Mèssico

Indice

(Estados Unidos Mexicanos). Stato dell'America Settentrionale (1.964.375 km²). Capitale: Città del Messico. Divisione amministrativa: stati (32). Popolazione: 119.713.203 ab (stima 2014). Lingua: spagnolo (ufficiale), idiomi amerindi (náhuatl, maya, mixteco). Religione: cattolici 82,7%, protestanti 7,9%, non religiosi/atei 4,7%, altri cristiani 1,9%, altri 2,8%. Unità monetaria: peso messicano (100 centesimi). Indice di sviluppo umano: 0,756 (71° posto). Confini: Stati Uniti (N), oceano Atlantico (E), Belize e Guatemala (SE), oceano Pacifico (W). Membro di: APEC, EBRD, NAFTA, OAS, OCDE, ONU e WTO.

Generalità

Il Messico forma la grande appendice meridionale dell'America Settentrionale che continua verso S nelle terre dell'America istmica, le quali si fanno iniziare in corrispondenza dell'istmo di Tehuantepec, ancora in territorio messicano. I confini settentrionali sono indicati dal Río Bravo (Rio Grande per gli USA) e da una linea spezzata che da Ciudad Juárez corre verso la costa del Pacifico, includendo la lunga penisola della Baja California. A S il Messico comprende la maggior parte della penisola dello Yucatán. Nel contesto dell'America Latina il Messico è uno dei Paesi di più solida struttura nazionale e ciò per la sua storia particolare. Sede in epoca precolombiana dei reami aztechi e maya, è nato dall'innesto spagnolo sul mondo amerindio, tale però da non cancellare completamente la matrice india. Ottenne l'indipendenza dalla Spagna già all'inizio dell'Ottocento, divenendo un Paese "cerniera" tra le due Americhe. Da allora ha assunto grande rilevanza la vicinanza con gli Stati Uniti che, nel corso del sec. XIX, si sono annessi alcuni importanti territori già messicani come la Florida, il Texas e l'Alta California. Il Messico è figlio di movimenti rivoluzionari che portano alla memoria i nomi mitici di personaggi come Emiliano Zapata, Francisco "Pancho" Villa e Venustiano Carranza. All'inizio del XXI secolo deve far fronte a permanenti squilibri economici e demografico, con una capitale che, a 2300 metri di quota, è al centro di un agglomerato urbano di circa 20 milioni di abitanti.

Lo Stato

Ex colonia spagnola, indipendente dal 1821, in base alla Costituzione del 5 febbraio 1917, il Messico è una Repubblica federale di tipo presidenziale che comprende 31 Stati, ciascuno con propri governatori e assemblee elettivi più il Distretto Federale (coincidente con la capitale). Il presidente della Repubblica, eletto per 6 anni a suffragio universale e non rieleggibile, è capo dello Stato e del Governo. Il potere legislativo spetta al Congresso, composto da due Camere, entrambe elette a suffragio universale: il Senato per 6 anni e la Camera dei Deputati per 3 anni. Il sistema giudiziario in uso è basato sul diritto continentale europeo, con influenze di derivazione americana, e le emanazioni della Corte Internazionale di Giustizia sono accettate con riserva. Sono previsti due ordinamenti giurisdizionali: statale e federale, al vertice del quale si trova la Corte Suprema. La difesa del Paese è garantita dall'esercito, dalla marina e dall'aviazione. Il servizio di leva è obbligatorio a partire dai 18 anni d'età, ha la durata di 1 anno ma si svolge a tempo parziale; l'arruolamento delle donne è consentito su base volontaria. La scuola primaria, gratuita e obbligatoria dal 1867, ha la durata di sei anni. L'istruzione secondaria di primo grado (triennale) viene impartita nell'istituto d'insegnamento generale e in varie scuole professionali. L'istruzione secondaria di secondo grado (biennale) prepara al baccellierato e permette l'accesso all'università e agli istituti superiori. L'impegno dimostrato dallo Stato per l'alfabetizzazione della popolazione, compresa quella adulta, è testimoniato dai numerosi programmi varati, accompagnati da una progressiva e costante diminuzione del tasso di analfabetismo, che nel 2007 si è attestato al 7,2%. Nel Paese sono presenti diversi istituti dove viene impartito l'insegnamento superiore. L'istituzione universitaria ha in Messico origini antichissime: la prima sede, quella di Città del Messico, venne fondata nel 1551. Tra le molte università, alcune sovvenzionate dallo Stato, altre dai governi locali, si ricordano: Coahuila (1867), Chihuahua (1954), Guadalajara (1792), Guanajuato (1732), Hidalgo (1869), Michoacán (1917), Monterrey (1943), Puebla (1937), San Luis Potosí (1826), Sinaloa (1973), Tamaulipas (1951).

Territorio: morfologia

Il Messico ha il suo cuore geografico nelle terre dell'altopiano vulcanico (Altopiano Centrale o, secondo l'antica denominazione azteca, Anáhuac) in cui avviene la saldatura tra le due catene – la Sierra Madre Orientale e la Sierra Madre Occidentale – che, dirette da N a S, formano l'ossatura fondamentale del Paese. È una regione dominata dai superbi coni vulcanici del Popocatépetl (5465 m), il più elevato dell'America centro-meridionale, dell'Iztaccíhuatl (5230 m), del più marginale Citlaltépetl (5610 m) e altri ancora, tra loro divisi da depressioni e bacini più o meno chiusi situati a ca. 2000-2500 m d'altitudine. A N di questa regione centrale le alteterre messicane assumono forme più distese e aperte, saldandosi con i tavolati del Texas. Esse sono orlate dalle pieghe della Sierra Madre Occidentale e della Sierra Madre Orientale, che continuano anch'esse, strutturalmente, gli allineamenti delle Montagne Rocciose (Rocky Mountains). La continuità tra il territorio messicano e quello statunitense si ritrova anche nella penisola della Baja California , che rappresenta la prosecuzione delle Catene Costiere (Coast Ranges), così come il Golfo di California (Golfo de California) costituisce un'area depressionaria interposta tra la penisola e l'altopiano. Sullo stesso allineamento della Baja California si trova la Sierra Madre del Sur, che recinge l'altopiano messicano sul lato meridionale. Le due grandi catene che bordano l'altopiano risalgono all'era cenozoica; esse si sovrappongono agli strati mesozoici, che affiorano tuttavia in molte zone montagnose e su una larga parte dell'altopiano, dove sono anche estesi gli espandimenti vulcanici. Per contro la Sierra Madre del Sur e la bordatura meridionale del Pacifico sono formate da rocce paleozoiche. Sul lato orientale, lo Yucatán è una superficie sedimentaria con terreni cenozoici e neozoici. Questi ultimi coprono anche le pianure costiere che, sui due lati del Paese, si stendono ai piedi delle Sierre. Nel complesso sono però più vaste quelle sul versante orientale, che si raccordano con i bassi fondali del Golfo del Messico e formano un tutt'uno con le superfici sedimentarie dello Yucatán. Il territorio messicano è, quindi, complessivamente articolato e frammentato, benché il rilievo non assuma mai grandi asprezze. Sull'altopiano prevalgono in genere le superfici orizzontali, con rilievi residuali nella sezione settentrionale e apparati vulcanici in quella centrale. Tuttavia le catene che lo orlano, e che raggiungono e talora superano i 3000-3500 m, rappresentano ostacoli alle comunicazioni tra la costa e l'interno. A esse si deve inoltre il carattere endoreico dell'altopiano in tutta la sua sezione settentrionale, caratterizzata dalla presenza di bacini depressionari (bolsones). Nella sezione centrale si hanno invece dirette aperture tra l'interno e la costa occidentale, rappresentate dalle ampie vallate del Río Grande de Santiago e del Balsas. La parte meridionale del Paese è nel complesso più movimentata, con bacini depressionari e rilievi mai veramente aspri, che verso E si spengono nei tavolati dello Yucatán.

Territorio: idrografia

Il fiume maggiore è il Río Bravo, che per lungo tratto fa da confine tra Messico e USA sfociando nel Golfo del Messico dopo oltre 3000 km di corso. Esso attinge una parte delle sue acque dall'altopiano messicano attraverso il Río Conchos, ma a S di questo bacino l'idrografia dell'altopiano è priva di sbocchi e le acque dei fiumi che scendono dai versanti interni delle Sierre finiscono sul fondo dei bolsones formando lagunas salate o superfici incrostate di sale. I fiumi che drenano i fianchi esterni delle catene hanno per contro corsi brevi e veloci; al loro trasporto alluvionale si deve la formazione delle pianure costiere, come quella del Sonora e del Sinaloa sul lato occidentale, del Tabasco e del Veracruz su quello orientale. Dall'Altopiano Centrale, dove la morfologia vulcanica ha creato numerosi laghi (tra cui quelli di Chapala e di Cuitzeo), scendono alle coste del Pacifico i già ricordati Río Grande de Santiago e Río Balsas. Hanno corsi spesso impetuosi e in taluni punti un letto profondamente incassato (con formazione di gole e cañones), il loro regime è però più regolare dei fiumi del Messico settentrionale, che risentono dell'andamento a due stagioni del clima e hanno perciò forti piene estive. Ancor più regolare tende a essere il regime dei corsi d'acqua più meridionali, come il Tehuantepec, che sfocia nel golfo omonimo (oceano Pacifico), e il Papaloapán (Golfo del Messico). La morfologia generalmente accidentata dei corsi d'acqua messicani ne ha impedito l'utilizzazione come vie di comunicazione, ma ne ha favorito lo sfruttamento a scopi energetici e irrigui, con la creazione di bacini artificiali. Un'idrografia particolare presenta lo Yucatán, dove si ha un pronunciato sistema carsico dovuto alla natura calcarea dei suoli.

Territorio: clima

Il clima varia anzitutto da N a S, e ciò in misura sensibile dato il notevole sviluppo latitudinale del Paese; varia poi in un modo anche più forte in funzione dell'altitudine. Rispetto a questa si distinguono diverse fasce, proprie anche a gran parte dell'America Centrale e Meridionale. La prima è quella delle tierras calientes, le terre calde comprese tra il livello del mare e i 600-700 m; nel Messico si tratta però di aree quasi tutte situate vicino al mare, di cui pertanto avvertono gli influssi: le temperature annue sono piuttosto stabili e la media a Veracruz (Golfo del Messico) è sui 25 ºC. La seconda fascia è quella delle tierras templadas, le terre temperate poste tra i 600-700 m e i 1600 m: le temperature sono mitigate, risentono già delle differenze stagionali, sebbene ci siano notevoli differenze passando dal S al N del Paese (Chihuahua, situata a quasi 1500 m, ha una media annua di 20 ºC, una estiva di 26 ºC). Condizioni ancora migliori si ritrovano ai bassi livelli della successiva fascia superiore, quella delle tierras frías, le terre fredde che si spingono fino a 2800 m, altitudine peraltro già notevole e che ha effetti sulle temperature e sulle sue escursioni. A Città del Messico, la cui altitudine si aggira sui 2300 m, le medie sono di 9 ºC in gennaio, di 23 ºC in luglio. Più oltre, si passa gradatamente verso le tierras heladas, le terre gelate, per la verità limitate, in Messico, alle cime dei più alti vulcani. Per quanto riguarda il meccanismo climatico, esso è regolato dagli influssi degli alisei di NE, dalle masse d'aria d'origine continentale provenienti dal N e dalle masse d'aria tropicale di SE. All'aliseo di NE si deve l'azione prevalente; debole nei mesi invernali, esso si rafforza e assume il carattere di un monsone nei mesi estivi, durante i quali si concentrano le precipitazioni. Nei mesi invernali per contro predominano, specie in tutta la parte settentrionale e centrale, le masse d'aria continentali, che determinano tempo stabile e siccitoso, caratterizzato però sovente da venti freddi, i nortes, che abbassano considerevolmente la temperatura e danneggiano persino le colture. Le masse d'aria tropicali di SE lambiscono lo Yucatán e la costa orientale e spirano per lo più nei mesi invernali. Nel Sud e nello Yucatán la stagione piovosa è molto prolungata e le precipitazioni sono abbondanti (oltre 2000 mm annui; 3000 mm sui rilievi del Chiapas che dominano lo Yucatán); le piogge decrescono passando verso N e verso l'interno. L'aliseo provoca forti differenze tra la costa orientale e quella occidentale; a Veracruz, sulla traiettoria dei venti, cadono 1600 mm di pioggia all'anno, mentre sulla costa del Sinaloa non si raggiungono i 1000 mm. Inoltre sulla distribuzione delle piogge hanno una notevole incidenza i fattori orografici e così tutto l'altopiano a N dell'Anáhuac è poco piovoso, perché riparato dalle Sierre. Nella zona che gravita sul Río Bravo si hanno intorno a 400 mm di piogge annui, che cadono nel giro di 2-3 mesi. Si ha un clima cioè semiarido; semiarida è anche la Baja California, che si trova defilata rispetto alla traiettoria delle masse d'aria umide. Nel complesso il Messico presenta una tropicalità temperata nelle zone centrali dell'altopiano, piovosa e umida nel Sud, tendenzialmente arida nel Nord.

