit, di 240 cm di apertura corredato, sul piano focale, di due fotocamere, la FOC, Faint Object Camera, e la WF/PC, Wide Field and Planetary Camera (destinate, rispettivamente alle sorgenti deboli e alle riprese a gran campo); di due spettrografi, l'HRS, High Resolution Spectrograph e il FOS, Faint Object Spectrograph, con risoluzioni e bande spettrali diversificate (ultravioletto, fino all'infrarosso prossimo), di un fotometro rapido e da un sensore per le correzioni fini di guida col quale vengono garantite tolleranze di puntamento entro i 0,007 secondi d'arco. I sistemi di acquisizione delle immagini – sia dirette sia spettroscopiche – sono forniti di rilevatori allo stato solido, tipo Digicon, CCD, contatori di fotoni, che consentono all'operatore largo campo di intervento nella memorizzazione e nell'ottimizzazione dei dati prima della loro elaborazione finale. L'HST (11,6 tonnellate di strutture e strumentazione) rivoluente a 600 km di altezza nel periodo di 90 minuti, può operare ugualmente secondo programmi memorizzati sia nel computer di bordo, sia in tempo reale, da terra, attraverso un ponte radio di satelliti TDRS (Tracking and Data Relay Satellites). Dopo l'intervento correttivo effettuato con il telescopio in orbita per eliminare le imperfezioni dello specchio principale il telescopio spaziale ha potuto conseguire risultati assolutamente inarrivabili per i telescopi terrestri. In oltre dieci anni di osservazioni l'HST, per merito della possibilità di osservare sorgenti luminose anche 30-40 volte più deboli di quelle osservabili da terra e grazie alla capacità di risolvere oggetti di dimensioni angolari di pochi centesimi di arcosecondo, ha fornito elementi di grande rilievo in numerosissimi e differenti campi dell'astronomia: dall'esame dei pianeti del sistema solare allo studio di problemi cosmologici.

Bibliografia

J. C. Pecker, Space Observatories, Dordrecht, 1970; H. C. Ingrao, New Techniques in Astronomy, Londra, 1971; T. Rackham, Astronomical Photography at the Telescope, Londra, 1972; W. Ferreri, Il libro dei telescopi, Milano, 1989.

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