Territorio: geografia umana. Generalità

I primi abitatori dell'odierno Messico, intorno al primo millennio a. C., furono probabilmente gli Olmechi, seguiti da Xilanchi, Otomí, Mixtechi e Zapotechi che si allearono poi nel vano tentativo di respingere gli Aztechi, Huaxtecos e Totonachi che riuscirono in parte a resistere alle successive invasioni fino all'arrivo dei conquistadores che li decimarono. Più a sud i Maya-Quiché, arrivati intorno al VII secolo a. C. nello Yucatán e al confine con il Guatemala, dopo un lungo periodo di splendore seguito da un violento e repentino declino si fondevano nell'VIII secolo con i potenti Toltechi, che avevano occupato l'Anáhuac; i due popoli furono sconfitti e soggiogati in seguito dai Chichimechi. Appartenenti al gruppo etno-linguistico dei Nauha, gli Aztechi giunsero invece dalle regioni nordoccidentali, la mitica Aztlán (“terra dell'airone”), a partire dal XI secolo, imponendosi sui popoli precedentemente insediati nell'altopiano. L'Anáhuac è rimasto, come in passato, la parte più popolosa del Paese. Profonde trasformazioni si sono avute tra il 1518 e il 1521 con la conquista spagnola e ciò in funzione delle diverse forme di sfruttamento. Tra queste si impose subito l'allevamento del bestiame, in rapporto al quale sorsero le prime grandi haciendas su terre vastissime assegnate agli encomenderos, i latifondisti spagnoli. Ancor più determinante fu lo sfruttamento minerario che arricchì il Paese in modo prodigioso, facendo nascere nuove e belle città, come Taxco, Guanajuato, Zacatecas ecc. Già alla fine del Seicento esistevano nel Messico 35 vivaci città, cui facevano capo haciendas, ranchos (piccole proprietà) e villaggi, più numerosi questi ultimi nelle tradizionali aree di popolamento indio, prevalenti i primi nelle zone di colonizzazione. Si ebbe nel contempo un processo di meticciamento sempre più profondo ed esteso, benché si conservassero ampie zone, specie nel Nord, di intatta popolazione india. Parallelamente alla prosperità economica si verificò un significativo incremento demografico soprattutto tra la popolazione bianca e meticcia, mentre gli indios si riducevano, decimati dalle epidemie e dal duro sfruttamento economico. Per tutto il XIX sec. la popolazione messicana non registrò forti aumenti, e ciò a causa delle cattive condizioni in cui viveva il peón, il contadino, assoggettato al regime coloniale. L'indipendenza migliorò la situazione, ma l'oligarchia terriera rinforzò gradatamente il proprio regime, specie all'epoca di Porfirio Díaz. Le campagne non fruttavano abbastanza per le masse dei peones soggetti agli interessi degli haciendados. La guerra civile del 1910-17 fu lo sbocco di una situazione insostenibile, cui fece seguito la riforma fondiaria, e l'istituzione degli ejidos, le comunità rurali che diventavano padrone degli appezzamenti e nell'ambito delle quali ogni contadino aveva la sua parte di terra in usufrutto. Cominciò da allora la vita del Messico moderno e si ebbero i primi forti incrementi demografici; la guerra civile aveva provocato tuttavia forti perdite e ci vollero alcuni decenni perché la popolazione raggiungesse la cifra del 1910, quando vennero registrati 15 milioni di abitanti. L'incremento più tumultuoso si ebbe a partire dagli anni Quaranta, quando la mortalità subì sensibili riduzioni, mentre la natalità conservava i valori tradizionali, elevatissimi, pari al 40-45‰. Nel 1940 la popolazione era di 19 milioni e nel 1960 già di 38 milioni, mentre al censimento del 1990 risultavano oltre 81,2 milioni di abitanti, saliti a oltre 103 milioni nel 2005. La popolazione è costituita per il 64% da meticci, per il 18% da amerindi, diffusisi specialmente nel Nord e nel Sud, mentre i creoli, messicani di origine spagnola, e gli altri bianchi, molti dei quali nordamericani immigrati di recente, sono il 15%; di scarsa entità gli altri gruppi, tra cui cinesi, malesi ecc. Lungo le coste meridionali si trovano minoranze neroafricane e di zambos, derivati dall'incrocio tra indios e neroafricani. La densità di popolazione (la media è di 60 ab./km²) varia da zona a zona. Nell'Anáhuac, nella parte che fa capo alla capitale, si hanno le densità più elevate, ben superiori a 500 ab./km²; nel resto della fascia centrale si registrano ovunque più di 150-200 ab./km2. Questi valori diminuiscono notevolmente nel Nord e nella Baja California, dove si hanno densità di 24 ab./km². La distribuzione risente delle possibilità agricole, ma l'elevata popolazione dell'Anáhuac dipende dallo sviluppato urbanesimo della regione, mentre la bassa densità del Sud è dovuta alla ritardata valorizzazione delle terre: fatto che si riscontra anche in numerose plaghe del Nord ed è all'origine del fenomeno della migrazione stagionale dei braceros, manodopera che raggiunge gli Stati Uniti dove viene impiegata nei lavori agricoli stagionali. Accanto a queste forme di migrazioni per così dire “ufficiali”, esiste un forte movimento di emigrazione clandestina verso gli Stati Uniti, che esercitano, con il loro sviluppo industriale e l'elevato tenore di vita, una forte attrazione specie sui giovani delle regioni più povere. Il Paese ospita circa 11 milioni di messicani mentre il numero complessivo di cittadini di origine messicana supera i 20 milioni. Nella seconda metà degli anni Novanta l'aumento dei controlli e la severità delle forze anti-immigrazione statunitensi ha portato a un incremento della mortalità tra coloro che tentavano di attraversare illegalmente la frontiera. Il saldo migratorio è negativo (-3,84‰ secondo le stime del 2008), nonostante il Messico abbia accolto in questi anni migliaia di immigrati provenienti dal Centro e Sud America, in particolar modo da Guatemala, El Salvador e Colombia. Secondo i dati dell'UNHCR tra 1996 e il 2002 i rifugiati guatemaltechi in Messico erano oltre 150.000, in netto calo negli anni successivi, e alcune migliaia i salvadoregni. Inoltre, 1100 indigeni guatemaltechi insediati nelle regioni rurali meridionali sono diventati cittadini nel 2005. La popolazione messicana, che sino al 1940 era in maggior parte considerata rurale (il 65% del totale viveva cioè in centri con meno di 2500 abitanti), all'inizio del Duemila è urbanizzata in una percentuale elevata (76%). La popolazione rurale vive nei pueblos, in villaggi che hanno funzioni centrali nell'ambito dei territori agricoli disseminati di nuclei di peones (rancherías o ranchos composti di non più di 50-100 famiglie) e di haciendas. L'istituzione degli ejidos non ha mutato sostanzialmente la struttura insediativa preesistente, che è un fenomeno di tipo spontaneo, legato alla trama dei centri gerarchici. Il contadino vive principalmente in povere capanne di argilla impastata, che solo nei centri principali sono sostituite da case di tipo moderno. Poche sono ormai le zone dove gli indios vivono nelle loro condizioni originarie, chiusi cioè agli scambi commerciali e culturali moderni: è qui che si trovano ancora le vecchie abitazioni di legno e paglia, o le dimore temporanee dei pastori. Le comunità indigene sono suddivise in ca. 60 gruppi etnici, insediati in migliaia di piccole località, dalle regioni del nord al confine con il Guatemala, anche se la maggior parte degli indios è stanziato a sud, negli Stati del Chiapas, Yucatán, Oaxaca, Quintana Roo, Guerrero, Michoacán. La Ley Indigena (o Legge di Cocopa) del 2001 garantisce i diritti fondamentali e riconosce la cultura degli indios, concedendo loro autonomia amministrativa nelle regioni che abitano. Nel 2003 è stata istituita la Commissione nazionale per lo sviluppo dei popoli indigeni (l'ex Istituto Nacional Indigenista), voluta dal governo federale al fine di sviluppare e attuare progetti per la valorizzazione e la crescita delle culture locali, nell'ottica di uno sviluppo sostenibile, come stabilito dal secondo articolo della Carta costituzionale, che definisce il Messico un Paese multietnico. Tuttavia, la qualità della vita degli indios è ancora molto bassa: secondo le organizzazioni internazionali il 90% della popolazione indigena vive in situazioni di povertà, l'indice di mortalità infantile è doppio rispetto alla media nazionale e si segnalano difficoltà di accesso alle strutture sanitarie e carenze nel settore educativo, specie a proposito dell'istruzione bilingue prevista dalla legge. Il rispetto delle aree abitate dalle comunità indigene non è di fatto garantito e in passato si è proceduto al trasferimento forzato di interi gruppi. L'aspetto maggiormente significativo riguardo all'andamento degli indicatori demografici della popolazione messicana è il decremento verificatosi nel tasso di accrescimento annuo (1,7% nel 1993-98, sceso ulteriormente all'1,4% nel 2000-2005, contro il valore degli anni Settanta, pari al 3%). Tale andamento è spiegabile con il declino del tasso di fertilità (da 6 a 2,2 bambini per donna) e al miglioramento delle cure sanitarie, che hanno abbassato il tasso di mortalità infantile. Per effetto della maggiore disponibilità di vaccini e della diffusione della rete di assistenza si sono virtualmente eliminati i pericoli derivanti da malattie come la tubercolosi e la poliomielite, anche se permangono preoccupanti i dati relativi alla espansione della malaria, della dengue e dell'AIDS (benché la percentuale di adulti che hanno contratto il virus sia rimasto costante dall'inizio del nuovo millennio). Quella messicana è una popolazione giovane se si considera che circa un terzo degli abitanti ha meno di 15 anni e che la malnutrizione continua a costituire un serio problema, nonostante sia più evidente nelle remote aree rurali, in particolare negli Stati di Guerrero, Chiapas e Oaxaca. La situazione è ulteriormente aggravata dall'alta incidenza del lavoro minorile: secondo i dati dell'UNICEF, infatti, esso coinvolge circa 3,5 milioni di bambini dai 12 ai 17 anni; non solo, ma la percentuale delle morti violente (omicidio, suicidio, incidenti automobilistici) tra le cause dei decessi degli adolescenti messicani testimonia l'inadeguatezza delle politiche per l'infanzia.

Territorio: geografia umana. L'urbanesimo

Lo sviluppato urbanesimo del Messico, legato nei secoli della colonizzazione spagnola all'impulso delle attività minerarie, è stato determinato, in epoca recente, dalla pressione demografica nelle campagne e dal parallelo processo di industrializzazione. Nella seconda metà del XX sec. gran parte delle città hanno subito forti aumenti; eccezionale è stato però quello di Città del Messico, che con i suoi 19 milioni di ab. (l'agglomerato urbano) ospita da sola quasi un quinto della popolazione messicana e risulta essere il centro più popoloso del continente, seguita da São Paulo, New York, Los Angeles e Buenos Aires. Sorta sulle rovine dell'antica Tenochtitlán, la capitale messicana ha la tipica struttura coloniale spagnola a pianta quadrata, così com'era stato voluto da Cortés. Il centro è la piazza della Costituzione, lo Zócalo, che si ritrova nelle altre città sorte in epoca coloniale, anch'esse arricchite con nobili edifici, chiese e palazzi che sorgono in posizione centrale. Città del Messico, in quanto capitale, accoglie tutti i servizi dello Stato: polo culturale, finanziario, religioso; essa è anche un centro industriale e ha dato vita intorno a sé a una vastissima conurbazione, che ormai supera i confini del Distretto Federale. Ma l'azione propulsiva della capitale si estende a tutto l'Altopiano Centrale, ricco di grossi nuclei urbani. Nell'orbita della capitale rientrano infatti Puebla (o Heroica Puebla de Zaragoza), centro amministrativo, mercato di prodotti del suo fertile territorio, sede di industrie meccaniche, alimentari, tessili e delle ceramiche, nonché, soprattutto, città d'arte; Toluca (o Toluca de Lerdo), tra le più elevate città del Paese, a 2640 m di altitudine, Cuernavaca, Pachuca e le più lontane Querétaro e Morelia. Una decisa autonomia nei confronti di Città del Messico ha invece Guadalajara, seconda città del Paese per numero di ab., situata nel bacino del Río Grande de Santiago. Di origine coloniale, divenuta ben presto centro assai attivo, Guadalajara si trova in una fertile regione agricola, favorita anche dalle grandi ricchezze del sottosuolo; ha sviluppato un cospicuo apparato industriale, in cui prevalgono i settori tessile, meccanico, delle ceramiche e del cuoio. Altre città importanti nell'altopiano a N di Città di Messico sono León, Aguascalientes e San Luis Potosí, popolosi centri commerciali o minerari, con industrie. San Luis Potosí è uno dei maggiori centri ferroviari del Paese, in diretto collegamento con il Nord, dove primeggia Monterrey, città di origine mineraria e divenuta, assieme ai centri vicini, il secondo polo industriale del Messico, sede in particolare di una forte industria siderurgica resa economicamente vivace dalla sua vicinanza agli Stati Uniti. Sulla linea ferroviaria che collega San Luis Potosí a Ciudad Juárez, sul confine statunitense, sorgono altre due città importanti, Torréon e Chihuahua. Ciudad Juárez, così come più a W Mexicali e Tijuana nella Baja California, a E Nuevo Laredo, sono nuclei il cui sviluppo è determinato soprattutto dall'essere poste sul confine, al di là del quale sorgono importanti città (San Diego, El Paso, Laredo ecc.), sicché quotidianamente una parte notevole della popolazione dei centri messicani si reca a lavorare nelle città gemelle statunitensi. Tra gli sbocchi portuali dell'interno, sulla costa pacifica il più importante è Mazatlán, mentre Acapulco (Acapulco de Juárez) è soprattutto noto come stazione balneare e turistica. Sulla costa orientale il porto maggiore è Veracruz, collegato direttamente all'Altopiano Centrale e a Città del Messico, con un vasto dintorno agricolo; importante sbocco costiero e centro petrolifero è anche Tampico, più a N lo sviluppo urbano del Sud è piuttosto limitato e la densità abitativa di queste regioni non oltrepassa i 50 ab./km². Una delle località principali è Oaxaca de Juárez, snodo storico e culturale nella valle del Río Verde, mentre nello Yucatán è la popolosa Mérida, bella e antica città (fu fondata sul luogo di un'importante sito maya) con una fiorente attività di piantagione, specie di agavi, ma anche uno dei più frequentati luoghi turistici del Messico perché base di partenza per la visita alle vestigia della civiltà maya; inoltre, negli ultimi anni, nei pressi della città va sviluppandosi una discreta rete di industrie, favorite anche dall'abbondanza di petrolio estratto nello Yucatán.

Territorio: ambiente

Nel Sud de Paese (Yucatán e rilievi che dominano l'istmo di Tehuantepec e il Golfo del Messico) si hanno le foreste tropicali che ospitano tutte le specie dell'ambiente caribico, dai mogani ai cedri, alternate a foreste secondarie, arbustive, tra cui si trova la pianta del chicle, la sapotiglia o sapodilla. Esse occupano complessivamente il 33,7% del territorio nazionale, inclusi, tra l'altro, i boschi di pini, con metà delle specie esistenti al mondo, querce ecc., abitate dalle comunità rurali, per lo più di indigeni. La deforestazione, spesso di frodo, e la pratica di appiccare incendi per rendere fertili le terre da destinare all'agricoltura e al pascolo, causano la perdita di circa 600.000 ettari di macchia ogni anno. Nelle zone dove più marcato è il clima a due stagioni la vegetazione è savanica con specie xerofile: particolarmente numerose sono qui le piante grasse, come le agavi, le yucche, tipiche del paesaggio messicano, oltre a piante cespugliose come il mezquite, l'ocotillo ecc. La ricchezza che caratterizza la biodiversità presente nel Paese è straordinaria: il Messico ospita il 10% delle piante e dei vertebrati esistenti al mondo, molti dei quali endemici, su una superficie che corrisponde appena all'1% di quella del pianeta. Le foreste tropicali dello Yucatán fino al Chiapas, sono abitate da coati, scimmie urlatrici, formichieri, pecari, procioni, tapiri, giaguari, ocelot, margay, puma; tra gli uccelli, il rarissimo quetzal, varie specie di are, pappagalli, tucani e, nelle foreste di mangrovie costiere, ibis, fenicotteri, pellicani, jabirù; tra i rettili, coccodrilli, in particolare caimani, iguana, serpenti e tartarughe marine. Negli altopiani si trovano cani selvatici, coyote e nelle pianure settentrionali mandrie di bovini e cavalli un tempo allo stato brado. La barriera corallina, lungo il litorale caraibico, così come al largo della costa del Pacifico ospita una grande varietà di pesci e mammiferi marini, tra cui alcuni grandi cetacei come la balena grigia, l'otaria californiana e l'elefante marino. Il sistema di acque interne è oggetto di monitoraggio da parte delle autorità in relazione al progressivo esaurimento delle falde che ha causato in alcune grandi città al confine con gli Stati Uniti – e in particolare nella capitale – lo sprofondamento dei terreni. Altre questioni ambientali di interesse nazionale riguardano l'inquinamento atmosferico, che interessa le zone industriali e i maggiori centri del Paese, e il trattamento rifiuti solidi. Le prime aree protette furono istituite nella seconda metà del XIX secolo; nel 1917 nacque il primo parco nazionale, quello del Desierto de los Leones mentre altri 40 parchi furono creati negli anni Trenta del Novecento. I parchi nazionali sono 68, cui si aggiungono riserve della biosfera, aree di protezione della flora e della fauna e numerose aree di protezione delle risorse naturali (13,7%). Tra i numerosi siti messicani scelti dall'UNESCO, inoltre, quattro sono quelle a carattere floro-faunistico: la Riserva della Biosfera di Sian Ka'an (1987), situata sulla costa caraibica dello Yucatán, che comprende la fascia marina, la barriera corallina e le foreste tropicali della regione con un'ampia varietà di ecosistemi; il Santuario delle balene del Vizcaíno (1993), che è invece collocato nella parte centrale della Baja California ed è ritenuto di grande valore per lo studio dei processi oceanografici e dove svernano e si riproducono le balene e altri mammiferi marini; le Isole e aree protette del Golfo de California (2005, 2007), nel Messico nordorientale; la Riserva della Biosfera della Farfalla Monarca (2008) che comprende un'area montuosa forestale 100 km a nord-ovest di Città del Messico dove svernano milioni, forse un miliardo, di farfalle che lasciano questa località in primavera verso il Nordamerica e le regioni orientali del Canada per farvi ritorno in autunno.

Economia: generalità

Il Messico occupa una posizione di spicco tra i Paesi in via di sviluppo (in genere si colloca per importanza economica al secondo posto tra gli Stati dell'America Latina, preceduto solo dal Brasile), ma risente ancora di squilibri sociali e territoriali molto marcati nonostante lo Stato sia intervenuto con molteplici iniziative allo scopo di porre rimedio alle più pesanti sperequazioni e di eliminare le maggiori sacche di arretratezza. Le trasformazioni più radicali dell'economia messicana ebbero inizio con la rivoluzione; essa si pose come obiettivo prioritario l'eliminazione delle oligarchie terriere, da sempre dominanti il Paese; con gli anni Trenta del Novecento, sotto la presidenza di Lázaro Cárdenas, il processo di riforma fondiaria fu accelerato con la suddivisione di milioni di ettari in piccoli appezzamenti, che vennero istituiti in comunità contadine di proprietà statale, gli ejidos. Fu sempre Cárdenas a statalizzare nel 1938, nell'ambito di una sistematica nazionalizzazione delle principali attività economiche messicane, l'intero settore petrolifero (gestito dal PEMEX, Petróleos Mexicanos), mentre già nel 1937 era stata trasferita allo Stato la proprietà delle principali linee ferroviarie. Nel dopoguerra la politica governativa mirò alla prosecuzione di tale processo, cercando però di conciliare le mai sopite istanze socialiste con quelle “tecnocratiche”, al fine di incentivare una più elevata produttività e stabili sviluppi economici, esigenze d'altronde imposte dalla fortissima crescita demografica del Paese. Venne così dato impulso al settore energetico e all'industria di base in genere, potenziando le dotazioni infrastrutturali (strade, porti, opere d'irrigazione ecc.), e nel contempo fu favorita dallo Stato, anche attraverso un opportuno protezionismo, la creazione di nuove imprese, il che consentì l'affermarsi delle industrie produttrici di beni di consumo e la conseguente attenuazione della dipendenza dall'estero. Il ritmo di crescita della produzione fu, specialmente fra il 1965 e il 1973 (periodo di massima crescita), tra i più elevati dell'America Latina. Lo Stato, cui competeva ormai oltre il 40% dei complessivi investimenti, assunse un ruolo sempre più determinante nella trasformazione delle strutture economiche. Fra le iniziative statali più decisive attuate dal governo rivestirono un'importanza strategica la nazionalizzazione delle banche private, attuata nel 1982 e la legge della “messicanizzazione” (1973), con la quale si vietò al capitale straniero di possedere partecipazioni maggioritarie nelle società messicane, sottoponendo in tal modo a controllo statale anche il settore privato dell'economia. Tuttavia, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta il Messico accusò in modo sempre più macroscopico le ripercussioni della gravissima crisi economica internazionale. I maggiori segnali d'allarme furono un altissimo tasso d'inflazione e un elevato livello di disoccupazione e sottoccupazione, accompagnati da un crescente squilibrio nella bilancia commerciale e in quella dei pagamenti; paradossalmente questo negativo andamento economico si accentuò proprio negli anni in cui la scoperta di colossali giacimenti petroliferi, sopratutto quelli localizzati negli Stati di Tabasco e di Chiapas e nei fondali sottomarini della Bahía de Campeche, avrebbe dovuto arrecare un sicuro benessere al Paese. Lanciatosi sulla strada della forzata industrializzazione, della valorizzazione mineraria e allo stesso tempo di un lodevole ma oneroso programma di interventi sociali, specie a favore delle masse contadine tradizionalmente arretrate, il Messico si trovò in enormi difficoltà finanziarie; fu così costretto a un sempre maggior indebitamento con l'estero per far fronte agli impegni assunti e agli interventi programmati, causa di colossali importazioni non solo di macchinari e attrezzature industriali, ma anche di beni di consumo (tra cui molto consistenti quelli alimentari) per far fronte alla crescente domanda interna. La forte dipendenza dagli Stati Uniti fu un'altra causa dell'instabilità economica del Messico: le multinazionali e le società miste statunitensi finirono col controllare i settori più importanti dell'industria manifatturiera messicana (in particolare quello chimico, meccanico e alimentare). Fu nel corso del mandato di Carlos Salinas (1988-94), con l'adozione di una prospettiva neoliberale, che la modernizzazione del sistema economico messicano ebbe luogo. Strumento di questa politica fu la progressiva riduzione della presenza dello Stato nella gestione del sistema economico per garantire una maggiore possibilità d'azione ai privati, nonché la deregolamentazione di settori fondamentali (trasporti, comunicazioni, finanze). Nella maggior parte dei settori industriali venne concessa agli investitori stranieri la possibilità di acquisire la proprietà delle imprese, mentre in quelli in cui essa era precedentemente proibita si consentì una partecipazione pari al 49%. Tra il 1987 e il 1994, il numero delle imprese statali si ridusse di 3/5 (da 617 passarono a 215): lo Stato preservò il suo monopolio sulle università, ma anche sulle industrie petrolifere, sulle ferrovie e sulle imprese di produzione dell'energia elettrica. Tuttavia, anche questi settori, pur se parzialmente, subirono un processo di ristrutturazione che significò, per esempio, la cessione agli imprenditori stranieri di quote rilevanti delle industrie petrolchimiche o la partecipazione dei privati, fin dal 1990, al finanziamento e alla costruzione di impianti di energia elettrica. Il generale processo di liberalizzazione coinvolse anche il settore bancario, soprattutto a partire dal 1993, anno in cui il governo dispose la privatizzazione di 18 banche commerciali, provvedimento al quale fece seguito, l'anno successivo, la decisione di favorire l'ingresso delle banche straniere e la trasformazione della Banca centrale messicana in un istituto dotato di propria autonomia e indipendenza rispetto agli organi economici governativi. In questo periodo il governo sostenne sempre la moneta nazionale, stabilizzandola su di un valore nominale elevato, in maniera tale da incentivare gli investitori esteri, attratti dalla stabilità del tasso di cambio. Parallelamente, si moltiplicarono gli sforzi per ridurre l'inflazione, irrigidendo la politica monetaria e fiscale. Per qualche tempo questa strategia ebbe esiti positivi: il tasso di inflazione scese dal 159% del 1987 fino all'8% del 1993, per poi risalire al 16,6% nel 1999; il deficit delle partite correnti fu sostenuto dall'afflusso di capitali. Tuttavia il deficit commerciale, a causa dell'aumento indiscriminato delle importazioni sostenute dalla domanda della classe medio-alta e dalla politica del tasso di cambio elevato, raggiunse livelli molto alti. Questa situazione provocò un inasprimento delle ineguaglianze sociali, tradizionalmente molto marcate, sulle quali incise anche la spregiudicatezza con cui vennero applicati i principi della politica economica liberista, in un Paese privo di garanzie sociali. I primi segnali della crisi vennero interpretati dal governo come espressione di un fenomeno temporaneo; per questo motivo, il governo stesso rimase fermo nel tutelare la stabilità del peso per riguadagnare la fiducia degli investitori. Non appena divenne evidente che non vi erano altre alternative, lo Stato dovette procedere a una svalutazione pari al 15%, che scatenò una tempesta monetaria su tutti i mercati mondiali provocando l'intervento degli Stati Uniti. Per iniziativa di questi ultimi, venne predisposto un piano di aiuti straordinari equivalenti a 50 miliardi di dollari (marzo 1995), anche per porre fine alla spirale perversa i cui effetti erano già stati avvertiti nei mercati dell'America Latina e che rischiava di estendersi anche al Canada e agli Stati Uniti stessi, partner del Messico nel NAFTA. Gli aiuti però non evitarono al Messico l'imposizione di un nuovo piano di austerità, che diede avvio a una nuova fase di sviluppo e a una diminuzione dell'inflazione (2000-2001). La creazione di una zona di libero scambio con questi due Paesi, se da una lato contribuì a disegnare per il Messico condizioni favorevoli su diversi fronti (dalla tutela delle popolazioni autoctone alla liberalizzazione dei servizi alla salvaguardia dell'ambiente) dall'altro incrementò la disomogeneità interstatale, a partire dai livelli di retribuzione, acuendo la debolezza del Messico che continua a essere bacino per la richiesta di manodopera statunitense. Le potenzialità di sviluppo del Messico sono tuttavia emerse nei primi anni del nuovo millennio, caratterizzati da un tasso di crescita costante e da un'inflazione contenuta. Sullo sfondo, il Messico registra un livello di disoccupazione che ufficialmente si presenta modesto, anche se di fatto nel Paese sono moltissime le persone dedite a occupazioni che esulano dalle professioni ufficiali, sintomo della presenza di una diffusa economia informale. Nonostante le potenzialità di crescita, il Paese soffre per l'assenza di riforme, che appaiono nevralgiche in diversi settori, come quello finanziario (il sistema presente nel Messico è uno dei più sviluppati del Sudamerica, ma le sue dimensioni risultano di fatto ridotte, così come ridotto appare il sistema bancario, caratterizzato da una percentuale di crediti erogati e di attività commerciali che non superano un terzo del PIL) e quello energetico. Secondo i dati registrati nel 2008, il PIL del Messico era pari 1.088.128 ml $ USA, con un PIL pro capite di 10.235 $ USA.

Economia: agricoltura, foreste, allevamento e pesca

Malgrado la riforma fondiaria, che pure rappresenta un evento di grande portata nella storia dell'economia messicana, l'agricoltura è ben lontana dall'avere raggiunto uno sviluppo rapportato alle reali possibilità del Paese, che per la varietà dei suoi climi può praticamente consentire ogni tipo di coltivazione, e men che meno alle sue necessità. Nel 1980 il governo ha anzi varato un apposito programma agricolo, il Sistema Alimentario Mexicano (SAM), destinato a rilanciare, grazie a un ingentissimo apporto finanziario, le produzioni agricole, specie dei generi alimentari di più largo consumo, così da diminuire la crescente dipendenza dall'estero in tale ambito e da risolvere finalmente il problema della sottoalimentazione che si stima riguardi ancora il 40% dei messicani: i risultati sono stati però scarsissimi. In particolare assai arretrate sono le condizioni di vita di gran parte delle masse contadine; testimoniano la debolezza strutturale del settore agricolo da un lato il fatto che esso partecipi per il 3,8% alla produzione del reddito nazionale, pur occupando il 15% della popolazione attiva, dall'altro il fatto che la quasi totalità della produzione agricola è dovuta a un numero relativamente scarso di grandi aziende, nate spesso dal ridimensionamento degli antichi latifondi dove si praticano le più redditizie tecniche colturali, a differenza dell'agricoltura di sussistenza povera di tecnologie e investimenti praticata dai piccoli coltivatori. La riforma fondiaria infatti è rimasta per così dire incompleta: la distribuzione dei minifondi, sovente poco produttivi, non ha migliorato di molto la situazione delle aree rurali, dove i piccoli coltivatori, gli ejidatorios, hanno ben poche possibilità di dare un'impronta moderna alla loro attività. Il governo ha bensì approntato vari strumenti di sostegno alle comunità agricole, come la creazione del Crédito Ejidal e di altri enti, che concedono finanziamenti, assegnano macchine agricole, fertilizzanti ecc., ma è mancato lo stimolo alla formazione di vaste e moderne cooperative, che avrebbero dovuto costituire il logico sbocco degli ejidos. La superficie coltivata non è particolarmente estesa (14,3% del territorio nazionale), mentre vaste aree, non sfruttate dall'agricoltura per il loro clima semiarido, potrebbero essere recuperate con opere irrigue adeguate. La coltura principale è quella del mais, cereale tradizionale che costituisce il più importante alimento locale; esso viene coltivato tanto dai piccoli proprietari terrieri quanto nelle grandi e moderne aziende al punto da rendere il Messico il quarto produttore mondiale. Nelle zone del Nord è diffuso il frumento e nei bassopiani umidi è praticata la risicoltura; considerevoli sono anche le produzioni di sorgo e di orzo. Fondamentale è pure la coltivazione dei fagioli, che insieme al mais sono alla base dell'alimentazione messicana; cospicue sono altresì le produzioni di pomodori, patate, cipolle, peperoni, patate dolci e numerosi altri prodotti agricoli; gli ortaggi trovano un importante mercato negli Stati Uniti. Nelle zone meridionali il clima consente buoni raccolti di frutta tropicale, come banane, noci di cocco, ananas; non meno importanti e coltivati ovunque sono gli agrumi (per cui il Messico è il quarto produttore al mondo), ai quali si aggiunge, nelle regioni asciutte del Nord e del Centro, la vite; diffusa è anche la frutticoltura d'ambiente temperato (mele, pere, pesche, prugne ecc.). Varia è la gamma delle colture industriali; fra le principali è quella tradizionale delle agavi, come l'agave sisalana (che risente però della concorrenza del Brasile e di vari Paesi africani), da cui si ricava la fibra tessile henequén e che proviene soprattutto dallo Yucatán. Piantagioni di agavi sono pure presenti sull'altopiano, dove vengono sfruttate largamente per la produzione di alcolici come il pulque, la bevanda nazionale, e la tequila, un'acquavite apprezzata anche all'estero. Le zone irrigue del Nord e le pianure costiere, pure irrigue, danno elevati quantitativi di cotone; fra le altre oleaginose sono ben rappresentati la soia, il sesamo, l'arachide, il lino, la palma da olio; non manca l'olivo. Nei bassopiani costieri, specie sud-occidentali, prospera la canna da zucchero; sui versanti umidi delle tierras templadas (Veracruz, Oaxaca, Guerrero) si coltiva il caffè, mentre dalle tierras calientes (Chiapas, e Tabasco) proviene il cacao. Diffusa è anche la coltivazione del tabacco (Nayarit, Veracruz, Oaxama), di ottima qualità. § Boschi e foreste rivestono una certa importanza nell'economia del Paese e l'area di più intenso sfruttamento è la fascia meridionale con le sue foreste tropicali, che danno legnami pregiati (mogano, ebano, cedro, sandalo, legno di rosa). Si hanno inoltre essenze tanniche e coloranti; dalla sapotiglia si ricava il chicle, materia prima del chewing-gum di cui il Messico è fra i maggiori produttori. § L'allevamento è un'attività importante , praticata sin dall'inizio della colonizzazione in grandi ranchos che sussistono ancora nel Nord, dove si ripete un po' l'organizzazione dell'Ovest statunitense e dove ha preminenza l'allevamento bovino da carne; nelle terre del Centro e del Sud prevale invece il bovino da latte. Oltre ai bovini, il patrimonio zootecnico messicano comprende ovini e caprini, suini, cavalli, asini, muli e volatili da cortile. § Suscettibile di notevole espansione il settore della pesca grazie al notevole potenziale ittico del Paese che tuttavia non risulta organizzato su scala industriale; si registra comunque lo stanziamento di cospicui finanziamenti per incrementare l'attività peschereccia e il pescato annuo. Tale attività ha le sue principali basi nel Golfo de California (Guaymas, Mazatlán), a Manzanillo sull'oceano Pacifico, a Tampico e a Ciudad del Carmen sul Golfo del Messico. Abbondano tonni, sardine e crostacei, largamente esportati negli Stati Uniti.

Economia: industria e risorse minerarie

Con un quarto circa della popolazione attiva impiegata nelle diverse attività, il settore più dinamico dell'economia messicana si rivela quello dell'industria, che annovera numerosi complessi in ogni ambito e che ha ricevuto particolari incentivi governativi al fine di creare nuovi posti di lavoro e di intensificare le esportazioni. Nello sviluppo dell'industria di base il ruolo primario è stato ricoperto dallo Stato, mentre, per quella leggera, determinante si è rivelato l'intervento del capitale estero (in particolare nel comparto automobilistico). Realtà particolare di recente affermazione è quella delle maquiladoras, fabbriche a capitale statunitense o misto, che operano principalmente nei settori elettrico, elettronico, automobilistico e tessile, autorizzate a lavorare (senza oneri doganali) materie prime statunitensi, e localizzate quindi a ridosso della frontiera con gli Stati Uniti (nelle città di Tijuana, Ensenada, Nogales, Nuevo Laredo, Reynosa, Matamoros). Forte è il grado di concentrazione territoriale del settore industriale, articolato attorno a tre poli: predomina con oltre la metà del prodotto nazionale e i due terzi dell'occupazione l'agglomerato di Città del Messico, seguito a N dal triangolo orientale di Monterrey, Saltillo, Monclova e dall'area californiana di Mexicali, Ensenada, Tijuana, di più recente formazione (legata al mercato d'oltrefrontiera). I più cospicui valori d'incremento produttivo si sono registrati nell'industria chimica e petrolchimica, nella meccanica e nella metallurgica. L'industria siderurgica produce ghisa, ferroleghe e acciaio; si hanno poi diversi stabilimenti per la lavorazione del rame, dello stagno, dello zinco, del piombo, della bauxite, dell'uranio e di vari altri metalli. Il settore meccanico fornisce molteplici macchinari (macchine agricole e tessili, materiale ferroviario, ecc.) nonché autovetture e veicoli commerciali: qui più che in ogni altro comparto è stata trainante la funzione del capitale estero che, attratto dai bassi livelli salariali e dalla prossimità del mercato nordamericano, vi ha impiantato numerosi stabilimenti di assemblaggio; analoghi motivi di sviluppo ha avuto l'elettronica di consumo e in particolare la produzione di elettrodomestici. L'industria petrolchimica raffina buona parte del greggio nazionale ed è presente con parecchie decine di impianti così come quella chimica, che ha buone produzioni di fibre tessili artificiali e sintetiche, fertilizzanti, acidi solforico, nitrico e cloridrico, soda caustica ecc. Di antica tradizione e sempre di rilevante importanza è l'industria tessile, specie per i filati e i tessuti di cotone, mentre quella alimentare, rappresentata da complessi molitori, oleifici, conservifici, zuccherifici ecc., risente in genere di un'eccessiva frammentazione delle aziende. Consistenti sono invece le produzioni di birra e di sigarette. Completano il quadro dell'industria messicana i cementifici, le cartiere, le vetrerie e fabbriche di ceramiche, i calzaturifici, le fabbriche di pneumatici ecc. L'intero settore industriale del Paese tuttavia risente di una sorta di dualismo economico caratterizzato, da un lato, dalla presenza di imprese a capitale straniero, all'avanguardia sui mercati internazionali e veicolo di una crescita che si configura come essenzialmente esogena (così come esogeni sono i processi di controllo e gestione delle attività produttive); dall'altro, da una costellazione di piccole e medie imprese locali tecnologicamente arretrate e dunque inadeguate per reggere il peso delle trasformazioni in atto su scala globale. A questa situazione fa da sfondo una forte disparità nella localizzazione territoriale delle risorse e delle realtà produttive del Paese, accompagnata da una scarsa coesione sociale tra gli attori economici coinvolti e da complesse dinamiche di inurbamento. La situazione del settore energetico non è da meno: esso si presenta inadeguato e obsoleto per le necessità del Paese, a partire dalla manutenzione e dall'ammodernamento degli impianti fino ad arrivare alle politiche di diversificazione necessarie per far fronte all'esaurimento progressivo delle riserve petrolifere, cui il Paese continua ad attingere in modo massiccio senza reali piani strategici per il futuro. § Alla base del grande arricchimento del Messico nel periodo coloniale sono state le risorse minerarie; in particolare i metalli preziosi conquistarono i mercati internazionali . Il sistematico sfruttamento minerario data tuttavia dalla fine del sec. XIX e il settore estrattivo, benché in larga misura dipendente dal capitale straniero (con la fondamentale eccezione relativa al petrolio), costituisce tuttora un elemento basilare dell'economia messicana. Per quanto riguarda l'argento, il Messico è il secondo produttore mondiale dopo il Perú; le principali miniere sono a Pachuca, nello Stato di Hidalgo, e a Parral in quello di Chihuahua. Argento si ricava anche nelle fonderie di piombo, altro metallo di cui il M. è tra i maggiori produttori del mondo e in quelle di zinco. Vastissima è la gamma dei minerali, presenti con giacimenti più o meno ricchi; si estraggono annualmente: ferro, rame, oro, mercurio, manganese, molibdeno, bismuto, magnesite, fluorite, fosfati naturali, sale (di cui il Messico è il settimo produttore al mondo) ecc. Quanto ai minerali energetici, il Paese estrae uranio, carbone in minima quantità, gas naturale, ma soprattutto, come si è detto, petrolio, di cui si estraggono oltre 150 milioni di t all'anno; le grandi zone petrolifere si affacciano tutte sul Golfo del Messico. Estesa anche la rete degli oleodotti. Consistente è la produzione di energia elettrica, di cui un quinto di origine idrica. Nel Paese è in funzione, dal 1989, una centrale nucleare, situata a Laguna Verde (Stato di Veracruz).

Economia: commercio, comunicazioni e turismo

Vivace è il commercio, sia interno sia estero; il volume degli scambi del Paese è aumentato in modo considerevole, anche grazie agli accordi commerciali stipulati con Stati Uniti e Canada (NAFTA, 1994), con l'Unione Europea (2000) e con il Giappone (2005). I principali partner per l'export sono gli Stati Uniti, che assorbono oltre i tre quarti degli scambi commerciali, il Canada, i Paesi orientali (Cina, Giappone, Corea del Sud) e, tra gli Stati europei, Germania, Italia, Francia e Spagna. Tra i Paesi importatori, nuovamente Stati Uniti e Canada, seguiti da Spagna, Germania e alcuni Stati dell'America Meridionale (Colombia, Venezuela). Il Messico esporta principalmente manufatti di alta tecnologia, materiale elettrico ed elettronico, veicoli e macchinari, apparecchi ottici e televisori, nonché prodotti minerari come petrolio e derivati, ferro e acciaio e alcuni prodotti alimentari come ortaggi, birra, frutta, caffè, e si situa al secondo posto per l'esportazione di bovini. A essere importati sono principalmente macchinari e mezzi di trasporto, manufatti vari, ferro e acciaio, cereali e mais (per cui il Messico è il quarto Paese importatore al mondo). § Anche la rete delle vie di comunicazione messicana si è notevolmente sviluppata nella seconda metà del sec. XX. Fondamentale è il ruolo delle ferrovie (26.662 km nel 2005), grazie alle quali sono state valorizzate vaste aree che sono diventate anzi gli assi dell'organizzazione territoriale, specie nella sezione settentrionale dell'altopiano; esse collegano lungo tre direttrici principali Città del Messico con gli Stati Uniti e le coste. In parte con un analogo tracciato, la rete stradale si sviluppava nel 2005 complessivamente per 355.796 km (122.750 km asfaltati), di cui 10.283 inclusi nella Carretera Panamericana: grazie a queste vie, l'altopiano viene raccordato con i maggiori centri portuali (Tampico, Veracruz, Acapulco, Coatzacoalcos, Progreso, Mazatlán ecc.). Data l'estensione territoriale, il trasporto aereo ha registrato crescente importanza: il Messico dispone di una cinquantina di aeroporti, tra cui quelli internazionali della capitale, di Guadalajara, Monterrey, Puebla, Mexicali, Mérida, Cancún. § Cospicuo è infine l'apporto valutario legato ai visitatori stranieri: grazie agli ingressi registrati nel 2006 (oltre 20 milioni di persone, per la maggior parte provenienti da Stati Uniti e Canada) il Messico si colloca all'ottavo posto nella scala del turismo mondiale.

Storia: dall'epoca precolombiana all'occupazione di Cortés

Nell'epoca precolombiana il territorio che oggi appartiene al Messico aveva visto la fioritura di importanti civiltà: quelle degli Olmechi, dei Chichimechi, dei Toltechi e infine degli Aztechi. Nella penisola meridionale dello Yucatán si era anche sviluppato il “Nuovo Impero” dei Maya, attraverso la Lega di Mayapán. Nessuno di quei popoli, però, riuscì a istituire organismi statali accentrati, avendo preferito il sistema dei patti federativi. In tal modo, le loro strutture politiche e sociali risultarono minate dall'interno e poterono resistere soltanto pochi secoli. In particolare, il dominio azteco, cominciatosi ad affermare intorno alla metà del sec. XIV (la capitale Tenochtitlán, nucleo dell'odierna Città del Messico, fu fondata nel 1325, secondo Vaillant e Vasconcelos, o nel 1345, secondo Herring), raggiunse l'apogeo durante i regni di Montezuma I (1440-69) e Axayacatl (1469-81), per poi iniziare una rapida decadenza. Guidati da Hernán Cortés, gli Spagnoli arrivarono nel 1519, mentre sul trono azteco regnava Montezuma II. Dallo Yucatán, dove era approdato, Cortés risalì la costa, erigendo la città di Veracruz. Indi si acquartierò più a nord, in un luogo che denominò San Juan de Ulúa. Qui ricevette un messaggio da Montezuma, che gli dava il benvenuto ma a un tempo lo invitava a ripartire. Cortés restò: anzi, per evitare fughe da parte dei suoi uomini, fece affondare le navi con le quali era giunto da Cuba. Ebbe inizio la Conquista. Sfruttando la rivalità delle popolazioni assoggettate dagli Aztechi e assistito da una donna indigena passata alle sue dipendenze (Malinche, dagli Spagnoli chiamata Doña Marina), Cortés pervenne alle porte di Tenochtitlán l'8 novembre 1519. Stipulata una tregua con Montezuma, dovette tornare precipitosamente a Veracruz, per fronteggiare un corpo di spedizione spagnolo che il governatore dell'Avana, Diego Velázquez de Cuéllar, aveva inviato contro di lui (Cortés si era distaccato dall'autorità del governatore e aveva deciso di operare in assoluta autonomia, al servizio diretto dell'imperatore Carlo V). Risolta favorevolmente la questione, poté rientrare a Tenochtitlán; ma vi trovò una situazione di rivolta. Allora costrinse Montezuma a parlare alla folla che si ammassava sotto i balconi del palazzo reale. Una freccia partita dalla piazza colpì il sovrano: tre giorni dopo, il 20 giugno 1520, Montezuma morì. Il suo successore, Cuitláhuac, sollevò gli Aztechi contro i conquistadores e questi si videro costretti a fuggire nella notte del 30 (la noche triste). Sei mesi più tardi, Cortés tornò all'assalto. Nel frattempo Cuitláhuac era morto di vaiolo e aveva trasmesso lo scettro al giovane nipote Cuauhtémoc. La resistenza azteca fu disperata, ma nulla poté contro i cavalli e i cannoni dei nemici. Il 13 agosto 1521 Tenochtitlán fu ripresa da Cortés. Cuauhtémoc, imprigionato, morì assassinato nel 1525.

Storia: la dominazione spagnola e le lotte per l'indipendenza

Cortés consolidò l'occupazione estendendo la conquista ai territori del sud: Guatemala, Honduras, Costa Rica. Inoltre ricostruì la capitale, cui diede il nome di Ciudad de México. Il Messico fu chiamato dagli Spagnoli Nuova Spagna. Dotato nel 1527 di due Audiencias, una a Città del Messico e l'altra a Guadalajara, nel 1535 fu elevato al rango di regno (uno dei regni che allora componevano la corona spagnola). L'imperatore dispose che fosse governato da un viceré. Antonio de Mendoza, primo viceré, e il suo successore Luis de Velasco posero le basi dell'organizzazione coloniale, applicando le leggi emanate dalla metropoli. In particolare, si consolidò l'istituto dell'encomienda, cellula originaria del latifondismo creolo latino-americano. E la popolazione india, malgrado i divieti legislativi, fu sottoposta a regime di schiavitù. Uomini di cultura ed ecclesiastici protestarono energicamente contro tali soprusi, accendendo dispute giuridiche e teologiche; ma ebbe la meglio il dispotismo, specie dopo l'ascesa al trono di Filippo II. I sec. XVII e XVIII videro accrescersi la potenza dei proprietari terrieri, fra i quali la Chiesa cattolica. Relativamente alla Chiesa, va ricordato il rigore con cui si provvedeva a fare osservare le norme dell'Inquisizione: per esempio, nel maggio 1649 ebbe luogo a Città del Messico un gigantesco auto de fe, che si concluse con l'uccisione di 108 “eretici” nella piazza del municipio. Gli ordini religiosi si assunsero il compito di colonizzare vaste zone; in questo campo si dimostrarono attivissimi i gesuiti. All'inizio del sec. XIX il Messico contava poco più di sei milioni di abitanti: quarantamila Spagnoli, un milione di creoli, un milione e mezzo di meticci, tre milioni e mezzo di Indios puri. Su di essi gravavano le “quattro piaghe” menzionate da monsignor Abad y Queipo, vescovo di Michoacán: disordine economico, oppressione degli Indios, abusi amministrativi, corruzione. Ma il Messico era ricco: lo stesso prelato affermava che l'oro delle sue miniere e il ricavato delle sue esportazioni agricole fornivano allo Stato spagnolo un sesto del reddito nazionale. Occorre ricondursi a quella realtà per capire come nel Messico, a differenza degli altri Paesi latino-americani, il processo rivoluzionario indipendentistico non abbia avuto per protagonisti, all'inizio, i creoli, bensì i meticci e, in piccola parte, gli Indios. L'agitazione, iniziatasi nel 1808, si sviluppò due anni più tardi. Il 16 settembre 1810 un sacerdote, don Miguel Hidalgo y Costilla, parroco del villaggio di Dolores, esortò la popolazione a levarsi in armi contro i gachupines (termine dispregiativo usato dai Messicani per indicare gli Spagnoli) al grido di “Viva la nostra Signora di Guadalupe! Abbasso il malgoverno!”. Dato il segnale dell'insurrezione, Hidalgo, alla testa di migliaia di meticci e Indios, mosse alla conquista del Paese. Ottenute alcune vittorie cogliendo di sorpresa l'esercito realista, quando giunse alle soglie della capitale non seppe profittare dello slancio: sconfitto l'11 gennaio 1811 nelle vicinanze di Guadalajara (battaglia del ponte di Calderón), fu poi catturato e fucilato. Il suo vessillo fu dapprima raccolto da Ignacio Rayón, poi da un altro sacerdote, José María Morelos y Pavón. Ammaestrato dall'esperienza, Morelos organizzò un esercito più disciplinato di quello di Hidalgo; inoltre elaborò un programma politico che prevedeva, oltre all'indipendenza, la soppressione delle differenze di casta, la spartizione delle grandi proprietà terriere, la revoca dei tributi pagati durante l'epoca coloniale. Decise infine di dare un assetto costituzionale alla rivoluzione: perciò, dopo avere occupato una zona di “libero Messico” fra Veracruz e Acapulco, il 14 settembre 1813 insediò a Chilpancingo il primo Congresso costituente, che il 6 novembre successivo proclamò l'indipendenza nazionale. La lotta armata, però, volse al peggio. Il 22 ottobre 1814 il Congresso approvò ad Apatzingán il testo della prima Costituzione repubblicana, che prevedeva essenzialmente l'istituzione del regime presidenziale, il potere legislativo affidato a due Camere, il suffragio universale, la cattolicità dello Stato, l'abolizione di ogni forma di schiavitù, l'uguaglianza di tutti i Messicani di fronte alla legge. Ma gli Spagnoli riuscirono a catturare Morelos e il 22 dicembre 1815 l'eroico sacerdote morì fucilato. Per cinque anni gli sforzi degli indipendentisti furono bloccati, nonostante la guerriglia condotta nel meridione da gruppi al comando di Vicente Guerrero, Félix Fernández (soprannominato Guadalupe Victoria), Nicolás Bravo, Francisco Javier Mina (quest'ultimo, preso prigioniero, cadde fucilato a Sombrero). La svolta avvenne nel 1820, come conseguenza del pronunciamiento liberale di Rafael Riego che in Spagna costrinse Ferdinando VII a ripristinare la Costituzione di Cadice del 1812. Fu una svolta in ogni senso: non soltanto perché la “rivoluzione” si rimise in marcia, ma anche perché cambiarono i suoi artefici. Infatti, ai meticci e agli Indios si sostituirono i creoli. Costoro avevano compreso che l'America Latina era destinata a dissociarsi dalla Spagna: dunque, conveniva dirigere le cose, piuttosto che rischiare di esserne diretti. Sulla base di simile considerazione, il ceto benestante creolo pensò di venire a patti con uno dei leaderdella guerriglia, Vicente Guerrero, per accordarsi sulle modalità dell'indipendenza. Interlocutore, nel negoziato, fu il generale Agustín Itúrbide, ufficiale dell'esercito regio che si era distinto nella guerra contro Hidalgo e Morelos. L'intesa venne raggiunta. Il 24 febbraio 1821 Itúrbide proclamò il cosiddetto Plan de Iguala.

Storia: dal Trattato di Cordoba alla guerra con gli Stati Uniti

Itúrbide patteggiò pure con il nuovo viceré, Juan de O'Donojou, appena giunto dalla Spagna per sostituire il predecessore Juan Ruiz de Apodaca: dalle loro trattative scaturì, il 24 agosto, il Trattato di Cordoba, che incorporava in larga misura il Plan de Iguala, ribadiva l'indipendenza del Paese e disponeva che questo sarebbe stato un regno la cui corona avrebbe dovuto essere assegnata a un Borbone. Il 27 settembre 1821 Itúrbide fece ritorno a Città del Messico e il giorno dopo istituì un Consiglio di reggenza, al quale associò O'Donojou. Ma non tenne fede alla parola data: il 19 maggio 1822 si fece nominare imperatore da un'addomesticata Assemblea costituente e assunse il nome di Agustín I. Fu un impero di corta durata. Alla fine del 1822, e più ancora l'anno successivo, militari e gruppi di civili si levarono in armi. In particolare, si fece luce un generale: Antonio López de Santa Anna. Nel febbraio del 1823 López de Santa Anna stipulò con gli altri insorti l'alleanza detta di Casa Mata e in maggio costrinse Agustín I ad abdicare e a partire per l'esilio. In novembre una nuova Assemblea costituente proclamò la Repubblica, affidandone il timone al triumvirato composto da Félix Fernández (Guadalupe Victoria), Nicolás Bravo e Celestino Negrete. Itúrbide tentò la rivincita: nel 1824 sbarcò presso Tamaulipas, ma fu catturato; condannato a morte, venne fucilato il 19 giugno. È da ricordare che mentre governava da imperatore, aveva assorbito le province centro-americane (Guatemala, Honduras, El Salvador, Costa Rica e Nicaragua), che avevano precedentemente proclamato la propria indipendenza dal Messico, ma queste si dichiararono indipendenti non appena Itúrbide fu deposto. A Città del Messico l'Assemblea costituente varò la nuova Carta costituzionale nell'ottobre 1824: il Messico diventava una Repubblica federale, con diciannove Stati provvisti di autonomia interna; il potere legislativo spettava a un Congresso bicamerale; la religione cattolica restava l'unica riconosciuta dallo Stato; si aboliva ogni residuo dell'Inquisizione. Le elezioni, svoltesi alla fine dell'anno, condussero alla presidenza Félix Fernández e alla vicepresidenza Nicolás Bravo. La lotta politica si concentrò sul dissidio tra liberali e conservatori. Tuttavia, dietro le quinte, agivano altri due protagonisti: Stati Uniti e Gran Bretagna. Washington parteggiava per i liberali (chiamati yorkinos perché aderivano alla Loggia massonica di rito York, appoggiata dal governo statunitense); Londra sosteneva invece i conservatori (chiamati escoceses perché aderivano alla Loggia massonica di rito scozzese, appoggiata dal governo britannico). L'ago della bilancia si spostò in favore degli Stati Uniti, grazie all'abilità del diplomatico Joel R. Poinsett. Così, fino al 1834 si alternarono presidenti molto amici di Washington, che tra l'altro permisero a coloni statunitensi di sistemarsi in vari territori del Nord, soprattutto nel Texas. La realtà mutò quando, appunto nel 1834, le redini del Paese furono assunte dal generale López de Santa Anna. Caudillo legato agli interessi dei proprietari terrieri del Messico centrale e meridionale, López de Santa Anna abolì il sistema federale e accentrò i poteri nelle mani del presidente della Repubblica. In tal modo i singoli Stati messicani vennero a perdere l'autonomia interna. I Texani di origine statunitense non accettarono quella Costituzione: pertanto si rivoltarono e il 2 marzo 1836 proclamarono la loro Repubblica indipendente. López de Santa Anna li attaccò. Il 6 marzo, dopo uno stretto assedio, espugnò il fortino di Alamo; ma il 21 aprile fu sconfitto sulle rive del San Jacinto. Almeno provvisoriamente, dovette riconoscere la secessione del Texas. Il quadro cambiò ancora nel marzo 1845, allorché il Texas venne annesso agli Stati Uniti. Il Messico dichiarò guerra. Le ostilità durarono circa due anni e si conclusero con la sconfitta messicana.

Storia: dal 1848 all'ascesa di Porfirio Díaz

Una sconfitta durissima, perché il Trattato di Guadalupe-Hidalgo, firmato il 2 febbraio 1848, non soltanto confermò il distacco del Texas, ma strappò al Messico l'Arizona, il Nevada, lo Utah, il Nuovo Messico e parte del Colorado e della California, regioni che, dalla seconda metà del sec. XVI, erano gradualmente cadute sotto la giurisdizione del Messico spagnolo. López de Santa Anna si vide costretto ad abbandonare il campo. Riuscito poi a farsi nominare “dittatore perpetuo”, fu attaccato dai liberali, alla cui testa figuravano personalità quali Juan Àlvarez, Melchor Ocampo, Ignacio Comonfort, Benito Pablo Juárez; il 1º marzo 1854 essi fissarono i principi del loro movimento – denominato Reforma – nel Piano di Ayutla e, organizzatisi militarmente, costrinsero il dittatore ad arrendersi (14 agosto 1855). Per il Messico ebbe inizio un processo di rinnovamento. Insediatisi al governo, gli uomini della Reforma cominciarono ad attuare il loro programma, dotando il Paese, il 5 febbraio 1857, di una Costituzione liberale. L'opera legislativa ebbe per oggetto soprattutto i rapporti con la Chiesa. Principali provvedimenti furono: la legge del 25 novembre 1855 per la soppressione dei tribunali ecclesiastici e militari; la legge del 25 giugno 1856 per lo svincolo dei beni di manomorta; la legge del 12 luglio 1859 per la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici; la legge del 23 luglio 1859 per l'introduzione del matrimonio civile; la legge del 4 dicembre 1860 per la libertà dei culti. Queste misure suscitarono la reazione dei conservatori e della Chiesa. Con un golpe mandato a effetto, i nemici della Reforma conquistarono Città del Messico e costrinsero alla fuga i liberali. Costoro riuscirono ad arroccarsi a Querétaro, installandovi un governo “costituzionale” presieduto dall'indio Juárez. All'inizio del 1861 i riformisti poterono rientrare nella capitale; ma a quel punto si verificò un intervento internazionale. Juárez godeva del sostegno statunitense, i conservatori e la Chiesa erano appoggiati dalla Gran Bretagna, dalla Spagna e dalla Francia di Napoleone III. Poiché gli Stati Uniti si trovavano impegnati nella loro guerra di Secessione, le potenze europee (a un certo punto, comunque, la Francia rimase sola) decisero di agire. Napoleone III architettò la creazione di un Impero messicano a lui devoto e ne offrì la corona all'arciduca Massimiliano d'Asburgo, fratello dell'imperatore Francesco Giuseppe. Nel 1862 inviò un corpo di spedizione. Juárez dovette rifugiarsi ai confini con il Texas. Massimiliano, protetto dalle baionette francesi, prese possesso del trono nel giugno 1864. La resistenza di Juárez, però, lo sconfisse. Restaurata la Repubblica, Juárez ripristinò la Costituzione del 1857 e proseguì sulla via delle riforme. La sua scomparsa (1872) determinò un vuoto, che di lì a poco sarebbe stato occupato da un altro “uomo forte”. Nel frattempo, però, tornarono alla ribalta le vecchie dispute di fazione, che indebolirono i liberali a vantaggio dei conservatori. Per di più, la legge sullo svincolo della manomorta si era rivelata controproducente, in quanto aveva rafforzato i già potenti latifondisti, mediante la possibilità, per essi, di acquistare altre proprietà terriere. Fu perciò facile per il loro candidato, il generale Porfirio Díaz, ascendere alla presidenza della Repubblica nel 1876.

Storia: il regime di Porfirio Díaz

Il regime che egli instaurò e che durò fino al 1911 si caratterizzò in particolare per l'autoritarismo e favorì al massimo gli investimenti stranieri, al punto da ridurre il Messico, in pochi anni, a colonia privilegiata del capitale internazionale. Il “porfiriato” nascose, dietro la facciata dell'ordine e del progresso, un vero e proprio neocolonialismo. Adottò come filosofia il pensiero positivistico, ma solo per giustificare un regime di sfruttamento. Leva operativa del sistema fu il governo dei cosiddetti “scientifici” (científicos), cioè di quell'aristocrazia economica e finanziaria che Díaz chiamò accanto a sé, intorno al 1890, per gestire lo Stato. Alla guida del Paese egli pose José Ives Limantour, ministro delle Finanze. Nel suo arco operativo, il “porfiriato” assicurò il conseguimento di importanti risultati in termini di indici di produzione, ma concentrò la ricchezza nelle mani di pochi, lasciando nella povertà la grande maggioranza della popolazione. Ciò avvenne in due modi: attraverso le concessioni al capitale straniero e mediante l'accumulazione della proprietà terriera. Gruppi statunitensi controllavano i tre quarti delle miniere e più della metà dei pozzi petroliferi; inoltre possedevano piantagioni di zucchero, di caffè e di cotone e terre sterminate per pascoli e allevamenti. Interessi britannici erano investiti nel petrolio, nelle miniere, nelle piantagioni di cotone e di caffè, nei servizi pubblici. La produzione tessile era controllata dai Francesi. Gli Spagnoli avevano il monopolio del commercio al dettaglio e disponevano di aziende agricole. In questa situazione la vita dei contadini e del ceto urbano più umile si svolgeva drammatica. Grazie al suo apparato poliziesco, Díaz riuscì per anni a impedire che si organizzasse un'opposizione; ma nel 1900 cominciò ad apparire una forza “liberale”, che poco dopo, in seguito alle spinte di due fratelli di Oaxaca, Enrique e Ricardo Flores Magón, si protese verso il socialismo, esprimendosi dalle colonne del periodico Regeneración. Nel settembre 1905 i fratelli Flores Magón costituirono una Giunta organizzatrice del Partito liberale; l'anno successivo pubblicarono il programma di questo partito, con un manifesto alla nazione: chiedevano la non rielezione di Díaz e l'istituzione di un sistema democratico. Nel 1908, in un'intervista, Díaz dichiarò che alla scadenza del suo mandato, nel 1910, non si sarebbe più presentato alle elezioni. Le sue parole misero in moto gli oppositori. In particolare, a San Pedro Coahuila, vide la luce un opuscolo intitolato La successione presidenziale del 1910, del quale era autore il liberale Francisco Madero: vi si sosteneva che il Messico doveva liberarsi del “porfiriato”, per darsi un governo libero e popolare. La reazione del dittatore fu energica: ritirò la promessa e nel 1910 si ripresentò candidato. Madero si rifugiò a San Antonio, nel Texas, e in data 5 ottobre 1910, facendo figurare come località d'emissione la cittadina di San Luis Potosí, diffuse un Piano (rimasto noto per l'appunto come Piano di San Luis Potosí) che esortava il popolo messicano all'insurrezione armata. Nel giorno stabilito, 20 novembre, questa scoppiò. La guerriglia si accese un po' dovunque: nelle province settentrionali si imposero le figure di Pascual Orozco, Francisco (“Pancho”) Villa, Abraham González, Pablo González, Venustiano Carranza, Cándido Aguilar; nelle zone meridionali, Emiliano Zapata. Dopo una serie di scontri sanguinosi, il 21 maggio 1911 i rappresentanti governativi firmarono la resa a Ciudad Juárez. Il giorno 25 Díaz si dimise e partì per l'esilio (morì a Parigi nel 1915).

Storia: da Francisco Madero a Lázaro Cárdenas

Madero entrò da trionfatore nella capitale. In ottobre si svolsero le elezioni: Madero e José María Pino Suárez furono elevati rispettivamente alla presidenza e alla vicepresidenza della Repubblica. Quella soluzione significò la vittoria del moderatismo e venne contestata dagli elementi più radicali della rivoluzione: Villa al Nord e Zapata al Sud continuarono la lotta armata. Zapata, in particolare, innalzò il vessillo delle rivendicazioni contadine, sintetizzandole il 28 novembre nel Piano di Ayala. Il nuovo conflitto favorì la ripresa dei conservatori: aiutato dall'ambasciatore statunitense Henry Lane Wilson, il capo di Stato Maggiore dell'esercito, generale Victoriano Huerta, tradì Madero, lo fece arrestare e nella notte del 22 febbraio 1913 lo mandò a morte insieme con Pino Suárez. Assunta la presidenza, Huerta restaurò un regime reazionario. Villa, Zapata e altri rivoluzionari, fra i quali il governatore dello Stato di Coahuila, Venustiano Carranza, e il generale Alvaro Obregón, riorganizzarono le loro forze, che chiamarono “costituzionaliste”, e mossero contro Huerta. Nel 1914, in aprile, marines statunitensi occuparono Veracruz, adducendo a pretesto alcuni incidenti che avevano coinvolto marinai della flotta USA ancorata al largo. L'intervento fu condannato da tutta l'America Latina e acuì i rancori già esistenti fra Messico e Stati Uniti. I “costituzionalisti” continuarono a battersi contro Huerta. Accerchiato da ogni lato, il 15 luglio 1914 il dittatore dovette dimettersi. Un mese dopo Carranza lo sostituì come presidente. Ma ancora una volta Villa e Zapata si rifiutarono di deporre le armi, accusando Carranza di tendenze controrivoluzionarie. Sul finire del 1915 Villa fu sconfitto dai soldati di Obregón, che si era schierato con Carranza. L'ardimentoso guerrigliero si diede allora ad azioni di disturbo lungo la frontiera con gli Stati Uniti, con frequenti sconfinamenti. Per eliminare tali incursioni un corpo di spedizione nordamericano, al comando del generale Pershing, penetrò nel Messico e inseguì Villa; ma non riuscì a catturarlo. La presenza militare statunitense durò fino al 1917; e quando l'ultimo reparto USA lasciò il suolo del Paese, ossia il 5 febbraio di quell'anno, Carranza promulgò la Costituzione della Repubblica rivoluzionaria. Il documento riconosceva i diritti dell'uomo e le libertà democratiche e garantiva la laicità dello Stato. Di speciale importanza l'articolo 27, che sanciva la proprietà nazionale delle ricchezze del sottosuolo e specificava le modalità della tanto attesa riforma agraria. Carranza fu eletto regolarmente presidente della Repubblica l'11 marzo 1917. Sembrò che il Paese avesse conquistato la pace e si fosse incamminato sulla via della normalità. I movimenti politici cominciarono ad assestarsi, i lavoratori si adunarono in liberi sindacati. Nel Sud, però, Zapata continuava a resistere: i soldati governativi ne ebbero ragione nell'aprile 1919, quando lo attirarono in un'imboscata a Chinameca e lo uccisero. Anche Carranza fu assassinato a tradimento il 21 maggio 1920. E il 23 luglio 1923 subì la stessa sorte “Pancho” Villa. Né si salvò dal piombo di sicari Alvaro Obregón, colpito a morte nel 1928 dopo avere esercitato la presidenza della Repubblica dal 1920 al 1924. Teso e caratterizzato da continui sussulti fu pure il mandato di Plutarco Elías Calles (1924-28), che dovette fronteggiare la rivolta dei cattolici conservatori (detti cristeros, cioè partigiani di Cristo). Calles modificò la Costituzione, portando il periodo della carica presidenziale da quattro a sei anni. Sostituito da Emilio Portes Gil, alla fine del 1928 Calles annunciò la nascita di un nuovo partito, il Partito Nazionale Rivoluzionario (PNR), destinato a essere lo strumento coordinatore del regime. In realtà la rivoluzione era stata frenata con l'ascesa al potere della borghesia e del ceto medio. Spettò al presidente Lázaro Cárdenas (1934-40) di imprimere nuovi impulsi progressisti, mediante l'accelerazione della riforma agraria e la nazionalizzazione dell'industria petrolifera (1938). Cárdenas perfezionò anche la struttura del partito al governo, cambiandogli il nome in quello di Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), per attestare la fine della Rivoluzione come impresa militare e il suo assestamento sul piano politico e sociale.

Storia: egemonia e crisi del PRI

I presidenti che si alternarono dopo Cárdenas (M. Ávila Camacho, 1940-46; M. Alemán, 1946-52; A. Ruiz Cortínez, 1952-58; A. López Mateos, 1958-64) favorirono opere di sviluppo puntando sull'industrializzazione e sul concorso di investimenti stranieri. Il potere del PRI divenne invincibile, mentre le opposizioni di destra e di sinistra si videro relegate al margine della vita politica. Questa cristallizzazione dell'eredità rivoluzionaria determinò nell'ottobre del 1968 una sollevazione giovanile a Città del Messico, che polizia ed esercito soffocarono nel sangue. Il PRI conservò tuttavia il suo monopolio politico. Da questo partito sono usciti anche i presidenti L. Echeverría Alvarez (1970-76), che impresse un impulso innovatore alla vita del Messico, e J. López Portillo (1976-82), che dovette fronteggiare la grave crisi politica ed economica del Paese, dibattuto tra la necessità di interventi statali e lo sviluppo industriale in gran parte legato a capitali nordamericani. Nel luglio 1982 fu eletto il presidente M. de la Madrid Hurtado che d'accordo con il Fondo Monetario Internazionale affrontò la grave situazione economica interna, causata anche dal debito estero, che nel 1985 sfiorò i 100 miliardi di dollari. Il piano di austerità varato nel 1983 ridusse il già basso tenore di vita della popolazione e aumentò le sperequazioni sociali. Alle difficoltà economiche precedenti si aggiunsero il terremoto di Città del Messico nel settembre 1985 e il calo del prezzo del petrolio all'inizio del 1986. Nella seconda metà degli anni Ottanta si verificarono situazioni che modificarono in maniera significativa il quadro politico tradizionale: tra queste, la notevole flessione del consenso al partito di governo (PRI), comunque vincitore nelle elezioni del 1988, con l'affermazione del candidato dell'opposizione di sinistra Cuauhtémoc Cárdenas (figlio dell'ex presidente Lázaro), fondatore del Partito Rivoluzionario Democratico (PRD). Se il dibattito interno, stimolato dallo scontento provocato dai severi programmi economici d'austerità, veniva ravvivato da tale evoluzione, ancora maggiori novità portava però la svolta impressa allo stesso PRI e alle linee guida dell'azione governativa dal presidente Carlos Salinas de Gortari: secondo una tendenza implicitamente preannunciata dall'adesione al GATT (1986), venivano adottate misure di liberalizzazione e avviate numerosissime privatizzazioni. Si profilavano possibilità per realizzare un'integrazione profonda con gli Stati Uniti, di cui, oltre al piano Brady per la soluzione del problema del debito, era accolta senza esitazioni l'idea della “zona nordamericana di libero scambio”. Al riavvicinamento diplomatico e politico, espressosi anche nell'accresciuto impegno contro il contrabbando di stupefacenti, si era infine aggiunto il ripristino delle relazioni diplomatiche (con l'introduzione di una modifica alla Costituzione approvata nel 1991) anche con il Vaticano, a lungo osteggiato dall'originario anticlericalismo del PRI. Confermato alla guida del Paese dalle elezioni politiche del 1991, il partito di Salinas realizzava l'accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e il Canada (NAFTA), entrato in vigore il 1° gennaio 1994. Lo stesso anno, nonostante lo scoppio delle rivolte contadine nella regione del Chiapas, determinate dalla precaria situazione economica e da una ormai improcrastinabile necessità di una riforma generale del sistema democratico, e una campagna elettorale funestata dall'assassinio del candidato ufficiale, Luis Donaldo Colosio, il PRI registrava un ulteriore successo con l'elezione a presidente della Repubblica di Ernesto Zedillo Ponce de León. Ma le continue tensioni politiche, accompagnate dalla diffusione di vaste aree di corruzione e di connivenza con la stessa criminalità organizzata del narcotraffico, determinavano una fuga di capitali che metteva in ginocchio la fragile economia messicana. In questo difficile quadro riprendeva (1995) l'iniziativa dell'EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) che nel Chiapas, con una serie di rapide azioni, teneva in scacco l'esercito governativo, mentre Salinas de Gortari, il cui fratello veniva coinvolto in un clamoroso caso di omicidio politico, accusato da Zedillo di essere il responsabile della rovina economica del Messico, abbandonava (marzo 1995) il Paese. Il neopresidente adottava anche una linea morbida nei confronti dei rivoltosi zapatisti che iniziava a dare qualche frutto con l'apertura di un negoziato diretto (settembre 1995) e il rilascio di alcuni militanti dell'EZLN. Accanto all'organizzazione militare, i guerriglieri zapatisti davano vita a un organismo politico, il Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale (gennaio 1996), quasi a prefigurare un loro futuro inserimento nella lotta politica legale. Alle elezioni legislative del luglio 1997, per la prima volta dal 1929, il PRI non riusciva a conquistare la maggioranza assoluta alla Camera dei deputati, ma otteneva appena il 38% dei suffragi, contro il 27% del PAN (Partito d'Azione Nazionale) e il 26% del PRD, guidato da Cuauhtémoc Cárdenas, che vinceva anche le contemporanee elezioni per designare il governatore del Distretto Federale, comprendente Città del Messico, in precedenza nominato dal presidente della Repubblica. Ma, al di là di vicende comunque contingenti, il Messico metteva ancora in mostra le contraddizioni di un Paese troppo condizionato dalla violenza sociale e politica, così come dall'inestricabile groviglio di interessi tra vertici istituzionali e criminalità, soprattutto quella legata al traffico internazionale di stupefacenti. Una condizione, questa, in comune con altre realtà del mondo ispano-americano, ma in stridente contrasto con la volontà dei Messicani di riuscire a raggiungere l'orizzonte di una completa modernizzazione e di uno stabile sviluppo economico. Un'ulteriore crisi economica tra il 1998 e il 1999, comunque, decretava la definitiva fine dell'egemonia politica del PRI che nelle elezioni politiche del luglio 2000 veniva sconfitto da una coalizione denominata Alleanza per il cambiamento, che comprendeva anche il PAN, il partito di centro destra, il cui leader Vincente Fox veniva eletto a capo dello Stato. Tuttavia nelle elezioni del luglio 2003 il PRI otteneva nuovamente la maggioranza. Nel luglio 2006 si svolgevano le elezioni presidenziali, vinte da Felipe Calderon del Partito azione nazionale, di destra, con uno scarto di 0,57% sul suo avversario, Andres Obrador, che contestava l'esito del voto. Nel 2008 si intensificavano gli scontri tra polizia e narcotrafficanti causando centinaia di vittime, mentre nel Chiapas continuavano le attività militari per contrastare le azioni dei ribelli zapatisti dell'EZLN. Le elezioni legislative del luglio del 2009 erano vinte dal Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI); intanto nel Paese diventava sempre più forte la tensione dovuta alla guerra tra gruppi criminali, soprattutto i cartelli legati al traffico della droga e le forze dell'ordine. Soprattutto nella città di Ciudad Juàrez questi episodi di violenza causavano la fuga di molti civili e l'intervento del Dipartimento di stato degli Sati Uniti con aiuti e un maggiore controllo nelle aree di frontiera. Infatti, il flusso migratorio verso gli USA si manteneva elevato e provocava fenomeni di xenofobia negli stati meridionali statunitensi. Nel 2010 le violenze legate al narcotraffico assumevano caratteristiche da guerra civile con oltre 12.000 morti e con vaste regioni di fatto fuori dal controllo dello stato. Alle elezioni presidenziali del giugno del 2012 Enrique Peña Nieto del PRI veniva eletto capo dello Stato, sconfiggendo il candidato di sinistra Obrador.

Cultura: generalità

Il Messico detiene uno fra i patrimoni storico-culturali più ricchi e compositi di tutta l'America. Teatro delle medesime dinamiche politiche, sociali e culturali toccate all'intero continente in conseguenza della colonizzazione europea, il Paese, forgiato dal proprio passato di tradizione india e contemporaneamente sempre più attratto dal way of life di matrice statunitense, ha a lungo svolto un ruolo di egemonia nei confronti del mondo latino-americano. La cultura popolare trova ampia e “colorata” manifestazione soprattutto nelle decine di feste che si svolgono lungo l'arco dell'anno: da quelle di origine religiosa o mistico-spirituale a quelle civili e patriottiche, cui si aggiungono le ricorrenze private e familiari, altrettanto ricche di folclore e articolati cerimoniali. L'arte e l'artigianato sono sempre stati fortemente legati alle tradizioni degli indios, tuttavia il XX secolo ha visto emergere personalità artistiche che, in parte distaccatesi da questi filoni, hanno trovato ampio riscontro anche fuori dai confini nazionali. Un cenno a parte merita l'architettura, in cui gli esiti raggiunti da Maya, Toltechi e Aztechi (i quali a loro volta ereditarono motivi già elaborati da civiltà precedenti) continuano a destare, nei secoli, la medesima meraviglia. In letteratura, il patrimonio di epoca precolombiana, ricchissimo e diversificato, è stato pesantemente compromesso, anche se restano testimonianze di una qualità letteraria e speculativa notevole, sia in prosa sia in poesia. La conquista portò con sé anche la tradizione letteraria ispanica e, soprattutto, grazie ai movimenti religiosi di evangelizzazione, vennero edificate le prime università che contribuirono allo sviluppo delle arti e della letteratura, oltre a riaffermare la preminenza del Messico sull'intero continente. La rivoluzione e l'indipendenza aprirono poi nuove pagine e nuove prospettive di confronto con le tendenze e gli artisti internazionali, sostenute anche da un fervore interno, alimentato da riviste letterarie e numerose iniziative di promozione. Anche a livello musicale il Messico si è caratterizzato per la presenza di percorsi paralleli, ma ugualmente floridi, fra le proprie diverse anime: la musica colta e la tradizione popolare, la musica dei nativi e gli apporti del mondo africano, spesso oggetto di momenti di incontro e fruttuosa commistione. Il cinema e il teatro, infine, costituiscono settori altrettanto vivi della cultura messicana, frequenti testimoni, se non precursori, delle vicende storiche, politiche e nazionali. Rilievo internazionale ha acquisito, negli ultimi decenni, anche la tradizione gastronomica messicana, diffusasi e apprezzata in tutto il mondo occidentale. Va detto che, come in ambito politico e commerciale, anche nella cultura la capitale gioca un fortissimo ruolo accentratore: sede di 11 università, di musei (fra i più importanti al mondo è quello di antropologia) e istituti culturali, la capitale estende la propria influenza su tutto il Paese e sull'intera area dell'istmo. Da questo punto di vista altri centri di un qualche rilievo sono Guadalajara e Puebla. Testimonianza della ricchezza culturale del Paese sono i numerosi siti dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO tra cui: il Centro storico di Città del Messico e Xochimilco (1987); la zona storica di Oaxaca e area archeologica di Monte Albán (1987); il centro storico di Puebla (1987); la città preispanica e Parco Nazionale di Palenque (1987); la città preispanica di Teotihuacán (1987); la città storica di Guanajuato (1988); la città preispanica di Chichén Itzá (1988); il centro storico di Morelia (1991); la città preispanica di El Tajín (1992); il centro storico di Zacatecas (1993); le pitture rupestri della Sierra di San Francisco (1993); i monasteri del Popocatépetl (1994); la zona storico-monumentale di Querétaro (1996); la città precolombiana di Uxmal (1996); l'ospizio Cabañas di Guadalajara (1997); la zona archeologica di Paquimé, Casas Grandes (1998); i monumenti storici di Tlacotalpan (1998); l'area archeologica di Xochicalco (1999); la città storica fortificata di Campeche (1999); la città maya di Calakum (2002); le missioni francescane della Sierra Gorda di Querétaro (2003); la casa e studio di Louis Barragán (2004); il paesaggio d'agave e antiche installazioni industriali di Tequila (2006); il campus centrale della città universitaria dell'Università Nazionale Autonoma del Messico-UNAM (2007) e la città fortificata di San Miguel con il Santuario di Gesù di Nazareth ad Atotonilco (2008).

Cultura: tradizioni

Paese antico, il Messico è ricco di tradizioni. La popolazione è fiera portatrice di quella mexicanidad che sta in parallelo alla hispanidad dei conquistadores, e ha un senso profondo dell'onore. Sovente alla nascita di un bimbo, celebrata con riti e feste, viene piantato un albero, alter ego del bambino, simbolo della sua vita. Fidanzamenti e matrimoni sono occasioni di banchetti; molto sentiti anche i riti funebri, a volte completamente cristiani, a volte pagani. Il maggior numero di feste è legato a ricorrenze religiose. Il Natale messicano inizia il 16 dicembre con la ricerca della prima delle nove posadas in cui verrà ospitata la Madonna che di sera in sera, fino alla vigilia, cambierà casa, mentre andrà aumentando il fervore della festa. Alle grandi feste religiose (Settimana Santa, Corpus Domini, San Giovanni, solennità dei defunti) si aggiungono numerose feste locali e pellegrinaggi. Le gare che concludono le feste (corse a piedi, lancio del giavellotto) sono diffusissime, come le danze popolari. Famosa fra tutte, la danza del volador, in cui quattro danzatori, legata una fune alle caviglie, si buttano da un palo alto 30 metri e compiendo ampi giri attorno al palo stesso atterrano con grande agilità. Con eguale fervore sono celebrate anche le feste patriottiche (15/16 settembre, festa dell'indipendenza; 20 novembre, anniversario dell'insurrezione diretta da Madero nel 1910; 5 maggio, prima vittoria contro i soldati di Napoleone III, 1862). L'abitazione tradizionale del messicano è la casa di adobe (mattone seccato al sole). L'abbigliamento è ricchissimo di colori. Famosi sono il rebozo (ampio scialle dai colori sgargianti) e il sombrero (ampio cappello di paglia). La blusa e i pantaloni bianchi sono di importazione spagnola. Ricco l'artigianato, specie della ceramica, con vasi, brocche, piatti dipinti a fresco. L'arte india ispira ancora grandissima parte della produzione, in particolare della terracotta, e lavorazione di tessuti, lacche, pittura su legno, cuoio, disegni su corteccia, dove si ritrova spesso il gusto azteco. La chitarra è l'accompagnamento più diffuso delle canzoni popolari. Dalla Spagna è venuta la passione per le corride, dall'America Settentrionale il gusto della charreada o rodeo messicano, esibizione di cavallerizzi e sfilata di splendide amazzoni. Nella cucina messicana trionfa la tortilla, schiacciata di farina di mais che può essere imbottita di carne, di formaggio, di salsa piccante; predominano i fagioli, il riso, il pollo e i pimenti. Bevande nazionali sono la tequila e il pulque, distillati del succo fermentato di due varietà di agave.

Cultura: lingua

Sebbene un terzo ca. della popolazione del Messico sia costituito da indios puri, solo una minoranza parla lingue precolombiane (nahuatl, maya, mixteco, zapoteco, tarasco, otomí, totonaco, ecc.) e ormai tra questi sempre meno sono i monolingue, coloro cioè che non parlano spagnolo. Di fatto, quindi, la lingua dei messicani è quella dei conquistatori europei. Lo spagnolo parlato nel Messico presenta però caratteristiche peculiari: pronuncia piuttosto rapida e sincopata, con sopravvivenza di fonemi indigeni come la š; persistenza nel lessico comune di alcune centinaia di messicanismi, specie nelle zone rurali; adozione di neologismi anglo-americani.

Cultura: letteratura. L'epoca prespagnola

Fra le culture indigene fiorite nella “Nuova Spagna” (ben più vasta del Messico attuale) nell'epoca preispanica, due emergono nettamente anche per gli apporti letterari: la nahuatl, al centro, e la maya, dallo Yucatán a El Salvador. I testi sopravvissuti alla dominazione spagnola non sono purtroppo molti; ma quelli via via riportati alla luce dagli studiosi contemporanei (Garibay, León Portilla, Mediz Bolío, Recinos, ecc.), oltre a quelli in parte conservati dai primi missionari spagnoli (Sahagún, Ximénez, ecc.), documentano l'esistenza di una ricca letteratura poetica (epico-mitologico-cosmogonica, lirica, drammatica) e prosastica (storica, celebrativa, narrativa) sia nahuatl sia maya, nonché di poeti più evoluti e caratterizzati come il re Netzahualcoyotl. Altezza e densità di pensiero mitico-religioso ed energica capacità di metaforizzazione e trasfigurazione stilistica caratterizzano questa poesia, capace di narrare miti grandiosi come quello di Quetzalcóatl, il famoso “serpente piumato” civilizzatore, di cantare le bellezze della natura (con particolare sensibilità per le piante, i fiori, gli splendidi uccelli tropicali), di esprimere il rimpianto per la brevità della vita e l'ineluttabilità della morte, e di celebrare le imprese degli eroi e degli dei. Strettamente legata ai riti, alla musica e alla danza, la poesia si articola in una sorprendente varietà di espressioni: dalla pura elegia breve al complesso poema cosmogonico e teogonico, come lo straordinario Popol Vuh dei Maya, alla “tenzone” drammatica (Rabinal-Achí). La prosa presenta soprattutto annali e storie (particolarmente patetiche quelle che narrano, dalla parte dei vinti, il dramma della conquista europea) e narrazioni didattico-morali o di mero divertimento, non prive a volte di variegature umoristiche. Nell'insieme, un patrimonio letterario vasto e originale, che anche il Messico d'oggi considera proprio e, nonostante le crudeli amputazioni subite, vivo e fecondo.

Cultura: letteratura. Dalla conquista spagnola alla fine del Seicento

Dopo il violento e spesso brutale impatto della conquista militare, la Spagna portò nel Messico anche la propria cultura europea e rinascimentale: missionari, fondatori di collegi come quello di Tlatelolco per giovani indigeni, umanisti come Cervantes de Salazar (ca. 1514-1575) e teologi, storici, cronisti, insegnanti, vescovi illuminati come Zumárraga e Vasco de Quiroga, poeti come Cetina (ca. 1520-1557), Cueva (ca. 1543-1610) e Balbuena (1568-1627), primo cantore delle bellezze del nuovo mondo nel poema La grandeza mexicana, viceré come Antonio de Mendoza, consapevoli della necessità di un'integrazione culturale, e tipografi (primo il lombardo Juan Pablos o piuttosto Paoli), che nel solo sec. XVI stamparono oltre 170 opere di linguistica, filosofia, scienze e letteratura. Con la sua università, fondata nel 1551, i numerosi collegi, le molteplici iniziative (frequenti concorsi poetici, rappresentazioni teatrali, ecc.), il Messico divenne e rimase a lungo il più importante centro culturale d'America; e presto sorsero scrittori creoli e meticci, con sempre più chiara coscienza della propria americanità. Eminenti e originali, fra tutti, furono i commediografi Fernán Gonzáles da Eslava (n. 1535) e J. Ruiz de Alarcón (1581-1639), che rivaleggiò con Lope de Vega; il prosatore, scienziato e poeta C. de Sigüenza y Góngora (1645-1700), i poeti M. Bocanegra (1612-1668) e suor Juana Inés de la Cruz (1648-1695), il cui poemetto Primer Sueño (per non dire della splendida prosa saggistica Respuesta a la muy ilustre Sor Filotea de la Cruz e del teatro sacro e profano) resta uno dei testi capitali del barocco ispanico.

Cultura: letteratura. Dal Settecento alla fine dell'Ottocento

Nel Settecento si svilupparono la prosa critica e scientifica, con i gesuiti Clavijero (1731-1787), Alegre (17291788) e Abad (1727-1779) e i poligrafi Alzate (1729-1790) ed Eguiara (1696-1763), la poesia neoclassica, con Manuel de Navarrete (1768-1809), e la pubblicistica (il primo quotidiano, Diario de México, 1805-17), nonché, proprio al termine del regime coloniale, il teatro tragico (Ochoa, 1783-1833), la prosa di costumi (Castro, 1730-1814; Sartorio, 1746-1829), la polemica autobiografica (Servando T. de Mier, 1763-1827) e infine la narrativa, per merito di J. Fernández de Lizardi (1776-1827). Il romanticismo, che coincise con l'indipendenza politica del Paese, portò con sé una vasta fioritura della poesia lirica (Sánchez de Tagle, 1782-1849; Quintana Roo, 1787-1851; Ortega, 1793-1849; Rodríguez Galván, 1816-1842; J. Pesado, 1801-1861; Manuel Carpio, 1791-1860; J. M. Roa Bárcena, 1827-1908; M. Flores, 1840-1885; M. Acuña 1849-1873), durata fino alle soglie del sec. XX con José Peón y Contreras (1843-1907) e Juan de Dios Peza (1852-1910); del teatro (Fernando Calderón, 1809-1845; Rodríguez Galván, 1816-1842) e della prosa narrativa e critica (Ramírez, 1818-1879; Altamirano, 1834-1893, autore di Clemencia, El Zarco e altri notevoli romanzi); inoltre di un'abbondante produzione pubblicistica e di polemica politica, studi storici sulle agitate vicende del Paese, ecc. Fra il 1880 e il 1910, durante la dittatura di Porfirio Díaz, si svilupparono, per influenza del positivismo, gli studi di sociologia e la narrativa realistica e naturalistica, con importanti testi di E. Rabasa (1856-1930), J. López Portillo (1850-1923), R. Delgado (1853-1914), H. Frías (1870-1925), F. Gamboa (1864-1939), che fu anche drammaturgo e pubblicista, C. Gonzáles Peña (1885-1955) e del poligrafo ed educatore J. Sierra (1848-1912). Il modernismo, che aprì nuove vie alla lirica, sulla scia del simbolismo europeo, ebbe, infine, anche nel Messico originali rappresentanti, quali M. Gutiérrez Nájera (1859-1895), S. Díaz Mirón (1853-1928), M. J. Othón (1858-1906) e, soprattutto, A. Nervo (1870-1919), L. G. Urbina (1864-1934), J. J. Tablada (1871-1945) ed E. González Martínez (1871-1952), riconosciuti maestri delle avanguardie del sec. XX.

Cultura: letteratura. Il Novecento e i primi anni del Duemila

Il decennio rivoluzionario (1910-20) che sconvolse il Messico influì, più o meno direttamente, su tutta la letteratura del primo Novecento, in particolare sulla narrativa, con M. Azuela (1873-1952), M. L. Guzmán (1887-1977), amico e collaboratore di Pancho Villa, R. Muñoz (1899-1971), J. Vasconcelos (1881-1959), importante anche come saggista e uomo politico, J. R. Romero (1890-1952), G. López y Fuentes (1897-1969). La fioritura della narrativa è continuata fino ai nostri giorni, con punte di universale rilievo. Al filo del agua (1947) di A. Yáñez (1904-1980), Pedro Páramo (1955) e El llano en llamas (1970) di J. Rulfo (1918-1986), La muerte de Artemio Cruz (1962), Terra nostra (1975) e Cristobal Nonato (1987) di C. Fuentes (n. 1928), Las muertas (1977) di J. Ibargüengoitia (1928-1983), Gazapo (1965) di G. Sainz (n. 1940) hanno segnato tappe decisive per lo sviluppo del romanzo ispano-americano contemporaneo. Più globalmente l'attuale fortuna della prosa messicana si deve all'operato di una nutrita schiera di insigni romanzieri, tra cui J. J. Arreola (n. 1918), S. Elizondo (n. 1932), J. García Ponce (n. 1932), S. Pitol (n. 1933), V. Lenero (n. 1933), R. Castellanos (1925-1974), J. A. Ramírez (n. 1944), R. Avilés Fabila (n. 1940). Non meno significativa è stata la fioritura poetica avviata da R. López Velarde (1888-1921) e continuata nelle sue manifestazioni più estreme dal movimento cosiddetto “estridentista” (1921-27) e in quelle più moderate dal gruppo dei Contemporáneos formatosi intorno a C. Pellicer (1899-1977), J. Gorostiza (1901-1973) e X. Villaurrutia (1903-1950). Tale gruppo rappresentò il versante “puro” della poesia messicana del primo Novecento. Ne sono testimonianza il selezionato repertorio di versi che compone l'opera di Pellicer (essenzialmente riconducibile a Material poético, 1956 e Teotihuacán y 13 de agosto, 1965), la tensione metafisica che sostiene il verso di Gorostiza in Muerte sin fin (1939), la limpidezza di quello di Villaurrutia in Nostalgia de la muerte (1939-46). Su tonalità più aspre e metalliche si accorda invece il verso di J. Torres Bodet (1902-1974), oscillante fra sperimentalismi d'avanguardia e forme classiche. È però con il poeta e saggista di primissimo piano nella letteratura del Novecento, il premio Nobel O. Paz (1914-1998), che il Messico trova la sua voce più generosa, autorevole e straordinariamente versatile. Esperienza lirica e sforzo meditativo si confrontano in Paz con la dimensione del moderno – percepita in tutta la sua intrinseca contraddittorietà – e nello stesso tempo dialogano con le più svariate tradizioni letterarie, antiche e moderne, occidentali e orientali: da quella spagnola e ispano-americana alla nordamericana, all'europea, all'indiana. Assieme a Paz sono via via emersi poeti e scrittori, tra cui M. A. Montes de Oca (n. 1932), J. E. Pacheco (n. 1939), narratore, poeta e critico letterario, autore di versi di notevole qualità formale e nello stesso tempo antiretorici e tutt'altro che preclusi a innovazioni e sperimentalismi; G. Zaid (n. 1934), interprete raffinato e sensibile dell'angoscia del vivere; H. Aridjis (n. 1940), cantore di temi eterni (amore, vita, morte) espressi con ampiezza di registro e assoluto dominio formale; Elena Poniatowska (n. 1932), giornalista e saggista i cui libri hanno contribuito in maniera determinante all''esportazione della cultura e delle vicende messicane. Tra i narratori meritano una menzione speciale J. Aguilar Mora (n. 1946), con Si muero lejos de ti (1979) e D. Ojeda (n. 1950), con Las condiciones de la guerra (1978). Ottimi frutti si raccolgono anche nel racconto e nella narrativa fantastica. I primi anni Novanta hanno visto proseguire l'intensa attività letteraria del Paese, con una narrativa in effervescenza, vivacizzata, oltre che dalla pratica dei talleres literarios (laboratori letterari) incoraggiata dall'Istituto Nazionale di Belle Arti, dai numerosi meetings di scrittori che vengono annualmente tenuti in diverse città e dall'opera di critica e diffusione svolta dalle varie riviste e dai supplementi letterari dei quotidiani. Il tratto più caratteristico è stata la crescita di quegli autori che avevano cominciato a pubblicare negli anni Settanta, le cui opere dimostrano un sempre maggior dominio dei mezzi espressivi: possono essere citati, tra molti, i nomi di José Joaquín Blanco (Un chavo bien helado, 1990), Federico Patán (Puertas Antiguas, 1989), María Luisa Puga, Rafael Ramírez Heredia, Jesús Gardea, Ignacio Solares e Luís Arturo Ramos. Altre personalità di spicco del mondo letterario sono Laura Esquivel (n. 1950) autrice di Dolce come il cioccolato (1989); Alejandro Hernández (Nos imputaron la muerte del perro de enfrente, 1988); S. Pitol (n. 1933), premio Cervantes 2005, e J. Villoro (n. 1956), autore di El testigo (2004). Un nome che, per successo di critica e di pubblico, si distingue ulteriormente è senz'altro quello di P. I. Taibo II (n. 1949), nato in Spagna a Gijon e traferitosi in Messico pochi anni dopo con la famiglia per sfuggire alla dittatura. Accademico, giornalista, saggista ha raggiunto la notorietà grazie a opere quali Eroi convocati (1982), Senza perdere la tenerezza (1996), una biografia di Ernesto Che Guevara, e Morti scomodi (2004), scritto con il subcomandante Marcos. Va tuttavia notato che gli autori che hanno continuato a dominare la scena letteraria messicana sono Fuentes e Paz, benché estremamente diversa sia stata la loro posizione nei confronti della cultura ufficiale del Paese, con la quale Paz è sempre stato in ottimi rapporti, mentre Fuentes ha conservato un atteggiamento indubbiamente più critico. La novità più recente nel panorama letterario è costituita dagli scrittori della cosiddetta generazione del “crack”, inteso come “rottura”, “cesura” con il passato del Messico e della letteratura messicana, o per lo meno con quella parte divenuta ormai caricatura di se stessa, letteratura da supermercato. Tra i principali esponenti ricordiamo Ignacio Padilla (n. 1968), Ricardo Chávez Castañeda (n. 1961), Jorge Volpi (n. 1968), Pedro Ángel Palou (n. 1966). Nella lirica, oltre ai conosciuti poeti Gerardo Deniz, Jaime García Terrés e Eduardo Lizarde, si segnala l'opera promettente delle generazioni più giovani, nelle cui file si annoverano: Efraín Bartolomé, Alberto Blanco, Coral Bracho, Ricardo Castillo, Francisco Hernández, David Huerta e, in campo femminile, Myriam Moscona, Elsa Cross, Silvia T. Rivera e Verónica Volkow.

Cultura: arte. Il periodo precolombiano

Nelle fasi cronologiche più avanzate dell'era precolombiana, individuate dagli studiosi come preclassica (ca. 1500 a. C.-inizi era volgare), classica (sec. I-X) e postclassica (sec. X-1522), le regioni meridionali del Messico furono sede di un complesso di culture che si inseriscono nella più vasta area culturale della Mesoamerica caratterizzandola per l'importanza delle manifestazioni artistiche che a esse si riferiscono. È problematico seguire comparativamente il succedersi di queste fasi cronologiche e stilistiche nelle diverse aree del Messico, sia per la lacunosità dei dati in alcune di esse sia per il sovrapporsi delle zone di influenza delle diverse culture e il loro avvicendarsi su una stessa area; l'impossibilità di adottare una metodologia uniforme impone il ricorso a classificazioni ora geografiche, ora etniche, ora stilistiche, reciprocamente integrantisi, e induce forse a preferire queste ultime le cui ragioni, interne alla stessa opera d'arte, potranno essere confermate o corrette dal procedere dell'indagine scientifica. Le culture classiche trovano un comune supporto nel grande stile arcaico della Mesoamerica, presente negli stanziamenti dell'ultima fase del formativo (ca. 5000-1500 a. C.); nella valle di Messico, tra i più antichi (VIII millennio a. C.), quello di Chalco. Nel preclassico inferiore (1500-1000 a. C.) i reperti da Zacatenco e Tlatilco, sedi di culture che raggiungeranno l'apice nel preclassico medio (1000-500 a. C.), e quelli da Ecatepec, Ticomán, Cerro de Tepolcate, Cuicuilco, siti delle pendici montane che circondano la valle di Messico, segnano importanti tappe nell'evoluzione delle strutture formali, oltre che ideologiche, che caratterizzeranno le culture classiche; in questa fase il tipo della piramide a gradoni compare a Cuicuilco, La Venta (civiltà olmeca) e Uaxactún (piramide E VII inferiore, in area maya) e si configurano alcune tipologie della plastica monumentale; abbondante la produzione fittile caratterizzata dalle figurine femminili dette pretty ladies. I centri di La Venta, Cerro de Las Mesas, Tres Zapotes, San Lorenzo nel Veracruz e il territorio lungo il fiume Chiquito costituiscono il cuore della cultura olmeca, le cui funzioni stimolatrici sulle culture classiche dell'intera area messicana sono documentate da reperti isolati ma diffusi su gran parte del territorio: essa si sviluppa dal preclassico inferiore per raggiungere le sue realizzazioni più alte, soprattutto nella scultura monumentale in pietra, nel preclassico superiore (500 a. C.-inizio era volgare). Le regioni occidentali del Messico sono dotate di una fisionomia archeologica particolare e relativamente costante nei suoi motivi dal preclassico alla conquista spagnola: gli odierni Stati di Colima, Nayarit, Jalisco, Guerrero e la parte meridionale del Guanajuato sono infatti caratterizzati da una produzione prevalentemente fittile nell'ambito della quale domina la ceramica figurata e dipinta, ora vivace fino al grottesco (da Ixtlán del Rio), ora più raffinata (da Chupicuaro), ma che rivela l'assenza dei riferimenti simbolici o religiosi che animano le altre culture messicane. Vigorosa la scultura di stile Mezcala (Guerrero). La cultura postclassica dei Taraschi ha lasciato forme architettoniche particolari nelle yacatas del Michoacán (Tzintzuntzan). All'inizio dell'epoca classica il Messico offre un panorama di culture molteplici e coesistenti, prima fra tutte nella valle di Messico, dove le succederanno le culture postclassiche dei Toltechi e degli Aztechi, quella che prende il nome dal complesso monumentale di Teotihuacán caratterizzata da un'imponente architettura religiosa (piramidi del Sole e della Luna), dalla diffusione della pittura parietale (Tepantitlan) e della scultura monumentale in pietra (Quetzalcoatl, Tlaloc, dio della pioggia), da reperti di un'arte fittile raffinata con decorazione a fresco da maschere rituali o funerarie in pietra dura. La cultura degli Zapotechi, nella regione dell'Oaxaca, ebbe radici nel preclassico ma raggiunse l'apice nei sec. V-IX nei centri monumentali di Monte Albán e di Mitla; caratteristiche le ornatissime urne fittili figurate; le sue fasi postclassiche furono largamente influenzate dalla cultura dei Mixtechi che faranno di Mitla la loro capitale (sec. XV); tra i reperti dell'arte mixteca dominano i gioielli, le pietre dure e semipreziose lavorate, un tipo di ceramica raffinata (da Cholula), i codici miniati (Borgia, Vaticano B). Nell'area settentrionale della costa del golfo (SE del Tamaulipas, E del San Luis Potosí, N del Veracruz), dove i più antichi stanziamenti risalgono all'VIII millennio, fiorì la cultura uasteca (vedi Huaxtecos); mentre le fasi iniziali di questa cultura, studiate nel sito di Pánuco, si sviluppano in epoca preclassica, la fase classica si affianca e rivela contatti con le culture di Teotihuacán e Monte Albán, pur nell'elaborazione di numerose e originali tipologie architettoniche. Importante la scultura monumentale (adolescente di Tamuín, Città del Messico, Museo Nazionale), con caratteri di ieratico geometrismo. La città di Tajin, sede della cultura omonima (sec. IV-X) o totonaca nel Veracruz e lungo la costa del golfo (vedi Totonachi), non diversamente da Monte Albán, da Uxmale Copán in area maya (da Xochicalco o dalla stessa seconda capitale totonaca di Cempoala), e più genericamente da tutti i grandi centri cerimoniali messicani, sorge su un impianto urbanistico regolare e organizzato, all'interno del quale la piramide delle nicchie segna il fulcro compositivo; forme caratteristiche dell'arte totonaca sono le “asce”, i “gioghi”, le “palme” di pietra scolpita, le cui funzioni sono ancora incerte, le teste fittili “sorridenti” della regione di Mistequillas e la plastica fittile di Las Remojadas. Resti della cultura totonaca ancora parzialmente inesplorati si trovano a Misantla e Paxilila. La cultura maya, forse la più complessa e la più ricca tra le culture messicane, si sviluppò dal preclassico negli Stati di Yucatán, Campeche, Quintana Roo, Tabasco, Chiapas, raggiungendo l'Honduras, El Salvador, il Guatemala; negli strati preclassici si individuano due stili ceramici: il Mamon, più antico, di rudimentale fattura, e lo Chicanel, raffinato e decorativo. L'apice della cultura maya, a Uxmal, a Cobá, a Kabah, Piedras Negras, Tikal, Yaxchilán, Bonampak, Palenque e negli altri complessi architettonici cerimoniali, si dispone tra il sec. IV e il X, data dell'invasione tolteca. Tra le innovazioni strutturali dell'architettura maya, che si articola in una fioritura di stili architettonico-decorativi (puuc, chenes), sono l'ampio impiego del rilievo in stucco, argilla dipinta, pietra, e della pittura (Bonampak), e la falsa volta. La cultura dei Toltechi che in epoca postclassica si sovrappose a quella dei Maya, il cui territorio occuparono dal sec. X, dando origine allo stile maya-tolteco di Chichen-Itzá (Castillo, Tempio dei Giaguari, Caracol) e Mayapán, ebbe in Tollán (Tula) la sua prima capitale e occupò originariamente l'area degli Stati di Morelos, Hidalgo e Puebla. Frequente nell'architettura il pilastro figurato e nella scultura il tipo del Chacmool, figura semisdraiata portaofferte. Ultima cultura nella valle di Messico fu quella degli Aztechi, fondatori dell'impero distrutto da Cortés, che si sviluppò in epoca postclassica (sec. XIII-X); i reperti da Tenayuca e Tenochtitlán (odierna Città del Messico), la capitale fondata sul lago da Malinalco, sono espressione di una cultura artistica che, legata per le tipologie architettoniche alla cultura tolteca (Colhuacan, Texcoco) e per la decorazione a quella mixteca, raggiunge nella scultura monumentale sintesi formali d'astratto rigore e simbolica suggestione (Coatlicue, Messico, Museo Nazionale).

Cultura: arte. Il periodo coloniale

La prima fase dell'arte coloniale in Messico fu dominata per oltre mezzo secolo dai caratteri dell'architettura missionaria, realizzata secondo il gusto e le capacità di costruttori appartenenti agli ordini religiosi e legata all'impiego di materiali e manodopera locali. La fioritura dei complessi monastici (che precede nel tempo l'edificazione delle grandi cattedrali), costruiti dai francescani e dai domenicani prima e dagli agostiniani poi, rispecchia caratteri di espressione provinciale dell'arte spagnola gotica, mudéjar, rinascimentale e plateresca. Rilevante si configurò subito l'azione svolta dalla tradizione locale destinata ad assumere maggiore incidenza nella definizione delle forme barocche, più rispondenti alla sensibilità del gusto locale. Quantunque differenze sostanziali si notino nelle realizzazioni dei singoli ordini (soprattutto le forme degli agostiniani sono ben distinte da quelle più contenute dei due ordini mendicanti dei francescani e dei domenicani), i complessi monastici si rifacevano a un unico concetto informatore, basato realisticamente su finalità pratiche (la difesa) e sulle esigenze della missione catechizzante. La chiesa e il convento erano concepiti quasi come un unico organismo racchiuso entro le mura che cingevano tutt'attorno lo spazio del patio, specie di “cappella aperta” adatta a riti religiosi e ad accogliere gli indigeni che non trovavano posto nella chiesa a una sola navata. I maggiori monumenti di questa architettura missionaria diffusa in Messico nel sec. XVI sono i conventi di Tlaxcala (il più antico, databile intorno al 1528), Tepeaca (1530), Cholula (edificato dall'architetto Toribio de Alcaráz), Acólman (1539, con affreschi), Actópan (di Fra' Andrés de Mata, 1550; con affreschi), Tula (1550). Ad altri sviluppi architettonici appartengono i conventi di S. Domingo, S. Augustín e S. Luis a Puebla, realizzati da F. Becerra, attivo nel Messico dopo il 1570 e al quale vengono attribuite le premesse dello stile più propriamente ispano-messicano, svincolato dai caratteri dell'architettura missionaria. Le più alte manifestazioni dell'arte rinascimentale spagnola sono espresse, dalla seconda metà del sec. XVI, nell'edificazione delle grandi cattedrali di Mérida (J. Miguel de Agüero) e di Puebla (realizzata con intervento di F. Becerra) sensibili alle esperienze dell'arte di Juan de Herrera. Anche interpretazioni del gotico caratterizzano le cattedrali di quest'epoca (significativo esempio è la cattedrale di Cuernavaca, in stile gotico francescano). Altre cattedrali sorte nel primo periodo coloniale furono rimaneggiate e trasformate in forme barocche come la cattedrale di Querétaro, la cui fondazione risale al 1535, e soprattutto la seconda cattedrale di Città del Messico, la cui costruzione, iniziata nel 1552, si concluse nel 1813. Aspetti di architettura civile del sec. XVI sono documentati a Città del Messico (Real y Pontificia Universidad, Ospedale del Gesù), a Cuernavaca (palazzo di Hernán Cortés), a Tlaxcala, a Mérida (Casa de las monjas), ecc. Scarse sono in quest'epoca le manifestazioni pittoriche (affreschi anonimi nei conventi di Acólman e di Actópan) e scultoree (la scultura palesa decisive interferenze del gusto indigeno).

Cultura: arte. L'epoca barocca e neoclassica

Più netta appare la presenza del gusto decorativo locale nella splendida fioritura architettonica del periodo barocco, durante il quale si attuò la subordinazione dei problemi di organizzazione spaziale alla più ampia focalizzazione degli aspetti decorativi, espressi dall'esuberante gusto per il cromatismo mediante l'impiego di materiali di diverso colore, di cui la nota più esaltante è offerta dalla profusione delle mattonelle di ceramica policroma (azulejos). Numerosi sono gli esempi di chiese e di edifici civili dell'architettura barocca dei sec. XVII e XVIII, specie a Città del Messico (chiese di S. Domingo, La Profesa, S. Lorenzo, della Veracruz; Tribunale dell'Inquisizione), a Puebla (chiesa di S. María de Tonantzintla, cappella del Rosario in S. Domingo), a Guadalajara (chiesa di S. Monica, Seminario Vescovile). Pur nel caricato decorativismo dello stile churrigueresco, l'architettura religiosa tardobarocca ristabilì una più organica articolazione della pianta (chiesa della SS. Trinidad, Sagrario metropolitano a Città del Messico; Cappella del Pocito a Guadalupe). Nell'edilizia privata prevalse, affine al modello dei primi complessi monastici, lo schema di ambienti disposti attorno al patio (uso che si è perpetuato fino al sec. XX). Le arti figurative, pur interessate all'intensa attività costruttiva e stimolate dalle influenze culturali europee, non diedero luogo ad affermazioni rilevanti, rifacendosi per lo più alle esperienze contemporanee spagnole. Il ripudio per le forme barocche e l'accettazione del gusto neoclassico alla fine del Settecento maturarono senza profonde conseguenze, esaurendosi nel breve arco di nemmeno mezzo secolo. Protagonisti della tendenza accademica furono M. Tolsá e F. E. Tresguerras: il primo portò a termine la cattedrale di Città del Messico (1813) ed eseguì altre opere tra cui la Escuela de mineria (Città del Messico); il secondo realizzò la chiesa del Carmen a Celaya. Nell'architettura popolare indigena, isolata dai grandi centri, sopravvissero, profondamente radicati, peculiari caratteri della tradizione azteca, che ancora si conservano in alcuni luoghi dell'altopiano.

Cultura: arte. L'epoca moderna e contemporanea

Dopo la rivoluzione del 1910 e superato un periodo di assestamento politico e di aggiornamento culturale, il Messico assimilò con estrema sensibilità e responsabilità sociale i nuovi apporti dell'architettura funzionale, i cui esiti ebbero concreta realizzazione in una serie di opere, che culminano con la città universitaria di Città del Messico (1949-54), dove anche le rinnovate arti figurative (pitture murali, mosaici) trovano nuovi spazi d'espressione, coinvolte nelle problematiche più attuali della cultura e in perfetta rispondenza alle esigenze sociali (in questo senso dev'essere intesa l'opera di artisti come Orozco, Rivera,, Siqueiros, Tamayo). Nei decenni seguenti, in ambito architettonico, al diffondersi dell'International Style alcuni si oppongono riprendendo la tradizione formale messicana (Ricardo Legorreta, complesso Hotel Camino Real, Città del Messico, 1968-75; sede Assicurazioni America, Città del Messico, 1976). L'architettura degli anni Settanta e Ottanta si caratterizza per il monumentalismo come soluzione formale per l'edilizia pubblica e terziaria. Ricordiamo a questo proposito le opere di Augustín Hernández (unità ospedaliera per l'Imss e il Collegio Militare a Città del Messico, 1975), di P. Ramirez Vazquez (palazzo dell'Assemblea Legislativa, Città del Messico, 1979-81; Biblioteca Centrale e Museo di Antropologia, Toluca, 1984-86; sede Comitato Olimpico Internazionale di Losanna, 1986), di Teodoro Gonzales de Léon (Collegio del Messico, 1974-75, e Museo Rufino Tamayo, 1981, a Città del Messico; ambasciata messicana a Brasilia, 1973-75). Quest'ultimo rimase fedele a uno stile neoatzeco nel Palazzo di giustizia di Città del Messico (1992), progettato insieme a F. Serrano, mentre nei successivi lavori (Torre a 8 piani per il Fondo per la cultura economica, 1993, e Conservatorio di musica per il campus della Ciudad de las Artes, 1995) si avvia sulla strada di un mutamento stilistico. A partire dalla fine degli anni Ottanta e soprattutto negli anni Novanta, in Messico si è imposto un indirizzo architettonico più innovativo che, abbandonate le tradizionali tendenze, è ispirato alla sobrietà del mex-tech, versione locale dell'hi-tech. Tale indirizzo è rappresentato soprattutto dal gruppo TEN (Taller Enrique Norten) Arquitectos, il cui fondatore ed esponente più noto è E. Norten, autore, tra l'altro, delle abitazioni operaie di calle Brasil (1994), dell'edificio di servizio della rete Televisa (1995) e della Scuola nazionale di teatro della Ciudad de las Artes. A differenza della varietà di tendenze prodottesi nell'evolversi del linguaggio architettonico, da una parte proiettato verso la continua assimilazione delle esperienze europee, dall'altra impegnato a elaborare incontri tra la tradizione e gli apporti internazionali, la situazione dell'arte figurativa, più profondamente radicata ai caratteri della tradizione, palesa un processo evolutivo di più lenta maturazione, ma partecipe, con vitale autonomia di espressione, dei più aggiornati orientamenti della ricerca estetica. Le personalità distintesi nel corso dei primi decenni del Novecento, fortemente legate alle tematiche storico-politiche del Paese, sono i già citati Diego Rivera, di cui restano celebri le pitture murali del Ministero dell'educazione pubblica (1922-29) e il Palazzo Nazionale (1929-35) a Città del Messico, oltre che il Rockefeller Center di New York; José Clemente Orozco, artefice anche di numerosi affreschi e David Alfaro Siquieros, altro protagonista del “Rinascimento messicano”. Notevole inoltre l'arte di Juan Soriano (1920-2006) e N. B. Zenil (n. 1947). Un cenno particolare merita, anche in ragione della forte attenzione riservatale in questi ultimi anni dal mondo dell'arte internazionale, Frida Kahlo (1907-54), moglie di Rivera. Le sue opere, specchio delle travagliate vicissitudini personali, ripercorrono le angosce, i desideri, le aspirazioni e le ossessioni di una donna divenuta anche simbolo del movimento femminista.

Cultura: musica

Sulle caratteristiche della musica degli Aztechi anteriore alla conquista spagnola si hanno notizie relativamente abbondanti, ma nel complesso frammentarie e poco sicure, che risalgono a relazioni di cronisti dei primi conquistatori, a scritti di autori indigeni, a testimonianze iconografiche e a reperti archeologici. Rigidamente subordinata alle necessità della liturgia, la musica era coltivata da una casta di professionisti che, in mancanza di una notazione, si tramandavano oralmente il repertorio. Per quanto è possibile giudicare, l'impianto della musica azteca era omofonico, possedeva un ambito intervallare assai limitato e si basava su strutture scalari pentatoniche. Numerosi erano gli strumenti musicali. Tra gli idiofoni, assai diffuso era il teponaztli, tamburo cilindrico di legno cavo, spesso finemente decorato, recante su una delle due basi un caratteristico intaglio a forma di H. Tra i membranofoni, lo huehuetl, tamburo sacro dal suono cupo e profondo; tra gli aerofoni, numerosi tipi di fischietti, flauti, zampogne (diffusissima tra queste la chirimía, che si suona ancora, generalmente in unione con il teponaztli e con un tamburello), corni e trombe. L'arrivo degli Spagnoli segnò la fine della tradizione musicale autoctona e la sua sostituzione con un repertorio di ascendenza europea. Parallelamente, gli indigeni furono istruiti a prestare la loro opera di cantori e di strumentisti nelle istituzioni musicali fondate sul modello di quelle esistenti in Spagna. Tra queste, particolare rilievo, anche sotto il profilo pedagogico, ebbero le cappelle annesse alle chiese e alle cattedrali. Celebri furono specialmente quelle della missione di Texcoco (fondata nel 1523) diretta dal musicista fiammingo Pedro de Gante (1480-1572), di Città del Messico (fondata nel 1539) e di Puebla, dove nei sec. XVI e XVII operarono Juan de Lienas (attivo intorno al 1590), Hernando Franco (dal 1575 al 1585), Francisco López, Juan Gutiérrez de Padilla (dal 1629 al 1664) e Antonio de Salazar (dal 1687 al 1715). Accanto al repertorio sacro di importazione o di imitazione europea, ebbero diffusione in Messico nello stesso periodo (anche per l'influenza della cultura africana introdotta dalle considerevoli masse di schiavi) numerose danze, tra le quali la sarabanda e la ciaccona, destinate a godere enorme successo nella musica spagnola ed europea dei sec. XVII e XVIII. Il melodramma, che ebbe i primi esempi autoctoni con Rodrigo (1708) e Parténope (1711) di Manuel de Zumaya (1690-1732), maestro di cappella nella cattedrale di Città del Messico, costituì il genere più importante della vita musicale messicana dell'Ottocento, che accentuò la sua dipendenza dalla cultura musicale europea, segnatamente italiana. Tra i compositori messicani dell'Ottocento meritano menzione J. M. Elízaga (1786-1842), fondatore nel 1825 del primo conservatorio, J. A. Gómez, fondatore nel 1839 della prima accademia musicale, M. Morales (1838-1908), A. Ortega (1823-1875), R. Castro (1864-1907) e G. E. Campa (1863-1934). Nel sec. XX si è andato sempre meglio delineando un filone che ha cercato di valorizzare il folclore musicale locale, inserendone gli elementi più tipici nell'ambito di esperienze linguistiche moderne e di avanguardia. Tra le personalità di maggior rilievo si segnalano J. Carrillo (1875-1965), venuto alla ribalta internazionale per i suoi esperimenti con sistemi microtonali, M. M. Ponce (1886-1948), S. Revueltas (1899-1940), M. B. Jiménez (1910-1956) e, soprattutto, C. Chávez (1899-1978) che si conquistò anche solida rinomanza internazionale. La sua opera ha influito in particolare sul “Grupo de los Cuatro”, costituito da D. Ayala (1908-1975), B. Galindo (n. 1910), S. Contreras (n. 1912), J. P. Moncayo (1912-1958). Accanto alla musica colta, assai importante, anche per i riflessi che ha avuto sulla musica di consumo di numerosi Paesi occidentali, è la musica popolare messicana (di cui il mariachi è fra i generi più praticati e famosi anche fuori dai confini nazionali). Numerose sono le forme di danza, tra le quali si segnalano, oltre alle già citate sarabanda e ciaccona, la jarana, l'huapungo, il jarabe. Tra le forme vocali più diffuse, notevoli il corrido, la canción mexicana (di cui esistono numerose varietà), la sandunga chiapaneca (in ritmo di valzer, originaria dello Stato di Chiapas) e il son (una melodia di danza che si caratterizza secondo la regione di provenienza). Notevole rilievo hanno inoltre la musica afro-cubana destinata al culto e le danze popolari neroafricane, che hanno avuto vasto influsso sulla musica colta di ispirazione nazionale.

Cultura: spettacolo

Nelle tre epoche della sua storia (precolombiana, coloniale, indipendente) il Messico è sempre stato uno degli epicentri dell'attività spettacolare nell'America Latina. Non ci sono pervenuti testi drammatici dal Messico precolombiano, salvo il Rabinal Achí dei Maya-Quiché, dramma-balletto di inequivocabile originalità, ma è indubbio che varie forme di spettacolo religioso e profano (danze e coreografie rituali, evocative, leggendarie, propiziatorie, ecc., mimi e balletti, farse satirico-grottesche con attori travestiti da animali, ecc.) fossero praticate, specie in occasione di feste religiose e popolari. Prova decisiva dell'importanza dello spettacolo precolombiano è il fatto che i missionari spagnoli, subito dopo la Conquista, se ne servirono come di un efficace strumento di evangelizzazione, sostituendo i temi cristiani a quelli indigeni, ma lasciando intatte le coreografie (a tal punto che un Concilio regionale vietò, nel 1585, la rappresentazione in chiesa di canzoni, danze e commedie profane). Dalla Spagna furono importate le feste del Corpus Domini, che si svolsero sempre all'aria aperta, con duraturo successo e largo impiego, accanto al castigliano, delle lingue indigene. Spettacoli popolari, con danze mascherate, si svolgono ancora in molte località del Messico per celebrare la Madonna di Guadalupe, santi patroni e festività cristiane (Natale, Settimana Santa) in modi tipicamente meticci. Durante l'epoca coloniale, un teatro di tipo particolare fu quello praticato nei seminari e nei collegi religiosi (specie dei gesuiti), mentre l'alta società vicereale importava dalla Spagna il repertorio e le compagnie del siglo de oro. Non mancarono tuttavia contributi locali di primaria importanza, a cominciare dal grande Ruiz de Alarcón (1581-1639), le cui commedie, rappresentate e pubblicate in Spagna, hanno un posto di singolare rilievo nel folto panorama teatrale del secolo. L'indipendenza allentò i rapporti con la Spagna, ma non interruppe l'attività teatrale, alimentata da autori locali, prima romantici e quindi realistici. Oggi Città del Messico è una delle capitali indiscusse dello spettacolo nel mondo ispanico, con una ventina di teatri attivi, un Palacio de Bellas Artes, centro statale di fervida attività. Vi opera fra l'altro il Ballet Folklórico de México, complesso artistico di altissimo livello internazionale, fondato nel 1952 da Amalia Hernández, con alcuni allievi della sezione di danza moderna dell'Instituto de Bellas Artes. A Città del Messico ha sede anche il Ballet Nacional de México fondato nel 1949 da Guillerma Bravo. La Scuola di Arte Drammatica, istituita presso l'Universidad Nacional (e successivamente presso altre università), la fondazione di vari gruppi di teatro studentesco di saggio e d'avanguardia e l'ormai ricco repertorio nazionale (autori principali Usigli, Magaña, Luisa J. Hernández, Carballido, Solórzano, Leñero, Basurto) hanno contribuito a creare un'atmosfera ricca di risultati dignitosi e di sicure promesse. Per il teatro furono particolarmente vivaci gli anni Sessanta quando si fronteggiavano, con successo, linee d'ispirazione diverse e contrastanti. C'erano Maruxa Vilalta con il teatro “assurdo”, Héctor Azar con quello poetico, Hugo Argüelles con un teatro satirico, piuttosto aggressivo, Vicente Lenero con quello testimoniale e di denuncia. Da questo movimentato scenario trassero nuova forza e vigore drammaturghi con una solida tradizione alle spalle, come Josefina Hernández (n. 1928) o Felipe Santander (n. 1929), Rafael Solana (n. 1915), Emilio Carbalillido (n. 1925), Luis G. Basurto (n. 1925). Nel frattempo cominciò a formarsi un nuovo gruppo di autori, tra cui Juan Tovar (n. 1941), Oscar Liera (n. 1942), Hugo Hiriart (n. 1942), che in pochi anni si sarebbe imposto come la “nuova generazione” del teatro messicano contemporaneo.

Cultura: cinema

Pioniere e padre del cinema messicano fu l'ingegnere Salvador Toscano Barragan (1872-1947), che filmò dal 1897 al 1917, con una cinepresa simile a quella degli operatori Lumière, 50.000 metri di storia e di rivoluzioni del Messico: ritrovate intatte, le pellicole sono state montate e presentate dalla figlia al Festival di Cannes del 1954 sotto il titolo di Memorias de un mexicano. In tutto il periodo muto, dominato da melodrammi attinti al teatro spagnolo, spicca El automóvil gris (1919) di Enrique Rosas, giallo-poliziesco a puntate sulle criminali imprese di una banda in auto per le diverse contrade del Paese, rese con inconsueta freschezza; ebbe un tale successo che, più tardi sonorizzato, continuò a tenere il cartellone fino agli anni Cinquanta. Mentre alcuni “divi” già erano stati assorbiti da Hollywood (Ramón Novarro, Lupe Vélez, Dolores Del Río), negli anni Trenta il Messico si trovò a ospitare cineasti stranieri quali S. M. Ejzenštejn, che coi frammenti di ¡Que viva México! girati nel 1931-32 lasciò un'impronta indelebile; l'attore russo Arcady Boytler, che con R. J. Sevilla diresse nel 1933 La mujer del puerto e nel 1938 lanciò il comico Antonio Moreno detto Cantinflas; gli statunitensi Fred Zinnemann, regista, e Paul Strand, fotografo, che col giovane Emilio Gómez Muriel realizzarono, in una baia di pescatori, l'importante film sociale Redes (ovvero I ribelli di Alvarado, 1934). Tra i registi messicani del periodo, Fernando de Fuentes, autore nel 1934 di Vámonos con Pancho Villa, preparò la strada al cinema nazionale degli anni Quaranta, quello conosciuto in tutto il mondo, di Emilio Fernández e Gabriel Figueroa, di Dolores Del Río, Pedro Armendariz e María Félix, esploso a livello internazionale con María Candelaria (1943). Di esso può considerarsi un'interessante appendice Raíces, film a episodi di Benito Alazraki prodotto da Manuel Barbachano Ponce (uno dei pochissimi produttori illuminati), che per il momento (1953) non ebbe un seguito. A cominciare da Los olvidados di Buñuel (1950), il nuovo decennio segnò invece il dominio artistico degli immigrati spagnoli: non di Buñuel soltanto, incontrastato maestro delle nuove generazioni, ma anche di Carlos Velo (¡Torero!, 1956), J. M. García Ascot (En el balcón vacío, 1960) e Luis Alcoriza che, già sceneggiatore di Buñuel, dandosi alla regia passò a filmare i comportamenti sociali (Tiburoneros, 1963) delle popolazioni diseredate. Verso la metà degli anni Sessanta si cominciò a parlare di un “nuovo cinema” anche in Messico e sul finire del decennio sorse un movimento indipendente a contrastare l'andamento generale della produzione: un cinema che, se non “rivoluzionario” come quello di Solanas in Argentina o quello di Sanjinés in Bolivia, contestava però le vecchie strutture. Tra i registi che si affermarono in quel frangente vanno citati A. Ripstein, F. Cazals, J. H. Hermosillo, A. Isaac. Nel 1971 il cinema venne nazionalizzato; nel 1972 P. Leduc realizzò Reed: México insurgente; nel 1974 nacque la Cineteca Nacional de México; nel 1975 si produsse Actas de Marusia dell'esule cileno M. Littín e si creò il Frente Nacional de Cinematografistas, raggruppante una dozzina di registi (i già citati, più S. Olhovich, J. M. Torres, G. M. Ortega, J. Estrada e i simpatizzanti Leduc, G. Retes, F. Weingarsthofer) che con il manifesto del 19 novembre si pronunciarono per una svolta decisiva, attuatasi però più sul piano dei contenuti che su quello del linguaggio. Comunque in Canoa (1976) Cazals si affiancò a Littín nel dare la cronaca di un massacro reazionario (avvenuto a San Miguel de Canoa nel 1968) e Leduc poté girare il documentario Etnocidio sul popolo Otomi della regione di Mezquital. I bassi costi e l'esotismo dei luoghi hanno consentito spesso alle produzioni internazionali di girarvi film considerevoli (ricordiamo Dune, 1984, di D. Lynch; Santa Sangre, 1989, di A. Jodorowski; Puerto Escondido, 1992, di G. Salvatores), mentre è apparso notevole, in un panorama qualitativamente modesto, l'exploit di Jaime Humberto Hermosillo con il sapido La tarea (1991). A partire dagli anni Novanta, un certo risveglio artistico non ha mancato di essere colto internazionalmente. Innanzitutto si deve notare l'emergere di Carlos Carrera con La donna di Benjamin (1991); ma è soprattutto con Arturo Ripstein che la cinematografia nazionale ha potuto annoverare un autore da seguire con attenzione, grazie a titoli come Inizio e fine (1993), vincitore al Festival di San Sebastián, La regina della notte (1994) e soprattutto il thriller grottesco Profundo Carmesì (1996). Se Robert Rodriguez con El Mariachi (1992) ha diretto uno scatenato western omaggio al cinema di Leone e Peckinpah, Daniel Gruener è rimasto legato alla tradizionale scuola nazionale di horror di genere, realizzando un divertente Sobrenatural (1996) che lo ha lanciato verso Hollywood. I nomi nuovi emersi nei primi anni 2000 sono quelli di Alejandro González Iñárritu (n. 1963), autore di Amores perros (2000), 21 grammi (2003) e Babel (2006), Alfonso Cuarón (n. 1961), regista di Y tu mamá también (2001) e Children of Men (2006), Guillermo del Toro (n. 1964) regista di El laberinto del fauno (2006). Fra gli attori si segnala Salma Hayek (n. 1966), ormai stabilmente nel gotha hollywoodiano. Negli ultimi anni ha assunto progressiva importanza per tutto il settore cinematografico latino-americano il Festival Internacional de Cine de Monterrey.

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